CITOLOGIA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

CITOLOGIA (X, p. 461)

Giuseppe Montalenti

I più notevoli progressi della citologia, in questi ultimi anni, si riferiscono al capitolo della cariologia, cioè allo studio della struttura e del comportamento del nucleo durante le varie fasi dell'attività della cellula. È oramai dimostrato che il nucleo ha parte preponderante nell'eredità, che i geni sono localizzati nei cromosomi e che quindi i fenomeni ereditarî sono strettamente dipendenti dai cromosomi, dalla loro struttura, dai loro movimenti nella mitosi e nella meiosi (v. genetica). È ugualmente sicuro che il nucleo ha, direttamente o indirettamente, una funzione predominante in tutti i processi del metabolismo cellulare. Questi fatti giustificano che l'attenzione dei citologi si sia rivolta prevalentemente allo studio delle strutture, della composizione chimica e dei movimenti del nucleo.

Mitosi e meiosi. - Lo schema della mitosi, così com'era conosciuto fin dai classici lavori della seconda metà del sec. XIX, non ha subìto sostanziali mutamenti. Tuttavia alcuni particolari della mitosi sono stati meglio chiariti. In primo luogo, si è dimessa l'opinione che, alla profase, compaia dapprima un filamento unico (spirema) il quale poi, frammentandosi, dia origine ai cromosomi: si considera oggi come accertato che i cromosomi si individuano, alla profase, come altrettanti segmenti, che vanno facendosi sempre più intensamente colorabili man mano che la profase procede. Il loro decorso sinuoso, la loro sottigliezza e lunghezza e l'essere l'uno con l'altro aggrovigliati, dà l'impressione di un unico filamento aggomitolato.

La maggior parte degli autori riconosce che ciascun cromosoma alla profase mitotica è costituito da due filamenti (cromatidi) strettamente avvicinati, che si separano soltanto alla metafase. Poiché i cromosomi anafasici e telofasici sono costituiti da un sol filamento, se ne conclude che la reduplicazione dei cromosomi - processo fondamentale della riproduzione - deve avvenire durante lo stadio di "riposo" intermitotico. Alcuni autori però affermano di avere contato nei cromosomi profasici quattro, e taluni persino otto, e negli ana-telofasici due (rispettivamente quattro) filamenti.

Poco si sa sulla formazione del fuso e di tutta la "figura acromatica" della mitosi, nonché sulle forze che entrano in giuoco nella repulsione dei cromosomi. Si hanno però buone ragioni per ritenere che una notevole importanza debba essere ascritta ad una parte ben definita del cromosoma, il centromero o cinetocoro. Corrisponde questo al "punto di attacco al fuso" degli antichi autori, ha una posizione assolutamente costante in ogni cromosoma, dalla quale dipende l'aspetto che il cromosoma stesso assume in metafase: se il centromero è mediano, il cromosoma metafasico ha la forma di lettera V; se è spostato verso l'estremità, i due bracci del V sono di ineguale lunghezza; se è subterminale (pare che non sia mai assolutamente terminale) il cromosoma è a bastoncello. Nei cromosomi più grossi, come quelli degli Anfibî, Urodeli, degli Ortotteri, delle Liliacee, il centromero è talvolta visibile come una piccola zona incolore, nell'interno della quale, in alcuni casi, si osserva un punto colorato.

Il centromero sarebbe il vero organo cinetico del cromosoma. Secondo alcune osservazioni sembra che ogni centromero organizzi uno spicchio del fuso, al quale poi aderisce, non si sa bene come. Ha un ciclo suo proprio, sfasato rispetto al ciclo del resto del corpo cromosomico. Nel cromosoma profasico della mitosi il centromero è unico, e trattiene quindi insieme i due cromatidî. Soltanto alla metafase si divide longitudinalmente: i due centromeri figli subito si respingono e si allontanano, trascinandosi dietro i rispettivi filamenti cromosomici. Se un cromosoma si frammenta in due segmenti, soltanto il segmento provvisto di centromero potrà continuare ad avere un normale comportamento durante la mitosi e conservarsi nelle successive generazioni cellulari; l'altro (frammento acentrico) privo del suo organo cinetico, non potendo attaccarsi al fuso, finisce per degenerare nel citoplasma, e andar perduto. Il centromero è insomma la parte più importante del cromosoma dal punto di vista dei movimenti mitotici.

