CINETICA CHIMICA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

CINETICA CHIMICA (X, p. 358)

Mario ROLLA

CHIMICA Benché in questi ultimi anni siano stati fatti dei tentativi di notevole interesse per una vera teoria della velocità di reazione, si deve tuttavia riconoscere che lo studio della cinetica chimica non ha ancora raggiunto, specie nel piano pratico, risultati notevoli.

Le definizioni ed i concetti generali esposti nell'articolo citato costituiscono ancora oggi il presupposto di ogni trattato di cinetica chimica. Si ricorderà soltanto che il concetto di molecolarità, servito in primo tempo per una classificazione delle reazioni, ha subìto nel frattempo una modificazione, nel senso che esso oggi serve soltanto a indicare il numero di atomi o molecole che prendono parte alla reazione chimica che particolarmente si considera; mentre si indica con ordine di reazione la somma degli esponenti ai quali sono elevate le concentrazioni dei varî corpi reagenti nell'espressione della velocità di reazione. Può spesso capitare nei casi più semplici che la molecolarità coincida con l'ordine, come avviene per la reazione:

reazione che è bimolecolare perché sembra assodato che essa risulti da urti binarî di due molecole (una d'idrogeno e una di iodio) e che contemporaneamente si deve classificare del secondo ordine, perché la sua velocità di reazione si esprime con:

Ma ciò non avviene sempre ed è raro il caso nel quale l'ordine di reazione coincide, come nel caso già visto, con la molecolarità globale. Così, ad es., la reazione tra idrogeno e deuterio:

segue un decorso di ordine frazionario e cioè 3/2. Tale decorso frazionario sta ad indicare che le modalità secondo le quali essa reazione avviene sono più complicate di quanto non lasci trasparire l'espressione stechiometrica globale della reazione, così come scritta in [3]. È stato difatti trovato che, se i due gas si pongono a reagire alla stessa pressione parziale, il tempo necessario perché la concentrazione iniziale di uno dei gas reagenti si riduca a metà è inversamente proporzionale alla radice quadrata della sua pressione parziale, caratteristica questa delle reazioni di ordine 3/2, come è facile dimostrare. Lo schema che più verosimilmente riproduce l'andamento di tale reazione è quello di una reazione complessa, e cioè quello di una successione di reazioni elementari, come per esempio:

Poiché le prime due reazioni [4] sono all'equilibrio, si può ad esse applicare la legge di azione di massa che permette di scrivere la concentrazione della specie atomica in funzione della radice di quella molecolare, e cioè:

Sostituendo questo valore nelle equazioni delle velocità di reazione [5] si ottiene:

e poiché la velocità di formazione della molecola HD vale

ne seguirà

espressione il cui ordine è evidentemente 3/2.

Queste reazioni tra atomi e molecole sono state chiamate reazioni elementari da M. Polanyi, il quale ha anche osservato che spesso esse sono caratterizzate dal fatto che ogni urto è seguito da reazione: ogni urto, cioè, è attivo e l'energia di attivazione è dunque nulla. Tale è il caso della reazione elementare:

per la quale si trova che il numero degli urti (calcolati con l'espressione della cinetica classica:

con μ = massa ridotta = ma mb/(ma + mb), e dove ma e mb sono le masse delle molecole reagenti della specie a e b; na e nb sono i numeri di molecole o atomi per cc; σab il cosiddetto diametro di collisione, pari alla semisomma dei due diametri σa e σb ed il prodotto π σ2ab/4 viene chiamato sezione d'urto) è sufficiente a dar ragione della velocità di reazione a 240° C., là dove si scelga per σab il valore ragionevole di 4,5 Å. È evidente che per una reazione simile il fattore esponenziale e-E/ KT, che trasforma il numero di urti totali in quello di urti attivi agli effetti della reazione, è uguale all'unità, ciò che porta come conseguenza l'annullamento dell'energia critica E, come si è detto prima.

