CINA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

CINA

Girolamo Cusimano
Giannandrea Falchi
Lionello Lanciotti
Magda Abbiati
Lionello Lanciotti
Lionello Lanciotti
Maria Luisa Zaccheo
Angela Prudenzi

(X, p. 257; App. I, p. 417; II, I, p. 585; III, I, p. 374; IV, I, p. 436)

Confini e problemi territoriali. - Sicurezza dei confini e integrità territoriale costituiscono ancora oggi momenti fondamentali della politica estera della C. e base di un sentimento nazionalistico molto radicato. Nella sua millenaria storia, infatti, questo immenso paese si è andato costruendo e consolidando nella funzione di ''stato di mezzo'', circondato da realtà politiche tributarie o comunque soverchiate dalla sua superiorità culturale, politica e militare. Si deve giungere al 20° sec. per vedere messa in crisi tale indiscussa situazione di egemonia, a seguito dell'espansionismo giapponese e dell'affermarsi dell'Unione Sovietica quale stato leader nell'Asia continentale. Le conseguenze sul piano territoriale furono ben più gravi di quelle provocate dalla penetrazione capitalistica del secolo precedente, interessata piuttosto alla colonizzazione commerciale.

Sin dal nascere della Repubblica Popolare la messa in discussione di assetti di confine ereditati da ''trattati ineguali'' (v. App. IV, i, p. 436), ma anche di quelli via via concordati dal governo comunista, sembra costituire uno dei motivi conduttori dell'azione diplomatica cinese. La via della trattativa ha però non di rado lasciato il passo alle azioni di forza, secondo i dettami di una real-politik che i governanti cinesi praticano con indiscutibile coerenza. I contenziosi più gravi restano quelli con i paesi di cui la C. teme maggiormente la concorrenza politica nello scacchiere orientale, Unione Sovietica e India. Alla fine degli anni Settanta, però, le vicende molto complesse che hanno accompagnato la fine del conflitto vietnamita con il disimpegno statunitense nell'area sono alla base di uno degli avvenimenti più traumatici vissuti dal movimento socialista internazionale, il conflitto cioè tra la C. e il Vietnam, seguito alla penetrazione delle truppe di quest'ultimo in Cambogia (1979). La guerra, con la conseguente invasione da parte cinese del territorio del Vietnam, fu sin dalle prime battute considerata dal governo di Pechino come un intervento limitato e cessò dopo poche settimane con il ritiro delle truppe. Gli avvenimenti hanno dimostrato però l'assoluta indisponibilità della C. a tollerare l'emergere di mire espansionistiche da parte di stati confinanti. La tensione tra i due paesi non si è attenuata, anche per l'inasprirsi delle rivendicazioni cinesi sulle isole Spratley nel Mar Cinese Meridionale.

Aperte restano le questioni territoriali relative a Taiwan, che in verità neanche il governo di Taipei nega appartenere legittimamente alla C., come anche quelle che riguardano Macao e Hong Kong. L'atteggiamento tenuto nei confronti di quest'ultima rivela il pragmatismo politico dei dirigenti cinesi di contro a dichiarazioni di principio spesso rigide e intransigenti. Hong Kong svolge infatti un ruolo economico molto importante per la C., e la cautela nelle trattative sul suo futuro allo scadere del trattato con il Regno Unito (1997) si possono ben comprendere con la preoccupazione che un nuovo assetto territoriale finisca per portare più danni che benefici. Non è un caso che già nel 1972 la C. chiese all'ONU che il problema di Hong Kong venisse derubricato dalla lista delle questioni coloniali ancora insolute.

La C. deve fare i conti anche con problemi interni legati alla presenza in territori di frontiera di minoranze etniche e religiose. Ciò ha spinto il governo a creare delle regioni autonome, con prerogative amministrative un po' più ampie di quelle delle province e delle municipalità (v. App. IV, i, p. 436), ma il proposito di avviare un vero processo d'indipendenza è stato contraddetto nei fatti da provvedimenti che hanno finito per rafforzare la presenza della popolazione han.

È il caso del Tibet che, dopo la fuga del Dalai Lama (1959), ha subìto un forte processo di omologazione culturale, almeno sino al 1980. Dopo tale data, infatti, nello spirito del nuovo corso della politica cinese apertosi con l'affermarsi della leadership di Deng Xiaoping, sono state intraprese riforme economiche e sociali intese a rimediare ai guasti della cattiva amministrazione della regione. Sul piano culturale è stata concessa maggiore autonomia anche nelle pratiche religiose: sono stati così riaperti i monasteri, chiusi durante la Rivoluzione culturale. Non per questo però il governo ha mostrato di tollerare alcuna forma di contestazione aperta e finalizzata al ritorno del Dalai Lama, reprimendo anzi con fermezza le manifestazioni inscenate nel corso del 1987 a Lhasa da monaci buddhisti.

Popolazione e città. - Nel 1982 la C. ha effettuato con l'aiuto dell'United Fund for Population Activities il terzo censimento della popolazione della sua storia recente. Dal momento che i dati del secondo censimento (1964) non erano mai stati resi noti dalle autorità, è stato finalmente possibile uscire dalle stime congetturali che dalla metà degli anni Cinquanta erano le uniche disponibili. Con 1.008.175.000 ab. la C., nel 1982, si presentava come il paese più popoloso del pianeta costituendo il 22% dell'intero genere umano. Includendo anche la popolazione di Taiwan, Macao e Hong Kong, il dato saliva a 1.031.882.511 abitanti. La pubblicazione inoltre dei risultati del censimento del 1964 ha permesso di avere un quadro chiaro dell'evoluzione demografica. Nel periodo 1964-82 la crescita della popolazione è stata del 45,1%, con un tasso d'incremento medio annuo del 2,5%. La C. ha avviato quattro campagne per la riduzione delle nascite. Le prime due (1950 e 1960) furono interrotte dal sopravvenire prima della politica del Grande Balzo (1958) e poi della Rivoluzione culturale (1966); la terza (1970) ha avuto maggiore successo, riducendo il tasso d'incremento annuo dal 2,8% del 1964 al 2,1% del 1973.

Risultati significativi si sono registrati anche a seguito dell'ultima campagna annunciata nel 1978 al v Congresso del popolo. I suoi fini erano quelli di considerare il controllo delle nascite un obiettivo dell'economia nazionale, di portare il tasso di crescita a zero nel 2000 e di raggiungere questo traguardo con la pianificazione familiare (un solo bambino a coppia) e con varie forme di disincentivazione della procreazione. Ci troviamo di fronte, quindi, a una notevole innovazione della tradizione culturale cinese ma anche dell'ideologia socialista, in nome della quale in passato la C. aveva denunciato i tentativi dell'Occidente d'interferire negativamente con lo sviluppo dei paesi poveri amplificando i rischi di un incontrollato aumento delle nascite (Conferenza di Bucarest sulla popolazione, 1974). I risultati, pur positivi, hanno dimostrato le enormi difficoltà da affrontare, soprattutto in ambito rurale, ove è assai complessa l'attuazione della politica governativa, per ragioni sia storico-culturali che economiche. Sul continuo e rapido aumento della popolazione incide negativamente il tasso di fertilità, che nelle campagne è ancora molto alto, e la riduzione di quello di mortalità, che ovviamente va ascritto tra i successi della politica interna cinese con i grandi miglioramenti nel settore sanitario.

La popolazione stimata al 1990 ammontava a 1.110.000.000 di ab., con un incremento rispetto al 1982 del 10,1%, superiore a quello previsto per poter giungere nel 2000 alla crescita zero. La disaggregazione territoriale dei dati demografici consente di cogliere la complessità del fenomeno popolazione in Cina. I tassi di crescita mostrano forti contrasti da regione a regione. In generale, sotto la media nazionale appaiono le maggiori municipalità (Shanghai, Pechino [Beijing]), le province economicamente più sviluppate (Liaoning, Hubei) e quelle con gravi problemi ambientali, come lo Shaanxi/Shanxi, le terre del loess. Le regioni di confine e quelle più interne, pur caratterizzate da basse densità, registrano incrementi più alti della media, dovuti sia al saldo naturale positivo che all'immigrazione a supporto dello sviluppo economico e della difesa militare. Così le popolazioni dello Xinjiang e del Qinghai tra il 1964 e il 1982 hanno avuto un incremento rispettivamente del 79,9% e dell'81,6%. Anche la densità demografica presenta variazioni rilevanti. Rispetto alla media di 107 abitanti per km2 dell'intero paese, si registravano, al censimento del 1982, 2 abitanti per km2 nel Tibet e oltre 600 nello Jiangsu. Nel complesso, le province occidentali di Tibet, Mongolia Interna, Gansu, Qinghai, Xinjiang, che rappresentano il 55% del territorio nazionale, registravano una popolazione pari al 6% del totale. Più del 40% dei Cinesi, di contro, erano concentrati in un'area che costituisce solo il 10% dell'intera C., in particolare nelle pianure del Nord-Est e nella bassa valle dello Chang Jang. Sul piano della composizione etnica, la popolazione han restava largamente dominante (93,3%), ma il censimento ne evidenziava il ritmo di crescita meno sostenuto (43,8%) di quello dei 55 gruppi di minoranza (68,4%).

Una contrapposizione storica è in C. quella tra campagna e città. La popolazione rurale costituiva (al 1982) il 79,2% del totale, ma a questa superiorità numerica si contrappone un tenore di vita assai più modesto di quello dei cittadini. La riduzione di questo squilibrio è stata uno degli obiettivi perseguiti con maggiore impegno dai dirigenti cinesi, i quali hanno tentato nello stesso tempo di evitare la formazione di agglomerazioni urbane enormi, com'è avvenuto nella più parte dei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo. Il controllo sui movimenti verso le città ha determinato dal 1959 in poi un rallentamento della crescita della popolazione urbana che era stata, sino a quella data, molto forte. Soprattutto durante la Rivoluzione culturale il trionfo dell'ideologia della disurbanizzazione ha portato a eccessi, quali l'organizzazione di un vero e proprio esodo urbano forzato, di discutibile utilità economica. Dai primi anni Settanta si è registrata un'inversione di tendenza, legata soprattutto, dopo il 1978, all'affermarsi di un nuovo modello di sviluppo urbano, che pur conservando inalterato il controllo sull'emigrazione verso le metropoli, favorisce, razionalizzandolo, quello verso le città medie e piccole che vengono integrate funzionalmente nella nuova politica economica, della quale sono considerate momento essenziale.

