Cile

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Stato dell’America Meridionale. Confina a N con il Perù, a E con la Bolivia e l’Argentina; a S e a O è bagnato dall’Oceano Pacifico. Il territorio si allunga per 4200 km circa nel senso della latitudine e non supera i 400 km nel senso della longitudine, conferendo un perimetro estremamente sviluppato rispetto alla superficie racchiusa, e generando una rilevante quantità di problemi (comunicazioni, difesa).

Caratteri fisici

Il C. può essere suddiviso, procedendo da E a O, in tre regioni morfologiche: le cordigliere, una depressione longitudinale (Valle Central) e una serie di rilievi costieri. La Cordigliera delle Ande si sviluppa lungo tutta la sezione E del paese; a N, questa comprende anche parte della Puna (3000-5000 m), altopiano coperto da vasti salares (conche, generalmente prive d’acqua, in cui si è depositata una grande quantità di sali), dominato da vette alte oltre 6000 m (Ojos del Salado, 6885 m), spopolato e desolato; in questa sezione, al piede occidentale della Cordigliera si estende il deserto di Atacama, che scende all’oceano con un ciglio rialzato (Cordigliera della Costa). A S della Puna il sistema andino si restringe, mantenendosi assai elevato fino al passo della Cumbre; qui sorgono le cime più elevate, le principali delle quali ricadono però in territorio argentino. Nel C. centrale, sulla cresta andina principale, sono numerosi i vulcani (Tupungato, 6550 m; Maipo, 5323 m). A S delle sorgenti del Neuquén la Cordigliera prende il nome di Ande di Patagonia e si suddivide in massicci (Tronador, 3554 m; Darwin, nella Terra del Fuoco, 2469 m), isolati da depressioni in parte occupate da laghi o invasi dalle acque dell’oceano; questa sezione è coperta da foreste e ricca di ghiacciai. Tra le Ande del C. centrale e i rilievi costieri si stende una fossa di sprofondamento lunga 900 km e larga fino a 90 km, che costituisce la regione di più intensa utilizzazione da parte dell’uomo. Verso l’oceano si elevano rilievi costieri generalmente non di spicco, ma che s’innalzano qua e là fin oltre 2200 metri. Questi stessi rilievi proseguono in mare, dando origine a numerose isole montuose che fronteggiano la costa del C. meridionale (Chiloé, Chonos). La costa, compatta a N e al centro, a S si presenta straordinariamente movimentata, incisa da fiordi e complicata da isolotti e scogli, divisi tra loro da un sistema intricato di canali e di bracci di mare, fino alla Terra del Fuoco. Molto al largo del C. si trovano le isole Desventuradas, Juan Fernández, di Pasqua e Sala y Gómez. Data l’origine geomorfologica recente delle catene andine, il C. è frequentemente colpito da violenti terremoti.

Anche per quanto riguarda le caratteristiche climatiche, è opportuno distinguere una regione settentrionale, a clima tropicale arido (il deserto di Atacama è tra le regioni della Terra in cui minori in assoluto sono le precipitazioni registrate); una centrale, a clima temperato caldo, che verso la costa si fa analogo al clima mediterraneo, con discreta piovosità ma con siccità estiva; e una meridionale, a clima temperato-freddo oceanico, con piogge copiose in ogni stagione; sulle Ande, ovviamente, le condizioni climatiche sono comunque dettate soprattutto dall’altitudine.

A causa della vicinanza delle zone montuose alla costa, i fiumi cileni sono brevi di corso; per la forte acclività del versante andino occidentale, inoltre, hanno anche corsi ripidi e interrotti da cascate; di conseguenza, quasi non sono utilizzabili dal punto di vista della navigazione, mentre sono abbondantemente sfruttati per la produzione di energia idroelettrica. Nel C. settentrionale, l’unico fiume notevole è il Loa (440 km), che nel corso inferiore ha acque salmastre. Verso S i fiumi diventano più ricchi d’acqua (Bío-Bío, 362 km, di cui 130 navigabili). Il C. meridionale è poi ricco di laghi (il maggiore è il Llanquihue, 780 km2), alcuni dei quali condivisi con l’Argentina.

