MACRELLI, Cino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MACRELLI, Cino

Corrado Scibilia

Nacque a Sarsina, nell'Appennino forlivese, il 21 genn. 1887, da Goffredo ed Elisa Rossi. Laureatosi in giurisprudenza, intraprese la carriera di avvocato penalista. Di famiglia di tradizioni mazziniane e garibaldine, entrò giovanissimo nel Partito repubblicano italiano (PRI), dirigendo il giornale dei repubblicani di Cesena, Il Popolano, dal 6 maggio 1911 fino al 6 sett. 1913. In breve il M. assunse un ruolo sempre più rilevante nella vita politica locale, divenendo consigliere comunale, assessore e poi consigliere provinciale, membro della Congregazione di carità e della Commissione provinciale di assistenza e beneficenza pubblica.

Nel 1911 fu attivamente impegnato nelle manifestazioni che repubblicani, socialisti, Camera del lavoro e anarchici organizzarono contro la guerra di Libia, definita dal M. "un salto nel buio" e fece parte del collegio di difesa di P. Nenni, processato, insieme con A. Lolli e B. Mussolini, per i disordini scoppiati durante lo sciopero generale proclamato in opposizione al conflitto. Fu invece un acceso interventista allo scoppio della prima guerra mondiale, tanto da fondare, con G. Marinelli, nel febbraio 1915, i Fasci interventisti di azione rivoluzionaria di Cesena, di cui fu il primo presidente.

Tale posizione lo differenziò momentaneamente dai due più illustri leader repubblicani romagnoli, U. Comandini e G. Gaudenzi, che ebbero qualche iniziale perplessità circa il coinvolgimento italiano.

Scartato alla visita di leva per problemi alla vista, riuscì tuttavia, nel giugno 1915, ad arruolarsi volontario nell'11 reggimento fanteria e a partire insieme con il fratello Edgardo che, l'8 agosto, sarebbe caduto sul Podgora.

Il 15 settembre fu ammesso al corso allievi ufficiali presso il VI corpo d'armata a Bassano, da cui uscì il 18 ottobre, come aspirante, assegnato al 73 reggimento fanteria. Il successivo 23 ottobre venne ferito a una gamba in combattimento, e catturato. Internato nel campo di concentramento per prigionieri di guerra di Mauthausen, vi rimase fino al novembre 1918. Qui, secondo quanto riferì egli stesso, organizzò un servizio di spionaggio.

Tornato a Cesena, riprese a far politica portando con sé l'esperienza della guerra: fu, perciò, nell'aprile 1919, uno dei fondatori della sezione locale dell'Associazione nazionale combattenti. Quando nel 1921 Comandini, da molti anni deputato repubblicano di Cesena, decise di non ricandidarsi, suggerì il nome del M., oramai politico di una certa notorietà, come suo sostituto. Vincitore nel collegio di Ravenna alle elezioni per la XXVI legislatura (15 maggio 1921), alla Camera il M. fu membro della commissione permanente Affari di giustizia e culto e vicesegretario dell'Ufficio misto.

Le complicate vicende del dopoguerra ebbero drammatiche conseguenze anche all'interno del PRI: le spinte nazionalistiche, la rivoluzione russa, soprattutto i rapporti con il nascente fascismo ne avevano fatto esplodere le contraddizioni. Nel 1920, con l'elezione di F. Schiavetti alla segreteria, le linee programmatiche del partito avevano cominciato a definirsi meglio; questo, però, aveva creato polemiche tra il centro e la periferia, segnatamente tra Roma, dove la chiusura al fascismo era netta, e la Romagna, dove del nuovo movimento fascista si coglievano principalmente la componente antisocialista e le tendenze repubblicane.

Il 28 luglio 1922, il M. fu tra i dirigenti romagnoli che firmarono con i fascisti locali un patto di pacificazione. Le tensioni con la dirigenza nazionale montarono, insieme con le violenze fasciste, per tutto il 1922 fino a quando, nel gennaio 1923, si consumò la rottura tra chi voleva stabilire un compromesso e chi rifiutava radicalmente questa opzione. Il capo degli scissionisti della Federazione autonoma delle Marche e della Romagna, fu proprio Comandini ed essendo queste le due consociazioni più grandi, la crisi che il PRI si trovò ad affrontare avrebbe potuto essere esiziale; fu tuttavia superata soprattutto grazie a Gaudenzi e al Macrelli.