Analogamente alla [6] si comportano le reazioni elementari:

per le quali l'energia di attivazione è nulla ed ogni urto è e efficace agli effetti di reazione.

Non tutte le reazioni elementari però si presentano sotto questa forma. Così, ad esempio, lo ioduro di etile e di fenile reagiscono ad ogni urto con sodio elementare, come fa quello di metile, mentre per i tre corrispondenti bromuri i fatti sperimentali inducono ad ammettere che l'energia di attivazione non sia nulla; giacché la frequenza degli urti attivi è di 1 su 50. Con i cloruri a 500° C tale frequenza (detta meglio efficienza dell'urto) scende ancora a 1 su 104, e la reazione dunque si fa sempre più lenta, a parità di altre condizioni. Con i floruri l'efficienza è, alla stessa temperatura, di i su 106.

Abbiamo ricordato queste reazioni elementari non solo perché si è constatata una loro notevole frequenza nelle reazioni più disparate, ma anche perché, data la semplicità con la quale spesso si presentano, è dal loro studio che si sono dedotte le notizie atte a fornire i primi chiarimenti sul concetto tanto complesso di energia di attivazione.

La reazione che più è stata studiata da questo punto di vista è quella tra un atomo di idrogeno ed una molecola di para-idrogeno, che si trasforma in ortoidrogeno secondo la reazione:

per la quale, come indicano le misure di Geib e Harteck a 100° C. risulta attivo un urto su 140.000 circa. Essa è caratterizzata da una energia critica di 7250 cal. La conversione di idrogeno para in orto può essere seguita da misure di conducibilità termica o di calori specifici.

D'altra parte, Hirschfelder, H. Eyring e Topley hanno studiato l'energia potenziale di un sistema costituito da un atomo di idrogeno che si avvicina ad una molecola H2, ed hanno tracciato le superfici equipotenziali negli immediati dintorni di tale molecola. Essi hanno trovato che queste linee equipotenziali non circondano la molecola in modo uniforme, tanto che se l'atomo estraneo si avvicina alla molecola in senso perpendicolare all'asse della molecola che contiene i due atomi, esso, per avvicinarsi a distanza di reazione, deve superare una barriera di potenziale superiore alle 15 Kcal.; mentre se l'atomo si avvicina nella direzione di quell'asse, è sufficiente una energia di 7 kcal. circa per portarlo a distanza di reazione, come è mostrato nella figura 1, nella quale sono disegnate le intersezioni delle superfici equipotenziali con il piano del disegno.

Cosicché se l'atomo di idrogeno si avvicina alla molecola in senso perpendicolare a tale asse, l'avvicinamento viene a verificarsi nella peggiori delle condizioni, la barriera > 15 Kcal impedendo che l'urto si trasformi in urto attivo. Viceversa, l'avvicinamento nella direzione dell'asse (dal nord della figura per intendersi) caratterizzato da una barriera di potenziale molto più bassa, può portare molto più facilmente ad un urto attivo. In tal caso, man mano che l'atomo estraneo si avvicina, si allenta il legame molecolare preesistente, mentre si viene creando un nuovo legame tra l'atomo urtante e quello degli altri due più vicino.

Si farà notare qui, a conforto della teoria, che la barriera di 7 Kcal. è molto prossima al valore determinato sperimentalmente, 7,25 Kcal., da Geib e Harteck per l'energia d'attivazione e che i due casi qui considerati rappresentano i casi limiti; da una parte quello cioè che presenta l'urto nel modo più sfortunato e dall'altra quello che lo presenta nel modo più favorevole agli effetti della reazione. Tra questi due casi limiti se ne possono verificare infiniti altri, di cui soltanto quelli che hanno una direzione di impatto compresa in una ristretta zona al nord della figura possono essere considerati come urti attivi. È interessante ancora notare che l'avvicinamento dell'atomo alla molecola, ammettendo che avvenga nel senso più favorevole alla reazione, porta come conseguenza l'allontanamento dell'atomo opposto a quello urtato in molecola, ed il fenomeno è evidentemente simmetrico. In un determinato istante i due atomi esterni disteranno ugualmente dall'atomo centrale e si verrà così a formare, una specie di molecola a tre atomi H3, a vita estremamente breve, che gli autori moderni sono portati a considerare come un complesso attivato e le cui caratteristiche presto impareremo a conoscere.