Nel C. settentrionale la vegetazione è spiccatamente xerofila; in prossimità della costa compaiono mimosacee, opunzie e cactacee, spesso raccolte in oasi; il paesaggio vegetale si arricchisce procedendo verso S e le pendici andine, soprattutto nella sezione centro-meridionale, appaiono ammantate di foreste, ove predominano magnolie, rosacee, cipressi e varie specie di faggio australe e di conifere di grandi dimensioni.

Popolazione

In epoca precolombiana la popolazione del C. probabilmente non superava le 250.000 unità. Nell’arida regione settentrionale vivevano Chango e Atacameños lungo la costa, e Diaguitas nell’interno; nell’area centrale Araukani (Mapuche, Huilliche, Picunche), agricoltori e allevatori, che costituivano le società più complesse e tecnologicamente evolute; più a S gruppi di pescatori e raccoglitori fuegini (Alacalùf, Chono, Yamana), al contrario, conoscevano una tecnologia elementare e strutture sociali molto semplici. Dopo l’arrivo dei conquistatori spagnoli, i gruppi araukani opposero una fiera resistenza, vivacemente rinnovata ancora nella seconda metà del 19° sec. (in sincronia con le ‘guerre indiane’ che segnarono gli stessi decenni in America Settentrionale) ma furono costretti a ritirarsi a S del Bío-Bío, dove hanno conservato fino a oggi buona parte del patrimonio culturale originario, malgrado la grave decimazione che colpì tutti i gruppi nativi. Ridottasi la popolazione a 120.000 abitanti nel 17° sec., la dinamica demografica cilena subì un impulso decisivo dopo il 1835 (quando contava un milione di abitanti), a opera della grande ondata migratoria europea, raggiungendo i 3 milioni nel 1940. La componente naturale, con una natalità elevata (35‰ ancora nei primi anni 1960) contribuiva ad ampliare l’incidenza delle classi di età più giovani (nel 2006 si è stimato nel 25% la quantità di abitanti con meno di 15 anni). Poi, alla relativa decelerazione delle nascite (14,8‰ nel 2008) e dei tassi di mortalità, specie infantile, hanno fatto riscontro un sensibilissimo aumento della speranza di vita media (salita a 78 anni, dai 35 del 1930) e una crescita che portava di nuovo al raddoppio degli abitanti (10 milioni) già intorno al 1975. Forte è la concentrazione degli abitanti nella depressione longitudinale (Valle Central), che ospita ben il 70% della popolazione complessiva, con densità fino a 150 ab./km2 (oltre 400 nell’area metropolitana di Santiago), contro una media di 21,7 ab./km2 nell’intero paese e valori inferiori a 5 alle latitudini estreme.

Dal punto di vista etnico, si ritiene che attualmente la popolazione sia composta per lo più da meticci di origine europea (il 90% del totale), mentre gli Amerindi vengono computati in circa il 10%. La tendenza all’urbanesimo (l’87% della popolazione vive in aree urbane) è netta e ben esemplificata dall’agglomerazione della capitale (oltre 6 milioni di ab.) e da quella di Valparaíso (oltre 1,6), mentre quella che fa capo a Concepción supera il milione; le altre città di importanza regionale non raggiungono i 300.000 abitanti. La popolazione rurale vive in aziende agricole e allevatrici, specie del Sud, e in villaggi.

Lingua ufficiale è lo spagnolo; i gruppi amerindi usano idiomi locali, tra cui spiccano per diffusione e rilevanza il mapuche e il quechua. Religione prevalente è quella cattolica (70%), con minoranze prevalentemente protestanti (15%) ed ebraiche.