Quest'ultimo - che aveva tenuto fino a quel momento una posizione di equilibrio fra le parti, sottoscrivendo le richieste di maggiore autonomia dei repubblicani romagnoli -, non ritenendo utile arrivare alla rottura, non esitò a staccarsi dal suo maestro Comandini. Il suo prestigio e le sue capacità di conciliazione contribuirono quindi a ridurre al minimo le conseguenze della scissione.

Nel 1923, insieme con R. Pacciardi e R. Rossetti, contribuì a fondare Italia libera, un'organizzazione di ex combattenti antifascisti, vicina al PRI, del cui comitato ordinatore centrale fu membro. Rieletto nel 1924 per la XXVII legislatura nella circoscrizione dell'Emilia, fu commissario della Giunta per le elezioni. Nella crisi successiva al rapimento e all'assassinio di G. Matteotti, il M. partecipò con un ruolo dirigente alla secessione dell'Aventino, come rappresentante del PRI; al XVII congresso nazionale del partito (Milano, 9-10 maggio 1925) firmò la mozione di M. Bergamo, contraria a ogni compromesso con il fascismo.

Con la definitiva affermazione del regime, tuttavia, gli spazi per l'attività politica si esaurirono: oggetto di vari episodi di violenza, il M. decise di lasciare la Romagna e quando, dichiarato decaduto dalla carica di deputato il 9 nov. 1926, se ne dispose il fermo, non fu rintracciato e lo si dichiarò latitante. Condannato, il 30 novembre, a quattro anni di confino dalla commissione provinciale di Forlì, fu arrestato a Roma l'11 febbr. 1927: qualche giorno prima, aveva ottenuto di essere lì confinato, anche per ragioni lavorative. In accoglimento di un suo ricorso, già il 9 aprile il confino fu commutato in ammonizione a condizione che egli restasse a Roma, dove gli fu consentito di esercitare la professione di avvocato; il 5 apr. 1928 gli fu revocata anche l'ammonizione. Negli anni Trenta, il M. si dedicò soprattutto alla professione e, gradatamente, dalla categoria dei sovversivi schedati passò a quella dei sovversivi comuni, anche se, in realtà, continuava a mantenere contatti discreti con ambienti antifascisti.

Nel 1942 favorì un incontro tra esponenti del Partito d'azione (Pd'A) e il generale R. Cadorna, al fine di saggiare lo stato d'animo dei militari. Nel febbraio 1943 partecipò alla fondazione dell'Unione lavoratori italiani e, dopo il 25 luglio, riprese a pieno titolo l'attività politica.

Già il 26 luglio tenne discorsi durante le manifestazioni popolari e ristabilì i contatti con la dirigenza romana del PRI. Sempre a Roma entrò nella direzione nazionale del partito, collaborò con La Voce repubblicana clandestina e svolse azione di coordinamento tra le formazioni repubblicane, il Comitato di liberazione nazionale (CLN) e il comando militare.

Dopo la Liberazione, si schierò con Pacciardi a favore dell'ingresso del PRI nella Consulta, anche se prevalse la posizione contraria di G. Conti. Nel 1946 venne eletto all'Assemblea costituente, nel collegio di Bologna.

Il suo impegno si rivolse soprattutto alle questioni riguardanti i problemi della giustizia e dell'assetto degli organi a essa preposti, e delle autonomie locali, secondo i principî federalistici, ispirati a C. Cattaneo, che avevano sempre guidato la sua azione politica.

Fu ministro senza portafoglio nel secondo governo De Gasperi (13 luglio 1946 - 18 genn. 1947). Senatore di diritto nella I legislatura repubblicana, fu presidente della commissione Lavoro, emigrazione e previdenza sociale e membro della commissione Igiene e sanità. Il 23 ott. 1948 fu eletto sindaco di Cesena, ma rinunciò un anno dopo alla carica, a causa dei suoi impegni parlamentari. Nella II legislatura tornò alla Camera, eletto nel collegio unico nazionale e, dal marzo 1954 fino alla fine della legislatura, fu vicepresidente dell'assemblea. Fu, inoltre, presidente del gruppo misto e membro della commissione Lavoro e Previdenza sociale.