Confrontando i dati dei censimenti del 1964 e del 1982, si osserva che la popolazione urbana è cresciuta di 79 milioni di unità (2% d'incremento annuo) costituendo il 20,8% del totale. Ma i ritmi di crescita sono molto maggiori a partire dal 1975, e diventano rapidissimi dal 1982. Secondo i dati dell'Ufficio statistico nazionale, la popolazione delle città nel 1985 avrebbe raggiunto i 382 milioni, con un incremento rispetto al 1982 di circa l'80%. Per quanto questo dato eclatante sia il frutto del mutamento dei criteri in base ai quali un centro viene definito urbano (1984), è indubbio che la C. si avvia verso uno sviluppo senza precedenti delle città, che costituisce una delle grandi sfide cui il paese non può più sottrarsi. Se è vero infatti che la politica urbana dei decenni precedenti aveva salvaguardato la C. dalle spaventose agglomerazioni del Terzo Mondo, il censimento offriva il quadro di una struttura delle città fortemente squilibrata territorialmente e ruotante intorno a quei centri che durante la fase coloniale si erano sviluppati con caratteristiche di grandi poli commerciali e industriali.

Fatta eccezione per Shanghai e Pechino, con una popolazione non agricola di 6.300.000 e 5.600.000, solo altre cinque città superavano i due milioni: Tianjin, Shenyang, Wuhan, Canton e Chongqing. Considerando la dimensione demografica in uno con il livello di sviluppo, le città più modernizzate sono situate in un triangolo con ai vertici Shenyang, Pechino e Qingdao a Nord-Est, e nella zona del basso Chang Jang tra Wuhan e Shanghai. I tassi di urbanizzazione rivelano d'altronde una situazione non lontana da quella dei primi anni Cinquanta. Solo 6 province raggiungevano tassi vicini al 40%: quelle su cui insistono le tre grandi municipalità (Pechino, Shanghai e Tianjin) e che corrispondono alle aree già sviluppate a partire dal 19° sec., la costa orientale da Shanghai a Tianjin e l'antica Manciuria. Altre 16 province avevano tassi inferiori al 20% e 8 al 15%, con casi di vera sottourbanizzazione.

Di fronte a tale situazione la nuova leadership non sembra più disponibile a opporsi all'ineluttabilità di talune regole del processo di sviluppo, anche se ciò comporta qualche compromesso sul piano ideologico. Difatti, pur essendo vero che dal 1949 in poi si è cercato di distribuire in modo equilibrato le attività non agricole, portando quindi l'industria in aree rurali con la costituzione di centri pionieri, i risultati economici si sono rivelati modesti. Lo sviluppo ha continuato ugualmente a manifestarsi in quei centri e in quelle aree ove era radicata la tradizione produttiva e commerciale, per ragioni vuoi storiche che ambientali. La nuova politica incentrata sulla costituzione di Zone Economiche Speciali (v. oltre) ha portato così a privilegiare e rafforzare una ventina di centri che sono per la gran parte costieri o porti aperti nel 1984 al commercio internazionale, che gravitano su aree di antico sviluppo. In particolare vanno segnalate Shenzen nei pressi di Hong Kong, e Zhuhai che confina con Macao. Esse hanno infatti utilizzato nel 1984, con una popolazione pari allo 0,1% del totale nazionale, il 36% circa dei 2000 milioni di dollari di capitali stranieri disponibili in Cina. Se le coste meridionali sembravano favorite per la presenza di Singapore, da cui proviene la gran parte dei capitali stranieri, e per le prospettive offerte dalle recenti ricerche petrolifere nel Mar Cinese Meridionale, in quelle settentrionali ha assunto grande importanza il porto di Lianyungang assai prossimo all'entroterra della C. settentrionale, su cui sono incentrati vari progetti di sviluppo.

Situazione economica. - Gli anni successivi alla morte di Mao Zedong hanno visto il progressivo affermarsi di una politica economica dai connotati largamente innovativi, mirante a imprimere al paese, nel nome delle quattro modernizzazioni annunciate nel 1977 − agricoltura, industria, difesa, scienza e tecnica − una decisa accelerazione verso lo sviluppo, attraverso l'apertura e la collaborazione con il mondo occidentale. Per realizzare l'ambizioso obiettivo di fare della C. una vera potenza mondiale, la leadership che si è imposta dopo la definitiva sconfitta dell'ala ultraradicale (1978) ha dovuto fare i conti con il maoismo, rivedendone in modo deciso il primato attribuito alla politica rispetto all'economia. In questa chiave vanno lette le parole d'ordine che hanno rilanciato la necessità di basare lo sviluppo su valutazioni realistiche delle forze disponibili, in opposizione a volontarismi e dogmatismi ideologici, in ragione del principio che "il criterio della verità è la pratica".

Sul piano istituzionale la via che viene praticata consiste nel limitare l'intervento dello stato con l'introduzione di un nuovo sistema di orientamento del mercato in agricoltura, nel commercio e nell'industria, che garantisca una maggiore libertà di azione, coniugata a un proporzionale grado di responsabilità degli operatori economici in ordine alle scelte compiute. Si va configurando quindi un modello di economia mista in cui il controllo della pianificazione centralizzata si riduce in favore di iniziative individuali e dei meccanismi del mercato. È ovvio che in tal modo diventa più difficile evitare che lo sviluppo si configuri come un meccanismo capace di rafforzare alcune aree geografiche rispetto ad altre, e che sul piano sociale alcune categorie s'impongano acquisendo maggiore benessere e prestigio, con il peggioramento dei già consistenti problemi di dualismi socio-territoriali. L'attuale dirigenza, pur conscia dei pericoli, ritiene che in ogni modo, se i meccanismi del progresso si attiveranno, coloro che per primi ne beneficieranno faranno da volano alla crescita complessiva della nazione.

Agricoltura. - I primi cambiamenti d'indirizzo hanno coinvolto l'organizzazione produttiva delle campagne. Per quanto la terra resti di proprietà collettiva, nel 1979 è stato introdotto un sistema di responsabilità in base a cui famiglie singole o associate possono gestire direttamente degli appezzamenti sulla base della stipula di un contratto di sfruttamento che prevede l'opzione tra modalità diverse di rapporto tra stato e operatore economico. Quest'ultimo è obbligato a corrispondere annualmente una certa quantità di prodotti essenziali (grano, riso, cotone) allo stato a titolo di affitto. Se in tal modo vengono salvaguardate le esigenze di un'economia pianificata, dall'altro la possibilità di vendere le eccedenze (ai nuovi mercati o allo stato, ma a prezzi differenziati) apre una nuova via per l'affermarsi di una vera imprenditoria agricola. Se la produzione è insufficiente, o se l'unità produttiva ha deciso di coltivare altri prodotti, la quota in natura da versare dovrà essere acquistata sul mercato. I gruppi di produzione possono essere direttamente possessori degli strumenti di lavoro, in passato prerogativa questa delle brigate, e possono pagare interventi esterni di lavoro offerti liberamente sul mercato. I contratti hanno una durata massima di 15 anni (quando si riferiscono a terreni degradati da riabilitare, incolti, o da rimboschire) e progressivamente sono stati resi più favorevoli attraverso la liberalizzazione dei prezzi di un numero maggiore di prodotti e la diminuzione delle quote da corrispondere. Obiettivo di tale politica è quello di creare condizioni propizie affinché i profitti dell'impresa agricola siano utilizzati per impieghi produttivi, soprattutto nel settore dei servizi, ancora molto carente.

Nella costituzione promulgata nel 1982 si è proceduto a una riforma delle comuni, al fine di ridimensionarne le funzioni, soprattutto attraverso la separazione tra quelle economiche e quelle politico-amministrative, e snellirne l'apparato burocratico. Il nuovo sistema di responsabilità è stato applicato, oltre che alle comuni popolari, alle fattorie statali (circa 2000), che lavorano oltre 4.400.000 ha. Dopo il 1983 la loro suddivisione in particelle più piccole ne ha portato il numero a oltre 85.000.

La razionalizzazione della produzione agricola ha comportato anche la rapida scomparsa di sprechi e di parassitismi, la cui eliminazione libera energie produttive che si orientano o verso settori integrati con le attività rurali o verso quelli propriamente urbani. La limitata meccanizzazione, che in C. ha avuto tra le sue cause anche la sovrabbondanza di braccia disponibili, potrà rafforzarsi con un netto miglioramento della produttività del settore.

A seguito delle innovazioni introdotte si è registrato un aumento della produzione sia di prodotti essenziali che di quelli ritenuti voluttuari. Tra il 1978 e il 1983 i cereali commercializzati dallo stato hanno avuto un aumento di circa il 90%. Per il cotone l'incremento supera il 100%. Dal momento che lo stato ha pagato somme più alte per l'acquisto dei cereali, tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta, i redditi dei contadini sono aumentati per la prima volta dopo il 1949 in percentuale più di quelli dei cittadini, giungendo a rappresentare nel 1982 il 46,5% del reddito nazionale. Tale dato va però commisurato all'enorme sproporzione esistente tra gli addetti dell'agricoltura (69% degli occupati) e quelli degli altri settori (31%).