Condizioni economiche

L’economia cilena fu caratterizzata da uno sviluppo di tipo ‘coloniale’ (esportazione di minerali: rame e nitrati) fin oltre la seconda metà del 20° sec.; la rapida crescita di un mercato interno e il radicamento (nella popolazione di più recente origine europea) di generi di vita pienamente in linea con quelli dei paesi occidentali avanzati, fecero tuttavia giungere a maturazione, sul finire degli anni 1960, le contraddizioni intrinseche al sistema economico. La parentesi socialista dei primi anni 1970 tentò un riequilibrio nei rapporti sociali interni (esproprio dei latifondi, nazionalizzazione di miniere e industrie, controllo dell’azione dei gruppi finanziari e multinazionali dominanti), benché a costo di un’inflazione vertiginosa e di pesanti squilibri produttivi. Interrotto con la forza quel processo, i successivi indirizzi di politica economica, di stretta osservanza neoliberista, restituirono un ruolo predominante al capitale privato, in particolare ai grandi gruppi industriali, mentre ostacolavano la diffusione della piccola proprietà contadina e la crescita dei consumi interni, riducevano la spesa pubblica, specie nel settore dei servizi sociali, e ampliavano la gamma dei prodotti a basso valore aggiunto (agricoli, forestali e ittici), destinati con i minerali all’esportazione; in quegli anni si registrò anche il tracollo del prezzo internazionale del rame, che comportò gravi ripercussioni sull’economia del paese. Nell’insieme, a prezzo però di un costo sociale elevato (disoccupazione al 20%, espansione della povertà), i conti pubblici furono risanati, l’inflazione messa sotto controllo, i capitali esteri nuovamente incoraggiati a investire nei settori che profittano della disponibilità di manodopera e di materie prime a buon mercato. Il ripristino di una gestione politica legittimata dal consenso popolare ha visto modificare solo in parte le scelte di fondo. A partire dagli anni 1990 (superata una flessione proprio sul finire del decennio), l’economia cilena ha conosciuto una crescita piuttosto consistente, anche se a prezzo di un temporaneo peggioramento degli altri indicatori (debito estero, deficit commerciale e disoccupazione), peraltro compensato dall’aumento dell’interscambio entro l’area del MERCOSUR, cui il C. è associato (come è di fatto associato al NAFTA) e degli investimenti esteri.

Ai fini delle propensioni produttive, la regione settentrionale è essenzialmente mineraria; quella centrale ha consentito il maggiore sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, nonché dell’industria di trasformazione e in genere delle attività economiche evolute; la regione meridionale si presta a uno sfruttamento forestale e pastorale. La superficie destinata alle colture arative e arboree è pari appena al 3,1% del totale, quella forestale al 20,7%, quella prativa e pascoliva al 17,2%; il resto corrisponde a terreni improduttivi o incolti. Le superfici coltivabili sono ridottissime nel Nord desertico o arido, dove prevale la piccola proprietà, e molto più considerevoli in alcune province centrali; nell’insieme del paese, i tre quarti dei terreni agricoli sono di proprietà di grandi aziende, spesso nella forma classica del latifondo. La produzione prevalente, per estensione, è quella dei cereali; tra questi predomina nettamente il frumento (circa 420.000 ha e 18 milioni di q nel 2005), soprattutto nel C. centrale, mentre più a S si coltivano orzo, mais, avena; la produzione, però, in genere, non è sufficiente al fabbisogno interno. Molto più rilevanti sotto il profilo reddituale sono le produzioni ortofrutticole, compresa la viticoltura (22 milioni di q di uva e circa 8 milioni di hl di vino), che pone il C. al decimo posto al mondo tra i paesi vinicoli; lo sviluppo dei sistemi di conservazione e condizionamento, nonché l’abbattimento dei costi del trasporto aereo, hanno reso competitive le produzioni cilene sui mercati dell’emisfero settentrionale, dove si rendono disponibili, grazie all’inversione stagionale, come prodotti fuori stagione. Le foreste sono estese a S, contengono essenze pregiate e forniscono un contributo crescente alle esportazioni, attraendo una quota non indifferente di investimenti esteri. L’allevamento vede ormai una netta prevalenza dei bovini (4,5 milioni), diffusi soprattutto nel C. centrale, e una crescente presenza di suini (3,4 milioni), a dimostrazione sia dell’aumento dei consumi interni, sia dell’incremento dei flussi di esportazione; gli ovini (3,4 milioni), nelle regioni meridionali, si sono invece quasi dimezzati nell’ultimo ventennio, benché la produzione di lana continui a essere molto rilevante. Uno sviluppo assai considerevole ha avuto la pesca, il cui prodotto dalle 65.000 t del 1948 è salito a 4-5 milioni di t annue alimentando, insieme con la lavorazione delle carni, un consistente impiego di manodopera nell’industria conserviera.

