CIMITERO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1993)

CIMITERO

M.A. Lala Comneno

Il termine c. indica il luogo deputato alla sepoltura e lo spazio a essa destinato, subdiale o sotterraneo.Derivata dal gr. ϰοιμάω, 'addormentarsi', la parola coemeterium esprime con efficacia il concetto cristiano di tomba intesa quale luogo di riposo in attesa di un immancabile risveglio nella risurrezione dal sonno della morte e in questo senso essa fu impiegata già all'inizio del sec. 3° da Tertulliano (De anima, 51; PL, II, coll. 736-738) e da Ippolito (Apostolica traditio, 40; SC, XI bis, 1984, p. 122), per divenire abituale nella letteratura cristiana dei secc. 4°-5° (per es. Eusebio di Cesarea, Hist. eccl., VII, 11-13, PG, XX, coll. 662-675; Giovanni Crisostomo, In coemeterii appellationem, ivi, XLIX, col. 393).Se a Roma e in genere in Occidente in età paleocristiana il c. indicava l'intera area sepolcrale, in Grecia e in Asia Minore il termine viene spesso riferito invece a una singola tomba (come per es. in alcune iscrizioni dei secc. 3°-7° in Macedonia e in Frigia); in Africa gli spazi cimiteriali erano detti areae oppure accubitoria; denominazioni generiche di campi funerari furono anche hortus, agellus, cenotaphius e in Oriente tópos, heróon, mneméion; a partire dal sec. 4° le stesse basiliche funerarie vengono dette talvolta coemeteria, come è testimoniato dalle biografie dei papi Marco (336), Giulio I (337-352) e Adriano I (772-795) nel Liber Pontificalis. Caratteristici di alcune regioni furono i c. sotterranei - a sviluppo longitudinale, talora notevolissimo, ove la natura del terreno lo rendeva possibile (in particolare a Roma, ma anche in Campania, Sicilia, Malta, ad Adrumetum in Africa settentrionale, in Palestina) - all'interno dei quali ciascuna tomba, singola o plurima (arcosolia, formae, pilae, locus, quest'ultimo definito monosomus, bisomus, trisomus, quadrisomus, poliandron), e ogni spazio destinato a contenerla (cryptae, arenariae, cubicula), erano designati da termini appropriati; questi c. sono comunemente chiamati catacombe, ma tale denominazione - che non sembra essere testimoniata prima del sec. 9° a Napoli - fu ricorrente solo a partire dal sec. 16°, quando iniziò la loro riscoperta da parte di umanisti, come Antonio Bosio e Cesare Baronio, i quali estesero a tutti i c. romani il toponimo ad catacumbas che in età antica designava l'avvallamento situato sulla via Appia, tra il circo di Massenzio e la basilica di S. Sebastiano, passato poi al sepolcreto sotterraneo ivi sorto nella metà del sec. 3° e rimasto accessibile durante tutto il Medioevo.In età tardoantica i luoghi di sepoltura, in osservanza delle leggi romane (Codex Theodosianus, IX, 17, 6; Codex Iustinianeus, I, 2, 2), furono ubicati al di fuori dell'abitato urbano, i cui confini erano giuridicamente stabiliti dalla linea del pomerio. In Oriente la consuetudine di seppellire extra muros - spesso ai lati di strade, come per es. a Korykos in Cilicia, attorno a una basilica cimiteriale lungo la 'via sacra' a N della città - viene per lo più osservata fino al sec. 7°, quando divengono più frequenti le tombe all'interno o a ridosso di chiese e oratori, fino ad allora riservate al clero o all'aristocrazia, mentre solo all'epoca di Leone IV (886-912) viene consentito l'insediamento di c. entro l'area urbana.L'ubicazione al di fuori delle mura dei c. cristiani - benché siano presenti sia eccezioni sia casi dubbi, per i limiti non chiari delle città tardoantiche - può essere legata vuoi alla continuazione d'uso di aree sepolcrali precedenti, con l'impiego di una medesima tipologia di tombe e con una progressiva cristianizzazione delle necropoli, simile a quella avvenuta nei quartieri delle città, vuoi alla creazione, fin dall'inizio del sec. 3°, di sepolcreti destinati ai soli cristiani. La trasformazione delle aree funerarie antiche avvenne di pari passo con la cristianizzazione di popolazioni ancora pagane - così che per es. appare ancora 'mista' la necropoli rinvenuta a Poundbury (Dorset), utilizzata fino alla fine del sec. 5° - e comunque in spazi territorialmente distinti da quelli urbani.Il c. sub divo di regola si sviluppava entro limiti definiti da un recinto o individuati da cippi terminali, come è testimoniato in molti casi e in regioni diverse per es. a Concordia, a Salona, in Sardegna a Cornus, nel c. degli Aliscamps ad Arles, in Spagna a Cartagena, Tarragona, Ampurias e in Africa a Tipasa, Cartagine e Cherchel. La superficie del c., oltre che da edifici, in genere privati, per utilizzazione funeraria (v. Cappella; Mausoleo), era occupata per lo più da tombe terragne spesso disposte in file serrate - talvolta le fosse potevano avere rinforzi in lastre, pietra o muratura sui lati e sul fondo - e coperte da tegole di norma disposte a doppio spiovente (c.d. tombe alla cappuccina, come per es. nella vasta necropoli di Timgad in Numidia, utilizzata fino al sec. 6°); per sfruttare intensivamente l'area a disposizione, alcune tombe erano profonde tanto da poter contenere fino a dieci defunti sovrapposti, separati da lastre litiche o fittili, oppure venivano costruiti in muratura ampi sepolcri rettangolari in cui si ponevano più corpi uno accanto all'altro, divisi tra loro da lastre poste verticalmente e ciascuno chiuso da propria copertura (tale fossa veniva detta allora biscadens, tercadens). Sepolture distinte erano quelle in sarcofagi (di marmo, terracotta, piombo, pietra), per lo più disposti, preferibilmente al di sotto di una tettoia, lungo i recinti dei c., dove spesso si aprivano nicchie o arcosoli per accogliere sepolcri. Tombe più umili erano quelle ricavate da frammenti di anfore ravvicinati che avvolgevano il defunto, come per es. nel c. di Tarragona, frequentato fino al 5° secolo. Talora in alcune regioni si diffondono nei c. diverse tipologie di mausolei, come in Siria, dove si trovano spesso ipogei con ingresso monumentale sub divo o con corpo di fabbrica indipendente (Qal῾at Kalota, Ruwayḥa), oppure in Armenia, dove tra il sec. 4° e il 7° l'architettura funeraria determina varie forme sepolcrali, con particolari stele monumentali che affiancano le tombe, come a Ałlc', Ałudi, Ardvi, Ojun.Frequenti - specie in alcune regioni mediterranee come la penisola iberica, l'Africa settentrionale o la Sardegna - sono anche le tombe sormontate da un tumulo semicilindrico o parallelepipedo, spesso intonacato oppure rivestito di marmo o mosaico (numerosi in centri africani come Setif, Tenes, Tipasa, Sfax, dove, oltre l'iscrizione, compare talvolta anche il ritratto del defunto o scene del Vecchio Testamento). Sovente tali tipi di sepolture sono legati a strutture destinate ai banchetti funebri (refrigeria), consuetudine quest'ultima tanto radicata nel mondo antico da essere conservata anche nella pratica funeraria cristiana, sia pur con spirito rinnovato, fino a dover essere perseguita per contenerne gli abusi, testimoniati ancora fino al 7° secolo. Paolino di Nola ricorda per es. il grandioso convito offerto da Pammachio nel 397 a suffragio dell'anima della moglie in S. Pietro in Vaticano (Ep., XIII, 11; PL, LXI, col. 213) e ancora nel 567 un canone del concilio di Tours condannava coloro che cibos mortuis offerunt (Mansi, IX, col. 803). Per queste pratiche funerarie, in molti c. - in particolare in Spagna, Africa settentrionale o in Sardegna, dove esse perdurarono, a Cornus, fino al sec. 7° (ma anche in Dalmazia, Pannonia, Creta, Italia, e qui in particolare nella stessa Roma) - si trovano particolari spazi attrezzati per la celebrazione del refrigerium e dotati di dispositivi per banchetti, pur tipologicamente disparati, formati da mense circolari, semicircolari o a sigma; in alcuni casi le tombe avevano fori comunicanti con l'interno, mentre talvolta le aree destinate ai banchetti funebri inglobavano diverse sepolture, prevedendo quindi riunioni commemorative non limitate a un gruppo ristretto di persone, come nei c. di Tipasa e Matares.Motivo di primaria importanza per lo sviluppo dei c. cristiani fu il formarsi di poli cultuali legati alla presenza delle tombe di martiri, che portò sostanziali modifiche nelle strutture sia dei c. sotterranei sia delle aree funerarie subdiali: la venerazione per il martire provocò attorno alla sua tomba l'addensamento di sepolcri e oratori e successivamente, a partire dal sec. 4°, l'edificazione di aule di culto o di vere e proprie basiliche cimiteriali, all'interno delle quali si concentravano le sepolture, lungo le pareti, negli atri e sotto i pavimenti o in mausolei sorti nelle immediate vicinanze, spesso in relazione con le basiliche stesse. A Roma