Si è aperta anche una riflessione sui danni ambientali prodotti dalla politica maoista di autosufficienza delle comunità rurali nel settore cerealicolo, con l'inevitabile supersfruttamento dei terreni per il raggiungimento degli obiettivi della pianificazione. In zone tradizionalmente dedite alla pastorizia, come la Mongolia interna, si è avuta tra il 1969 e il 1979 una riduzione del 50% del manto erboso. Considerazioni di tal natura vengono fatte anche a proposito della gestione delle acque, al fine di aumentare la superficie irrigua. In numerosi casi l'uso indiscriminato ha provocato l'esaurimento di altre fonti tradizionali di sostentamento della popolazione, la caccia e la pesca, legate ad ambienti umidi, senza che si avesse un soddisfacente rapporto costi-benefici in ordine all'aumento delle rese agricole unitarie.

Industria. - La politica economica cinese ha privilegiato sin dal 1949 in termini di investimenti il settore secondario, con la conseguenza che il valore della produzione industriale è cresciuto tra il 1949 e il 1978 del 38,3% (con una punta del 90,6% nell'industria pesante), mentre quello agricolo solo del 2,4%. Ma al di là dei pur validi successi conseguiti nello sfruttamento industriale delle immense risorse minerarie (carbone, ferro, petrolio, vanadio, nichel, tungsteno, ecc.) il sistema industriale cinese appare incapace di reggere gli ambiziosi progetti di grande potenza del paese. L'occupazione industriale è al livello dei paesi sottosviluppati (15%), la produttività è modesta, i prodotti sono mediamente di scarsa qualità e i prezzi alti a causa di errori di localizzazione degli impianti, di tecnologie primitive e di scarse capacità manageriali dei dirigenti. La nuova leadership sta cercando quindi di ovviare a tali limiti introducendo nell'industria, certamente soffocata da troppa burocrazia e da piani di sviluppo non sempre adeguati alle realtà locali, innovazioni radicali sul modello del sistema di responsabilità che ha dato buoni risultati nell'agricoltura.

Le imprese sono state dotate di maggiore autonomia gestionale, i profitti non sono più incamerati dallo stato, ma servono per pagare direttamente i salari e per fare investimenti. Dal momento che tutti sono interessati a migliorare il proprio salario approfittando dei vari incentivi che le aziende possono erogare, viene stimolata l'iniziativa individuale e la ricerca dei mezzi per produrre meglio e a costo minore. Lo stato impone solo delle tasse variamente modulate sulla produzione. All'interno delle aziende è possibile stipulare contratti di produzione sia con gruppi di addetti che con singoli. L'impatto di queste misure è diverso sui vari tipi di aziende in cui si articola il sistema produttivo cinese. Le resistenze maggiori si sono avute nel comparto delle industrie di stato, cresciute all'ombra del potere burocratico e poco disponibili alla demolizione di un sistema di garanzie e privilegi.

L'apertura nei confronti dell'Occidente, la sua tradizione manageriale e la sua tecnologia, costituiscono un'altra grande sfida su cui si confronta la possibilità della C. di uscire dal sottosviluppo. In questa direzione il governo ha istituito nel 1980 quattro SEZ (Zone Economiche Speciali). Al loro interno, attraverso una ''Compagnia per lo sviluppo'', sono facilitati i rapporti con imprenditori stranieri. Questi vengono attratti con facilitazioni consistenti, la concessione di terreni per le varie iniziative, la disponibilità e la gestione diretta della manodopera locale. L'obiettivo è quello di creare delle imprese miste non solo nel settore industriale, ma anche in quello agricolo, nei servizi, nei trasporti, nelle costruzioni, nel turismo. La localizzazione delle SEZ (tre insistono su altrettanti porti, Xiamen, Shantou e Zhuhai nel Guangdong; una, Shenzen, confina con il territorio di Hong Kong) sta a indicare che nei prossimi decenni la politica industriale della C. tenderà a promuovere quelle aree che manifestano condizioni favorevoli al commercio e meglio dotate di infrastrutture, soprattutto comunicazioni. Anche in questo si manifesta un distacco dalla politica maoista che si era sforzata di decentrare l'industria in località prive di tradizioni nel settore, lontano dalle coste. In questo senso il nuovo corso non sembra voler mettere in discussione la supremazia dei distretti costieri centro-settentrionali.

Le regioni del Liaoning e dell'Hebei con Pechino e Tianjin nel 1982 avevano il 19% della popolazione industriale e il 20% del prodotto lordo. Anche nei confronti di Shanghai sembra prevalere l'idea di non limitarne il ruolo di grande centro commerciale e produttivo, a favore di altre localizzazioni dagli esiti incerti. Con l'1,2% della popolazione cinese la municipalità di Shanghai assommava, nel 1982, il 5% di tutta l'occupazione industriale e il 12% dell'intera produzione, vantando inoltre la più alta produttività per addetto (20.875 yuan contro la media nazionale di 9064).

Le 8 province meridionali - Zhejiang, Fujian, Guangdong, Guangxi, Yunnan, Guizhou, Hunan, Jiangxi - col 30,7% della popolazione cinese avevano alla data del censimento 1982 il 22,8% degli addetti all'industria e il 19,7% del valore prodotto. Lo sviluppo del settore secondario viene anche affidato alla revisione del sistema dei prezzi e dei meccanismi di mercato, in una dimensione di relativa concorrenza.

Comunicazioni e commercio. - Il potenziamento delle vie di comunicazione è stato notevole. Le linee ferrate al 1985 si sviluppavano per 52.000 km, di cui 4200 elettrificati; le strade per 940.000, le vie navigabili interne per 109.000. I trasporti aerei hanno subìto un rapido incremento con 8.236.000 passaggi nel 1984.

La nuova politica estera ha favorito il commercio internazionale, con un forte incremento delle importazioni e una bilancia dei pagamenti in rosso a conferma dell'aumento dei consumi soprattutto nel settore delle tecnologie avanzate.

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Politica economica e finanziaria. - Negli anni Ottanta l'economia cinese ha subìto profonde trasformazioni. Il nuovo corso, iniziato alla fine del 1978, si è caratterizzato per un'accresciuta autonomia delle imprese e delle famiglie, un minore peso della pianificazione diretta, una razionalizzazione del sistema produttivo e l'apertura verso l'estero dell'economia.

Le riforme hanno comportato importanti mutamenti istituzionali: è stato dimezzato il numero dei ministeri e delle commissioni e, parallelamente, è sceso il numero dei burocrati; il finanziamento delle imprese statali è stato assicurato mediante crediti bancari; le imprese collettive, in particolare quelle agricole, hanno beneficiato di una maggiore autonomia decisionale e di un sistema di incentivi materiali; sono state infine decentrate la gestione della politica fiscale (sia per le uscite, sia, soprattutto, per le entrate) e quella del commercio estero. La C. rimane, tuttavia, caratterizzata da una struttura in cui numerosi sistemi di prezzi e diversi assetti istituzionali si applicano a transazioni su beni e servizi analoghi. La dimensione territoriale del paese e la limitatezza delle comunicazioni, oltre a sviluppi regionali differenziati, hanno infatti spinto le autorità cinesi a introdurre le riforme su base sperimentale in specifiche aree o settori.

Il processo di riforma economica ha avuto effetti assai rilevanti. Dal 1978 la crescita media annua del PNL è risultata pari al 9%, valore più elevato di quello di molti altri paesi a rapida industrializzazione dell'Est asiatico; il reddito pro capite è raddoppiato tanto nelle città che nelle campagne. Lo sviluppo dell'economia urbana ha creato 70 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre, nelle campagne, l'industria ha assorbito circa 80 milioni di lavoratori precedentemente occupati nel settore agricolo. Sul fronte esterno, la politica di apertura seguita dalla C. ha promosso un rapido sviluppo del commercio e attirato investimenti dall'estero (oltre 20 miliardi di dollari complessivi tra il 1979 e il 1986).

Dopo il rallentamento del 1981, dovuto alle politiche restrittive adottate per fronteggiare una situazione di crescente inflazione, elevati disavanzi pubblici e ampi squilibri nei conti con l'estero, l'economia cinese è cresciuta a ritmi superiori al 10% l'anno. Le pressioni dal lato della domanda si sono gradualmente intensificate. Nel 1985 il tasso d'inflazione ha raggiunto il 12%, mentre la bilancia dei pagamenti di parte corrente, in seguito soprattutto al forte aumento delle importazioni, ha presentato, dopo quattro anni ininterrotti di surplus, un disavanzo di oltre 11 miliardi di dollari. Lo stesso anno, l'ammontare del debito estero ha superato quello delle riserve ufficiali.

La risposta delle autorità è consistita in un deprezzamento della moneta (dell'ordine del 20% nel 1986-87) e in un inasprimento delle condizioni monetarie e fiscali. Successivamente, per contrastare il rallentamento del tasso di sviluppo del reddito, la politica economica è risultata più accomodante e il disavanzo pubblico in rapporto al PNL è salito dallo 0,5 al 2,7% tra il 1985 e il 1987.

Nonostante una politica economica espansiva, nel 1987 si ebbe un miglioramento dei conti con l'estero grazie alla crescita delle esportazioni di prodotti non petroliferi, a misure di promozione dell'export, alle restrizioni sulle importazioni e a un più stretto controllo sull'indebitamento estero.

Nel 1988 il processo di riforma ha incontrato grosse difficoltà: un'elevata inflazione e una situazione di panico finanziario hanno indotto a frenare la liberalizzazione. Nel 1989, quando il PNL è cresciuto al tasso più basso del decennio, vi sono state crescenti difficoltà anche dal lato dei prestiti esteri in seguito alle sanzioni internazionali.