Il C. è comunque ancora soprattutto produttore di minerali. Enorme importanza conserva lo sfruttamento dei giacimenti cupriferi (Chuquicamata, El Teniente, Potrerillos), che pongono il paese al primo posto nella graduatoria mondiale (5,3 milioni di t nel 2005); gli impianti di raffinazione sorgono presso le miniere, che in genere sono ‘a cielo aperto’, e lavorano prevalentemente per l’esportazione, come le fonderie di ferro, pure largamente estratto (7,4 milioni di t) nelle regioni centro-settentrionali; importanti, inoltre, le produzioni di argento e oro. Speciale rilievo ha la produzione di nitrato sodico (1.400.000 t), una delle maggiori ricchezze tradizionali del C., malgrado la forte concorrenza dei concimi sintetici; la si realizza a N, nella zona intermedia tra i rilievi costieri e le Ande, e fornisce materia prima per l’industria chimica. A parte le grandi disponibilità idriche che garantiscono la metà del fabbisogno energetico, hanno qualche rilievo le produzioni di carbone, petrolio e gas naturale.

Le industrie più sviluppate, oltre a quelle dei settori agroalimentare, metallurgico e chimico, sono quelle tessile (specie per la lana e il cotone), meccanica (montaggio di automobili ad Arica) e cartaria, in forte progresso. Le attività definibili come terziarie hanno registrato un incremento assai sostenuto nel corso dell’ultimo ventennio; in maniera particolare, si tratta dei servizi bancari e finanziari, in gran parte nelle mani di imprese estere o transnazionali.

Dato lo sviluppo costiero, le comunicazioni marittime sono di grande importanza, per i servizi di cabotaggio; i porti (principale Valparaíso, che è essenzialmente importatore) sono numerosi e ben attrezzati, specie quelli destinati all’esportazione dei minerali (Antofagasta, Iquique). La rete ferroviaria, imperniata su una linea longitudinale da Zapiga (70 km a N di Iquique) a Puerto Montt, da cui si dipartono quattro tronchi transandini, è stata drasticamente ridimensionata negli ultimi anni (circa 2000 km di sviluppo) a vantaggio di quella stradale, anche in conseguenza di un rapido aumento del parco automobilistico: su una rete viaria di circa 85.000 km (inclusi un tratto della Carretera Panamericana e un’autostrada transandina), gli autoveicoli in circolazione raggiungono ormai i 2,3 milioni. Assai sviluppata è la navigazione aerea. In crescita costante, benché moderata, è l’afflusso turistico (1,8 milioni di ingressi nel 2004), prevalentemente diretto nelle regioni del Sud, andine e insulari.

Storia

Avviata dalla Spagna nel 1535, la conquista del C. fu resa difficile dalla resistenza degli indios Araukani. Fino al 19° sec. il controllo degli spagnoli non fu in grado di estendersi a S del fiume Bío-Bío, ma nella regione da essi occupata la fusione con la locale popolazione amerindia diede luogo a una massa relativamente omogenea di meticci. I primi anni dopo l’indipendenza (proclamata il 12 febbraio 1818 dal director supremo B. O’Higgins, che mantenne la direzione dello Stato fino al 1823) videro da un lato la prosecuzione della guerra contro la Spagna fino alla sua definitiva espulsione dall’America Meridionale (1826), dall’altro contrasti all’interno dell’oligarchia dominante. Dopo ripetuti rovesciamenti di governi e l’adozione di due successive costituzioni (nel 1823 e nel 1828), la crisi si risolse con la vittoria dei conservatori (1830) e il varo di una Costituzione (1833) destinata a durare per quasi un secolo.

