cittadinanza Condizione di appartenenza di un individuo a uno Stato, con i diritti e i doveri che tale relazione comporta; tra i primi, vanno annoverati in particolare i diritti politici, ovvero
1. Sviluppo storico del concetto
1.1 La c. nel mondo grecoLa nozione di c. affonda le sue radici nel mondo antico. Nasce e si afferma con la polis greca, dove si era cittadini in quanto nati da genitori entrambi liberi e cittadini, e si esercitavano i diritti civili, di norma, appena raggiunti i 20 anni, ma a determinate condizioni (proprietà fondiaria, raggiungimento di un determinato censo minimo ecc.). Negli Stati federali (lega acarnana, achea, beotica, licia ecc.), i cittadini avevano una doppia c., federale e municipale. Ovunque lo status di cittadino era permanente: si perdeva solo per atimia o per esilio.
1.2 La c. nell’esperienza giuridica romanaLa nozione di c. trapassa nell’esperienza giuridica romana. Nel diritto romano, civilitas («cittadinanza») designava l’appartenenza alla civitas. Si diventava civis per nascita da padre cittadino, o, in assenza di giuste nozze, attraverso la nascita da madre, o per adozione da parte di pater cittadino, o per volontà collettiva di chi già possedeva la cittadinanza. Anche lo schiavo manomesso da un cittadino romano acquistava, con la libertà, la c.; erano altresì assimilati ai cittadini romani i cittadini legati a
1.3 Rinascita del concettoCon la Rivoluzione francese, la c. riacquistò la centralità perduta: alla figura del suddito si sostituì quella del citoyen, quale componente della nazione e depositario della sovranità (art. 3 della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen 1789; artt. 1 e 2, titolo III, della Cost. francese del 1791). Tra la c. e l’esercizio dei diritti politici rimase tuttavia una discrasia, in quanto la titolarità dei secondi non era riconosciuta a tutti cittadini, ma solo ai più benestanti (citoyens actifs); discrasia che fu superata soltanto con l’affermazione storica del suffragio universale (➔ voto) e del principio della sovranità popolare.
2. Il quadro giuridico italiano
La c. nella Costituzione italiana. La Costituzione italiana, oltre a proclamare nella sua prima parte in capo ai cittadini la titolarità di alcuni diritti e di alcuni doveri, si occupa specificatamente della c. solo all’art. 22, stabilendo il principio per cui non si può essere privati di essa, così come del nome e della capacità giuridica, per motivi politici. La ratio di questa disposizione va inquadrata nella contestazione degli arbitri compiuti dal fascismo, che non solo aveva privato della c. italiana tutti gli antifascisti in esilio (l. n. 108/1926), ma aveva altresì stabilito (R.d.l. n. 1728/1938) delle gravi limitazioni alla c. e alla capacità giuridica nei confronti dei cittadini di «razza ebraica».
Per avere un quadro esauriente della disciplina vigente in tema di c. intesa quale legame dell’individuo con lo Stato (c.d. c.-nazionalità), occorre, invece, fare riferimento alla legislazione ordinaria (l. n. 555/1912 e, successivamente, l. n. 91/1992). In particolare, per ciò che riguarda l’acquisto della c., la l. n. 91/1992 fissa tre criteri fondamentali: il c.d. ius sanguinis, secondo cui è cittadino italiano chi nasce da uno o da entrambi i genitori italiani, principio accolto anche nella vecchia normativa; il c.d. ius soli, secondo il quale è cittadino italiano chi nasce nel territorio italiano, se i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non abbia acquistato la c. dei genitori in base alla legge del loro Stato; la volontà dell’interessato, secondo cui lo straniero o l’apolide possono chiedere la c., qualora si trovino in determinate condizioni, cioè rapporti di parentela con cittadini italiani, ovvero una residenza legale e ininterrotta nel territorio italiano per un non breve periodo di tempo (dieci anni nel caso dello straniero; cinque in quello dell’apolide), ovvero avere prestato servizio, anche all’estero, alle dipendenze dello Stato italiano.
La l. n. 91/1992 non prevede più, nel caso di cittadini che acquistino anche la c. di altri Stati, la decadenza automatica da quella italiana, ma, anzi, configura l’ipotesi non più eccezionale della doppia cittadinanza. In virtù di questo cambiamento, si è reso più impellente il problema di garantire l’esercizio del voto ai cittadini italiani residenti all’estero, che ha portato all’approvazione della l. cost. n. 1/2000 e della l. cost. n. 1/2001.
La decadenza dalla c. italiana viene limitata in due ipotesi tassative: quando il cittadino abbia accettato un impiego pubblico o una carica pubblica da uno Stato estero o da un ente internazionale cui l’Italia non partecipa, ovvero abbia prestato servizio militare per uno Stato estero e non ottemperi all’intimazione rivoltagli dal Governo italiano di abbandonare la carica, l’impiego o il servizio militare, oppure quando il cittadino, durante lo stato di guerra con uno Stato estero, abbia accettato o non abbia abbandonato un impiego pubblico o una carica pubblica o abbia prestato servizio militare per quello Stato senza esservi obbligato, ovvero ne abbia acquistato la c. volontariamente. Al di fuori di queste ipotesi, la c. italiana si può perdere per rinunzia espressa. Nel caso di perdita della c. italiana, è prevista, comunque, la possibilità di riacquistarla, se si soddisfano alcune condizioni, quali, ad esempio, la prestazione del servizio militare o l’assunzione di un impiego pubblico o lo stabilimento della propria residenza in Italia.
Nel diritto internazionale privato la c. costituisce un criterio di collegamento (giuridico e soggettivo). Le norme italiane (l. 218/1995, di riforma del sistema di diritto internazionale privato) utilizzano il criterio della c. per identificare l’ordinamento straniero cui rinviare nei seguenti casi: giurisdizione volontaria, rapporti patrimoniali tra i coniugi, filiazione, legittimazione, successione per causa di morte.
Istituita dal Trattato di