Nei prossimi anni il processo di riforma dovrà garantire che l'accresciuta autonomia delle imprese statali si accompagni a una più efficiente gestione finanziaria; che il sistema dei prezzi consenta un livello ottimale di investimenti e di utilizzo delle risorse; una maggiore mobilità del lavoro e del capitale; un sistema finanziario che assicuri i servizi d'intermediazione necessari alla nuova realtà economica. Ma le linee di fondo dell'ottavo piano quinquennale (1991-95) e di un piano decennale di sviluppo, approvati dal Partito comunista nel dicembre 1990, sembrano ispirarsi a principi di maggiore ortodossia rispetto agli anni passati

Storia. - Gli avvenimenti politici in C. mostrano una continua evoluzione ma, al tempo stesso, uno scontro continuo di tendenze, ora innovatrici ora conservatrici. La politica estera cinese fra gli anni 1977 e 1978 era stata dominata dalla cosiddetta teoria dei ''tre mondi'', annunziata per la prima volta da Deng Xiaoping in un suo intervento all'Assemblea dell'ONU nel 1974: Stati Uniti e Unione Sovietica avrebbero costituito il primo mondo; l'Europa, il Giappone e il Canada la sezione intermedia; la C., l'Africa e l'America Latina il ''Terzo Mondo''. Ma gli sforzi cinesi di aiutare economicamente i paesi dell'Asia e dell'Africa non ottennero risultati positivi.

Nel corso del 1979 il governo cinese propose a quello di Taiwan di porre termine al confronto militare e di poter sviluppare alcuni contatti fra le due Cine. A partire dal gennaio 1979 la C. adottò ufficialmente il sistema di trascrizione alfabetico pinyin (v. oltre: Lingua).

I rapporti con il Vietnam andarono deteriorandosi e, nel gennaio e nel marzo 1979, la C. condannò l'intervento militare vietnamita in Cambogia.

Fra il giugno 1978 e l'agosto 1980 la politica che era stata introdotta durante la cosiddetta ''grande rivoluzione culturale proletaria'' subì un mutamento radicale: avvenne la riabilitazione postuma del vecchio presidente Liu Shaoqi; iniziò una severa critica alle teorie di Mao Zedong, di cui il culto della personalità cessò definitivamente. Nel febbraio 1980 venne eletto segretario del Partito comunista cinese Hu Yaobang, personaggio molto vicino a Deng Xiaoping. Il conflitto politico si svolse fra le fazioni ancora rigidamente maoiste e gli elementi più liberali. La campagna contro la ''banda dei quattro'' (la vedova di Mao, Jian Qing, Zhang Chunqiao, Wang Hongwen e Yao Wenyuan) e i loro seguaci proseguì mentre venivano riabilitati ''revisionisti'' e ''deviazionisti di destra'', imprigionati all'epoca della rivoluzione culturale. Le polemiche fra le fazioni non si svilupparono soltanto all'interno del partito e sulla stampa, ma furono condotte anche mediante ''cartelli a grandi caratteri'' (dazibao) che erano la forma più usata per avanzare critiche politiche.

Sempre nel 1979 venne annunziato il pagamento di indennizzi alla ''borghesia nazionale'', i cui beni erano stati confiscati durante la rivoluzione culturale, e la riabilitazione politica di quei "proprietari terrieri, agrari, controrivoluzionari e cattivi elementi" che, per molti anni, avevano rispettato le leggi. Nel corso dell'anno dimostrazioni di massa di contadini si svolsero a Pechino per reclamare migliori condizioni. Gli studenti organizzarono dimostrazioni per i diritti umani; Deng Xiaoping li criticò, accusandoli di avere contatti con elementi stranieri e di contrastare i quattro princìpi (sistema socialista, dittatura del proletariato, guida del Partito comunista cinese e marxismo-leninismo-pensiero di Mao Zedong). Ebbero inizio misure restrittive contro i dazibao. Nel giugno 1979 fu presentata al Congresso nazionale del popolo una bozza del nuovo codice di procedura penale, per evitare gli abusi commessi in precedenza; il numero delle condanne capitali fu ridotto sensibilmente e si stabilì che la pena di morte poteva essere applicata soltanto dopo l'approvazione della Corte suprema.

Nel settembre 1980 il primo ministro Hua Guofeng rassegnò le dimissioni e fu sostituito da Zhao Ziyang, anch'egli personaggio molto vicino a Deng Xiaoping. La stampa aumentò gli attacchi al defunto presidente Mao e al culto della sua personalità, giungendo persino a ignorare il quarto anniversario della sua scomparsa. Ma gli attacchi a Mao erano, al tempo stesso, diretti contro Hua Guofeng, presidente del Partito comunista.

Il processo ai componenti la cosiddetta ''banda dei quattro'' terminò con quattro condanne di cui due alla pena capitale, commutate successivamente con il carcere a vita.

Nel marzo 1981 la stampa cinese attaccò alcuni esponenti del mondo artistico, accusati di negare la guida del partito in campo artistico e culturale e di voler separare la letteratura e l'arte dalla politica. Pene furono inflitte ad alcuni scrittori responsabili di aver pubblicato l'anno precedente periodici non autorizzati.

In campo economico furono proposte alcune riduzioni degli interventi statali allo scopo di riequilibrare il bilancio. Nel 1981 morì Song Qingling, vedova di Sun Yatsen, il fondatore della prima repubblica; la novantenne signora Song era stata nominata, due settimane prima di morire, presidente onorario della Repubblica popolare cinese. Hu Yaobang successe, nel giugno 1981, a Hua Guofeng anche nella carica di presidente del Partito comunista. La sesta sessione plenaria dell'11° Comitato centrale del partito riesaminò tutta la lunga storia del partito, adottando una risoluzione che discuteva alcune questioni a partire dalla fondazione della repubblica nel 1949; in essa venne dato un apprezzamento positivo della politica compresa nel periodo fra il 1949 e il 1956, e si ammise che nel successivo decennio (1956-66) assieme ad alcuni grandi risultati ottenuti si erano verificati gravi errori soprattutto nella guida del partito; così, per es., durante la ''campagna di rettifica'' del 1957, molti intellettuali e membri del partito erano stati ingiustamente condannati come ''elementi di destra''; la politica economica del 1958 non aveva tenuto conto delle obiettive leggi economiche; il decennio della rivoluzione culturale (1966-76), suddiviso in tre sezioni, fu condannato; non furono risparmiate critiche allo stesso Hua Guofeng. Si giudicò Mao un grande marxista, un rivoluzionario, uno stratega e un teorico, che aveva però commesso gravi errori durante la rivoluzione culturale; nel complesso comunque i suoi meriti avevano superato gli errori.

Nel luglio 1981 ebbe inizio una nuova campagna, che prese il nome di campagna contro il ''liberalismo borghese''. Deng Xiaoping, rivolgendosi ai responsabili della propaganda del partito, criticò la ''guida debole e rilassata'' indicando nel liberalismo borghese il tentativo di opporsi alla leadership del Partito comunista cinese. Alcuni scrittori furono attaccati per le loro opere non allineate. Seguì un'altra campagna diretta contro la corruzione nella vita pubblica e certi metodi della burocrazia; tale campagna fu rivolta contro quei quadri del partito che si opponevano alle riforme, e mirò a una riorganizzazione dell'apparato amministrativo. La C. che, dal 1980, aveva sostituito Taiwan quale membro del Fondo Monetario Internazionale e del Gruppo bancario mondiale, ottenne, nel 1981, grossi prestiti finanziari per il suo programma di stabilizzazione economica.

Se da un lato si cercò di riorganizzare l'agricoltura in unità più piccole, concedendo ai contadini di poter utilizzare una parte dei loro prodotti o per uso personale o per venderli, dall'altro vaste aree del paese, soprattutto della C. settentrionale e orientale, furono afflitte da siccità o da inondazioni nel corso dell'anno. Nel frattempo si avvertì in C. la necessità di preparare una nuova costituzione. Nell'aprile 1982 ne fu pubblicata una bozza; nel preambolo e nei 140 articoli che la componevano, fra i cambiamenti più importanti v'era quello di reintrodurre la carica di capo dello Stato, che si era resa vacante nel 1968, quando Liu Shaoqi era stato rimosso da ogni funzione, e che era stata abolita con la costituzione del 1975; la nuova costituzione prevedeva che la carica durasse cinque anni. Fra gli altri cambiamenti c'era la creazione di un Consiglio militare centrale e la sostituzione delle comuni popolari con delle municipalità. La riabilitazione postuma di Liu Shaoqi si completò nel gennaio 1982 con la pubblicazione del primo volume delle sue Opere scelte. I diversi uffici del Partito comunista furono riorganizzati; tale riforma burocratica fece seguito alla campagna contro la corruzione; in tal modo la corrente ''riformista'' riuscì a epurare i radicali di sinistra. Durante lo stesso anno si sottolineò l'importanza di vigilare contro la ''corruzione dall'estero'' e continuarono i processi contro persone accusate di far parte della ''banda dei quattro'' o della ''cricca di Lin Biao''.

Nel settembre 1982 si svolse a Pechino il 12° Congresso del Partito comunista, che approvò la bozza della nuova costituzione del partito in sostituzione di quella del 1977; si abolì la carica di presidente del partito, mentre fu rafforzata quella di segretario generale. Nel novembre 1982 la quinta sessione del Congresso nazionale del popolo approvò il sesto piano quinquennale e una nuova legge elettorale. Il nuovo piano quinquennale sottolineava l'importanza di uno stretto controllo sugli investimenti, sull'incremento dell'efficienza delle operazioni, sullo sviluppo tecnologico e, infine, sulla necessità di ristrutturare il sistema economico al fine di migliorare i risultati economici e poter raggiungere la modernizzazione socialista.

Nel giugno 1982 era stato eletto presidente della Repubblica Li Xiannian, un comandante militare che aveva partecipato alla Lunga Marcia negli anni 1934-35, e vicepresidente il generale Ulanfu, un mongolo che aveva aderito al partito fin dal 1925 ed era stato governatore della Mongolia interna. A distanza di due anni dalla loro emissione, le sentenze che condannavano alla pena capitale la vedova di Mao, Jian Qing, e l'antico vicepresidente Zhang Chunqiao, vennero commutate nell'ergastolo (gennaio 1983).