L’egemonia conservatrice si protrasse fino al 1861, seguita, nella seconda metà del secolo, da un’ascesa dei gruppi liberali. L’espansione degli interessi minerari cileni verso N portò alla guerra del Pacifico (1879-84), che si concluse con la vittoria del C. e l’occupazione di tutta l’area contesa. Entro la fine dell’Ottocento, portando a termine la sottomissione degli Araukani, il governo di Santiago riusciva finalmente a stabilire il proprio controllo anche sulle regioni più meridionali del paese, che acquisiva così le dimensioni attuali. Un conflitto sorto fra il presidente della Repubblica J.M. Balmaceda (1886-91) e il Parlamento provocò nel 1891 una breve guerra civile, terminata con la sconfitta e il suicidio di Balmaceda e con il varo di una riforma costituzionale. Nei trent’anni successivi si formarono nuove forze politiche e sociali, come il partito radicale e il partito socialista, fondato nel 1912 e divenuto comunista nel 1922. Le gravi difficoltà economiche seguite alla fine della Prima guerra mondiale acuirono i contrasti fra queste forze e i conservatori, determinando negli anni 1920 e 1930 una notevole instabilità politica. Nel 1925, dopo una prima assunzione del potere da parte dei militari, furono varate alcune riforme e una nuova costituzione di tipo presidenziale, rimasta poi in vigore fino al 1973: essa stabiliva l’elezione a suffragio universale del presidente e del Congresso bicamerale; ma l’esclusione delle donne (fino al 1949) e degli analfabeti (fino al 1970) rendeva ancora limitato il corpo elettorale. Negli anni seguenti la situazione rimase assai tesa e si ebbero successivi rovesciamenti di governi (fino al 1932), ripetuti interventi dei militari, tentativi di colpo di Stato, scioperi e rivolte popolari duramente represse, mentre nascevano nuovi partiti (tra i quali un nuovo partito socialista nel 1933).

Nel 1938 la vittoria elettorale del Frente popular, coalizione di sinistra guidata dal partito radicale, inaugurò una fase di egemonia radicale proseguita fino al 1952. Gli anni della Seconda guerra mondiale videro una ripresa della crescita economica, dovuta soprattutto al notevole aumento delle esportazioni. Sul piano sociale l’incapacità dei governi guidati dai radicali a realizzare effettive riforme portò a una crisi del Frente popular e a successivi cambiamenti di alleanze ministeriali, fino al netto spostamento a destra del dopoguerra, quando nel clima della guerra fredda fu costituita una coalizione con le forze conservatrici (1948) e messo fuori legge il partito comunista (fino al 1958). Si rafforzavano intanto i legami con gli Stati Uniti e cresceva la loro penetrazione economica nel paese. Le elezioni presidenziali del 1952 furono vinte dal generale C. Ibáñez del Campo (già dittatore, 1927-31); Ibáñez stabilì buoni rapporti con l’Argentina di Perón e condusse una politica nettamente conservatrice, reprimendo duramente le agitazioni sindacali, mentre la situazione economica subiva un sensibile deterioramento. Le elezioni del 1958 riportarono alla presidenza un esponente della destra tradizionale, il liberale J. Alessandri Rodriguez, ma nel corso degli anni 1960 questa subì un progressivo ridimensionamento a vantaggio delle sinistre e soprattutto del nuovo Partido demócrata cristiano (PDC, fondato nel 1957), che si affermò, anche a spese dei radicali, al centro dello schieramento politico.

Nel 1964 il leader del PDC E. Frei Montalva, eletto presidente della Repubblica, avviava una politica di riforme. Le difficoltà e le incertezze di tale politica lasciarono insoddisfatte le aspettative popolari e le elezioni presidenziali del 1970 videro la vittoria del socialista S. Allende Gossens, sostenuto da una coalizione di sinistra (Unidad popular). Il governo Allende diede un forte impulso all’azione riformatrice in una prospettiva di transizione al socialismo: furono nazionalizzate le miniere di rame, accelerata la riforma agraria, sviluppati i servizi sociali e adottate misure di redistribuzione del reddito a favore delle classi subalterne; sul piano internazionale furono estesi i rapporti con i paesi socialisti e con Cuba. Questa politica ottenne il sostegno delle masse popolari (confermato dai successi elettorali del 1971 e del 1973), ma suscitò l’opposizione delle classi dominanti, del grande capitale straniero e di una parte consistente dei ceti medi, che venivano sospinti a destra dal grave deterioramento della situazione economica. Con l’acuirsi dello scontro sociale e politico anche il PDC si affiancò alle forze conservatrici, mentre episodi di terrorismo e minacce golpiste accrescevano la tensione.

