TOLOMEI, Claudio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TOLOMEI, Claudio

Francesco Lucioli

TOLOMEI, Claudio. – Nacque ad Asciano (Siena) tra la fine del 1491 e l’inizio del 1492 da Pieranselmo di Gabrioccio e da Cornelia Sozzini. Ebbe sette fratelli, con i quali trascorse l’infanzia a Siena.

Per studiare legge si recò a Bologna, dove pubblicò nel 1514 il poemetto Laude delle donne bolognese sotto il nome di Angelo Claudio Tolomei, formula già adottata in calce a un epigramma incluso nell’Opusculum Sylle Gorii Veluterni pro immatura morte nobilissimae mulieris Casandrae de Ptolomeis (Siena 1513, c. B1v). La stessa firma, forse un omaggio a Poliziano, ricorre ancora nel suo dialogo De corruptis verbis iuris civilis (Siena 1517), nelle coeve ma perdute Disputationes et paradoxa iuris civilis e nella prefazione degli Epigrammatum libri duo di Aurelio (Eurialo) Morani da Ascoli (Siena 1517, c. A1v), contenenti sette componimenti indirizzati a Tolomei (riediti da Sbaragli, 1939, pp. 157-159). Nel 1516 ritornò a Siena, dove fu nominato lettore straordinario e, nel settembre del 1517, lettore in iure civili con uno stipendio di 35 fiorini annui. In questo periodo partecipò verosimilmente all’attività dell’Accademia Senese. Il 4 gennaio 1518 fu promosso dal cardinale Raffaello Petrucci tra i revisori della magistratura dei Giudici dei pupilli, incarico che tuttavia abbandonò dopo tre giorni per dissidi politici che lo spinsero a trasferirsi a Roma.

Negli anni Venti si dedicò non solo alla poesia e al diritto, ma anche al dibattito sulla lingua, affrontando l’idea di una riforma dell’alfabeto nel Polito, dialogo apparso a Roma nel marzo del 1525 a nome di Adriano Franci. Probabilmente nello stesso torno di tempo compose anche il Cesano, dialogo incentrato sulla toscanità del volgare, stampato a Venezia nel 1555 senza il consenso dell’autore. Di altre opere linguistico-grammaticali progettate, abbozzate o perdute rimangono tracce nelle lettere e in alcuni manoscritti, come quello contenente il Trattato del raddoppiamento, dedicato a Dionigi Atanagi e composto tra 1546 e 1547.

L’avvicinamento alla corte romana lo spinse a fiancheggiare le milizie papali nella battaglia di Camollia del 25 luglio 1526; dopo la sconfitta delle truppe di Clemente VII fu esiliato e quindi riammesso in città soltanto nel 1542. Tornato a Roma, entrò ufficialmente al servizio del cardinale Ippolito de’ Medici. Fu a Bologna nel 1530, in occasione dell’incontro tra Carlo V e Clemente VII, e dal 1532 a Ratisbona, a Vienna e poi in Ungheria, dove il suo protettore era stato inviato come legato a latere presso l’imperatore al seguito della spedizione antiturca: tale missione avrebbe offerto lo spunto per redigere, intorno al 1536, il Discorso intorno alle cose della guerra, stampato anonimamente a Venezia nel 1558. Sotto la protezione del cardinale de’ Medici, Tolomei fu in contatto con letterati e artisti (fra cui Paolo Giovio, Giorgio Vasari e Ludovico Ariosto, che lo ricordò insieme al fratello Lattanzio in conclusione dell’Orlando furioso, XLVI, 12, 1) e compose altre opere storiche, politiche e letterarie ricordate nelle sue lettere, tra cui un’Oratione de la pace (Roma 1534).

