Cio che m'incontra, ne la mente more

Enciclopedia Dantesca (1970)

Ciò che m'incontra, ne la mente more

Mario Pazzaglia

. Sonetto della Vita Nuova (XV 4-6), su schema ABAB, ABAB: CDE, CDE, presente nella tradizione manoscritta della Vita Nuova e accolto nella Giuntina del 1527. Sviluppa con nuove argomentazioni e spunti di tensione più drammatica e visionaria il tema del ‛ gabbo ' e della passione sconvolgente di Con l'altre donne e della prosa del cap. XIV. D. ricerca la vista di Beatrice, pur sapendo che essa significa morte e umiliazione (il gabbo), spinto da un moto ineluttabile dell'animo: sì tosto com'io imagino la sua mirabile bellezza, sì tosto mi giugne uno desiderio di vederla, lo quale è di tanta vertude, che uccide e distrugge ne la mia memoria ciò che contra lui si potesse levare; e però non mi ritraggono le passate passioni da cercare la veduta di costei (XV 2). L'interpretazione letterale del sonetto è controversa; e sarà anche, come dice il Sapegno nel suo commento (Firenze 19572, 64), per la sua arte più originale e matura, in cui difficoltà e durezze appaiono " segni di un'ispirazione nuova che si fa strada ancora a fatica ". Il v. 1 è variamente interpunto. Barbi-Maggini (col Todeschini e il Carducci) mettono virgola dopo incontra (non, come i più, dopo mente), interpretando " mi avviene ", secondo l'uso dantesco, e non " si leva contro ", come interpretano Todeschini, Giuliani, Witte, Casini, Guerri, Sapegno, fondandosi sul passo riportato sopra. Altre difficoltà per i vv. 7-8; ma qui è senz'altro poziore la spiegazione di Barbi-Maggini (" per il gran tremito che mi rende come ebbro mi pare che le pietre stesse del muro a cui m'appoggio gridino morte, minacciando di piombarmi addosso "); e così quella di morte, al v. 14, come allusione alla vista bramata e fatale di Beatrice. Qui però non andranno escluse ambiguità e coesistenza del significato primario, coerenti col sentimento di un drammatico paradosso interiore che il sonetto configura.

L'influenza del Cavalcanti (cfr. Voi che per li occhi; La forte e nova mia disaventura, e le altre ‛ presenze ' comuni ai sonetti dei capitoli XIII-XVI) si compone qui con l'insegnamento di Guittone, evidente nell'ampia e ben fusa modulazione elegiaca pervasa d'intima energia morale (si pensi al guittoniano Dolente, triste e pien di smarrimento, e alla spia linguistica del v. 2, bella gioia, di ascendenza occitanica, ma con ogni probabilità accolta attraverso la mediazione dell'aretino). Non è accettabile il rilievo del Casini (p. 71) che D. non abbia qui saputo rappresentare il contrasto degli affetti, preoccupato dal desiderio di spiegarlo. Vero è piuttosto che egli tende a un solido dominio intellettuale dell'emozione (anche la ‛ divisione ' conferma il vigoroso impianto concettuale del sonetto) e perviene, oltre che a una narrazione esaustiva del proprio ‛ stato ', allo slancio potente dei vv. 5-8, dove la rappresentazione ellittica e densa e la capacità di concentrazione drammatica preannunciano modi della sua poesia matura. V. anche TUTTI LI MIEI PENSER.

Bibl. - Oltre ai commenti citati, v. D. De Robertis, Il libro della " Vita Nuova ", Firenze 1961, 71-85; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, Oxford 1967, II, 81-83.