Nel settembre 1973 un colpo di Stato poneva termine all’esperienza di Unidad popular (lo stesso Allende rimase ucciso durante l’assalto al palazzo presidenziale) e il potere veniva assunto da una giunta militare, presieduta dal generale A. Pinochet Ugarte (proclamato nel 1974 presidente della Repubblica), che sospendeva la Costituzione, scioglieva il Congresso e proibiva ogni attività politica. Mentre sul C. si abbatteva la repressione (migliaia di oppositori internati, uccisi o ‘fatti scomparire’), una politica economica rigidamente liberista smantellava le riforme del governo di Allende. Dopo un plebiscito di sostegno al regime, nel 1980 fu approvata tramite referendum una nuova costituzione (promulgata nel marzo 1981) che ampliava i poteri del presidente (prolungandone il mandato a otto anni) rispetto al Congresso bicamerale, confermava il ruolo istituzionale dei militari, sanciva l’illegalità delle organizzazioni di ispirazione marxista e stabiliva restrizioni ai diritti di sciopero, di associazione e di espressione. In politica estera, la fine degli anni 1970 vide un peggioramento dei rapporti con la Bolivia, e con l’Argentina, per l’annosa controversia sul canale di Beagle (➔), che trovò soluzione con la mediazione della Santa Sede solo nel 1984. L’economia dopo una crescita produttiva nella seconda metà degli anni 1970, precipitò nei primi anni 1980 in una grave crisi. Tali sviluppi provocavano una forte crescita dell’opposizione popolare e, dal 1983, una serie di scioperi e di manifestazioni di protesta misero in difficoltà il regime militare, che reagì con una dura repressione. I principali partiti cominciarono a riorganizzarsi, ma con profondi contrasti fra loro. Mentre infatti le forze moderate e centriste e la maggior parte dei socialisti cercavano di raggiungere un accordo con i militari, i comunisti e il MIR (Movimiento de izquierda revolucionaria) ritenevano che soltanto una rottura della continuità istituzionale potesse garantire il ritorno alla democrazia e non escludevano la lotta armata fra gli strumenti per combattere la dittatura. A partire dal 1987, quando il regime aprì le iscrizioni per un nuovo registro elettorale e permise il ritorno alla legalità dei partiti non marxisti, fu comunque la linea moderata a prevalere. La sconfitta di Pinochet nel plebiscito dell’ottobre 1988 sul prolungamento della sua presidenza fino al 1997 consentì di affiancare alle previste legislative del 1989 anche elezioni presidenziali, rafforzando le tendenze liberalizzatrici. Le consultazioni videro la vittoria dell’opposizione moderata e nel marzo 1990 la giunta militare lasciò il potere a un’amministrazione civile guidata dal democristiano P. Aylwin Azócar.

Costituito un governo di centrosinistra, Aylwin cercò di promuovere una graduale evoluzione in senso democratico, tentando di far fronte ai vincoli connessi con la continuità istituzionale, la permanenza di Pinochet alla testa delle forze armate, il peso della destra nello stesso Congresso. Il processo di transizione dalla dittatura alla democrazia fu condizionato dal ruolo di ‘tutela’ che i militari continuavano a esercitare sulla vita del paese e soprattutto dalla presenza politica di Pinochet. Priva della maggioranza necessaria per modificare la Costituzione, l’amministrazione Aylwin dovette scendere a continui compromessi con l’opposizione di destra e poté approvare solo alcune delle riforme proposte. Grazie anche al buon andamento dell’economia (pur in presenza di gravi diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza), la coalizione di centrosinistra fu confermata dopo le elezioni del 1993, nelle quali venne eletto presidente della Repubblica il democristiano E. Frei, che ripropose alcune delle leggi di riforma già tentate dal suo predecessore. Sul piano internazionale, conclusi nel 1993 accordi di libero scambio con Colombia ed Ecuador, il C. ristabilì nell’aprile 1995 relazioni diplomatiche con Cuba e nell’ottobre 1996 entrò a far parte, quale membro associato, del MERCOSUR. Nel 1998 iniziò la lunga vicenda giudiziaria di Pinochet, che fu arrestato mentre si trovava a Londra, poi estradato e ricondotto in patria e rinviato a giudizio al principio del 2001. Il processo, riguardante in primo luogo i crimini e le atrocità commessi durante gli anni della dittatura e poi la costituzione di fondi segreti intestati alla sua famiglia e frutto di arricchimenti illeciti, non fu mai concluso, a causa delle precarie condizioni di salute dell’ex dittatore, che morì nel 2006.

Il 2000 fu segnato dal ritorno alla presidenza della Repubblica di un socialista, R. Lagos, che diede avvio a un vasto programma di riforme, sfociato nel 2005 nella riforma della Costituzione del 1980. Nel 2006 a Lagos è successa la sua compagna di partito, M. Bachelet, che ha avviato una politica neoliberista, pur tra le proteste del mondo operaio e studentesco.