l'erezione di grandi complessi basilicali voluti da Costantino e dalla sua famiglia, destinati ad accogliere all'interno sepolture e numerosi mausolei, a essi connessi - per es. le grandi basiliche circiformi, con funzione di grandi c. coperti, alcune delle quali utilizzate ancora in età altomedievale (come testimonierebbero i restauri di quella sulla via Labicana intrapresi da Benedetto III nel sec. 9°) o la realizzazione della basilica di S. Pietro, avviata interrando la vasta necropoli vaticana allora ancora in piena attività -, avviò quel processo di monumentalizzazione delle aree cimiteriali suburbane che avrebbe siglato ovunque, sia pur con esiti peculiari, l'intero orbis christianus.A Nola per es. la tomba di s. Felice divenne il nucleo attorno al quale si sviluppò un'ampia area cimiteriale, utilizzata sino al sec 7°, e sorsero numerosi edifici di culto e oratori. Ad Arles il culto di s. Genesio non solo determinò lo sviluppo del c. degli Aliscamps - vasta area funeraria ancora oggi conservata, caratterizzata dalla presenza di innumerevoli sarcofagi litici e dotata di una basilica e di vari oratori tra il sec. 4° e il 6° e di un convento femminile fondato da Cesario di Arles nel 508 - ma anche l'erezione di un oratorio e una colonna devozionale nel c. di Trinquetaille, dove, secondo la tradizione, il santo avrebbe subìto il martirio. Fenomeni simili, che diventarono prassi abituale, si riscontrano in aree geografiche diverse, come per es. nei casi dei sepolcreti cristiani e degli edifici sorti attorno alle tombe dei martiri Paolo a Narbona, Gennaro a Napoli, Vittore a Marsiglia, Malloso e Vittore a Xanten, Fruttuoso a Tarragona, Salsa a Tipasa o presso il santuario dei Sette Dormienti a Efeso.Al moltiplicarsi delle chiese martiriali ad corpus (talvolta semiipogee e condizionate dalla posizione della tomba venerata) che definirono in maniera ancora più evidente lo spazio cristiano del suburbio, si aggiunse anche la costruzione di cappelle e basiliche, sorte sempre più numerose per accogliere vicino alle sepolture dei martiri i corpi dei vescovi e spesso erette, a loro volta, in stretto rapporto con la tomba del primo o almeno del più illustre vescovo della città, come è ampiamente testimoniato per es. in molte città della Francia e in Africa settentrionale.Va sottolineata ugualmente l'importanza urbanistica che si arrivò ad attribuire ai santuari sorti in contesti cimiteriali in rapporto alla stessa organizzazione delle aree suburbane: infatti, allorquando non esistevano tombe venerate in un determinato c., quest'ultimo poteva essere siglato, per motivi cultuali o topografici, dalla costruzione di una basilica consacrata da reliquie di martiri non locali, traslate in una nuova sepoltura. Dette basiliche diventavano così baluardi difensivi simbolici più efficaci delle mura urbiche, come testimonia agli inizi del sec. 6° Avito di Vienne (Homiliae, XXIV; MGH. Auct. Ant., VI, 1883, p. 145) e come sembra dimostrare il simbolico impianto, di origine ambrosiana, delle quattro basiliche cimiteriali milanesi.Dall'età costantiniana il culto dei martiri portò, come nel sopraterra, profonde modificazioni anche nei c. sotterranei. L'addensamento di sepolture nelle vicinanze delle tombe venerate determinò l'apertura di brevi gallerie e nuovi cubiculi appositamente scavati per le inumazioni retro sanctos, spesso in modo irregolare e disordinato, non di rado disturbando l'assetto precedente e talvolta creando veri ossari, per custodire resti ritrovati in tombe distrutte durante i lavori compiuti per creare nuovi spazi funerari, come a Roma nei c. di Pretestato, Commodilla e Callisto. Per facilitare l'accesso dei pellegrini che visitavano i santuari sotterranei vennero creati percorsi obbligati (itinera ad sanctos), nuovi lucernari, più comode scale di accesso o anche spazi cultuali per celebrazioni liturgiche.In quest'epoca assunsero una certa importanza i fossores, gli operai addetti alle sepolture, che dal sec. 4° furono inseriti, accanto agli ostiarii, custodi delle chiese e dei c., all'ultimo posto della gerarchia ecclesiastica: oltre a scavare le gallerie sotterranee, sistemare le aree sopraterra, approntare e decorare i sepolcri, essi si arrogarono il diritto di distribuire tombe a pagamento, come è testimoniato da numerose epigrafi a Roma e altrove, dalla metà del sec. 4° e fino al 5°, quando se ne punirono gli abusi, mentre andava, del resto, cessando la pratica funeraria sotterranea e l'organizzazione dei c. veniva, di consueto, affidata a mansionarii, praepositi, presbyteri; a Roma i c. di ciascuna via extraurbana furono assegnati a una delle sette regioni ecclesiastiche della città. In Oriente lo stesso Costantino istituì un corpo di lecticarii o decani, per ogni ufficio liturgico e per l'organizzazione dei c., mentre un trattato del sec. 5°, già attribuito a s. Girolamo, assegna al vescovo il diritto di investitura delle loro mansioni (De septem ecclesiae gradibus; PL, XXX, col. 148).In seguito a Roma - mentre le gallerie più periferiche vennero progressivamente abbandonate tra il sec. 5° e il 6° e i c. subdiali tornarono a essere i più frequentati, sia per motivi pratici sia per motivi economici - nei c. sotterranei solo le aree retro sanctos e le strutture di carattere devozionale legate alla venerazione dei martiri continuarono a ricevere cura e restauri dal sec. 5° e fino all'età carolingia: a tale proposito vanno ricordati gli interventi e le disposizioni dei papi Damaso I (366-384), Vigilio (537-555), Giovanni III (561-574) e gli ultimi restauri intrapresi da Nicola I (858-867). Dal sec. 7° comunque l'abbandono dei c. suburbani si accentuò sempre più e anche le aree cimiteriali subdiali vennero utilizzate solo presso le basiliche più frequentate, come S. Pietro in Vaticano e S. Lorenzo f.l.m., mentre la stessa liturgia legata al culto dei martiri si ridusse alla sola commemorazione dei giorni anniversari.A partire dalla metà del sec. 7°, in concomitanza con l'abbandono dei c. suburbani, si diffuse in Occidente il fenomeno della traslazione delle reliquie dei martiri negli edifici di culto urbani, fenomeno che fino ad allora era stato fermamente osteggiato dai pontefici romani, che in più di un'occasione ricusarono anche a personaggi di rango imperiale la concessione di aprire i santi sepolcri dei martiri per prelevarne resti venerabili. Se fino ad allora le uniche reliquie diffuse in buona parte dell'Occidente erano quelle ex contactu, ottenute ponendo sulle tombe dei martiri oggetti vari o pezzetti di stoffa (come testimoniato da Gregorio di Tours nel sec. 6° a proposito di quanto avveniva a Roma o a Tours; De gloria martyrum, 27, PL, LXXI, coll. 728-729; De miraculis sancti Martini, 11, ivi, col. 924) o raccogliendo gli oli che ardevano nelle lampade poste sui sepolcri venerati (come quelli raccolti dal presbitero Giovanni per la regina Teodolinda all'epoca di Gregorio Magno), il fenomeno delle traslazioni delle reliquie iniziò in Oriente già all'epoca dell'imperatore Gallo (351-354) e a Milano al tempo di s. Ambrogio, provocando subito abusi e commerci, tanto da indurre l'imperatore Teodosio a proibire trasferimento, divisione e commercio di reliquie (Codex Theodosianus, IX, 17, 7). In Occidente d'altro canto si tentò di mantenere il concetto di inviolabilità del sepolcro pure nel caso di riutilizzo di una sepoltura per una seconda deposizione, vietata al concilio di Mâçon del 585, anche se numerosi sono i casi di rinvenimenti di sepolture doppie.A Roma l'avvenimento che segnò definitivamente l'abbandono dei c. suburbani e avviò in modo massiccio le traslazioni fu l'assedio della città da parte dei Longobardi di Astolfo, quando, come riporta un costituto di Paolo I (757-767; Mansi, XII, col. 646), i c. vennero trasformati in stalle e le tombe dei martiri profanate e svuotate delle ossa. Così, se ancora negli ultimi anni del sec. 8° e all'inizio del 9° la città conservava, pur rovinata, integra la propria topografia cimiteriale suburbana, in seguito e specie a partire dall'epoca di Pasquale I (817-824) essa venne totalmente stravolta per la ripresa di una sistematica traslazione di corpi dai c. extraurbani, che portò in alcuni casi emblematici alla formazione persino di veri e propri ossari all'interno di chiese, come in S. Prassede, S. Pudenziana o S. Maria ad Martyres (dedicata da Bonifacio II nel 609 all'interno del Pantheon). In questo clima non vanno dimenticate anche le fughe di reliquie lontano da Roma, spesso sollecitate dal desiderio, per lo più di vescovi e abati franchi o germanici, di ottenere resti di martiri romani.Allorché la conformazione e l'aspetto