PALEOLITICA, CIVILTÀ

Enciclopedia Italiana (1935)

PALEOLITICA, CIVILTÀ

Ugo Rellini

. "Paleolitica", o come prima si disse "archeolitica", è l'età umana remotissima, nella quale armi e strumenti si fecero dalla selce soltanto scheggiata, senza ritocco, in contrapposto a "neolitica", che è invece l'età in cui si scheggiò la selce con metodo diverso, ed anche si levigarono pietre tenere (serpentino, giadeiti, calcare selcifero, ecc.) per farne accette. Ma queste due grandi ere umane si distinguono anche per un complesso di altri caratteri.

Il Paleolitico appartiene all'epoca geologica passata (era quaternaria o Pleistocene), il Neolitico all'attuale (Olocene). Con ciò non è definita la posizione geologica del Paleolitico, che riposa su criterî stratigrafici, sulla successione delle faune e delle glaciazioni, che solo al geologo spetta discutere. Per le glaciazioni, oggi si ritorna ad ammettere il numero di quattro, stabilito dal Penck per l'Europa centrale, e indicate con i nomi di Günz la prima, agl'inizî del Quaternario, quindi di Mindel, di Riss, di Würm, mentre M. Boule ne riconosce solo tre.

Al paleoetnologo, dal punto di vista del succedersi delle civiltà primitive, può essere sufficiente ritenere che il Paleolitico propriamente detto si svolse durante i tempi in cui visse l'Elefante antico e il Rinoceronte di Merck, fase calda, che per la maggior parte dei geologi corrisponde all'Interglaciale riss-wiirmiano. Il Paleolitico continuò anche nei tempi dell'avanzata dell'ultima glaciazione (Würm), a fauna fredda, con l'Elefante lanoso o Mammut, con la Renna, e indi appresso con il Bisonte.

Dopo i tempi di Würm si svolse il Paleolitico superiore, che altri dice Miolitico (v. miolitica, civiltà), con un quadro di vita del tutto diverso dal precedente.

La prima fase del Paleolitico propriamente detto vide le epoche di Chelles e di Saint-Acheul (v. chelleana, civiltà; acheuleana, civiltà), in cui gli uomini fabbricarono gli amigdaloidi silicei, perfetti specialmente nella seconda epoca; questi amigdaloidi invece non si seppero fare dagli uomini dell'Europa centrale, che conobbero solo le schegge silicee, rozzamente lavorate (cultura premousteriana). Questa gente probabilmente avrà anche avuto strumenti di legno, ma non si conoscono, perché andarono distrutti. Essa doveva errare specialmente lungo i fiumi; finora non se ne conoscono le tombe.

Le più antiche tombe conosciute si hanno nell'epoca mousteriana (v.), quando gli uomini, per il freddo, occuparono le caverne e per la vita sedentaria s'indussero a fabbricarsi vesti di pelli. Allora si ebbe anche la prima lavorazione dell'osso.

La sepoltura delle caverne di Le Moustier sarebbe dell'epoca mousteriana antica: è quella di un giovane, che fu trovato in una fossa nella posizione del sonno, col capo piegato sua l'avambraccio destro. Presso il capo, alcune selci lavorate: a sinistra un'ascia a mano e un raschiatoio.

Spetta al Mousteriano medio l'importantissima sepoltura di La-Chapelle-aux-Saints (Corrèze, Francia), in uno strato in cui erano resti di Rinoceronte ticorino e Renna: anche questo scheletro umano giaceva nell'attitudine del riposo. Alla stessa epoca spettano le sepolture di La Ferrasie (Dordogna, Francia). Tra queste si notarono quelle di due fanciulli, presso i quali stava una fossa con resti di toro selvatico; anche presso la sepoltura di La-Chapelle-aux-Saints si trovarono due fosse, l'una contenente un corno di Bisonte, l'altra grandi ossa dello stesso animale. Si considerarono queste "offerte" al morto, o si credette che rappresentassero il totem, sotto la cui protezione il morto sarebbe stato posto. Singolarissima la scoperta nella caverna Drachenloch di Vättis-Pfäfers (St. Gallen, Svizzera), di sei ciste formate di lastre di pietra contenenti cranî del grande Orso speleo, che sembrano indicare una specie di "magia di caccia" praticata da queste remote genti.

Nel Paleolitico superiore, o Miolitico, si ha un quadro di vita più completo nelle sue varie fasi: aurignaciana, solutreana, magdaleniana, nell'Europa occidentale, alle quali nell'insieme corrispondono, ma con semplicità maggiore: il Capsiano nord-africano, il Capsiano iberico, il Grimaldiano o Capsiano appenninico, il Capsiano siriano e Anteliano, il Capsiano nilotico o Sebiliano.