Non tutto il movimento dei cromosoni è però dovuto allo spostamento dei centromeri. Né all'anafase né più tardi, questi raggiungono i poli del fuso. Un ulteriore allontanamento dei due gruppi di cromosomi figli è invece provocato da un allungamento della parte intermedia del fuso (ingl. stem body), che ha luogo durante la ana-telofase.

Per quanto riguarda la meiosi (v. genetica, in questa App.), sono stati chiariti e definiti i varî stadî della complessa profase meiotica e molto ordine è stato fatto nella relativa terminologia. La meiosi è quel processo che ha per effetto la riduzione a metà del numero dei cromosomi e durante il quale v'è la possibilità di scambî di segmenti (ingl. crossing-over) fra cromosomi omologhi. Codesti scambî sono alla base del processo di scambio genetico. La meiosi può definirsi (C.D. Darlington) come la sequenza di due mitosi accompagnate da una sola divisione dei cromosomi, cosicché il numero di questi viene dimezzato, cioè portato dalla condizione diploide (2n) a quella aploide (n). Alla profase meiotica i cromosomi compaiono come sottili filamenti unici, non duplicati (stadio leptotene) e in ciò consiste la differenza essenziale rispetto alla profase mitotica. Tosto i cromosomi omologhi si appaiano (zigotene) con grande precisione, cioè con l'esatto avvicinamento delle parti omologhe.

I gemini o bivalenti così formati, costituiti da coppie di cromosomi omologhi in cui ciascun elemento è ancora indiviso e fornito del proprio centromero, si ispessiscono e si accorciano (pachitene). Ognuno degli elementi di ogni bivalente poi si divide in due per tutta la sua lunghezza, tranne che nel centromero (pachitene a quattro cromatidî). I due elementi che costituiscono ogni bivalente cominciano allora a respingersi (diplotene), mentre l'accorciamento e l'ispessimento si fanno più manifesti (diacinesi). I due elementi di ogni bivalente rimangono uniti soltanto per alcuni punti, i chiasmi. Secondo la teoria della chiasmatipia (fondata da F. A. Jannsen nel 1908 e emendata da C. D. Darlington) a livello dei chiasmi sono avvenuti degli scambî di segmenti fra due dei quattro cromatidî di cui è composto un bivalente. Gli n bivalenti, raggiunto il massimo di contrazione e d'ispessimento, si mettono sul fuso della prima metafase meiotica. I due centromeri di ciascun bivalente si respingono e si spostano verso i poli opposti del fuso, tirandosi dietro i cromosomi di cui fanno parte. I chiasmi si sciolgono (talvolta lo scioglimento è preceduto da uno scorrimento del chiasma verso l'estremità del cromosoma: terminalizzazione dei chiasmi) e ai due poli del fuso vanno n elementi, ciascuno costituito da uno dei cromosomi che s'erano appaiati. Ognuno d'essi è diviso, fin dal pachitene, in due filamenti, ma ha ancora centromero unico. Dopo un periodo di riposo (interfase), di solito molto breve, in cui non sempre avviene la ricostituzione del nucleo, segue la seconda divisione meiotica, sul cui fuso si dispongono n elementi, già divisi. I centromeri allora si dividono, e così i due cromosomi figli si allontanano. Si ricostituiscono i nuclei in riposo, provvisti ciascuno del numero aploide, cioè di n cromosomi. Da un nucleo originario diploide si formano così quattro nuclei aploidi.