dei c. suburbani vennero profondamente ridisegnati dal proliferare di monumenti funerari sempre più numerosi e articolati, si resero necessari, a partire dal sec. 5°-6°, anche veri e propri insediamenti stabili, destinati sia alla gestione dei complessi sia all'accoglienza dei pellegrini. In tal modo la netta distinzione tra spazio urbano e aree funerarie, già vacillante per il progredire del fenomeno delle sepolture intraurbane, venne a essere superata dal costituirsi di veri centri cittadini fuori delle città; è il caso dei grandiosi complessi di Sergiopolis, sorto a Ruṣāfa attorno alla tomba di s. Sergio, e di S. Menna presso Alessandria, del centro di pellegrinaggi sorto a Tebessa attorno alla tomba di s. Crispina, cinto di alte mura munite di torri, o del citato centro sorto vicino Nola sulla tomba di s. Felice, dotato anche di un apposito acquedotto.Inoltre sia in Oriente sia in Occidente - oltre all'istallazione di impianti battesimali, come per es. a Napoli nelle catacombe di S. Gennaro a opera del vescovo Paolo II (762-766) - divenne frequentissima la fondazione di monasteri presso i c.; notissimi furono i cenobi sorti in Africa, Egitto, Siria e Asia Minore a partire dal sec. 5°, per l'ufficio liturgico e la custodia dei santuari, mentre a Roma, dove già dal sec. 5° sembra esisterne uno femminile presso S. Agnese sulla Nomentana, tra il sec. 5° e il 9° se ne contavano sedici nei più importanti c. extraurbani. Per i bisogni materiali presso i complessi cimiteriali si edificarono ospedali, ospizi, terme (testimoniati per es. a Milano, Aquileia, Roma, Nola), ma anche strutture abitative - come quelle utilizzate a Roma anche da pontefici come Bonifacio I (418-422) o Simmaco (498-514) durante periodi di esilio - e commerciali, biblioteche e persino una scuola di sacerdoti, attestata ad Arezzo nell'8° secolo.Questo fenomeno di poleogenesi a seguito di uno slittamento della città verso aree periferiche per l'attrazione di un santuario di carattere cimiteriale, non solo caratterizza l'intera area mediterranea, ma interessa anche un arco cronologico ampio, tanto che a esso è pure da correlare quello dell'istallazione di complessi episcopali nell'ambito di aree sepolcrali ormai 'urbanizzate', talvolta episodicamente avvenuta anche in epoca paleocristiana (come a Cornus o ad Arezzo), ma per lo più testimoniata con sicurezza solo in età medievale. Nella maggior parte dei casi infatti tali episodi sembrano da riconnettersi a un trasferimento dell'originaria cattedrale urbana, finalizzato al recupero delle più significative tradizioni cultuali di ciascuna città, come per es. a Trento, dove la cattedrale medievale sorge sul sito di una basilica cimiteriale del 5°-6° secolo.Tale processo di concentrazione edilizia attorno a complessi cimiteriali in età altomedievale produsse dunque la creazione di veri agglomerati urbani alla periferia della città, i cui casi più emblematici sono quelli di Roma, dove attorno alle tombe di Paolo, Lorenzo e Pietro si vennero a formare vere civitates fortificate rispettivamente chiamate Giovannipoli (voluta da Giovanni VIII nella seconda metà del sec. 9° con funzione eminentemente militare contro i saraceni), Laurenziopoli (cinta da mura probabilmente agli inizi del Duecento, quando venne detta castrum) e civitas Leoniana; quest'ultima, dotata di un circuito murario da Leone IV (847-855) - su un progetto di Leone III (795-816), a sua volta pensato su un impianto già forse della fine del sec. 4° -, oltre a innumerevoli edifici di culto, diversi monasteri e residenze episcopali, numerose strutture assistenziali, era divenuta in quell'epoca la sede di quattro scholae peregrinorum di diverse genti straniere, ciascuna in possesso di un proprio c., per la sepoltura dei pellegrini deceduti durante il soggiorno romano o di coloro che vi risiedevano stabilmente.Ancor più significativo appare il caso di Ostia, dove, sul c. che aveva ospitato la tomba di s. Aurea, vicino alla quale venne pure inumato il corpo di s. Monica, madre di s. Agostino, un agglomerato urbano si venne a sostituire già a partire dal sec. 6° alla città imperiale, ormai praticamente deserta, mentre la nascita in quel sito di Ostia medievale fu sancita dalla fondazione di Gregoriopoli da parte di Gregorio IV (827-844).La questione relativa alle sepolture all'interno delle città è maggiormente problematica, poiché esse sono legate a un tipo di indagine di archeologia urbana solo recentemente volta alla contestualizzazione e alla seriazione stratigrafica dei manufatti rinvenuti, nonché a un più ampio inquadramento delle questioni relative all'effettiva situazione degli agglomerati urbani in età altomedievale. Così la stessa ubicazione degli spazi funerari, quale indice di aree disabitate all'interno dell'abitato, va considerata in una realtà urbana ormai mutata - delimitata per es. dal circuito delle mura, di cui spesso non è possibile stabilire sino a che punto assolvesse ancora la propria funzione di chiusura dello spazio urbano - e quindi focalizzata in una nuova ottica del rapporto tra abitato e spazio funerario. Ancora da indagare sono le modalità giuridiche di acquisizione delle aree e della loro utilizzazione per scopi funerari; inoltre rimane da chiarire se la cura mortuorum fosse appannaggio esclusivo della comunità cristiana o dell'autorità ecclesiastica e quindi se tali aree cimiteriali fossero tutte organizzate e in quale modo eventualmente dipendenti dalla Chiesa.In ogni caso numerosi rinvenimenti archeologici testimoniano come tra la fine del sec. 5° e il 6° - ma in alcune città già alla fine del sec. 4°, per es. in Africa - la pratica della sepoltura urbana vada moltiplicandosi in regioni diverse, sia pur con modalità non sempre chiaramente definibili e spesso in contesti di volta in volta peculiari. A partire dal sec. 6° divennero frequenti - mentre la stessa chiesa episcopale viene talora ad acquisire una funzione funeraria che certo non le era propria in origine - le aree cimiteriali all'interno della cattedrale, nella zona circostante o negli annessi, come per es. a Verona, Ginevra o Colonia, o nel battistero, come nel caso di Albenga, con tombe del sec. 8°-9°; questo nonostante i divieti di seppellire laici o religiosi all'interno di chiese, espliciti per es. nei decreti di Teodosio e Giustiniano e nei concili di Braga (561), Mayence (813) o Tribur (895). Tali divieti vennero però in parte mitigati al concilio di Magonza (813), che, pur ribadendo tali inibizioni, ne escludeva non solo tutto il clero, ma anche fideles laici (Mansi, XIV, col. 75), incoraggiando la moltiplicazione di sepolture privilegiate all'interno di chiese. Tale fenomeno dell'inumazione in urbe in connessione con la chiesa episcopale - tra le testimonianze più antiche è da segnalare la notizia della tomba del vescovo Paolo nella cattedrale di Grado nel 570 (Chronica de singulis patriarchis nove Aquileie; MGH. SS rer. Lang., 1878, p. 393) - si sviluppa in seguito, in particolare nel sec. 8°, proprio mentre le aree sepolcrali extra urbe si concentrano attorno a quello che si afferma come santuario principale della città.Tuttavia, se la prassi della sepoltura urbana può dirsi chiarita in simili contesti, spesso in rapporto all'inumazione di vescovi, abati, fondatori o altri rappresentanti delle classi sociali più elevate, essa necessita ancora di approfondimenti in città, dove spazi sepolcrali urbani non sembrano rivestire alcun carattere di privilegio e dove sembra comunque verosimile che, per la ragguardevole consistenza numerica delle sepolture rinvenute e la loro disparità contestuale, esse non possano riferirsi a soli casi di sepolture privilegiate. I numerosi rinvenimenti di tombe su livelli di abbandono o direttamente su strutture romane lasciano supporre la presenza di aree libere all'interno della città, ma tale fenomeno non può essere necessariamente connesso con quello dello spopolamento urbano; infatti è archeologicamente dimostrato che, in alcuni casi, aree cimiteriali o sepolture sparse o in piccoli gruppi erano adiacenti a zone ancora frequentate in età altomedievale, occupando terreni privati (come sembrerebbe per il caso di Luni, in cui le tombe ritrovate, forse riferibili a gruppi familiari, si daterebbero tra il sec. 6° e il 13°, quando il centro venne definitivamente abbandonato) o, più frequentemente, in spazi di proprietà pubblica (come a Verona, dove le tombe urbane sono stratigraficamente databili tra il sec. 7° e il 9°). A Roma, dove pure si sono scoperte numerose aree sepolcrali nello spazio urbano di età tardoantica e altomedievale, sia in rapporto a edifici di culto sia in aree