Se ora si utilizza da una parte l'equazione empirica di Morse per l'energia potenziale di due atomi e dall'altra il metodo di London per il calcolo dell'energia di legame di un sistema a tre atomi, del tipo:

nel quale sono indicate con r1 e r2 rispettivamente le distanze tra gli atomi esterni e quello centrale, è possibile calcolare i valori dell'energia potenziale del sistema a tre atomi per tutti i valori di r1 e r2, calcolo i cui risultati sono espressi nel diagramma in figura 2.

Per questo calcolo si sono rese necessarie talune ipotesi. Così si è supposto, in accordo con talune deduzioni di natura quanto-meccanica, che l'energia di legame nella molecola dell'idrogeno sia pel 14%, di natura coulombiana e per l'86% di scambio. Il calcolo è stato poi riferito al caso nel quale i tre atomi siano in linea retta, essendo questa la posizione (giusto quanto si è detto prima) secondo la quale l'urto incontra la minore barriera di potenziale. Anzitutto è interessante notare che il diagramma mette in evidenza una prima "valle di energia minima" disposta lungo l'ascissa, ed una seconda disposta lungo l'ordinata. In condizioni di quiete, quando cioè la distanza, ad es. r1, tra l'atomo e la molecola è rilevante, la molecola si trova immersa ad es. nella prima di queste due valli. Man mano che s'accorcia la distanza tra i due reagenti, man mano cioè che r1 diminuisce, l'energia potenziale aumenta, finché, quando si è avvicinato ad r1 = 0,9 Å circa, si raggiunge un massimo a 14 Kcal. che i fisici hanno chiamato "cima del passo" o anche "punto di sella". È qui che prende forma in condizioni di metastabilità il complesso attivato H-H-H: difatti, un'analisi un po' più profonda mette in evidenza che tale sella non è fatta a cocuzzolo, ma presenta un piccolo "cratere", un minimo relativo di energia (per intendersi) che scende da 14 a 12 Kcal. Il dislivello di 2 Kcal. non è sufficiente a dar vita stabile al complesso, ma è sufficiente a dare l'idea della sua esistenza.

A questo punto può ancora capitare che il complesso attivato ritorni per la stessa strada: l'urto non è stato così seguìto ancora da reazione; oppure potrà darsi che discenda la collina di potenziale lungo la direzione parallela all'ordinata. In tal caso, r1 scende da 0,9 a 0,75 Å, mentre r2 andrà sempre più crescendo. Si è verificata, in altri termini, la reazione che contempla la sostituzione di un atomo di idrogeno ad un altro.

In conformità allo studio eseguito sulla reazione tra atomo e molecola di idrogeno, sono stati studiati altri sistemi a tre atomi, e sono state misurate le relative barriere di potenziale. Si ricorderanno, fra le tante, le seguenti elencate nella tabella I.

I brillanti risultati raggiunti nel caso di un sistema a tre atomi, hanno spinto H. Eyring a tentare lo studio del sistema a quattro atomi, della fo rma:

Qui si restringerà la discussione al caso in cui A = B, C = D, ed in particolare al caso in cui si utilizzi la reazione globale:

In questo caso l'applicazione della espressione di London per la energia del sistema a quattro atomi porta ad una rappresentazione più complessa (essendo richiesto un terzo asse di riferimento) delle superfici d'energia potenziale, da cui però chiaramente si deduce che l'urto fra le due molecole biatomiche è particolarmente favorevole nei riguardi dell'energia d'attivazione se esso avviene quando le due molecole si trovano su uno stesso piano.