Nelle presidenziali del 2009-10 ha prevalso al ballottaggio l'imprenditore Sebastián Piñera, candidato del centrodestra, sull'ex capo di stato Frei, sostenuto dal centrosinistra. La presidenza di Piñera è coincisa con una fase di forti agitazioni sociali, che hanno visto susseguirsi scioperi nelle miniere di rame di tutto il Paese, il ricorso al Comitato interamericano di alcuni prigionieri politici di etnia Mapuche e, soprattutto, il crescere dello scontento nel movimento studentesco, che ha chiesto  una riforma del sistema scolastico pubblico e privato, indicendo inoltre nell'ottobre 2011 un referendum autoconvocato. Dopo alcuni infruttuosi tentativi di mediazione e l'abbandono del tavolo delle trattative da parte dei leader del movimento, il governo ha messo in atto una dura repressione contro le manifestazioni pubbliche indette dagli studenti, alle quali ha fatto seguito una nuova ondata di scioperi.

Al primo turno delle consultazioni presidenziali tenutesi nel novembre 2013, l'ex presidente Bachelet ha ottenuto il 46,8% dei consensi contro il 25,1% aggiudicatosi dalla sua sfidante, l'esponente del centrodestra E. Matthei; il successo è stato confermato al ballottaggio svoltosi nel mese successivo, in cui ha ricevuto il 62,7% delle preferenze assumendo nuovamente la presidenza del Paese, caratterizzata negli ultimi anni da una costante crescita economica basata su un’economia aperta e competitiva, solo parzialmente rallentata da una serie di scandali politici avvenuti tra il 2014 e il 2015. Nel novembre 2017, confermando una storica tendenza all'alternanza tra forze politiche alla guida del Paese, il primo turno delle elezioni presidenziali ha registrato l'affermazione dell'ex presidente Piñera, che ha ottenuto il 36% dei consensi contro il 22% aggiudicatosi da A. Guillier, sconfiggendolo il mese successivo al ballottaggio con il 54% delle preferenze e subentrando nella carica a Bachelet. Negli anni successivi, in un Paese tormentato dalla crisi economica e dalle diseguaglianze sociali, il malcontento popolare contro la gestione politica autoritaria di Piñera è andato aumentando, fino a scaturire nell'ottobre 2019 in violente proteste di piazza a seguito di un aumento delle tariffe del trasporto pubblico, cui il governo ha risposto con la dichiarazione dello stato d’emergenza. Nell'ottobre 2020, attraverso lo strumento referendario, il 78,2% dei votanti si è espresso a favore dell'emanazione di una nuova Costituzione in sostituzione di quella vigente, redatta durante la dittatura di Pinochet. Alle elezioni amministrative tenutesi nel maggio 2021, la coalizione Chile Vamos di Piñera, composta anche da formazioni di estrema destra, ha ottenuto 37 seggi, poco meno di un quarto del totale, mentre si sono imposte le due liste di opposizione, Apruebo Dignidad (27 seggi) e la Lista de Apruebo (25 seggi), i candidati indipendenti e i rappresentanti delle comunità indigene (17 seggi), ciò che ha consentito alle forze della sinistra di discutere e approvare mutamenti sostanziali nel testo costituzionale, riconoscendo la parità di genere e rafforzando i diritti dei lavoratori e dei gruppi nativi. Le presidenziali del novembre 2021 hanno evidenziato comunque un incremento di consensi per la destra, con J.A. Kast che si è imposto al primo turno con il 28% circa dei consensi sul candidato della coalizione di sinistra G. Boric (25%), che lo ha sconfitto al ballottaggio svoltosi nel mese di dicembre, subentrando nella carica al presidente uscente Piñera. Il referendum tenutosi nel settembre 2022 per l'approvazione della nuova Costituzione, appoggiata anche da Boric, ha ottenuto il 62% di pareri contrari, confermando in vigore il testo approvato durante la presidenza di Pinochet; le elezioni per la formazione del Consiglio costituzionale svoltesi nel maggio dell'anno successivo hanno registrato l'affermazione dell’estrema destra del Partito repubblicano di J.A. Kast, che si è aggiudicato il 35,4% delle preferenze.