pubbliche (per es. Campidoglio, colle Oppio, strutture portuali di Testaccio), è da sottolineare la presenza di un vasto spazio cimiteriale all'interno delle terme di Caracalla, per il quale è ipotizzabile un numero di oltre 1300 sepolture, forse da porre in relazione alla vicina chiesa dei Ss. Nereo e Achilleo e allo xenodochium, testimoniato dal sec. 6°, probabilmente a essa vicino.In ambito monastico già dall'età costantiniana diviene consuetudine, nella regione egiziana, seppellire il fondatore di un monastero, gli egumeni o i santi monaci di una comunità all'interno dell'area del cenobio, talvolta in mausolei o, dal sec. 5°-6°, presso l'altare nel nartece, mentre i monaci venivano inumati in un c. comune; in cappelle funerarie potevano pure essere sepolti patriarchi, spesso monaci anch'essi, importanti donatori e anche alcuni laici, come testimoniano diverse fonti orientali dei secc. 7°-8°, che chiamano tali cappelle beth qadiso o beth nepusa. È della fine del sec. 5° o degli inizi del 6° la cappella funeraria a pianta centrale nel monastero di Mar Gabriel a Qartamin nel Ṭūr ῾Abdīn, come pure quella quadrangolare con arcosoli nel monastero di Mar Hanania presso Mardin. Il monastero di Siyagha, presso il monte Nebo, nella fase del sec. 6° presenta diversi ambienti funerari, quali una cella nell'ala occidentale dell'atrio, con tre ossari coperti da lastre di pietra, una cappella con tombe a fossa negli ambienti a E del monastero e sepolture all'interno della chiesa; nel monastero di al-Kanīsa presso Mādabā esiste invece una cripta funeraria al di sotto della cappella, della metà del sec. 6°; cappelle funerarie o ambienti ipogei sono caratteristici anche degli spazi funerari monastici della Siria.Anche in Occidente si trovano ambienti cimiteriali annessi a complessi monastici, come nel caso del c.d. oratorio di S. Silvia a S. Saba a Roma, in cui - oltre a un'ampia area funeraria sub divo a essa contigua - file di tombe a forno in muratura occupano quasi interamente la superficie dell'ambiente, un'aula romana trasformata in edificio cristiano tra la fine del sec. 6° e gli inizi del 7°, in rapporto all'insediamento monastico noto dalle fonti come Cellae Novae; la tipologia di queste sepolture sembra essere paragonabile a quelle pressoché contemporanee della basilica cimiteriale di Palestrina e di Pianabella, presso Ostia, e anche a quelle, documentate ma non più visibili, rinvenute sotto il presbiterio della chiesa del monastero di S. Gregorio al Celio, da cui quello di Cellae Novae era forse all'origine dipendente.Dall'età delle invasioni, c. con caratteristiche differenziate si sviluppano in vaste regioni europee, in relazione a insediamenti di popolazioni barbariche o, in caso di territori conquistati, anche in contesti urbani o suburbani; spesso è solo tramite il rinvenimento di tali c. che diventa possibile individuare insediamenti di popoli non altrimenti documentati archeologicamente o documentati solo in modo frammentario (per es. i Longobardi lungo il corso dell'Adige o in siti di importanza strategica, come nei c. castellani di Nocera Umbra e Castel Trosino). Diffusi dalle regioni della steppa all'area balcanica, dai paesi nordici ai territori longobardi in Italia, questi c., pur presentando differenti rituali, varie forme di sepolture e diverse concezioni dell'aldilà (come per es. in area scandinava, dove i riti funerari dipendono dalle saghe islandesi), sono individuati da aree precisamente definite e sono caratterizzati da sepolture disposte a fila e orientate E-O, in modo che il defunto fosse rivolto verso il sorgere del sole, nonché dall'uso costante, ma non assoluto, di corredo funebre, fino al sec. 8°-9°; a tali consuetudini poteva essere aggiunta la presenza di monete (prosecuzione fino al sec. 7° dell'antica pratica del c.d. obolo di Caronte) o di ceramica, in alcuni casi legata forse a una produzione di esclusivo uso funerario, come attestato in ambito merovingio. Peculiarità e differenze si evidenziano per lo più negli usi funerari e nel corredo apprestato nelle tombe, proprio di ciascun gruppo etnico e quindi identificabile anche in aree geografiche diverse; per questo motivo lo studio dei corredi funerari, per lo più formati da oggetti d'uso comune, strumenti di lavoro, ornamenti o armi, spesso in diretto rapporto con il rango sociale del defunto, è stato quello maggiormente approfondito, sia per la quantità e la qualità di tali ritrovamenti, sia per delineare la cronologia relativa e assoluta degli insediamenti, sia per definire classificazioni sociali all'interno di gruppi etnici o rapporti tra diversi popoli; tuttavia i frequenti contatti tra popolazioni diverse, i loro rapporti commerciali o il differente e progressivo stato di assimilazione culturale vanno sempre più sfumando il problema relativo all'identificazione etnica di un defunto in base al solo corredo funerario.Negli ultimi decenni, studi antropologici condotti su resti umani rinvenuti in molti c. hanno gettato nuova luce sulle strutture sociali, in particolare tra il sec. 6° e il 9°, di popolazioni (Franchi, Ostrogoti, Burgundi, Avari, Unni, Alamanni, Visigoti) e di gruppi etnicamente distinti all'interno di uno stesso popolo (come per es. le diverse componenti riscontrate tra gli Avari del c. di Ullo, presso Budapest, del sec. 8°), evidenziandone le valenze socioculturali e socioeconomiche.Il rito funebre presso tali popoli, per effetto dei contatti con i territori romanizzati, passò dall'incinerazione all'inumazione, a partire dall'età tardoantica (tale pratica persiste per es. in area anglosassone fino all'epoca della conversione nella prima metà del sec. 7° e in Bulgaria ancora fino al sec 8°-9°), presentando per lo più semplici tombe scavate nella terra, talvolta delimitate da sassi e contrassegnate sul terreno da pietre, pali o tumuli, all'interno delle quali veniva posto il cadavere vuoi senza protezione vuoi in una cassa di legno. Spesso nelle necropoli è possibile individuare sepolture di gruppi familiari, riunite intorno ai capifamiglia o a personaggi in vista, come anche le fasi di successione cronologica di utilizzo (per es. nel c. di Maria Ponsee in Austria, frequentato fino alla metà del sec. 6°), per cui è possibile definire più precisamente la realtà sociale o anche i mutamenti dei singoli insediamenti.Evidente è il grado di diversificazione delle gerarchie sociali, sottolineato, oltre che dal corredo funebre, dalla presenza di sepolture a camera, in legno (come in quelle vichinghe di Hörnig nello Jutland) o in pietra, in grandi tombe a tumulo, diffuse dalla fine del sec. 5° (a Zuran in Cecoslovacchia è stata individuata quella di una coppia reale longobarda, con un ricchissimo corredo e la sepoltura di un cavallo; imponenti tombe a tumulo sono pure quelle di Alt-Uppsala in Svezia, Yellinge in Danimarca, Črnihiv in Ucraina), oppure di sepolture scavate a grande profondità (fino a m. 5), in posizione isolata o al centro di c. comuni (per es. la c.d. tomba principesca del sec. 7° del c. di Foss presso Civezzano, in Trentino, o la tomba nr. 117 di Castel Trosino). Importanti c. con tombe a tumulo sono quelle a Gnesdovo e a Grobin in Russia, a Swielubie in Polonia, a Ralswiek e a Haithabu in Germania e a Birka in Svezia. Alcune fonti testimoniano l'usanza di uccidere e seppellire con il capo anche la vedova e i servi, per es. in ambito scandinavo, mentre archeologicamente sono testimoniate, come sopra visto, anche numerose sepolture di cavalli (v.) o altri animali.Particolare rilevanza assume la pratica di seppellire re o capi all'interno di una nave, diffusa in Scandinavia, in Inghilterra, lungo la costa meridionale del Baltico o il corso del Volga o del Dnepr, secondo una cerimonia funebre descritta agli inizi del sec. 8° dal poema anglosassone Beowulf (vv. 51-104) per il re danese Scyld. A Sutton Hoo (Suffolk) è stata ritrovata una tomba in una camera sepolcrale in legno all'interno di una nave (lunga m. 27 ca. e larga oltre m. 4), deposta in un'area cimiteriale e poi ricoperta da un tumulo di terra vicino ad altri quindici tumuli. L'eccezionalità del corredo non lascia dubbi che si tratti di un deposito funerario regio; potrebbe riferirsi alla tomba di uno dei primi re convertiti dell'Anglia orientale, verso la prima metà del 7° secolo. Paragonabili a tale ritrovamento e a esso vicini, anche cronologicamente, sono le navi-tomba di Vendel e Valsgarde in Svezia, mentre vanno ricordate anche quelle di Nydam nello Jutland, del sec. 5°, di Snape nel Suffolk, della metà del sec. 6°, e quella più tarda di Oseberg in Norvegia, del sec. 9°, attribuita alla regina Asa.La struttura