Nel corso dell'anno fu lanciata la campagna contro il cosiddetto ''inquinamento spirituale'', derivante dai maggiori contatti che la C. stava avendo con il mondo occidentale; in particolar modo vennero segnalati i pericoli della musica ''decadente'', della pornografia e dell'individualismo borghese; criticate erano anche altre ideologie occidentali quali l'esistenzialismo e persino la fantascienza. Ciò determinò una maggiore censura sulle pubblicazioni e sulla produzione cinematografica. Si parlò quasi di una seconda rivoluzione culturale, ma, in realtà, la campagna fu effettuata per rendere più accettabile l'epurazione di elementi di sinistra, soprattutto nelle province. In campo economico, a partire dal marzo 1984, fu ristabilito un più stretto controllo da parte del governo sul commercio estero, indebolendo la precedente decentralizzazione che aveva favorito casi di corruzione a livello locale.

Nell'ottobre 1984 il Comitato centrale del Partito comunista approvò un piano di riforme economiche tendenti a rafforzare il settore industriale urbano, con mezzi simili a quelli usati nel 1978 per il settore rurale. Era il riconoscimento di un'inefficienza per il periodo precedente, quando c'era stata confusione fra le funzioni del governo e quelle delle singole imprese. Il 10 aprile 1985 il Congresso nazionale del popolo ratificò l'accordo fra la C. e la Gran Bretagna che prevedeva il ritorno di Hong Kong alla madrepatria nel 1997 e garanzie di regime diverso per la colonia inglese per un cinquantennio.

Continuarono le discussioni ideologiche, causate da un editoriale del Quotidiano del Popolo del 7 dicembre 1984, secondo il quale le idee di Marx e Lenin erano superate e "non si dovevano avere atteggiamenti dogmatici nei confronti del marxismo". Verso la fine del 1985, si andarono affermando le tendenze allo sganciamento da un tipo di centralizzazione economica in favore di un riemergere delle forze di mercato e delle imprese individuali. All'inizio del 1986 sembrò diminuire la presenza di Deng Xiaoping, che nel marzo dello stesso anno annunziò pubblicamente il desiderio di un suo progressivo ritiro dagli impegni ufficiali. Nella primavera del 1986 la quarta sessione del Consiglio nazionale del popolo si riunì per approvare il settimo piano quinquennale (1986-90). Il Comitato centrale del partito adottò, invece, una risoluzione sull'ideologia: si riconfermava, in essa, la condanna dei sistemi ideologico-sociali capitalisti, l'adesione al marxismo-leninismo, ma si respingeva il concetto di "marxismo quale rigido dogma", in quanto "differenze di opinione possono spesso sorgere sia nel lavoro teorico sia in quello pratico".

Nel marzo 1986 la C. divenne il 47° membro della Banca per lo sviluppo dell'Asia e chiese di poter aderire all'Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT). Dopo le manifestazioni studentesche del dicembre 1986 Hu Yaobang fu accusato di ''liberalismo borghese'' e sostituito alla segreteria del partito da Zhao Ziyang. Nell'ottobre 1987 si riunì a Pechino il 13° Congresso del Partito comunista cinese, caratterizzato dal rapporto di Zhao Ziyang che affermò come "il socialismo con caratteristiche cinesi era il risultato dell'integrazione dei princìpi fondamentali del marxismo con l'impulso alla modernizzazione in Cina". Nella seduta finale del Congresso ci furono notevoli cambiamenti nella direzione del partito: fra coloro che si ritirarono volontariamente ci furono Deng Xiaoping (che avrebbe lasciato l'ultimo suo incarico di presidente della Commissione militare centrale nel marzo 1990) e il presidente Li Xiannian. Lo stesso Zhao Ziyang annunziò, successivamente, il suo desiderio di ritirarsi dal posto di primo ministro, dove fu sostituito da Li Peng.

Il 1987 vide una serie di dimostrazioni nella regione autonoma del Tibet, in particolare a Lhasa, con conseguente invio di rinforzi di polizia da parte cinese; alle proteste dall'India dell'esule Dalai Lama, Deng Xiaoping lo accusò di favorire i disordini in Tibet. Nello stesso anno, a Pechino, si riunì la commissione mista sino-sovietica, che riuscì a raggiungere un accordo di principio sulla questione delle frontiere e sulla riduzione ai confini delle truppe sovietiche.

Nel marzo 1988 Li Peng fu confermato primo ministro dal Consiglio nazionale del popolo, che, fra l'altro, approvò alcune riforme economiche stabilendo una base legale, per es., per le società a capitale misto sino-straniere; vennero reintrodotti i gradi militari, aboliti durante la Rivoluzione culturale. Nel marzo il ministro degli Esteri giapponese Sosuke Uno visitò Pechino per un trattato di investimenti a lungo termine. Dimostrazioni studentesche si svolsero nel giugno a Pechino per criticare la corruzione burocratica, ma se da un lato vennero effettuati arresti, dall'altro furono riabilitati alcuni intellettuali fra cui l'astrofisico Fang Lizhi.

Morì nel gennaio 1989 il Panchen Laman, il secondo capo spirituale dei Tibetani; due mesi dopo, a causa di violente dimostrazioni, venne imposta la legge marziale a Lhasa. In aprile morì Hu Yaobang e i suoi funerali furono l'occasione per gli studenti per iniziare nuove manifestazioni, che continuarono nelle settimane successive; il centro di Pechino fu occupato da decine di migliaia di studenti, che praticarono lo sciopero della fame e inneggiarono alla democrazia, con notevole sostegno da parte della popolazione. Il 15 maggio ebbe inizio l'incontro al vertice cino-sovietico con l'arrivo del segretario generale del Partito comunista sovietico, M. Gorbačëv; mentre si avviarono determinanti discussioni per la riduzione delle truppe, per la cooperazione economica e per accordi in campo internazionale, gli studenti esasperarono le loro agitazioni. Il 20 maggio il governo impose la legge marziale a Pechino e il 5 giugno ebbe inizio una durissima repressione, culminata il giorno successivo nella strage di piazza Tien An Men. Repressione che provocò − secondo taluni osservatori − almeno un migliaio di vittime. Le potenze straniere congelarono la loro politica di apertura verso la Cina. Il 24 giugno Zhao Ziyang che, in una certa misura, aveva appoggiato gli studenti, si dimise da segretario generale del Partito e fu sostituito da Jiang Zemin. L'astrofisico Fang Lizhi si rifugiò nell'ambasciata statunitense. Il 1990 vide alcune concessioni fatte dal governo cinese (per es. il permesso di espatriare a Fang Lizhi) e un atteggiamento diverso, proseguito nel 1991, soprattutto da parte giapponese e statunitense, di non voler isolare la C., ma anzi di riprendere con essa soprattutto i rapporti economici.

Bibl.: M. Sabattini, I movimenti politici della Cina, Roma 1972; E. Masi, Breve storia della Cina contemporanea, Bari 1979; M. Sabattini, P. Santangelo, Storia della Cina, ivi 1986; J. K. Fairbank, The great Chinese revolution: 1800-1985, New York 1986; E. Collotti Pischel, Dietro a Tien An Men. La Cina dopo Mao, Milano 1990; il fascicolo 548 di Current history, settembre 1990; R. Cherrington, China's students. The struggle for democracy, Londra 1991; Reform and reaction in post-Mao China. The road through Tienanmen, a cura di R. Baum, New York-Londra 1991.

Lingua. - Nel 1949, con la fondazione della Repubblica popolare, la definizione di uno standard linguistico si presenta nella C. continentale come esigenza d'importanza vitale ai fini della comunicazione su scala nazionale: la necessità di organizzare la vita economica e sociale di una popolazione che supera i 500 milioni di abitanti, l'80% dei quali analfabeti, impone con urgenza l'effettiva soluzione del problema linguistico. Viene pertanto selezionata, come primo passo, la lingua ufficiale, il putonghua, lingua per certi versi artificiale, basata sulla pronuncia del dialetto di Pechino, sul lessico del dialetto settentrionale e sulla struttura grammaticale della lingua consolidatasi nella produzione letteraria moderna. La scelta del putonghua è motivata dal fatto che il dialetto del Nord, oltre a essere il più semplice dal punto di vista fonologico e il più diffuso, essendo la sua area la più estesa e densamente popolata, è parlato nella regione tradizionalmente considerata centrale in senso politico e culturale. Affinché la norma linguistica fissata nel putonghua possa al più presto diffondersi in tutto il paese, si rivela però prioritario fare della scrittura uno strumento agile e di più rapido apprendimento: la riforma della lingua non può non passare attraverso la riforma della scrittura. Viene così istituito nel 1952 un comitato incaricato di studiare le misure necessarie in vista del duplice obiettivo di semplificare le unità del sistema di scrittura (i caratteri) e di elaborare un sistema di rappresentazione fonetica della lingua. Il lavoro del comitato è recepito dal Consiglio di Stato che nel 1956 approva un elenco di 2236 caratteri, per ciascuno dei quali viene ufficializzata una variante più facilmente memorizzabile in quanto costituita da un numero ridotto di tratti. Successivamente, nel 1958, il Consiglio di Stato adotta il sistema di trascrizione noto come pinyin, costituito da 26 lettere latine. Queste misure si dimostrano frutto di un compromesso tra due direttrici di riforma che da allora in poi continueranno, con sorti alterne, a essere percorse parallelamente: quella dei sostenitori della conservazione del sistema di scrittura tradizionale e quella dei fautori della sua sostituzione con un sistema alfabetico.

I primi vedono nel mantenimento del sistema di scrittura non fonetico, in una fase in cui uno standard orale è ancora ben lontano dall'essere raggiunto, la salvaguardia dell'unità, non solo linguistica, del paese. Essi considerano la continuità tra cultura classica e cultura contemporanea, salvaguardata dal sistema di scrittura, garanzia della conservazione dell'identità nazionale, e valutano l'adozione dell'alfabeto latino una sorta di capitolazione di fronte a una nuova forma di colonizzazione, questa volta culturale, da parte dell'Occidente. I loro oppositori sono invece convinti che la diffusione di una scrittura alfabetica possa accelerare il processo di acquisizione dell'unità linguistica, e che il sistema di scrittura tradizionale sia una pesante remora allo sviluppo tecnologico e sociale della nazione. Non è difficile intendere come le argomentazioni ''tecniche'' celino in realtà un dissidio alla cui base stanno linee politiche e progetti di sviluppo di segno contrario.