Secondo la concezione di C. D. Darlington (al quale soprattutto si deve la chiarificazione di molti concetti sulla mitosi e la meiosi), la meiosi sarebbe una mitosi che si instaura precocemente, quando ancora i cromosomi sono indivisi (teoria della precocità).

La meiosi si trova sempre, in qualche stadio del ciclo vitale (meiosi iniziale o zigotica, meiosi intermedia o sporica, meiosi terminale o gametica), là dove v'è riproduzione sessuale. La riduzione del numero dei cromosomi è indispensabile ad evitare un raddoppiamento del numero che si verificherebbe ad ogni generazione, in conseguenza della fecondazione. Lo scambio di segmenti tra i cromosomi omologhi e, quindi, il fenomeno genetico dello scambio o crossing-over, è indubbiamente uno degli aspetti fondamentali della sessualità (v. genetica).

Struttura microscopica dei cromosomi. - Nei cromosomi sono state riconosciute delle strutture ben definite e costanti. Oltre alla costrizione primaria, che corrisponde al centromero di cui s'è parlato, vi sono delle costrizioni secondarie. Alcune di esse, più lunghe e sottili, collegano al resto del cromosoma un piccolo segmento, chiamato satellite o trabante. Alcune sono in relazione con la formazione del nucleolo o plasmosoma. È questo un organulo nucleare, che scompare all'inizio della mitosi e della meiosi, e si riforma alla telofase persistendo per tutto il periodo di riposo. Zone particolari di dati cromosomi hanno funzione di "organizzatori del nucleolo".

Si possono inoltre distinguere, nei cromosomi, delle zone che si colorano con diversa intensità con i comuni coloranti nucleari, e si chiamano rispettivamente zone eucromatiche ed eterocromatiche (Heitz, 1927). La eu- e la eterocromatina non differiscono fra di loro per composizione chimica (dànno reazione chimica positiva al reattivo di Feulgen di cui si dira in seguito), ma hanno proprietà genetiche e fisiologiche diverse e, in parte almeno, ben definite.

Dalle ricerche moderne è dunque risultato sempre più chiaro che ogni cromosoma ha una individualita sua propria, che si rivela, fra l'altro, con particolarità di struttura molto precise e costanti.

Struttura chimica e submicroscopica dei cromosomi. Gli acidi nucleici. - La sostanza che assume intensamente i coloranti basici (coloranti nucleari) usati nella tecnica istologica, era stata chiamata cromatina dagli antichi istologi (W. Flemming, 1879). Per lungo tempo si credette che non si trattasse di una sostanza chimicamente ben definita; ma oggi si sa che essa è costituita essenzialmente da acido timonucleico. Una reazione specifica per questa sostanza fu introdotta nel 1924 da R. Feulgen, ed è oggi largamente applicata.

Si conoscono due tipi di acidi nucleici, il timonucleico, o desossiribonucleico (DN) e lo zimonucleico, o ribonucleico (RN). Sono costituiti dalla unione di elementi, chiamati nucleotidi, ciascuno dei quali è composto da una molecola di acido fosforico, legata con una base purinica o pirimidinica e con uno zucchero pentoso: se questo è riboso, si ha l'acido RN, se è desossiriboso, l'acido DN. Soltanto quest'ultimo si colora in rosso con la reazione di Feulgen, la quale dipende appunto da una proprieta del desossiriboso. L'acido DN è di solito altamente polimerizzato.