dei c. longobardi della fase pannonica sembra costante e presenta, oltre a segnacoli esterni simili a capanne lignee entro cui si poneva la bara di legno o ricavata da un tronco d'albero, uno schema quadrato di m. 80 ca. di lato, utilizzato in genere per più generazioni, ma talvolta, forse in concomitanza con la migrazione in Italia, sfruttato solo in minima parte, come quello di Kadarta in Ungheria; le tombe, al cui interno venivano posti anche cibi o bevande, sono per lo più larghe m. 1-2, lunghe m. 2,5-3, come per es. a Szentendre, e profonde, in genere, a seconda dell'importanza dell'inumato.La maggior parte delle sepolture longobarde in Italia è stata rinvenuta fuori degli impianti urbani, come a Cividale, dove le aree funerarie vennero impiantate su c. romani sfruttati sino alla prima metà del sec. 7° (quelle di S. Giovanni e di Cella sono forse parte di un'unica necropoli): extraurbane sono le necropoli in zona Gallo, quella in località Grupignano (dove si è rinvenuta una tomba con strumenti di un orefice, simile ad altre trovate a Brno, Poysdorf) e quella presso la distrutta chiesa di S. Stefano in Pertica, forse relativa a un unico gruppo familiare in un sito che verosimilmente prende nome - come in altri casi analoghi, quale la pavese S. Maria in Pertica - dall'usanza, descritta da Paolo Diacono (Hist. Lang., V, 34; MGH. SS rer. Lang., 1878, p. 156), di piantare su tombe di guerrieri morti lontani dalla patria un palo o pertica sormontata da una colomba di legno; tra alcune sepolture urbane va ricordata quella detta di Gisulfo, la più ricca della città, con un sarcofago in pietra iscritto. A Castel Trosino, nel c. di S. Stefano, il maggiore dei tre rinvenuti, si riscontrano diversi tipi di sepolture: a fossa, con lastre tutto intorno e spesso con cassa lignea oppure a pozzetto, con rivestimento di lastre scistose, o a camera con pareti in muratura e coperture in lastre; queste ultime, le meno numerose e raccolte intorno a un edificio di culto, sembrano posteriori e possono datarsi alla metà del 7° secolo.In età tardoantica e altomedievale l'organizzazione dei c. nelle campagne, in seguito al divieto di Gelasio I (492-496) di seppellire in oratori privati, portò alla formazione di aree funerarie definite, in genere in zone rialzate, per lo più comunque in rapporto a oratori familiari o nei pressi di villaggi, ma spesso anche indipendenti e isolate dai centri di culto plebani; infatti solo a partire dal sec. 7°-8° questi iniziarono ad avere anche una funzione cimiteriale, che si venne a precisare soprattutto dal sec. 9°, quando, definendosi la circoscrizione territoriale di ciascuna plebs, nel quadro di una stabilizzazione istituzionale degli insediamenti rurali, si fissò l'obbligo di sepoltura presso la stessa chiesa in cui si era stati battezzati. In una tale ottica i c. rurali anteriori al sec. 9°, siano essi di popolazioni italiane, longobarde, merovinge o anglosassoni, vanno considerati non necessariamente come diretta dipendenza di un insediamento, quanto piuttosto in relazione a molteplici fattori sociali ed economici propri di ciascun contesto territoriale, per cui si possono dare casi diversi, come per es. un abitato che si serve di diversi c. o viceversa più villaggi circonvicini che utilizzano il medesimo c. o ancora spazi funerari per ogni insediamento sparso nel territorio considerato. Un esempio precoce di compiuta organizzazione plebana sembra essere il caso di Riva Ligure, dove una basilica rurale dal sec. 6° pare avere avuto la triplice funzione liturgica, battesimale e cimiteriale, prerogative diffuse nelle pievi dell'Italia centrosettentrionale in età altomedievale; di notevole interesse, per comprendere peculiari sviluppi di c. negli insediamenti rurali cristiani, è l'esempio delle aree sepolcrali che, rinvenute a S. Cornelio presso Formello, a N di Roma, testimoniano diverse fasi di sepoltura in relazione sia alla domusculta Capracorum, fondata da papa Adriano I (772-795), sia al monastero che vi si insediò nell'11° secolo.Tra le tipologie di sepolture di età altomedievale e medievale - fino alla diffusione, tra il sec. 13° e il 14°, delle bare chiodate, peraltro testimoniate anche in epoche precedenti -, oltre alle tombe terragne, a quelle alla cappuccina (sporadicamente presenti fino al sec. 12°) e a quelle scavate direttamente nella roccia più friabile (di forma ellittica o antropomorfa), sono da ricordare le tombe a cassone con rinforzi laterali in pietra o in legno o con muretti, talvolta dalle pareti interne intonacate e dipinte (in particolare tra il sec. 6° e l'8°), oppure più spesso delimitate da lastre, utilizzate sia pur in forme diverse fino al sec. 13° (per es. disposte in forma ellittica in età carolingia o formate da piccole lastre nel sec. 11°). Quasi assoluta era la deposizione del cadavere sulla schiena (talvolta rinvenuto però anche sul fianco o seduto), con le braccia distese lungo i fianchi o incrociate sul petto oppure sul bacino. Continuazione di una prassi cristiana era quella di avvolgere il corpo nudo in un sudario o talvolta di conservarlo in gesso o calce, uso protrattosi ancora nel Basso Medioevo; la presenza nella tomba di uno strato di ceneri, di carboni o di segni di fuoco, rinvenuto in sepolture di tradizione germanica, ma anche in Francia e in Inghilterra, sembra legato a pratiche apotropaiche o a norme igieniche. Casi di riuso di sepolture prevedevano solitamente lo spostamento dei resti dell'inumato originario, che venivano ammucchiati oppure sparsi all'interno della tomba; frequenti anche le grandi fosse comuni, talvolta luoghi di raccolta secondaria di precedenti interramenti, diffuse soprattutto in età bassomedievale, spesso in concomitanza con la costruzione presso chiese di ossari.Per i c. di monasteri, di particolare interesse è la raffigurazione del sec. 9° del c. nel piano di San Gallo (San Gallo, Stiftsbibl., 1092), in cui appare già ben definita un'area funeraria rettangolare chiusa, al limite orientale del monastero; il c., che includeva al suo interno anche il frutteto, era formato da quattordici spazi sepolcrali (nove addossati al perimetro e cinque attorno a una croce posta al centro), accompagnati dalla leggenda "Hanc circum iaceant defuncta cadavera fr(atru)m / qua radiante iterum. Regna poli accipiant", ognuno dei quali poteva forse essere predisposto per accogliere sette monaci.A Brescia, nel complesso di S. Giulia, la fase costruttiva risalente al sec. 9° del monastero, fondato da Desiderio nel 753, comportò l'utilizzazione del chiostro centrale, dove le fonti menzionano anche una torre, come c. delle monache; in quest'area, durante recenti scavi sono state rinvenute oltre un centinaio di tombe in solida muratura, alla cappuccina o coperte da lastre orizzontali, la maggior parte delle quali venne riutilizzata per successive deposizioni. Nell'abbazia di Farfa l'area cimiteriale riservata ai monaci, la cui utilizzazione va indicativamente posta tra la fine del sec. 9° e il sec. 11°-12°, è stata individuata nel cortile porticato a E della basilica, mentre un c. forse per i laici va localizzato a S, a ridosso del muro di cinta dell'abbazia; la pratica sepolcrale anche all'interno dell'ambulacro semicircolare del citato cortile, accanto all'abside e alla cripta, potrebbe riferirsi a tombe privilegiate, forse a quelle degli abati.Tra il sec. 10° e il 13° si definirono gli elementi principali per il rito della benedizione dei c.: all'aspersione dell'acqua benedetta e alla recita di litanie si aggiunsero l'erezione di quattro croci ai lati del perimetro e una al centro, nonché la recita dei sette salmi penitenziali e particolari formule per la purificazione, benedizione, santificazione e consacrazione del luogo. Tale rito, in via di definizione già in un formulario del sec. 11°, conservato a Bamberga (Staatsbibl., Lit. 54), si presenta in forma completa nel Pontificale di Guglielmo Durando, della fine del sec. 13°, dove, oltre a raccomandare nuovamente la norma di inumare il cadavere rivolto a oriente, vengono specificate anche le complesse orazioni e i canti da intonare durante l'ufficio funebre, le cui forme più semplici sono già in parte presenti nel Sacramentarium Gelasianum del 6°-7° secolo. Dopo un generale e progressivo abbandono della pratica di seppellire con corredo a partire dal sec. 9°, essa riprende dal sec. 11°, quando diviene frequente la sepoltura con vesti, attributi e, specie per il clero, instrumenta relativi al rango, nonché con recipienti di ceramica o vetro; sia pur sporadicamente, è testimoniato fino al sec. 13° l'uso dell'obolo di Caronte, per es. a Corinto. Un'altra pratica