Nell'occidente di Europa si continuò ad abitare nelle caverne; sembra tuttavia che resti di una capanna siano stati trovati da D. Peyrony a Solutré. Si ebbero vesti di pelli d'animali, gli uomini con corte brache, le donne con sottane, come si rileva dalle pitture rupestri del levante spagnolo. Frequenti i cappucci, fatti di pelli, sui quali spesso i cacciatori inserivano, per ornamento, corna o penne. Nella sepoltura profonda della caverna dei Fanciulli, ai Balzi Rossi, si trovò uno scheletro di adolescente, il cui cranio recava intorno tre serie di conchigliette, che evidentemente dovevano essere state cucite a un cappuccio distrutto. Le armi sono costituite da grandi archi, da giavellotti, da bastoni; si ebbero turcassi e cesti, collane fatte di conchiglie o di vertebre di pesce forate, pendagli di avorio, bastoni forati decorati d'incisioni che si dissero "bastoni di comando" (v. bastone, VI, p. 365); propulsori; lampade di pietra.

L'arte dell'incisione e della pittura, a cominciare dall'Aurignaciano, raggiunse nel Magdaleniano il suo massimo svolgimento.

Le prime manifestazioni artistiche sono saggi di scultura: statuette, per lo più femminili, di pietre tenere, scoperte in Francia, a Brassempouy, nella grotta di Lespugue; in Austria, a Willendorf: esse presentano le note somatiche della steatopigia; vi si può collegare quella italiana di Savignano sul Panaro, anch'essa steatopigica.

Ammirevoli sono una testina di cavallo in corno di renna, di Mas d'Azil, e il cavalluccio d'avorio di Espéluches (Francia), come i due bisonti egregiamente modellati nell'argilla che si trovarono in fondo alla grotta del Tuc d'Audoubert nell'Ariège. Nell'incisione si hanno veri capolavori, quali la renna pascente della caverna svizzera di Thaingen, e il bisonte inciso su un ciottolo di Laugerie Basse.

L'arte rupestre o parietale viene distribuita in due provincie: provincia franco-cantabrica e provincia del levante spagnolo. La prima ha carattere schiettamente naturalistico, la seconda può dirsi naturalistica e insieme espressionista: essa esagera il movimento. Nella prima non compaiono mai figure umane, ad eccezione di alcune caricature antropomorfe; nella seconda si hanno figure umane normali, ma rozze, alcune con membra e corpo sottilissimi (nematomorfe) e altre con singolare dilatazione delle gambe (paquipode). Le figure nematomorfe e paquipode hanno, nonostante l'esagerazione, una singolare espressione.

Vi sono anche composizioni: uomini in corsa vivacissima, guerrieri che combattono, cacciatori che inseguono piste della selvaggina, uomini su lunga scala che attendono alla raccolta del miele, donne che danzano intorno a un uomo nudo.

I dubbî, un tempo sollevati, che quest'arte meravigliosa non fosse dell'età geologica passata, sono caduti da un pezzo. A prescindere dal fatto che si tratta sempre della rappresentazione di animali della fauna estinta, fatta con tanta vivezza che certo l'artista dovette averli sotto gli occhi, deve avvertirsi che s'è potuto accertare che talune grotte, chiuse al finire dell'era quaternaria, non erano più state riaperte; talune delle rappresentazioni parietali si trovarono parzialmente sepolte sotto strati quaternarî intatti, o le incisioni erano velate da una crosta stalagmitica: gli oggetti decorati artisticamente, contenuti negli strati, rivelavano lo stesso stile, la stessa fattura dei saggi eseguiti sulle pareti. Le pitture del levante spagnolo nei ripari sotto roccia corrispondono in generale, per l'età, a quelle delle caverne franco-cantabriche.

Si è ritenuto che l'arte quaternaria avesse un significato magico o religioso. Che l'arte parietale dovesse avere un significato speciale, lo dimostra il fatto che le sue produzioni si trovano assai spesso nei luoghi più remoti e inaccessibili della caverna. Il significato magico poteva derivare dal fatto che esse si riconnettessero con pratiche che si credeva agevolassero la cattura di determinata selvaggina, o la sua riproduzione, pratiche che hanno qualche riscontro nell'etnografia dei viventi, o forse esse erano totem, sotto la cui protezione si poneva un gruppo umano.

Paleolitico italiano. - Anche l'Italia offre largamente diffusi, specie sul versante adriatico, i paleoliti amigdaloidi (v. Chelleana, civiltà; amigdaloide; italia: Preistoria).

Che essi derivino da giacimenti riferibili all'Interglaciale riss-würmiano, sul che si discusse a lungo, è ormai provato dagli scavi eseguiti a Terranera di Venosa (1914) e dalle ultime ricerche a Pignataro Interamna nella valle del Liri (1932). In entrambe queste località i predetti strumenti si sono trovati in uno strato intatto, sicuramente associati con i relitti della grande fauna calda dominata dall'Elephas antiquus. A Terranera di Venosa gli amigdaloidi, infatti, stavano insieme con ciottoli portati da lontano e preparati per il lavoro, talora mescolati a mucchi di ossami elefantini, in una fanghiglia lacustre con cristallini d'augite lanciati da un'eruzione del Vulture. L'associazione di questi materiali, senza nessuna traccia di rotolamento, fece supporre una stazione abbandonata sulla riva di un antico lago. È rimasto enigmatico il giacimento interessantissimo di Capri (terrazza del Quisisana), dove gli amigdaloidi, di fattura molto rozza, che si giudicherebbero assai arcaici, erano associati con un tipico dente di Mammut, specie di fauna fredda, più recente dell'E. antiquus, rarissimo in Italia. Si può in sostanza ritenere che la posizione geologica dell'industria amigdaliana paleolitica corrisponde a quella del classico Chelleano di Francia, guardando la fauna e la mancanza di fogge mousteriane associate. Invece altri vorrebbe chiamare gli amigdaloidi di Venosa e di Pignataro acheuleani, perché più perfezionati.