La struttura chimica e submicroscopica del nucleo e dei cromosomi sono state studiate con varî mezzi, oltre che con reazioni microchimiche colorate del tipo della Feulgen. Fra essi hanno dato i risultati più importanti l'analisi roentgenografica (W. T. Astbury e collaboratori) e l'analisi microspettrofotometrica (T. Caspersson e collaboratori). Questa si vale della proprietà di alcune sostanze proteiche di assorbire i raggi ultravioletti in regioni ben delimitate dello spettro: per gli acidi nucleici il massimo di assorbimento corrisponde alla lunghezza d'onda di 2600 Å. Con un'apparecchiatura assai complicata e delicata, è riuscito al Caspersson di determinare la presenza di questa sostanza, e di alcuni altri tipi di proteine, e di misurarne la quantità in zone dell'area minima di 0,1μ2, con un errore non più grande del 0,1%. Grazie soprattutto a queste ricerche e a quelle di J. Brachet con la colorazione di Unna-Pappenheim, che permettono di riconoscere i due tipi di acidi nucleici, e alle ricerche di numerosi citologi con i metodi comuni, si hanno oggi alcune nozioni sulla struttura dei cromosomi e sul metabolismo cellulare.

Il cromosoma viene concepito oggi come una catena polipeptidica costituita da un'alta percentuale di proteine semplici, del tipo degli istoni e delle globuline. Tale filamento, con ogni probabilità, persiste nella condizione di riposo intercinetico. Su di esso viene ad aggregarsi, a cominciare dalla profase, dell'acido timonucleico, che si lega con legami di natura salina alle proteine. Il caricamento di acido DN procede col progredire della profase, e ad esso è dovuta la colorabilità e la visibilità che vanno acquistando i cromosomi. L'acido DN si polimerizza, man mano che si lega al filamento cromosomico. Questo a sua volta, col progredire della mitosi, si avvolge a spirale su sé stesso (spiralizzazione) e così si accorcia e s'ispessisce. Il massimo di spiralizzazione e di caricamento di acido nucleico corrisponde alla metafase. Alla telofase avviene il processo inverso, scaricamento di acido DN e despiralizzazione, cosicché il cromosoma torna gradualmente alle condizioni di partenza.

L'acido DN non si deposita uniformemente su tutto il cromosoma, ma soprattutto in punti di dimensioni che sono ai limiti della visibilità microscopica, i quali corrisponderebbero ai cromomeri degli antichi citologi. Nei cromosomi giganti delle ghiandole salivari (v. genetica), i cromomeri corrispondono alle più fini bande colorate. Così, ad un certo momento, il cromosoma avrebbe aspetto moniliforme, con punti nodali (cromomeri) ricchi di acido nucleico, collegati da internodi poveri o privi di esso. Se il cromosoma, nel massimo di caricamento e spiralizzazione, sia anche rivestito da una matrice o pellicola, come sostengono alcuni autori, è discusso.

Il ciclo dell'acido nucleico, inoltre, non è uniforme. Vi sono zone che si caricano più presto, o più tardi delle altre, dando origine così al fenomeno dell'eteropicnosi. Noto da lungo tempo per i cromosomi sessuali, questo fenomeno si manifesta con la presenza di alcuni cromosomi, o tratti di cromosomi, assai contratti e fortemente colorabili in stadî in cui il rimanente del corredo cromosomico è molto meno contratto e colorabile. Questo comportamento (allociclia, C. D. Darlington e L. F. La Cour, 1940) è quello che rende riconoscibile la etero- dalla eucromatina: la eterocromatina è eteropicnotica, o allociclica rispetto alla eucromatina.

L'allociclia si manifesta anche alla telofase, durante lo scaricamento di acido DN. Vi sono zone che rimangono più a lungo colorabili, e talvolta conservano questa proprietà durante tutto il periodo di riposo intercinetico. Nei nuclei in riposo spesso esistono infatti zollette eterocromatiche, le quali talvolta si fondono in una o poche masserelle. Queste erano conosciute dagli antichi istologi col nome di nucleoli basofili: oggi si chiamano cromocentri, e si distinguono dai nucleoli propriamente detti o plastosomi per il fatto che i primi sono Feulgen-positivi, i secondi Feulgen-negativi.

Importanza degli acidi nucleici nel metabolismo cellulare. - Le notizie, ancora molto incomplete, che si hanno sul significato delle varie parti del nucleo e sull'importanza degli acidi nucleici nelle diverse fasi di attività delle cellule, si possono così riassumere.