Alla morte del cardinale Ippolito, nel 1535, entrò al servizio di Pier Luigi Farnese. Gli anni romani furono l’occasione per raccogliere intorno a sé numerosi letterati con i quali proseguire l’attività dell’Accademia dei Vignaiuoli. All’incirca nel primo semestre del 1538 si colloca l’esperienza del Reame della Virtù (cui parteciparono, fra gli altri, Francesco Maria Molza, Annibale Caro e Giovanni Francesco Bini), sodalizio caratterizzato da una produzione burlesca orientata in direzione di un petrarchismo classicheggiante; tale consesso fu rifondato nel 1540 come vera e propria Accademia della Virtù, con specifiche regole e una propria sede nel palazzo di Francesco Colonna. A questa stagione culturale dovrebbero risalire, oltre a numerosi componimenti poetici, le Due orazioni in lingua toscana a favore e contro Giovan Francesco Leoni (Parma 1547), mentre sono state avanzate riserve sull’attribuzione a Tolomei del trattatello La pazzia, più volte ristampato tra il 1540 e il 1560. Come attesta la Cotognata di Bini (testo dedicato proprio a Tolomei: De le lettere facete, et piacevoli di diversi grandi huomini [...] libro primo, Venezia 1561, pp. 270-278), in tali sodalitates erano già presenti alcune linee che avrebbero orientato le successive esperienze accademiche di Tolomei: da un lato, l’interesse per la trasposizione in lingua volgare della metrica quantitativa classica, interesse alla base dell’Accademia della nuova poesia toscana, il cui prodotto più significativo fu la raccolta di Versi et regole de la nuova poesia toscana (Roma 1539); dall’altro, il fascino per l’architettura greco-latina, che condusse alla fondazione di quella che Atanagi chiamò l’«Accademia de lo studio de l’architettura» (in De le rime di diversi nobili poeti toscani, I, Venezia 1565, c. Ll1v, silloge dove sono stampati sessantadue componimenti poetici di Tolomei). Come illustrato da Tolomei in una lettera inviata ad Agostino Landi nel 1542, scopo di tale Accademia doveva essere un ambizioso progetto editoriale incentrato sui De architectura libri decem di Vitruvio, progetto di cui rimangono alcuni codici di disegni e le Annotationes vitruviane di Guillaume Philandrier (Roma 1544). Da tale Accademia Vitruviana avrebbe avuto origine l’Accademia dello Sdegno, cui partecipò lo stesso Tolomei, il quale continuò a interessarsi di architettura con il progetto, conservato in una lettera a Gabriele Cesano del 1544, di una città ideale da edificare sul monte Argentario.

A seguito dell’elezione ducale di Pier Luigi Farnese, sul finire del 1545 Tolomei si recò a Piacenza, dove fu nominato presidente del Supremo Consiglio di giustizia, carica che ricoprì fino alla morte del protettore nel settembre del 1547, a seguito della quale si trasferì dapprima a Ferrara e quindi a Padova. Nel dicembre del 1547 uscì a Venezia la prima edizione delle sue Lettere.

La raccolta, contenente trecentottantaquattro testi organizzati in sette libri, fu riedita sempre da Giolito due anni dopo con alcune revisioni (tra cui la soppressione dei caratteri ortofonici utilizzati nella princeps) e l’eliminazione di una lettera inviata a Cesano il 21 gennaio 1531, lettera dedicata alla riforma del governo di Siena che aveva spinto i governanti cittadini a ordinare il sequestro e il rogo delle Lettere e a imporre una pena di 1000 scudi per Tolomei (pena poi annullata grazie all’intercessione di don Diego Hurtado de Mendoza, rappresentante imperiale nel territorio senese, e a una lettera di scuse inviata da Tolomei). Le sue epistole, frequentemente incluse in libri di lettere stampati nel corso del XVI secolo, divennero oggetto di attenzioni e pareri discordanti: apprezzate per il loro stile da Pierre Vidal, che ne approntò una prima traduzione in francese (Les épistres argentées, Paris 1572), furono aspramente condannate per ragioni di carattere teologico da Pietro Paolo Vergerio (Sopra le letere volgari di m. Claudio Tolomei, Basilea [1553]).

Tormentato da problemi cardiaci e alla vista, nonché dalla gotta, fece ritorno a Roma e nel settembre del 1549 fu nominato da Paolo III vescovo di Curzola in Dalmazia, nomina accolta con entusiasmo da amici come Atanagi, Anton Francesco Doni e Pietro Aretino. L’anno successivo prese possesso attraverso un vicario della diocesi e, in seguito, ottenne anche il beneficio del patronato della parrocchia di S. Cristoforo a Siena. Nel 1552 fu inviato, insieme a Niccolò Borghesi, Enea Piccolomini e Giulio Vieri, come ambasciatore della Repubblica senese presso il re di Francia Enrico II per perorare protezione contro Carlo V; dopo aver soggiornato a Firenze, dove incontrò il duca Cosimo I e Giovio, nel dicembre di quell’anno recitò senza successo alla presenza del re la sua Oratione, poi più volte pubblicata a partire dal 1553 (in Italia e in Francia, anche in traduzione, nonché in sillogi oratorie stampate tra Cinque e Seicento). Nonostante il desiderio di tornare in Italia, fu confermato come ambasciatore in Francia fino all’inverno del 1555: in questi anni continuò a dedicarsi alla poesia e visitò Avignone, dove progettò la costruzione di un monumento in onore di Francesco Petrarca e Laura.