Eletto nella direzione nazionale del PRI sin dal XIX congresso nazionale del partito del febbraio 1947, vi rimase fino alla morte. Dal novembre 1951 al gennaio 1959 fu direttore de La Voce repubblicana.

Nel 1958 fu rieletto alla Camera per la circoscrizione di Bologna e confermato presidente del gruppo misto; fu anche eletto rappresentante all'Assemblea consultiva del Consiglio d'Europa.

Nel conflitto che si aprì nel PRI alla fine degli anni Cinquanta circa l'apertura a sinistra, il M. cercò, al solito, di mantenere una posizione di equilibrio fra le parti, ma non esitò infine a difendere tale scelta, sostenendone la coerenza con l'insegnamento mazziniano. A testimonianza del peso che aveva avuto la sua posizione nel portare alla vittoria, nel partito, la linea di sostegno al centrosinistra, entrò quindi, insieme con U. La Malfa, nel quarto governo Fanfani in cui, dal 21 febbr. 1962 al 21 giugno 1963, fu ministro della Marina mercantile.

Nel 1963, grazie a un accordo tra la Democrazia cristiana (DC) e il PRI, fu eletto al Senato nel collegio di Ravenna.

Il M. morì a Cesena il 25 ag. 1963.

Alcuni discorsi del M. furono stampati in opuscolo, in particolare: Il Comune libero e la sua amministrazione, Roma 1944; Ideologia mazziniana e politica di centro-sinistra, Cesena 1962.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Interno, Casellario politico centrale, b. 2903, ad nomen; ibid., Direzione generale di Pubblica Sicurezza, Confinati politici, fascicolo pers., b. 587; per l'attività parlamentare del M., v. Regno d'Italia, Atti parlamentari, Camera dei deputati, legislature XXVI e XXVII; Assemblea costituente; Repubblica Italiana, Senato, legislatura I; Camera dei deputati, legislature II e III: ad indices.

Ampi ricordi del M. sono in La Voce repubblicana, 26-27 ag. 1963; R. Pieri, Il Popolano, in La stampa cesenate nel periodo giolittiano, Cesena 1982, pp. 153-196. L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza 1957, p. 433; E. Piscitelli, Storia della Resistenza romana, Bari 1965, pp. 106, 137; G. Sabbatucci, I combattenti nel primo dopoguerra, Roma-Bari 1974, p. 232; L. Zani, Italia libera. Il primo movimento antifascista clandestino 1923/1925, Roma-Bari 1975, pp. 5, 64; C.L. Ragghianti, Disegno della Liberazione italiana, Firenze 1975, pp. 13, 64; E. Santarelli, Ubaldo Comandini e la scissione dei repubblicani cesenati nel 1923, in Archivio trimestrale. Rass. storica di studi sul movimento repubblicano, II (1976), pp. 197-227 passim; B. Nediani, Faenza e Rimini sotto la dittatura. Contributo alla storia dell'antifascismo e della Resistenza repubblicana 1919-1945, Rimini 1979, ad ind.; A. Battaglia, La magistratura (relazione tenuta al Convegno I repubblicani alla Costituente), in Archivio trimestrale, VII (1981), pp. 73-83; I repubblicani a Roma 1943-1944. "La Voce repubblicana" clandestina, a cura di M. Scioscioli, Roma 1983, ad ind.; F. Strocchi, Una città, un partito. I repubblicani cesenati dal 1914 al 1946, Faenza 1983, ad ind.; S. Fedele, I repubblicani di fronte al fascismo (1919-1926), Firenze 1983, ad ind.; A. Varni, Due antifascisti romagnoli: Giovanni Braschi e C. M., in Id., Uomini, fatti, idee di Romagna, Bologna 1986, pp. 211-226; Una difficile transizione, Milano 1991, pp. 475-477;Storia di Cesena, IV, Ottocento e Novecento, a cura di A. Varni - B. Dradi Maraldi, 2, (1860-1922), Rimini 1991, ad ind.; 3, (1922-1970), ibid. 1994, ad ind.; M. Tesoro, Democrazia in azione. Il progetto repubblicano da Ghisleri a Zuccarini, Milano 1996, p. 147; A. Spinelli, I repubblicani nel secondo dopoguerra (1943-1953), Ravenna 1998, ad ind.; Il Parlamento italiano 1861-1988, XVIII, 1959-1963.

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