Le alterne fortune del pinyin nel successivo trentennio sono di fatto il riflesso diretto del variare degli equilibri di forze all'interno del gruppo dirigente cinese. A un primo decennio di applicazione del pinyin nel campo dell'istruzione elementare e nella lotta contro l'analfabetismo (il cui tasso, del 35% nel 1964, scenderà al 23% nel 1982), segue una battuta d'arresto in concomitanza con la Rivoluzione culturale e la politica di chiusura allora portata avanti. I mutamenti negli equilibri politici verificatisi agli inizi degli anni Settanta, che rendono possibile l'avvio di relazioni diplomatiche con i paesi occidentali, determinano anche un rilancio del pinyin, senza dubbio più rispondente dei caratteri all'applicazione in settori, quali quello delle comunicazioni internazionali e dell'informatica, divenuti d'interesse primario.

Come testimonia l'emanazione, nel 1977, di un secondo elenco di caratteri semplificati che viene presto accantonato in attesa di "ulteriori perfezionamenti", la crescente apertura a tutti i livelli della C. all'Occidente contribuisce a dare sempre maggior forza ai fautori della riforma della scrittura in senso alfabetico. In questo un ruolo non irrilevante è esercitato dall'ONU nel 1979: la decisione di adottare il pinyin per la trascrizione dei termini cinesi nei testi che utilizzino l'alfabeto latino, subito recepita dalla gran parte della stampa occidentale, non può non tradursi in una decisa sollecitazione a precisarne con maggior chiarezza le regole d'uso. Negli anni Ottanta il dibattito in tema di politica linguistica si focalizza quindi sull'opportunità di definire un complesso di norme ortografiche da affiancare al pinyin, con il fine di trasformarlo da semplice sistema di trascrizione a effettivo sistema di scrittura. Ciò nella consapevolezza, tuttavia, che tale processo potrà essere portato a compimento solo quando una pratica ampia e prolungata della nuova scrittura avrà trasformato le norme ortografiche in vere e proprie convenzioni d'uso e avrà sviluppato un nuovo stile scritto tanto diverso dall'attuale quanto diversa sarà la nuova scrittura.

Bibl.: J. De Francis, Language and script reform, in Current Trends in Linguistics, vol. ii: Linguistics in East Asia and South East Asia, a cura di Th. Sebeok, L'Aia 1967, pp. 130-50; P. Kratochvil, The Chinese language today, Londra 1968; C. Milsky, Préparation de la réforme de l'écriture en République populaire de Chine. 1949-1954, L'Aia 1974; W. Lehman, Language and linguistics in the People's Republic of China, Austin 1975; D. Barnes, National language planning in China, in Language Planning in Process, a cura di J. Rubin, L'Aia 1977, pp. 255-73; Language reform in China, a cura di P. Seybolt e G. Kuei-ke Chiang, New York 1979; L. Bressan, La determinazione delle norme ortografiche del pinyin, Napoli 1986; R. Ramsey, The languages of China, Princeton 1987; J. Norman, Chinese, Cambridge 1988.

Letteratura. - A partire dalla metà degli anni Settanta, la letteratura cinese ha compiuto una svolta particolarmente interessante. Con l'allontanamento dalla dirigenza e la condanna della cosiddetta ''banda dei quattro'' (1976) cominciano a manifestarsi nuove tendenze, sempre sperimentali, ma non più necessariamente legate al modello del realismo socialista.

Fra i primi è Liu Xin-wu, autore di racconti, protagonisti dei quali sono, per es., giovani che sono vissuti e hanno operato al di fuori del consorzio sociale; fra i racconti va ricordato L'insegnante; Liu Xin-wu è stato un caposcuola della nuova narrativa, che ha visto formarsi attorno a lui il cosiddetto ''gruppo della spiaggia''. Nel 1978 il concorso nazionale per un racconto fu vinto da una scrittrice esordiente, Zhang Jie; studiosa di favolistica occidentale, dai fratelli Grimm ad Andersen a Krylov, è nota in Italia per la raccolta intitolata Mandarini cinesi (1987), che comprende un'antologia dei suoi racconti più rappresentativi.

Nell'autunno 1979 si svolge a Pechino il 4° Congresso degli scrittori e artisti cinesi, con la partecipazione di oltre tremila delegati, tra cui rappresentanti della vecchia generazione quali Mao Dun, Ba-jin, Zhou Yang, giovanissimi autori e, infine, personaggi che in passato erano stati violentemente criticati, come Ding Ling, Ai Qing, Emi Xiao, Wang Meng. Il congresso è salutato come l'inizio di una "nuova lunga marcia" nella letteratura socialista cinese e come la "primavera della letteratura e dell'arte". Fra gli imperativi categorici è presente quello di "lottare contro le idee e le abitudini che impediscono la modernizzazione"; gli scrittori debbono avere piena libertà di scelta dei loro argomenti e del metodo di presentare gli stessi, senza alcuna interferenza. Zhou Yang, uno dei massimi esponenti della federazione dei circoli letterari, afferma in tale congresso che, dopo lunghi anni di silenzio, la poesia rivoluzionaria torna a esprimere sentimenti popolari; ogni scrittore dev'essere libero su cosa e come scrivere; discussioni e dibattiti su opinioni differenti debbono essere incoraggiate.

Wang Meng (n. 1934), futuro ministro della Cultura popolare, esorta i giovani appena usciti dalla drammatica esperienza della cosiddetta ''rivoluzione culturale'' a esplorare e prepararsi a sviluppare e migliorare la letteratura e l'arte contemporanea, cercando di ottenere un giusto equilibrio fra realismo e immaginazione. Il suo romanzo più noto s'intitola Huodong bian ren xing (1986; trad. it., Figure intercambiabili, 1989).

Dibattiti si sviluppano fra chi tende a un'assoluta fedeltà alle direttive politiche e chi cerca forme espressive più libere. Nel 1980 un famoso attore cinematografico, Zhao Tan, ha sostenuto che "controlli rigidi riescono a rovinare sia la letteratura che l'arte", in quanto "fin dai tempi antichi onorare una sola scuola di pensiero e ignorare le altre cento non ha mai portato a una fioritura artistica o letteraria"; dichiarazioni di questo genere sono il segnale che i tempi sono ormai cambiati.

Gli studi comparati di letterature straniere hanno un grande sviluppo. Lo stesso fervore di traduzioni che si era visto nel primo ventennio del secolo si va ripetendo fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Uno scrittore che molto ha letto sia della letteratura cinese sia di quella occidentale è Gu Hua (pseudonimo di Luo Hongyu, n. 1942), autore di romanzi e di una raccolta di novelle, She wang zhi si (1985; trad. it., La morte del re dei serpenti, 1988); ironia e sarcasmo ne fanno uno degli autori più originali del periodo successivo alla ''Rivoluzione culturale''.

Un vecchio scrittore come Ba-jin, partecipando, nel maggio 1984, al 47° Congresso internazionale del Pen Club, si pone il problema della letteratura dell'età nucleare e del perché si debba scrivere: le opere letterarie, che non dovrebbero ispirarsi al pessimismo, avrebbero lo scopo di contribuire all'edificazione di una civiltà futura, caratterizzata dalla pace e dallo sviluppo tecnologico. La C. attraversa un momento di apertura con l'estero e i massimi esponenti in campo letterario servono a tale scopo. Nel 1985 si svolge il 5° Congresso degli scrittori cinesi. Il problema della libertà letteraria viene ancora una volta affrontato; si discute sulle garanzie che la società deve assicurare agli scrittori per lo sviluppo delle loro opere, ma sempre nell'ambito di una letteratura socialista. Si considerano vari aspetti della produzione letteraria successiva al 1976; si parla di opere introspettive, dette anche ''letteratura sofferta''; in esse si descrivono per lo più i complessi problemi delle relazioni personali in una società che sta profondamente trasformandosi. A tale tipo di letteratura appartengono opere di autori quali Gu Hua, Wang Meng e altri. Altro tema ricorrente è quello delle riforme sociali.

Nel novembre 1986 si svolge a Shanghai la 6ª Conferenza internazionale sulla letteratura cinese contemporanea, con la partecipazione di molti esperti stranieri; per la prima volta le problematiche della produzione letteraria cinese contemporanea, le relazioni con le altre letterature e il problema del realismo vengono prospettati da diversi punti di vista. Anche se, a detta degli stessi critici letterari cinesi, circa il 50% della produzione s'ispira alle riforme economiche e agli sforzi per la modernizzazione del paese, non sono mancate sperimentazioni di nuovi temi, forme e tecniche. Questo soprattutto in poesia, dove alla ricerca di varietà formali si accompagna l'interesse per quanto sta avvenendo oggi in Cina.

La letteratura cinese sta ancora vivendo una fase di transizione, ma ha raggiunto la consapevolezza di non essere isolata dal resto del mondo, bensì di farne parte, anche se con caratteristiche proprie.

Archeologia. - L'archeologia ha portato a ulteriori scoperte in C. nel corso dell'ultimo decennio. Scavi condotti a Shi-hui-pa, nella provincia dello Yunnan, hanno portato alla luce nel 1980 i resti di un cranio di un ramapithecus, una scimmia che sarebbe vissuta 6 milioni di anni fa. I più antichi ritrovamenti del primo Neolitico sono stati effettuati a He-mu-du, nella provincia dello Zhejiang, dove, fra il 1977 e il 1978, sono apparsi i resti di una cultura risalente a 7000 anni orsono. Alcune migliaia di reperti sono state scoperte in un sito in cui si trovava un villaggio preistorico di abitazioni lignee nei pressi di un lago: fra gli oggetti ritrovati, terrecotte grige e nere, con incise figure di animali o piante; ossa e oggetti lignei incisi; zappe ricavate da ossa di animali; resti di piante (riso, zucche, meloni) e di animali (cani, maiali, bufali, tartarughe, cervi). La datazione al 5° millennio a.C. è stata fornita da esami al radiocarbonio. Nel 1978, nello stesso sito di He-mudu è stato dissotterrato un remo di legno duro, fatto di un solo pezzo, che ha la stessa foggia dei remi ancor oggi usati nella C. meridionale, fatti però non di un solo blocco; esso presenta una decorazione a linee orizzontali e diagonali. Il ritrovamento fa risalire la storia della navigazione in C. a circa 7000 anni fa, come dimostrato dal carbonio 14.