Il nucleolo è ricco di acido RN (Feulgen-negativo), e può considerarsi come una riserva di nucleotidi. Quando s'inizia la mitosi, questi vengono mobilitati, e utilizzati per la sintesi dell'acido DN, che costituisce il rivestimento cromatinico dei cromosomi. Le eterocromatina, o almeno alcune parti di essa, avrebbe la importantissima funzione di regolatrice di questo ciclo, e quindi, in ultima analisi, di regolatrice della mitosi. Alla fine del processo mitotico, in una con lo scaricamento di acido nucleico, si assiste alla ricomparsa e accrescimento del nucleolo, in contatto con regioni ben definite (eterocromatiche) di alcuni cromosomi.

Ma gli acidi nucleici hanno una fondamentale importanza nel metabolismo cellulare, anche all'infuori della mitosi e della meiosi. Caspersson e Brachet hanno dimostrato che là dove vi è sintesi di proteine, quindi nelle cellule in accrescimento, nelle cellule secernenti, durante la elaborazione del tuorlo negli ovociti, ecc. si trova una notevole quantità di acido RN nel citoplasma. Perciò l'acido RN è stato anche chiamato acido nucleico citoplasmatico. Questo fatto corrisponde alla "basofilia citoplasmatica" descritta dagli antichi istologi. L'acido RN quindi viene riversato dal nucleo nel citoplasma, attraverso la membrana nucleare, o direttamente, o tramite il nucleolo, e qui entra in giuoco in una funzione di primaria importanza. Le ricerche del Caspersson hanno dimostrato che anche l'attività specifica della cellula nervosa è caratterizzata da variazioni della quantità di acido RN citoplasmatico ("zolle tigroidi" degli istologi).

Come si vede da questi brevi cenni, le ricerche moderne hanno aperto nuove vie all'indagine della fisiologia cellulare.

Poliploidia somatica. - La questione della costanza del numero dei cromosomi, tanto dibattuta alla fine del secolo scorso e nei primi anni del presente, fu risolta dalle innumerevoli prove che man mano venivano recate dai genetisti e dai citologi. Queste sono assolutamente convincenti per quanto si riferisce alle cellule germinali, dove il numero è costante, mentre le eccezionali variazioni si ripercuotono in modo preciso sulla fisiologia delle cellule stesse e dell'organismo che ne deriva. Ma nelle cellule somatiche il principio della costanza numerica sembrava meno sicuro. Fu soprattutto per merito di L. Geitler che osservazioni sporadiche di precedenti autori vennero confermate e ampliate e si giunse così alla conoscenza di un fenomeno abbastanza diffuso soprattutto nel regno animale: la poliploidia somatica. Molte cellule somatiche, specialmente ghiandolari, presentano normalmente una poliploidia che può essere di grado piuttosto elevato. I loro cromosomi si moltiplicano senza che intervengano divisioni nucleari, e ne risultano così cellule e nuclei relativamente giganteschi. Il coefficiente per cui il numero base n di cromosomi viene moltiplicato, alla fine del processo, può essere di poche unità (4, 6, 8) o raggiungere l'ordine delle centinaia, o anche di un migliaio. Così si formano le grosse cellule con nuclei polimorfi dei seritterî dei bachi da seta e di molti altri Lepidotteri, e varî tipi di cellule ghiandolari. Il fenomeno è stato bene studiato negli Insetti e nei Crostacei, ma esiste anche nei vertebrati (cellule del fegato) ed è probabilmente abbastanza generale: non manca nelle piante.

L'aspetto di questi nuclei poliploidi può essere diverso. Per lo più i cromosomi conservano le loro individualità, pur avendo contorni molto meno netti dei cromosomi metafasici delle mitosi normali. Un caso tutto particolare (politenia) è quello delle ghiandole salivari dei ditteri, dove i cromosomi si moltiplicano, ma rimangono uniti a fascio, allungati e distesi, dando origine ai cromosomi giganti che tanti servigi hanno recato alla genetica e alla citologia.