Date le approssimazioni richieste dal calcolo (ad es., rimane alquanto arbitraria la proporzione tra la parte coulombiana e quella di scambio dell'energia di legame) le conclusioni qui debbono essere considerate soltanto come qualitative; purtuttavia esse sono spesso in perfetto accordo con l'esperienza. Così, ad es., nella reazione [12] fra idrogeno ed alogeni, i calcoli mostrano che per lo iodio la reazione fra la molecola H2 e quella J2 è caratterizzata da un'energia di attivazione più bassa di quella relativa alla reazione fra molecola di idrogeno ed atomo di alogeno; mentre per i rimanenti tre alogeni avviene il contrario. In altri termini, la molecola d' idrogeno reagisce nel caso dello iodio più facilmente con la molecola anziché con l'atomo, secondo lo schema:

a decorso bimolecolare e del secondo ordine, come testimonia l'esperienza, e cioè nel caso dello iodio è sufficientemente frequente ed attivo l'urto complanare delle due molecole. Mentre ciò non è facile con gli altri alogeni, per i quali la molecola di idrogeno reagisce più facilmente con l'atomo, anziché con la molecola, secondo lo schema:

Tali schemi prevedono una dissociazione iniziale dell'alogeno:

e quindi un ordine per la reazione globale che non è il secondo.

L'esperienza (Bodenstein) aveva, per es., mostrato la necessità d'interpretare la reazione dell'acido bromidrico secondo lo schema:

che richiede quindi non meno di tre differenti stadî o reazioni elementari per la formazione dell'acido bromidrico, cui poi si accavallano due altre reazioni elementari che contemplano la parziale distruzione dei centri attivi:

È evidente che un simile complesso di reazioni è caratterizzato da un ordine tutt'altro che semplice.

La reazione tra idrogeno e bromo è stata classificata da taluni tra le reazioni consecutive perché il terzo stadio, quello cioè che contempla la reazione tra idrogeno atomico e bromo molecolare, prende origine dal secondo, che produce appunto idrogeno atomico, e a sua volta (originando bromo atomico) è in condizione di ripristinare il secondo stadio. Il numero degli stadî che così si vengono ad alternare non è molto forte, le due reazioni di distruzione dei centri attivi (idrogeno e bromo atomici), e cioè quelle che noi abbiamo indicato con (16 a e b), essendo caratterizzate da una energia critica non eccessivamente elevata. La reazione di dissociazione dell'alogeno (stadio 15a) è in questo caso di natura termica.

Nel caso della reazione fra idrogeno e cloro, lo schema di reazione coincide praticamente con quello precedente, con l'osservazione che (come indica la tabella I) in questo caso il II stadio, contemplante la reazione tra atomo di alogeno e molecola di idrogeno, è caratterizzata da una energia critica molto più bassa in confronto a quella degli altri due casi: H2 + Br e H2 + J, e quindi da una velocità notevolmente più elevata. Difatti la reazione elementare:

ha una energia critica di sole 6 Kcal.; e di sole 3 Kcal. è l'energia critica dello stadio successivo:

che prende luogo dall'idrogeno atomico prodotto nello stadio precedente e che riforma l'originario centro attivo (cloro atomico) destinato a ridar vita alla [17]. Nel caso del bromo, invece, il primo di questi due stadî ha una energia critica molto più elevata (18 Kcal.) ed è quindi molto più lenta. Si è già visto, infine, che l'analoga reazione con lo iodio ha una energia critica ancora più alta (33 Kcal), cosicché è tanto lenta da essere senza apprezzabile influenza nella reazione tra iodio ed idrogeno. Se ne può dunque concludere che l'andamento ed il meccanismo cinetico della reazione tra idrogeno ed alogeni differiscono profondamente nei tre casi.