Sono continuati gli scavi nel territorio di Zhong-shan, a sud-ovest di Pechino, nella provincia dell'Hebei, nella grande piana del Fiume Giallo. Si estendeva in tale zona, all'epoca del periodo detto degli ''Stati Combattenti'' (475-221 a.C.), il regno di Zhong-shan. Fra il 1974 e il 1978 sono state aperte una trentina di tombe, dissotterrati resti di mura e di edifici, portati alla luce oltre 19.000 reperti.

Nelle tombe regali molti gli oggetti in bronzo: fra essi, grandi insegne a forma del carattere shan (montagna), vasi sacrificali, bottiglie, armi, una pianta in bronzo dei mausolei reali, un'ascia portante un'iscrizione che recita: "il paese è stato fondato dal Figlio del Cielo, duca di Zhong-shan". Alcuni bronzi raffiguranti animali reali o fantastici (tigri, bovini, rinoceronti, chimere) presentano incrostazioni di oro e di argento. Su oltre 2000 reperti in bronzo, circa un centinaio presentano iscrizioni, che possono raggiungere sino a 450 caratteri. Il ritrovamento di tale sito ha permesso di ricostruire e di controllare la storia di uno stato feudale che era noto soltanto attraverso una documentazione letteraria.

Sempre nel 1978 una tomba del primo periodo degli ''Stati Combattenti'' è stata aperta a Lei-ku-dun, nella provincia dell'Hubei. Doveva appartenere a un feudatario molto ricco; ventitré erano le bare contenenti i resti di persone sepolte dopo essere state sacrificate per accompagnare nell'oltretomba il feudatario; la bara più piccola conteneva i resti di un cane.

Nel ricco corredo funerario vanno segnalati 124 strumenti musicali di otto tipi diversi, fra cui campane e pietre sonore; molti gli oggetti di bronzo che, assieme agli strumenti musicali, hanno permesso di chiarire alcuni problemi relativi alle cerimonie e alla musica del periodo degli ''Stati Combattenti''. Una delle camere di tale tomba è stata definita un arsenale dagli archeologi cinesi, in quanto conteneva migliaia di daghe, lance, alabarde, scudi, armature: soltanto le punte di freccia in bronzo ivi ritrovate erano più di 3000. Ma il corredo funerario era ricco anche di oggetti in giada per usi cerimoniali, in legno e in lacca. Di un certo interesse un numero elevato di strisce di bambù, su cui sono riportate iscrizioni elencanti il numero degli oggetti sepolti. Lo scavo di tale tomba ha fornito dati preziosi per lo studio della storia, dell'economia, della tecnologia della C. di tale periodo.

Ulteriori scoperte sono avvenute nei pressi di Xi'an,dove nel 1974 era stato dissotterrato l'esercito di guerrieri e cavalli a guardia della tomba del Primo Augusto Imperatore, Qin Shi Huangdi (221-207 a.C.). Nel 1980 sono stati ritrovati altri due gruppi di reperti: carri di guerra di bronzo, con cavalli e aurighi ugualmente dello stesso materiale; ogni gruppo è formato da un carro, un auriga e quattro cavalli. Questi ultimi hanno sulla testa ornamenti in oro, argento e rame. Nel 1979, su alcune montagne della regione autonoma della Mongolia Interna, sono state ritrovate parecchie centinaia di graffiti rupestri raffiguranti animali, scene di guerra e di migrazioni, immagini cultuali; gli archeologi cinesi ritengono che siano state incise con punte metalliche e le datano dalla remota età del Bronzo sino agli ultimi secoli.

L'archeologia cinese, incoraggiata dalla classe politica, è oggi, sia per le tecniche di scavo sia per la conservazione dei reperti, a un buon livello, com'è apparso in numerose mostre svoltesi in Europa, Stati Uniti e Giappone negli ultimi anni. I rapporti di scavo sono regolarmente pubblicati a cura dell'Istituto di archeologia dell'Accademia cinese di scienze sociali, o di istituzioni locali. Vedi tav. f.t.

Architettura. - Gli anni Settanta vedono il ritorno ai valori dell'architettura tradizionale, con il distacco dalla tipologia degli austeri edifici echeggianti uno stile occidentale, seppur spoglio da qualsiasi decorazione. Questi edifici furono molto criticati, sia dal pubblico che dalla maggioranza degli architetti cinesi, per la loro anonimità e monotonia.

Si cercarono quindi nuove vie per creare un linguaggio architettonico che si potesse identificare con i singoli luoghi e con le loro tradizioni storiche: in sostanza, una nuova coscienza espressiva entra nel linguaggio dell'architettura cinese contemporanea.

Il primo esempio di questa nuova corrente risale al 1964: è il Kuangquan Hotel dell'architetto Mo Bozhi, a Guangzhou (del Guangzhou Institute of Architectural Design, di cui Mo Bozhi era a capo) che segna il primo ritorno alla tradizione dal 1949 in poi, e in cui si trovano tutte le caratteristiche dell'architettura vernacolare cinese: cortili, laghi, ponti, compenetrazione tra spazi interni ed esterni.

Nell'Eastern Hotel (1973) e nel Bayun Hotel (1976), progettati rispettivamente dal Guangzhou Municipal Planning Bureau e dal Guangzhou Institute of Architectural Design (entrambi a Guangzhou), si notano gli stessi tentativi d'integrazione tra paesaggi ed edifici.

Gli studi di Pan Zhengfan (1982) per il centro storico della vecchia città di Huaian, e quelli per la conservazione e il restauro dei centri urbani, nonché per l'insediamento di nuovi edifici in ambienti antichi di Zhu Zinan e Qu Zhenliang (1984), sono testimoni di questa corrente di ricerca per un nuovo linguaggio basato sulla tradizione. Anche l'architettura e la pianificazione rurale risentono di questa ricerca paesistica e ambientale ispirata a vernacoli locali (nuovo villaggio sperimentale di Shexian, 1983; case rurali di Zong Jinguang).

Del pari è oggetto di revisione l'architettura residenziale nelle grandi città, improntata a una scala più umana (case di abitazione a Shanghai, 1987, di Zhen Suibui; a Pechino, di Zhu Zinan, 1981, e di Zong Jinguan, 1984).

Senza dubbio il più conosciuto tra gli architetti sostenitori di un autentico linguaggio figurativo cinese è l'architetto cinoamericano I. M. Pei, che all'inizio degli anni Ottanta ha progettato il Xiangshan Hotel a Pechino. Quest'opera riflette il suo interesse per i valori tradizionali dell'architettura cinese, come si può constatare nel raggruppamento spaziale dei giardini e dei cortili, nonché dai particolari decorativi delle facciate che rievocano segni caratteristici dell'epoca Tang.

Dalle stesse parole di I. M. Pei (in Architects Journal of Peking, 6, 1981) si può riassumere la filosofia, non solo di Pei, ma di Mo Bozhi, Xian Gao yuan, Lin Zhaohang, degli istituti di architettura di Pechino, Shanghai, Nanchino, Guangzhou, del Guangzhou Municipal Planning Bureau e del famoso Institute of Architectural Design of the South China Institute of Technology: "Noi Cinesi dobbiamo creare uno stile nostro. È stato uno dei miei obiettivi vedere come la nostra storia, la nostra cultura, la nostra tradizione possano essere riflesse nell'architettura che sto progettando per il Xiangshan Hotel. Io credo che il Xiangshan Hotel è sul giusto cammino, ma la strada principale si deve ancora scoprire... Forse un periodo di studio e di sperimentazione è necessario. La nostra architettura tradizionale come le tombe dei Ming, i palazzi imperiali, i giardini di Suzhou, è bella e raffinata, ma noi non possiamo fare le stesse cose, poiché sono in contraddizione con la vita contemporanea, la presente economia, la realtà sociopolitica. Copiare ciecamente è un errore grossolano, ma ciò non vuol dire che non c'è nulla che non possiamo apprendere. La natura, come quella di Xianshan, è così bella, con scenari diversi durante l'anno. L'architettura non può competere con la natura, ma può aumentare la bellezza della natura. I Cinesi hanno sempre guardato alla natura in modo diverso da quello di altri popoli, come i paesaggisti francesi o inglesi. I Cinesi preferiscono scenari più naturali e pittoreschi. Forse questo ha a che vedere con il carattere modesto del popolo cinese. Il giardino cinese è unico, con i suoi spazi chiusi e aperti che s'intrecciano, come se si volesse racchiudere il cosmo in un giardino. L'uso delle pietre del lago Taihu, nel Sud, e quello del granito, nel Nord, è tipico del nostro mondo. La sintesi tra paesaggio e architettura ci guiderà verso nuove idee. Questo dev'essere incoraggiato e promosso".

In parallelo a questa corrente di opere influenzate dalla tradizione e dalla ricerca dei valori ambientali, si debbono ricordare gli interventi di edilizia civile a grande scala, d'impronta decisamente occidentale, come la stazione ferroviaria di Lanzhou (1978), gli edifici aeroportuali di Hangzhou (1971) e di Urumqi (1973), progettati rispettivamente dal Zheijiang Provincial Institute of Architectural Design e dal Design Office of the Building Department Xinjiang, e ancora il Wutaishan Gymnasium di Nanchino (1975), del Nanjing Institute of Technology, e infine il Memorial Hall di Mao Zedong (l'ultimo dei grandiosi edifici di Piazza Tien An Men) del 1977, del Beijing Institute of Architectural Design, il palazzo dei Congressi del Xinjiang People a Urumqi, di Sun Guo Cheng (1984), l'Emergency Medical Care Centre (1986), a Pechino, di Zhou Lida, il Globe Shopping Centre (1986), a Benxei, di Tang Jishan, e altri.