funebre diffusa a partire dal sec. 10° consisteva nel deporre nel feretro, spesso sul petto del defunto, una teca contenente l'eucaristia; tale usanza - che trova riscontri nelle fonti già dal sec. 7° e alla quale potrebbero rapportarsi anche le frasi cristologiche incise su lastre funerarie sin dall'epoca merovingia - sembra voler ricordare l'antichissima consuetudine di porre la parcella eucaristica nella bocca del defunto, diffusa dal sec. 4° al 7° sia in Occidente sia soprattutto in Oriente, dove più volte si era tentato di vietarla, per es. al concilio di Cartagine (398) e al concilio Trullano (692). Dal sec. 13° è poi testimoniata la prescrizione secondo la quale il sacerdote deve spargere un po' di terra sul feretro nella fossa prima dell'interramento, attestazione di un uso forse ben più antico, mentre dalla stessa epoca iniziarono a divenire frequenti le violazioni di c. per il diffondersi di credenze legate alla necromanzia o ai poteri taumaturgici delle ossa umane. La consuetudine di accendere lumi presso le tombe, derivata dalla pratica in uso presso i Romani di far svolgere le esequie in ore notturne, venne talvolta monumentalizzata con la costruzione di grandi lanterne al centro del c., come quelle diffuse in Francia tra il sec. 12° e il 14°, in genere formate da colonne cave di pietra, tonde o quadrate, su di una base scalare e con un faro sulla cima, spesso sormontato da una croce.In ambito monastico divenne frequente l'uso di seppellire all'interno dei chiostri - specie nel sec. 12° in Francia e Germania - o in appositi spazi annessi alla chiesa (per es. nella galilea delle abbazie certosine). Il c. dei complessi cistercensi si trova invece di regola sul lato opposto a quello degli edifici abbaziali, presso il capocroce della chiesa e accessibile da esso attraverso una porta, situata in genere in fondo al transetto, detta porta dei morti; diviso in due parti distinte (una per i laici e una per i monaci, quest'ultima con uno spazio per abati stranieri o vescovi) e talvolta con una lanterna da accendere di notte, il c. aveva le tombe segnate da croci di legno ed era consuetudine, dopo aver chiuso una sepoltura, scavarne una contigua e lasciarla aperta fino al decesso successivo. Nelle abbazie cistercensi il divieto di seppellire nel proprio c. le persone estranee all'Ordine, tranne due persone scelte da ciascun monaco, è ribadito da uno statuto del 1134, ma a partire dal 1217 il Capitolo generale concesse anche ai benefattori la possibilità di trovare sepoltura all'interno del monastero, in genere nel chiostro. All'interno della chiesa potevano essere inumate solo persone di rango reale o vescovile; tale restrizione appare costante almeno fino alla seconda metà del sec. 13°, mentre generalmente rimase privilegio degli abati essere sepolti nella sala capitolare, come è testimoniato per es. nell'abbazia di Barbeau (dip. Seine-et-Marne), con tombe del 12° e del 13° secolo.Il fenomeno dell'addensamento dei c. intorno a chiese e parrocchiali, che si verifica anche in relazione alla progressiva sparizione in età romanica di atri o portici laterali - all'interno dei quali spesso la pratica funeraria era diffusa sin dal sec. 5°-6° non solo in basiliche cimiteriali ma anche in chiese battesimali o in cattedrali - sembra definirsi allorquando Nicola II, nel 1059, stabilì il limite del perimetro dei c. entro 60 passi attorno alle chiese e 30 intorno alle cappelle; tale area spesso veniva a coincidere con lo spazio d'immunità e di diritto d'asilo, che già in epoca altomedievale sembra essere testimoniato per chiese e cimiteri. Costituitisi dunque come luoghi direttamente relati agli edifici di culto principali di città e villaggi - e quindi sia in ambito urbano sia rurale -, già dal sec. 10°-11° i c. iniziarono ad accogliere all'interno del proprio confine, spesso costituito da mura, ma talvolta limitato da graticci lignei o siepi, funzioni legate all'amministrazione della giustizia o alle assemblee comunitarie, mentre frequentemente si trasformavano periodicamente anche in spazi per mercati o per custodire il bestiame. Per quanto riguarda i c. medievali, tuttavia, restano ancora da effettuare adeguate indagini archeologiche o studi tipologici, limitati sinora soltanto a casi particolari (per es. le aree cimiteriali rinvenute a Wharram e a York). La definizione di spazi cimiteriali sempre meglio delimitati e marcati da mura portò anche alla creazione di c. nei pressi di chiese cattedrali o parrocchiali, architettonicamente monumentalizzati, l'esempio più noto è certamente quello del Camposanto di Pisa (iniziato da Giovanni di Simone nel 1278 e completato nella seconda metà del sec. 15°), costituito da un quadriportico rettangolare, con sepolture privilegiate lungo le pareti, delimitante un'area cimiteriale dove era stata deposta la terra prelevata dai Pisani in Terra Santa.Un particolare aspetto del fenomeno di strutture insediative nei c. può riscontrarsi in area francese o tedesca, dove, a partire dall'inizio del sec. 11° e almeno fino alla fine del 12°, in molte regioni, in particolare in Hainaut, in Borgogna e nella Francia occidentale, così come in Westfalia e in Baviera, sono testimoniati veri e propri c. abitati - definiti con i termini di cimiterium e atrium, ma anche di burgus cimiterii -, costituiti da agglomerati rurali e dotati di annessi quali grange, mulini o forni; creatisi in territori dall'insediamento sparso o attorno a chiese isolate, tali villaggi, che segnano l'evoluzione organizzata e stabile di insediamenti provvisori, sorti già in secoli precedenti in aree cimiteriali con diritto d'asilo, non persero comunque la loro funzione originaria e arrivarono perfino a essere lottizzati dai signori, laici o ecclesiastici, che ne detenevano i diritti.In alcuni casi inoltre, in particolare dal sec. 12°, il recinto che delimitava le chiese, i loro annessi e anche lo stesso c. venne a essere fortificato, dapprima con cinte di legno, terrapieni o muri a secco, poi anche con alte mura, porte, fossati e torri, oppure con vere strutture difensive, concesse in un primo tempo al controllo ecclesiastico e in seguito passate nelle mani delle signorie locali; testimoniati già all'epoca di Enrico I (919-936), il quale dotò alcuni insediamenti, sorti presso c., di strutture di difesa contro l'avanzata degli Ungari, tali siti fortificati sono ancora conservati, specie nelle forme dei secc. 13°-15° in Alsazia (Chatenais, Dossenheim, Hunawihr) e in Fiandra (a Hordain è stato rinvenuto, accanto al c. medievale della parrocchiale di St. Géry, un c. merovingio con semplice recinto quadrangolare e cappella al centro, utilizzato ancora fino al sec. 9°-10°).Particolari spazi funerari sono da considerare le c.d. cappelle-ossari (chiamate nelle fonti dei secc. 11°-14° ossuaria, carnaria, macella), edifici spesso indipendenti dalle chiese ovvero a esse contigui, il cui esempio più precoce sembra essere quello di Fulda, del sec. 9°; frequenti soprattutto a partire dai secc. 10°-11°, specialmente in Austria, Svizzera e Germania, tali cappelle mostrano una pianta sia longitudinale (come a Oppenheim, Ochsenfurt, Mülaldorf, del sec. 14°) sia centrale (come a Rodig, Perschen, Allersburg, dei secc. 12°-13°).In Oriente dal sec. 10° divennero frequenti le sepolture in chiese urbane, specialmente a O del corpo di fabbrica, dentro o davanti al nartece; di committenza privata, e quindi legate sempre a sepolture di carattere privilegiato, sono inoltre le cappelle funerarie che affiancano chiese principali, i cui esempi più monumentali sono rappresentati dalla Panaghia Krina di Chio, del sec. 12°, e soprattutto dal parekklésion aggiunto agli inizi del sec. 14° alla chiesa del S. Salvatore di Chora (Kariye Cami) per fungere da sepolcro al logoteta Teodoro Metochite e a membri della famiglia dei Paleologhi.I c. giudaici di età paleocristiana sinora noti, oltre alle camere sepolcrali scavate nella roccia o alle aree subdiali della Palestina, sono limitati alle catacombe ebraiche rinvenute a Roma e a Venosa, mentre numerose testimonianze sono costituite da epigrafi funerarie di Grecia, Africa settentrionale, Italia e Spagna. In epoca medievale i c. sefarditi erano caratterizzati da stele prive di elementi decorativi, poste orizzontalmente sulla tomba (come in Spagna, per es. quelle ritrovate a Barcellona), mentre nei c. ashkenaziti erano più frequenti stele verticali, talvolta decorate, specie a partire dal sec. 14°, con fiori e racemi, a terminazione rettangolare o semicircolare, che segnavano la posizione del capo del defunto (come quelle rinvenute in Germania, per es. a Worms, Magonza e Spira).