Nel caso del cloro la dissociazione in atomi secondo la [14] può essere eseguita fotochimicamente:

Il cloro atomico può ancora essere prodotto per dissociazione termica, oppure, come fece il Polanyi, a mezzo della seguente reazione elementare:

e cioè con l'aggiunta ai gas reagenti di piccole quantità di vapori di sodio.

Con quest'ultimo metodo si ha la produzione di un centro attivo per ogni atomo di sodio introdotto in reazione. L'atomo di cloro inizia la reazione [17] cui segue la [18] che riforma lo stesso centro attivo, cioè il cloro atomico. In altri termini l'atomo di sodio dà inizio a una catena di reazioni la cui esistenza è affidata alternativamente al cloro ed allo idrogeno atomici, centri propagatori della catena, detti centri attivi finché per una ragione o l'altra (ad es. il verificarsi di una reazione di rottura della catena, quale

che consistono nella distruzione di due centri attivi) la catena viene spezzata. Si chiama maglia della catena l'insieme del numero minimo di reazioni elementati necessarie a riformare quello stesso centro attivo che ha dato origine alla catena. Orbene, si è trovato che ogni atomo di sodio crea una catena la cui lunghezza è in media misurata da 104 maglie circa. Se il centro attivo (cloro atomo) viene creato invece per via fotochimica [19] si trova che ogni quanto di luce hν produce circa 1.000.000 di maglie.

La reazione tra idrogeno e cloro viene così classificata tra le reazioni a catena, categoria da cui viene esclusa la reazione con il bromo, in quanto il numero delle maglie in questo caso è più basso. Si è trovato che formalmente una reazione a catena ubbidisce alla seguente relazione:

dove:

F (c) = funzione della concentrazione; fS = fattore di rottura della catena dovuta all'urto del centro attivo sulla parete del recipiente; fC = fattore di rottura della catena dovuta ad urti quali le [21]; A = costante, di solito maggiore di fS e fC; a = numero di centri attivi creati da ogni centro attivo.

Nelle cosiddette reazioni a catena semplice (quale è il caso della reazione tra idrogeno e cloro) da ogni centro attivo si forma un solo nuovo centro attivo, e quindi a = 1. In tal caso la velocità acquista un valore finito e dipende dalla lunghezza della catena, nel senso che essa è funzione di fS e fC. Ma se da un centro attivo si formano più nuovi centri attivi (reazione a catena ramificata) allora il termine A (1-a) diventa negativo e, per particolari valori di a può avvicinarsi in valore assoluto a quello della somma fS + fC: la velocità di reazione può in tali casi raggiungere valori molto grandi, fino a diventare esplosiva. Talvolta può accadere che inizialmente il numero di centri attivi di una reazione a catena ramificata sia molto basso e la reazione abbia così un inizio molto lento (periodo di induzione); mentre essa mostra di svegliarsi con il moltiplicarsi dei centri attivi fino a divenire in breve violenta.

Non senza ragione si è trascurato fino a questo momento di considerare le reazioni tra due atomi della stessa specie, quali, per es.:

Difatti il calore di reazione, tra l'altro, è in questi casi tanto elevato da non consentire la formazione della molecola, a meno che non si supponga la contemporanea azione di un qualunque meccanismo capace di togliere alla molecola appena formata l'eccesso di energia. La ricombinazione può avvenire secondo il seguente schema:

dove il terzo corpo M può essere anche un terzo atomo d'idrogeno, oppure una molecola di H2 preformatasi. Tale reazione, che apparentemente è trimolecolare, è invece del secondo ordine, perché la concentrazione di M rimane invariata. È qui necessario supporre il verificarsi di un urto ternario fra i due atomi ed il terzo corpo M, la cui funzione è appunto quella d'assorbire l'eccesso di energia. Oltre che per azione del terzo corpo, la ricombinazione può avvenire anche nell'urto sulla parete del recipiente contenente il gas reagente:

spettando al recipiente, in questo caso, il compito di assorbire l'eccesso di energia. La [16b] e le [21] possono appunto avvenire secondo lo schema [25].