Tenendo conto di questi fatti, si vede come sia possibile conciliare la legge della costanza del numero dei cromosomi con la variabilità di questo, che da alcuni autori era stata riscontrata e considerata come una negazione della legge.

Nuovi metodi di indagine. - Fra i metodi usati nell'indagine citologica moderna, alcuni sono metodi antichi rimessi in onore e applicati con criterî moderni; altri sono stati escogitati ex novo.

Fra i primi si devono ricordare i grandi servigi resi allo studio della citologia cromosomica dall'antico metodo dello schiacciamento in un liquido che fissa e colora ad un tempo. Il più usato è il carminio acetico di A. Schneider (1880).

Anche l'esame microscopico a luce polarizzata, già usato dagli istologi della seconda metà del secolo scorso, è oggi molto adoperato, sulla base di più precise conoscenze fisico-chimiche della materia vivente, e si rende utile nello studio di certi problemi relativi alle strutture ultramicroscopiche (v. istologia e istochimica, in questa App.).

Si deve inoltre ricordare come all'antico metodo dell'osservazione a fresco, che era stato quasi del tutto bandito in seguito agli sviluppi della tecnica microscopica, si dà oggi molto valore. Esso si è assai perfezionato mercé il microscopio a contrasto di fase, che è stato costruito in Germania nei primi anni della seconda Guerra mondiale. Anche la tecnica della micromanipolazione, connessa con l'esame in vivo, ha conseguito notevoli perfezionamenti grazie al nuovo micromanipolatore costruito da P. De Fonbrune di Parigi.

Il complesso apparecchio di Caspersson per la microspettrografia all'u. v., come abbiamo visto, è un sensibilissimo strumento per lo studio della chimica e della fisiologia citologica. In questo campo si devono ricordare anche i varî microrespirometri, fra cui quello di A. Stefanelli, e il sensibilissimo "diavoletto di Cartesio" di K. Linderstrom-Lang.

Il microscopio elettronico potrà probabilmente recare notevoli contributi alla conoscenza della struttura submicroscopica dei costituenti cellulari, allorché saranno superate le molte difficoltà tecniche della sua applicazione all'indagine biologica. Finora i risultati più importanti sono stati ottenuti nello studio dei batterî e dei virus e di alcune strutture fibrose come fibre collagene, fibre muscolari, tricocisti di Paramecium, flagelli di spermatozoi, fibre nervose, ecc.

Un metodo relativamente semplice, ma di grande utilità per lo studio della composizione chimica di certi costituenti cellulari, è quello usato in America da A. Claude e da A. Mirskij: consiste nel tritare i tessuti con sabbia di quarzo di una determinata finezza, tale da rompere le membrane cellulari, o anche quelle nucleari, e liberarne il contenuto. Con opportuni lavaggi e centrifugazioni si possono raccogliere quantità macroscopiche di nuclei, di mitocondri o di cromosomi, su cui è facile compiere delle analisi chimiche.

Bibl.: J. Brachet, Embryologie chimique, Parigi e Liegi 1944 (2ª ed. 1945); C. D. Darlington, Recent Advances in Cytology, Londra 1932 (2ª ed. 1937); C. D. Darlington e L. F. La Cour, The Handling of Chromosomes, Londra 1941 (2ª ed. 1947); L. Geitler, Das Wachstum des Zellkerns in tierischen und pflanzlichen Geweben, in Ergebn. d. Biol., XVIII (1941), pp. 1-54; F. Schrader, Mitosis: the movements of chromosomes in Cell Division, New York 1944; M. J. D. White, The Chromosomes, Londra 1937 (2ª ed. 1942); id., Animal Cytology and Evolution, Cambridge 1945; e cfr. le relazioni di T. Caspersson, J. Brachet, C. D. Darlington e altri autori, in Symposia of the Society for Experimental Biology, I, Nucleic Acid, Cambridge 1947.

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