È da ricordare il contributo che architetti e ditte straniere hanno apportato allo sviluppo dell'architettura cinese contemporanea. Tra questi emergono gli americani C. Chen & Associates (San Francisco, USA) con il Jianguo Hotel a Pechino (1982), esempio di una collaborazione cino-americana, in idioma post moderno, con dettagli tradizionali e paesaggistici echeggianti l'architettura del Sud Yangtse. Inoltre la Becket International, USA, con il Great Wall Hotel a Pechino (1984), edificio di 24 piani, nel linguaggio dell'architettura internazionale contemporanea; e ancora Palmer & Turner con il Jingling Hotel, Nanchino (1983), edificio di 37 piani, anch'esso improntato a un linguaggio internazionale, seppur temperato dall'elemento paesaggistico e ambientale, stile Sud Yangtse.

Sempre nell'edilizia alberghiera, che tanto sviluppo ha avuto durante gli ultimi dieci anni, va ricordata l'opera di architetti cinesi, come Mo Bozhi, Xian Gao yuan, e altri, la cui opera s'identifica con quella corporativa degli istituti di architettura in cui essi operano, come il China Institute of Architectural Design, con il Longbai Hotel di Shanghai (1982), il Guangzhou Municipal Planning Bureau, con il Bayoun, e il White Swan Hotel, a Guangzhou, rispettivamente del 1976 e del 1983. Vanno infine menzionate le riviste di architettura e urbanistica come The Architects (1979) e World Architecture (1980), che insieme ad altre riviste universitarie minori, e a quelle pubblicate dalle società di architettura, si uniscono al famoso Architects Journal pubblicato in C. fin dal 1953, per formare un gruppo culturale inteso a colmare il ponte tra la cultura cinese e quella occidentale.

Bibl.: H. K. Murphy, Chinese architecture in China, Berkeley-Los Angeles 1946; The Academy of Building Research, Ten years of chinese architecture, Nanchino 1959; Editorial Board of the Chinese Architectural History, A brief history of chinese architecture, vol. ii, Pechino 1962; B. Fletcher, History of architecture, ediz. riveduta da J. C. Palmes, New York 197518; The Academy of Building Research, New China builds, Nanchino 1976; I. M. Pei, Talks on Chinese architecture, in Architectural Journal (1981), 6; P. Zhengfan, Conservation plans for the historical city of Huaian, ibid. (1988), 1; Z. Zinan, New approach to preservation and remoulding of old cities, ibid. (1988), 3.

Cinema. - A Shanghai, città cosmopolita aperta alle innovazioni provenienti dall'esterno, la prima proiezione pubblica di un film è avvenuta nel 1896. Si trattava ovviamente di una produzione straniera, così come per alcuni anni ancora le opere distribuite nel paese non saranno cinesi. Il primo film nazionale di cui si ha notizia è Dingjunshan ("Il monte Ding yun") di Ren Jingfeng, girato nel 1905 presso gli studi fotografici Fengtai di Pechino.

È nella capitale cinese che si sviluppa l'industria cinematografica e sorgono alcune sale stabili, sostitute dei baracconi collocati nei parchi durante le feste nazionali o religiose. L'industria cresce rapidamente, anche se soltanto nel 1913 viene prodotto il primo lungometraggio, Nanfu Nanqi ("Un colpo sfortunato"), firmato da Zhan Shichuan, un poliedrico cineasta a cui si devono il passaggio al sonoro con il film Genu Hongmudan ("La cantatrice Hong", 1930) e la creazione di una società di produzione, la Mingxing, che dal 1922 in poi realizza alcuni tra i più grandi successi del periodo muto. Drammi sociali, amori infelici, orfani abbandonati e innamorati traditi sono l'oggetto privilegiato del cinema cinese degli anni Venti, un cinema fortemente impregnato di letteratura rosa − quella ''alta'' dei romanzi classici e quella ''bassa'' dei giornali femminili − in cui non appaiono mai contadini e operai, ma esclusivamente i Cinesi della borghesia e gli intellettuali appartenenti alla classe dirigente. Nella produzione si avvertono inoltre le influenze straniere, in primo luogo americane. Numerose le comiche alla Laurel e Hardy e le commedie brillanti alla Lubitsch, di cui si può leggere un tentativo d'imitazione nel cinema di Li Pingqian.

La censura istituita dal governo di Chang Kai-shek il 1° gennaio 1930 frena lo sviluppo del cinema cinese. Un gruppo di cineasti di sinistra, tra i quali Hong Shon e Situ Huimin, si oppone al governo denunciando la grave crisi in cui sta cadendo l'industria, sempre più aperta a finanziamenti esteri, in special modo statunitensi. Nonostante gli sforzi, la situazione si aggrava e finisce col precipitare a causa dell'occupazione giapponese di Shanghai avvenuta tra il 1931 e il 1932: molti studi sono chiusi e la metà delle sale della città distrutte. La condizione politica produce tuttavia esiti qualitativamente positivi: per la prima volta nel cinema cinese vengono affrontati i temi sociali. In Chuncan (1933) e Kuong liu ("Il torrente selvaggio", 1933), di Cheng Buao, fanno la loro comparsa i contadini e nel biennio successivo si realizzano opere incentrate su figure di donne e di operai.

Il clima di terrore raggiunge il culmine nel 1937, anno in cui molti cineasti si rifugiano a Hong Kong, senza per questo rinunciare a produrre, come testimoniano le opere di Cai Chusheng. I registi rimasti in patria si riuniscono dapprima in compagnie teatrali e in seguito fondano delle società di produzione in provincia, lontano dallo stretto controllo delle autorità giapponesi. Particolarmente attivi gli studi del Nord Est e quelli della città di Yan'an, dove tra il 1938 e il 1947 sono prodotti una ventina di film e numerosi documentari che hanno oggi un considerevole valore storico. Attraverso i loro film i registi del Nord Est esaltano lo spirito nazionale e ribadiscono la necessità di opporsi al dominio giapponese.

Quando nel 1949 nasce la Repubblica popolare cinese, il primo passo del governo di Mao è quello di istituire due uffici responsabili della cinematografia, uno dipendente dal ministero della Cultura e uno direttamente dalla sezione propaganda del comitato centrale del partito. Entrambe le istituzioni denunciano ben presto la loro funzione di controllo, pur dando notevole impulso all'industria. Seguendo l'idea di Mao per cui il cinema, come le altre arti, è prima di tutto un mezzo di propaganda, gli uffici cinematografici iniziano un'opera di potenziamento delle strutture produttive e distributive che da allora non si è più fermata. Dal 1950 al 1980 si moltiplicano le sale sparse in tutto il paese, che da circa 2200 salgono a 120.000; lo stesso trentennio vede una crescita quasi esponenziale degli spettatori: da 600 milioni a 25 miliardi.

A tale sviluppo tecnico e industriale non corrisponde un libero sviluppo delle idee. Il 75% dei film realizzati, sottoposti a una rigida censura, hanno per tema la rivoluzione e la costruzione della società socialista. Il progressivo stato di repressione ha il suo culmine a metà degli anni Sessanta, quando due film vengono pubblicamente accusati di appoggiare l'ideologia piccolo borghese a danno della lotta di classe. Zaochun eryue ("Primavera precoce", 1963) di Xie Tieli e Beiguo jiangnan ("A nord delle terre fertili", 1963) di Shen Fu vengono messi al bando, e i responsabili per la cinematografia, rei di non averli censurati, destituiti.

Quelli che seguono sono anni bui, durante i quali la produzione è controllata dalla moglie di Mao, Jiang Qing, una ex attrice che non lascia alcuna iniziativa ai registi, costretti a muoversi entro ambiti ben definiti. La situazione non migliora dopo la caduta di Jiang Qing, nel 1976, anche perché sotto il suo regime i cineasti di maggior talento erano stati perseguitati e molti erano morti in carcere; il cinema quindi si trova senza forze nuove su cui contare.

La ripresa si avvia lenta, ma già nel 1976 un tentativo di rinnovamento è segnato dal fatto che l'Associazione dei cineasti torna a riunirsi mentre si riaprono le scuole di cinema. A partire dal 1978 la C. partecipa a numerosi festival in tutto il mondo: un'occasione per i cineasti cinesi di conoscere e stabilire rapporti con le più diverse realtà cinematografiche. Gli stimoli di rinnovamento danno presto i loro frutti. Il 1982 segna la nascita di una nouvelle vague animata in larga parte da quella generazione di giovani registi diplomatisi dopo la Rivoluzione culturale all'Accademia di cinematografia di Pechino. Le opere dei cosiddetti ''registi della quinta generazione'', quasi tutti trentenni, sono riconducibili a un'estetica comune che ha i suoi punti di forza nella ricerca di una trasgressione operata in termini sia espressivi sia tematici. Atteggiamento che ha creato a volte non pochi problemi, tanto che diversi film sono stati rimontati perché troppo fuori linea rispetto ai princìpi della Rivoluzione culturale. Tra i registi i cui nomi hanno ormai oltrepassato i confini nazionali, Zhang Junzhao, Wu Ziniu, Huang Jiianxin, e soprattutto Chen Kaige, autore di Huang tudi ("Terra gialla", 1984), Dayuebing ("La grande rivista militare", 1986) e Hai zi wuang ("Il re dei bambini", 1988), tre film presentati in vari festival, ovunque accolti con grande favore.

Bibl.: Ombre elettriche, Milano 1982; Il nuovo cinema cinese, a cura di M. Muller, Quaderno della Mostra Internazione del Nuovo Cinema, Venezia 1986.

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