Rientrato a Roma, morì «apud sedem apostholicam» il 23 marzo 1556.

Opere. Un catalogo di opere manoscritte e a stampa si legge in L. Sbaragli, Claudio Tolomei umanista senese del Cinquecento. La vita e le opere, Siena 1939 (rist. anast. Firenze 2016), pp. 203-212, in cui sono riprodotti alcuni testi grammaticali inediti (pp. 159-187); sui manoscritti cfr. anche P.O. Kristeller, Iter italicum, London-Leiden 1960-1992, ad indices. Della Laude delle donne bolognese è disponibile una ristampa anastatica della princeps (Bologna 1971). Per le edizioni moderne dei testi sul volgare cfr. Il Polito, in Trattati sull’ortografia del volgare, 1525-1526, a cura di B. Richardson, Exeter 1984, pp. 77-130; Il Cesano, a cura di M.R. Franco Subri, Roma 1975; e a cura di O. Castellani Pollidori, Firenze 1996 (1974; questa edizione è riprodotta anche in Discussioni linguistiche del Cinquecento, a cura di M. Pozzi, Roma 1975, pp. 177-275); Del raddoppiamento da parola a parola, a cura di B. Gavin, Exeter 1992. I Versi et regole della nuova poesia toscana sono usciti a cura di M. Mancini, Manziana 1997. Dei suoi componimenti poetici ha avuto un’edizione autonoma soltanto la canzone Per la recuperata sanità del serenissimo signor principe Mattias di Toscana (Siena 1647); per una selezione moderna di sue rime v. Poeti del Cinquecento, a cura di G. Gorni - M. Danzi - S. Longhi, I, Milano-Napoli 2001, pp. 534 s., 540 s., 571 s.; Lirici europei del Cinquecento, a cura di G.M. Anselmi et al., Milano 2004, pp. 349-356. Per l’attribuzione a Tolomei del trattatello La Pazzia cfr. l’edizione a cura di P. Malaguti, 1998, http://www.nuovorinascimento.org/n-rinasc/testi/pdf/pazzia/pazzia.pdf (19 maggio 2019). L’ultima edizione in ordine di tempo delle Lettere è pubblicata da R. Andreoli (Napoli 1859). Alcuni testi hanno avuto circolazione autonoma: una lettera ad Anton Francesco Santi del 1542 è stata tradotta in inglese (A Letter of Claudio Tolomei..., London 1739), mentre come testo «per nozze» è stata pubblicata la Lettera di Claudio Tolomei a Giovambattista Grimaldi dove si espone il significato d’una medaglia maritale, Gallarate Lombardo 2011; la lettera a Landi del 1542 è riprodotta in Scritti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, III, Milano-Napoli 1977, pp. 3037-3046, ed è inoltre edita (a cura di S. Benedetti - T. Scalese), insieme alla lettera a Cesano del 1544, in P. Cataneo - G. Barozzi da Vignola, Trattati, a cura di E. Bassi et al., Milano 1985, pp. 31-76. Per la lettera a Cesano, già stampata insieme a testi di Lodovico Guicciardini e Giovanni Botero in Tre discorsi appartenenti alla grandezza delle città (Roma 1588), cfr. ancora Lettera di Claudio Tolomei a Gabriele Cesano su l’Argentaro, Milano 2000. Le missive inviate alla Repubblica di Siena dalla Francia negli anni 1552-54 sono conservate nell’Archivio di Stato di Siena, fondo Tolomei, Archivio del ramo di Claudio Tolomei 1461-1785, e ventitré di esse sono pubblicate in Alcune lettere politiche di Claudio Tolomei vescovo di Tolone scritte alla repubblica di Siena, a cura di L. Banchi, Siena 1868.

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