Si ritorni ora all'osservazione della fig. 2, e si fissi l'attenzione alla zona del diagramma che è stata chiamata cima del passo: quella zona cioè molto ristretta nella quale trova vita effimera il complesso attivato. È evidente che ogni tentativo di modificare le dimensioni molecolari del complesso attivato, che non sia eseguito nella direzione della valle, comporta un notevole aumento di energia potenziale.

Si può ritenere quindi che il complesso attivato, oltre alle tre ordinarie coordinate di energia di traslazione, possegga una quarta possibilità di movimento lungo quella che si chiamerà "coordinata di reazione", quella cioè che dalla cima del passo lo porterebbe nella valle. Il complesso attivato può dunque avviarsi lungo questa quarta coordinata, ma deve sottoporsi ad una modificazione delle sue dimensioni molecolari, modificazione che porta fatalmente alla sua rottura.

Cosicché il complesso attivato può essere immaginato come una molecola ordinaria avente quattro gradi di libertà di traslazione, anziché tre; oppure, il che fa lo stesso, come una molecola avente un grado di libertà vibrazionale in meno di una molecola ordinaria avente lo stesso numero di atomi. Ciò porta come conseguenza il fatto che, nei confronti delle due molecole reagenti, il complesso attivato ha cinque vibrazioni in più, anziché sei, come risulta dalla seguente tabella II nella quale si è supposto che le due molecole reagenti siano costituite rispettivamente da m e n atomi.

H. Eyring ha dato una teoria assoluta della velocità di reazione supponendo che il complesso attivato X* rappresenti uno stadio intermedio nel processo di reazione secondo lo schema:

La velocità di tale processo è calcolata da Eyring come il prodotto della concentrazione del complesso attivato alla cima della barriera per la frequenza che indica il numero di complessi attivati che superano la barriera nell'unità di tempo e nella direzione privilegiata. Se si indicano ora con un ū la velocità media del complesso attivato su questa coordinata e con δ la lunghezza lungo la coordinata di reazione che sulla cima della barriera sta a rappresentare il tratto nel quale il complesso attivato prende vita, il rapporto ū/δ dà esattamente la frequenza di cui sopra. Si potrà così scrivere:

dove si è indicato con c̄* il numero di complessi attivati per unità di volume sul tratto di lunghezza δ. Si supponga ora che quella particolare coordinata di traslazione del complesso attivato, che si è chiamata coordinata di reazione, possa essere trattata come una vibrazione molto rigida di frequenza elevatissima; ed allora, in seguito a considerazioni quanto-meccaniche, si può scrivere che:

essendo c* la concentrazione alla cima della barriera del complesso attivato avente un modo rigido di vibrazione, m* la sua massa effettiva, K la costante di Boltzmann, h quella di Planck. Ne segue:

La legge di distribuzione di Maxwell fornisce poi il valore di ū:

e quindi:

da cui si deduce, per confronto con la [27], che la quantità KT/h rappresenta la frequenza con la quale viene superata la barriera. Tale frequenza quindi è di natura universale, risultando indipendente dalla natura dei prodotti reagenti, ma dipendendo solo dalla temperatura.

Si sa d'altronde che

dove si è indicato con kr, la velocità specifica, e dunque:

o anche:

dove K* è una vera costante di equilibrio termodinamico, quale si può scrivere se si suppone che il complesso attivato sia sempre in equilibrio con i reagenti A, B..... e cioè:

come del resto aveva già tempo prima supposto J. N. Brønsted per il caso di reazioni in sistemi liquidi nella teoria dell'effetto primario dei sali. La costante d'equilibrio K* può essere poi trattata per via statistica.

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