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Islam

I c. islamici riflettono il diverso approccio alla morte e all'oltretomba dei diversi gruppi etnici che compongono il variegatissimo mondo islamico e delle numerose forme eterodosse dell'Islam stesso, nonché il persistere di credenze e di usanze più antiche e peculiari (come testimonia il numero, relativamente alto, di vere e proprie necropoli medievali in Egitto). L'Islam primitivo, infatti, ha combattuto ogni forma eccessiva di lutto e, ancor di più, ogni costruzione tombale. Il c. era, concettualmente, senza tombe, nel senso che le sepolture non dovevano emergere dal terreno né avere decorazioni e iscrizioni; non vi dovevano infatti comparire neanche il nome del defunto e la data della morte. "Le migliori tombe sono quelle non costruite, lisce", riportano gli ḥadīth. L'uso di seppellire i morti senza bara, avvolti in un lenzuolo bianco, con una pietra come unica indicazione del luogo della sepoltura, ben dimostra l'austero criterio del periodo iniziale dell'Islam.Pur tralasciando qualsiasi accenno alle diverse, numerosissime tipologie delle costruzioni funerarie dell'Islam (mausolei, torri funerarie, moschee-mausoleo), va detto che le stesse pietre tombali permettono di ricondurre ad ambiti ben precisabili nello spazio e nel tempo i vari c. del mondo islamico. La mancanza o, per meglio dire, la ridotta portata del linguaggio simbolico, in confronto con l'enorme peso anche didattico che la simbologia sepolcrale cristiana ha avuto nel Medioevo occidentale, rende però le pietre tombali dei c. islamici se non più monotone, certamente meno diversificate. Non mancano, comunque, alcune importanti eccezioni, nelle quali la decorazione figurata e simbolica rappresenta l'elemento principale. Si tratta, tra le altre, delle necropoli di Ahlat, nell'Anatolia orientale, di quelle degli Yazidi, setta eterodossa presente in varie zone dell'Anatolia e del Caucaso, e delle vastissime necropoli di Chaukhandī e di Maklī, entrambe nel Sind, risalenti però, queste ultime, nella forma attuale, a un'epoca più tarda (secc. 15°-17°). Tuttavia il diffuso aniconismo, che portò a una stereotipizzazione da parte dei lapicidi più tradizionalisti e meno dotati, venne sentito dagli artisti più vivaci non come un limite, bensì come uno stimolo verso un decorativismo sempre più originale. Si venne così a formare un vastissimo, praticamente inesauribile, repertorio di disegni geometrici, riconducibile da un lato al grande interesse per le scienze esatte, che caratterizzava nel suo insieme l'intero mondo islamico, e alla ricerca di una simmetria non coercitiva, ma dinamica, in tutte le sue possibili variazioni, dall'altro a una visione globale e omogenea della decorazione. Questi elementi riuscirono talvolta a trasformare le pietre tombali da modeste testimonianze di pietà in autentici esiti artistici.Con il passare dei secoli e, soprattutto, con l'affacciarsi sulla scena islamica di un sempre crescente numero di popoli, eredi e continuatori di tradizioni diverse e talvolta antitetiche a quelle degli Arabi, i c. si trasformarono, soprattutto in certe zone, in luoghi più simili a necropoli pagane o cristiane, fittamente ricoperti non solo di tombe, per lo più decorate, ma addirittura di numerosi e spesso elaboratissimi mausolei. Il c. stesso diventa, proprio per la presenza di tombe particolarmente venerate (spesso si tratta di mistici sufi, ma non mancano i santi patroni locali), uno dei cardini cittadini, luogo di pellegrinaggio e di riunioni, determinando così la necessità di costruire tutt'intorno ulteriori edifici finalizzati all'accoglienza di gruppi sempre più numerosi di fedeli (ostelli, mercati, cucine per i poveri, ospedali, bagni).Anche in ambito sciita, dove la morte e il martirio hanno avuto da sempre un ruolo fondamentale, l'essere sepolti accanto alla tomba di un santo dava garanzia di felicità ultraterrena, donde il diffondersi dei c. attorno ai mausolei dei personaggi più venerati. Va anche ricordato però che le tombe dei santi vennero spesso anche inglobate in strutture più ampie, sempre dotate di moschea, che diventarono centri importantissimi di pellegrinaggio (Karbala, Najaf, Mashhad, Qum) senza determinare necessariamente la creazione di c. nelle immediate vicinanze del mausoleo.Un tipo di c. tipicamente islamico, anche se diffuso solo in determinate zone, è il c.d. c.-giardino; significativamente il termine rawḍa indica sia la tomba sia il giardino.I c. islamici, non ancora studiati in modo sistematico e globale, sono stati oggetto di alcune ricerche di tipo demografico, economico, sociologico, senza che venisse preso in considerazione l'aspetto artistico, tipologico o urbanistico. Un raggruppamento per zone fa risaltare somiglianze e differenze, spiega certe tipologie, sottolinea possibili persistenze preislamiche locali, individua particolari linee di tendenza nella localizzazione e nella decorazione. La penisola arabica, sede originaria dell'Islam, non conserva c. monumentali, sia per una più stretta aderenza ai principi islamici originari sia per le recenti distruzioni dovute ai Wahhabiti. Bisogna comunque ricordare nella città di Medina, dove si trova anche la tomba di Maometto (al-Ḥaram al-Nabawī, inglobata, insieme alla tomba di Fatima, in una grande moschea), il famoso e forse il più antico c. al-Baqī῾ (o Naqī῾), tuttora in uso. Situato a N-E dell'abitato, nella canonica posizione extra muros, oltre Bāb al-Baqī῾, esso conteneva, secondo la tradizione, oltre diecimila tombe, anche cupolate, di compagni del Profeta e di alcuni suoi familiari. Un altro c. molto antico è quello c.d. degli Emigranti, già citato da al-Harawī nella sua guida ai luoghi di pellegrinaggio (al-Harawī al-Mawṣili, Kitāb al-Ishārāt ilā ma῾rīfat al-ziyārāt, a cura di J. Sourdel Thomine, Damasco 1952-1957). Alla Mecca il grande e notissimo c. di al-Ma῾lā, conosciuto anche come c. di Ḥajūn, è situato a E della città, oltre la porta omonima. Cinto da mura, conteneva le tombe (quasi tutte cupolate) di Amīna, madre del Profeta, di Khadīja, una delle sue mogli, oltre a numerose altre di famosi personaggi dell'Islam più antico. Poche lastre tombali portano l'iscrizione, mentre semplici pietre indicano il luogo delle sepolture. Un c. più piccolo si trova a S della città, ai piedi del monte Qaḍā᾽. A Gedda, la c.d. tomba di Eva (Qabr Umm Ḥawwā᾽), oltre il Bāb al-Jadīd, era circondata da un cimitero.Nello Yemen la tradizione cimiteriale continua tipologie precedenti in modo così pedissequo da rendere in certi casi difficile l'attribuzione, come a Dhamār, dove una necropoli rupestre potrebbe essere himyarita o musulmana. Anche nella Tihāma prevale la continuità con le tradizioni sudarabiche preislamiche delle sepolture all'interno delle città e delle tombe contraddistinte da sassi di forme particolari, anche se non mancano i mausolei a baldacchino cupolato. È a Ṣa῾da, nel Nord del paese, il più noto e il più grande c. di tutto lo Yemen, che si estende a N-O della cinta muraria, con centinaia di lastre tombali decorate dai soliti motivi aniconici e con qualche modesto mausoleo cupolato del tipo aperto. A Ṣan῾·a᾽ i c. più antichi sono quello di Ghumdān, anteriore al sec. 11°, e quello di Hamdān, di cui si ha notizia storica precisa dalla fine del sec. 12° e che conteneva numerose pietre tombali. Nel Dhofar lastre tombali del secondo decennio del sec. 14°, decorate da entrambi i lati e caratterizzate tutte dalla raffigurazione di una o più lampade di moschea, testimoniano del grado di raffinatezza decorativa raggiunto.In Mesopotamia, dove si ricorda il più antico mausoleo del mondo islamico, quello costruito a Samarra per la madre del califfo al-Muntaṣir, presumibilmente nel 248 a.E./862, restano testimonianze storiche dei più antichi c. di Baghdad (c. di Bāb Dimashq, risalente alla metà del sec. 7°; c. alKhayzurān, nella zona orientale della città; c. di al-Quraysh, nella zona occidentale; c. di al-Kunās; c. di al-Shūnīziyya; c. al-Fīl o dell'Elefante), nonché alcuni c. ancora esistenti come, per es., quello sorto accanto al complesso funerario di ῾Umar al-Suhrawardī, del sec. 13°, e quello adiacente il complesso di Ma῾rūf al-Karkhī. Altri c., già meta di pellegrinaggi nel sec. 13°, sono a Mossul e a Takrīt.Tra i paesi islamizzati l'Egitto è forse quello che ha la più forte tradizione cimiteriale, dovuta al retaggio della millenaria cultura faraonica. I c. dei primi tempi della conquista continuano da presso i precedenti prototipi; è il caso, tra gli altri, di Khalaṣa, di Rūḥayba e di Sebayta, dove i c. vengono datati al sec. 5° o all'inizio dell'islamizzazione. A Tafah, nell'Alto Egitto, resta ancora un c. risalente al primo periodo islamico. La vastissima necropoli di Assuan, studiata da Monneret de Villard (1930), dimostra la continuità del tradizionale culto dei morti nei numerosissimi mausolei cupolati, diversi per tipologia e per materiali, variamente datati tra i secc. 9° e 11° (le epigrafi sono state