Per quanto riguarda l'industria di facies mousteriana, avvertiremo che anch'essa è molto diffusa, specialmente sull'Appennino parmense, anzi nella regione da Parma all'Imolese, nelle grotte liguri, in Toscana, nelle alluvioni del Lazio, in talune caverne del litorale calabro e di Sicilia. Non è senza importanza rilevare che in queste regioni, da lungo tempo segnalate per l'abbondanza dei materiali mousteriani, gli amigdaloidi finora non si sono trovati o vi appaiono eccezionali. Così per la Liguria l'unico esemplare di Sassello viene ora scartato e ritenuto estraneo; per la Toscana si hanno l'esemplare di Montepulciano, assai bello, ma che le ricerche non poterono legare al terreno da cui provenne, e sei altri, raccolti poco lontano dai confini della Toscana con l'Umbria donde forse emanarono; per il Lazio, un unico esemplare raccolto da G. A. Blanc a Ponte Milvio (Roma), logorato per fluitazione; per la Sicilia un unico esemplare (Alcamo) di provenienza non controllata.

In questi e in altri dati, L. Pigorini ritenne di veder la prova di una diversa distribuzione geografica e di due immigrazioni distinte delle genti che recavano le due industrie paleolitiche in Italia. Molti dotti impugnarono questa conclusione, per cui sono da invocare nuove ricerche stratigrafiche, che comprovino la reale sovrapposizione delle due dette industrie, non ancora constatata.

Intanto alcuni autori, in seguito agli studî sul Paleolitico dell'Europa centrale, pensano che la maggior parte almeno dell'industria italiana di facies mousteriana appartenga piuttosto all'epoca premousteriana, facendola corrispondere all'età chelleana, poiché essa s'è trovata, nelle caverne dei Balzi Rossi nella Liguria occidentale, con la stessa fauna calda, come dimostrò per primo il Boule. Ma è ormai da ritenere che anche l'Italia debba avere avuto il vero Mousteriano con la fauna fredda, ai Balzi Rossi, superiore al Premousteriano, ad Asolo (Treviso), e forse anche nelle Marche e nel Lazio (Monticelli, Fosso del Cupo) dove invero le constatazioni rimasero evanescenti e non controllate.

Per le industrie pertinenti al cosiddetto Paleolitico superiore, v. miolitica, civiltà; è certo che, qualunque opinione si voglia avere, esse non appartengono più al vero Paleolitico, ma a tempi più recenti, cioè al terzo periodo pleistocenico, e hanno una diversa fauna concomitante. In questa età in Italia si ebbe una facies unica che fu detta grimaldiana (dal nome degli antri di Grimaldi o dei Balzi Rossi), mentre sono assenti il Solutreano e il Magdaleniano.

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Per il Paleolitico italiano in particolare v.: U. Antonielli, La scuola ital. di paletn., ecc., in Ausonia, X (1918); Fr. Bassani e A. Galdieri, Scavo geologico eseguito a Capri, in Atti del Congr. della Soc. per il progresso delle scienze, sessione di Napoli, 1910; R. Battaglia, La caverna di Pocala, in Memorie Lincei, XIII (1921); M. Boule e altri, Les grottes de Grimaldi, Monaco Principato 1906; G. De Lorenzo e G. D'Erasmo, L'Elephas antiquus e l'uomo paleolitico nell'Italia meridionale, in Atti R. Acc. d. sc. di Napoli, 1933; P. Graziosi, Stazioni preistor. delle terrazze del Panaro e del Samoggia, ecc., in Arch. per l'antrop. e l'etn., LX-LXI (1930-31); A. Mochi, La succession des industries paléolith. et le changement de la faune, Firenze 1912, e in Congr. d'Antr. et d'Arch. préhist., XIV sess., Ginevra 1912; id., Sull'età geologica del Mousteriano del preappennino parmense, in Bull. pal. it., XLII, 1922, L. Pigorini e altri, Materiali paletnologici dell'isola di Capri, in Bull. paletn. ital., XXXII (1906); U. Rellini, Stazioni quatern. di tipo "chelléen" nell'agro venosino, in Memorie Lincei, 1915; id., Il Paleolitico di Matera, ecc., in Riv. di Antr., XXV (1922); id., Selce amigdaloide raccolta dal Bar. Blanc a P. Milvio, in Bull. paletn. ital., L-LI (1930-31); R. Vaufrey, Le paléolithique italien, Parigi 1928.