sistematicamente staccate e trasferite al Mus. of Islamic Art del Cairo rendendone impossibile l'attribuzione ai singoli edifici). Altri due grandi c., quello di Asyūṭ, situato in prossimità della necropoli antica, e quello di Minyā, nel Medio Egitto, entrambi caratterizzati da centinaia di mausolei cupolati, oltre a numerosi altri dislocati in tutto il paese, sono delle vere e proprie città. La stessa tradizione è presente al Cairo con varie necropoli dove i vivi hanno fatto delle tombe le loro abitazioni. Il più vasto di questi c., conosciuto come al-Qarāfa o c. Meridionale, esteso ai piedi del Muqaṭṭam, ricordato da al-Maqrīzī, da al-Harawī e da Ibn Baṭṭūṭa come importante luogo di pellegrinaggio, contiene numerosissimi mausolei di grande pregio architettonico, oltre a moschee e ad altri edifici religiosi.A Damasco, nella capitale califfale, il c. di Bāb Tūmā, il più antico, ancora oggi utilizzato, è noto con il nome di Ṣhaykh Raslān; il più importante degli antichi c., quello di Bāb alṢaghīr, a S fuori delle mura, conteneva numerose epigrafi con iscrizioni cufiche (ora al Mus. Nat.), nonché diversi mausolei, sostituiti da altri in epoca recente. Va ricordato anche, nella canonica localizzazione extra muros, il c. di Daḥdaḥ, in prossimità della Bāb al-Farādis. Nel Nord del paese, nella zona del Belus, già fittamente popolata in epoca tardoromana e bizantina e oggetto di un relativamente breve periodo di ripopolamento in epoca medievale, restano alcuni c. con tombe segnalate da stele datate (per es. dal 1172 al 1233 nel caso di Dana, dal 1135 al 1338 nel caso di al-Burdaqli, dal sec. 13° al 15° nel caso di Me'ez).In Palestina, nella città santa di Gerusalemme, i musulmani, considerando impura la valle del Cedron, seppellivano i loro morti nel versante orientale della collina del Tempio, ma un vasto c., quello di Mamilla, con mausolei di epoca mamelucca, si estende a O delle mura. Altri c. di origine medievale si trovano a Tiberiade, nella zona meridionale della città, a Yavne (presso Ramla), nella zona occidentale, ad Ascalona, dove un c. con un gran numero di tombe non identificabili di santi e di seguaci del Profeta era già segnalato da al-Harawī.L'intero Maghreb è caratterizzato da un gran numero di c. sorti attorno alla tomba, generalmente cupolata, di un santo locale (marabūṭ), anche se la regione dello M'zab ne rivela la massima concentrazione. A parte questa tipologia si possono citare numerosi c. a Kairouan, nonché i c. di Tunisi, studiati in particolare per valutare le variazioni di popolazione. Nella città, come in altri centri dell'Africa settentrionale, non sono rari i c. intra muros. A Mahdiyya un primo esempio di questa inconsueta localizzazione è costituito da un vastissimo c. del sec. 10°, situato in funzione difensiva nella zona orientale, da Borj al-Kabīr sino al faro. C. assai semplici, con pietre a segnacolo delle tombe, sono frequenti nel Sud dell'od. Algeria e generalmente in zone in cui la setta rigorista degli Ibaditi ha conosciuto una certa diffusione. Anche a Fas si trovano grandi c. intra muros, pur non mancando quelli fuori le mura. A Rabat il grandissimo c. al-Aldu, a N della città, affacciato sull'oceano, entro le mura, occupa un'area rimasta inedificata perché troppo esposta a pericoli provenienti dal mare. Nella vicina Chella, invece, la necropoli reale marinide (1310-1319) comprende, all'interno di un alto muro di cinta, una serie di edifici, costruiti nel sito di un precedente c. che occupava parte della città romana di Sala. Anche la medievale Salé aveva (e ha tuttora) c. intra ed extra muros. A Marrakech il più grande c., quello di Bāb Aghmāṭ, situato a S-O, fuori delle mura, si estende intorno alla tomba di Sīdī Yūsuf ben ῾Alī. A Tlemcen il c. di Sīdī Ya῾qūb è sorto attorno al mausoleo di Sīdī al-Wahhāb ben Munabbiḥ, del 12° secolo.Persino in Sicilia sono segnalati da al-Harawī tombe e c. oggetto di frequenti pellegrinaggi (a Catania, dove è citato espressamente un c. con le sepolture di trenta seguaci del Profeta, ma anche a Marsala, Trapani e Misilmeri).Nella penisola iberica, fin dall'inizio della conquista, numerosi c. sono dislocati extra muros in prossimità delle porte, mentre le c.d. rawḍa o pantheon reali e alcuni qubba si trovano all'interno degli agglomerati urbani. Se ne trovano esempi a Córdova, a Toledo, a Mertola (nell'od. Portogallo), a Siviglia, a Malaga, ad Almería e a Granada.La regione iranica, fitta di mausolei di ogni tipo, di torri funerarie, di sepolture di innumerevoli santi e martiri considerate luoghi di pellegrinaggio, conserva però scarse testimonianze di c. antichi. La zona settentrionale del sub-continente indiano, storicamente dipendente dall'orbis persiano, testimonia nelle necropoli una sua peculiarità. Ne sono un esempio Lunda Pahra nel Punjab (nell'od. Pakistan), con i suoi mausolei, datati al sec. 11°-12°, dalla ricca decorazione in mattoni e in mattonelle smaltate, e Chaukhandī nel Sind, dove centinaia di tombe in pietra particolarmente elaborate e diversificate nei motivi decorativi, risalenti al sec. 16°, continuavano in questo luogo di sepoltura una tradizione più che millenaria. La vasta regione che va sotto il nome di Asia Centrale, altra provincia sostanzialmente iranica, dove si manifestano però anche componenti diverse, prime fra tutte quelle turche, rivela nelle sue numerose necropoli un forte culto dei morti: dal c. sorto attorno al mausoleo di Ismā῾ l il Samanide a Bukhara (nella città tra i secc. 9° e 10° sono testimoniati ben undici c.), alla necropoli selgiuqide di Mestorian, al complesso funerario di Konya Urgench, con elaborati mausolei risalenti ai secc. 12°-14° (entrambi nell'od. Turkmenistan), al monumentale complesso dello Shāh-i Zinda di Samarcanda, che continuava in epoca timuride una tradizione funeraria locale già vecchia di secoli. L'area più propriamente turca testimonia la sopravvivenza di tradizioni funebri in contrasto con tutte le norme dell'Islam: non solo il mausoleo assurge a forma architettonica di grande pregio, capace di rivaleggiare con la moschea, l'edificio sacro per eccellenza, ma l'insieme più o meno unitario di mausolei crea dei veri e propri c. per un'élite non religiosa (come succede nel resto del mondo musulmano), bensì sociale. A ciò si aggiunge la diffusissima decorazione a soggetto animale (e talvolta addirittura antropomorfo), che tende se non a soppiantare almeno a fiancheggiare il più sobrio e canonico rilievo geometrico, sia sugli edifici funerari sia sulle lastre tombali. La dislocazione dei c., spesso sorti attorno a türbe di straordinario valore architettonico e decorativo, non è sempre extra muros: a Cizre il c. a breve distanza dalla Ulu Cami e a Erzurum il complesso noto come Üç Kümbet (in realtà si tratta di quattro mausolei del sec. 12°) testimoniano, tra gli altri, questa tendenza. Tuttavia sono i c. dell'Anatolia orientale, con le loro numerose lastre tombali in pietra fittamente scolpita, a rivelare il carattere proprio di questa regione posta all'incrocio di culture diverse (bizantina, armena, georgiana e turca primitiva).La grande necropoli di Eski Ahlat, che occupa un'area di oltre km2 2 sulle sponde nordoccidentali del lago Van, costituisce il simbolo, ma anche l'espressione multiforme, di una diversa concezione del c. islamico. Centinaia di lastre tombali, spesso di notevoli dimensioni (molte superano m. 2 di altezza), si affollano in apparente disordine attorno a mausolei in gran parte del 13° secolo. La decorazione scolpita, che copre l'intera superficie delle pietre, ripete e rielabora motivi prevalentemente geometrici ed epigrafici con chiare allusioni a composizioni più propriamente architettoniche. Nella non lontana Gevaş, sulle rive meridionali dello stesso lago, un altro c., relativamente vasto, con pietre tombali di cui le più antiche risalenti all'inizio del sec. 14°, rivela una sua peculiarità nei rilievi di soggetto geometrico e fitomorfico a imitazione di sculture lignee. C. simili e più o meno coevi si trovano a Yalmizbağ, vicino a Divriği, a Şeyh Hasan köyü, a non grande distanza dall'Eufrate. Non vanno infine dimenticati, ulteriore testimonianza di peculiarità in ambito islamico, i numerosi c. caratterizzati da rozze sculture a tutto tondo di quadrupedi, generalmente cornuti, che segnalano la presenza delle tombe. Erano diffusi, e ne restano ancora cospicue tracce, in tutta l'Anatolia orientale da Elaziğ fino a Julfa (oggi divisa tra l'Azerbaigian e l'Iran).Non si può non osservare, infine, come la tradizione cimiteriale del mondo islamico nelle sue diverse forme si prolunghi pressoché inalterata sin quasi a oggi, determinando un continuum tipologico e stilistico confermato da numerosi esempi tra i quali il c. di Karacaahmet a Üsküdar nel sobborgo asiatico di Istanbul, la già citata, vastissima necropoli di Maklī presso Thatta nel Sind e l'esteso c. sorto attorno alla tomba di Aba Hoja a Kashgar nel Xinjiang.

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