Nel dicembre 2023 il Paese ha nuovamente respinto attraverso lo strumento referendario, con il 55% dei pareri negativi, le modifiche proposte dalla Convenzione costituzionale a maggioranza progressista alla Costituzione vigente, approvata nel 1980 sotto la dittatura militare di Pinochet.

Letteratura

Fin dal 16° sec. il C. raggiunge una fisionomia artistica originale. L’ispirazione storico-epica, di cui è esempio il poema di A. de Ercilla La Araucana (1569-89), che esalta il popolo cileno difensore della propria libertà, si mantiene feconda. L’Arauco domado (1590-96) di P. de Oña e il Cautiverio feliz (1673) di Fr. Núñez de Pineda y Bascuñán sono sempre nell’ambito di questa ispirazione di guerra e d’avventura. Nel 19° sec. l’ansia delle libertà politiche dà nuovo impulso alle lettere. Nel 1812 C. Henríquez fonda il primo periodico, La aurora de Chile, dalle cui pagine svolge attività di educatore e combattente per la libertà e la democrazia. I periodici e le riviste che nascono su quell’esempio si giovano dell’insegnamento francese come della guida più adatta alle esigenze della nuova nazione.

È tuttavia con la generazione del ’42, influenzata da esuli come J.J. Mora e A. Bello, che il C. vive il suo momento più interessante. Il Semanario de Santiago, il Mercurio di Valparaíso e il Semanario Literario sono teatro di accese dispute di carattere letterario, riflesso della vivacità della cultura cilena, decisamente orientata verso quel rinnovamento che con il Romanticismo investe l’arte come la politica. Nella lirica si segnalano le leggende nazionali rievocate da S. Sanfuentes o le poesie di G. Blest Gana, ma è soprattutto il romanzo a rispecchiare l’ambiente e la società cileni della seconda metà del 19° secolo. La tendenza realista d’importazione europea si colora di note di costume e si arricchisce di un tipo umano, el roto, che, preannunciato (1843) da El mendigo di J.V. Lastarria, troverà la sua espressione migliore nel romanzo criollo del 20° secolo. In questo quadro s’inseriscono i romanzi di A. Blest Gana (Una escena social, 1843; Martín Rivas, 1862; Los trasplantados, 1904) e quelli di V. Pérez Rosales (Recuerdos del pasado, 1882; El huaso Rodriguez, 1903).

La permanenza di Rubén Dario in C. e la pubblicazione di Azul a Valparaíso (1888) segnano l’inizio dell’esperienza modernista nella letteratura cilena. La ricerca formale si fonde con un sentimento di amarezza nella contemplazione della realtà come nei poemi di J. González Bastías (El poema de las tierras pobres 1924; Vera rústica, 1933; Venero nativo, 1940), o con la malinconia della vita provinciale, come nell’opera di C. Pezoa Véliz. Con M. Magallanes il modernismo cileno si accosta a quello europeo nel tormento stilistico di Facetas (1902), Matices (1904) e di La casa junto al mar (1918). La poesia di G. Mistral segna la fine di quell’esperienza. Il ricordo di un amore perduto, l’angoscia della solitudine di Desolación (1922), il dramma della maternità frustrata di Tala (1938) trovano accenti nuovi e profondi, non facilmente riconducibili entro i limiti di una corrente ben definita. Dopo il 1918, il creacionismo di V. Huidobro nasce come tentativo di rinnovamento del lessico, di arricchimento della lirica con metafore e immagini inedite, aprendo la via alle numerose correnti d’avanguardia, quali il ‘runrunismo’ di P. Rokha. Incisivo fu l’apporto delle esperienze del gruppo surrealista Mandrágora, fondato (1938) da B. Arenas, che ebbe, tra i suoi animatori, E. Gómez Correa, T. Cid, G. Rojas, J. Cáceres. Con lontane risonanze moderniste nasce anche la poesia di P. Neruda, che presto si svincola da quei legami in un continuo rinnovamento stilistico e tematico, per cui di volta in volta è stata definita surrealista, espressionista e ‘utilitaria’. L’aspetto realistico della poesia di Neruda, portato al livello del più semplice linguaggio colloquiale, si trasforma in cronaca della vita quotidiana nei Poemas y antipoemas (1954) di N. Parra, la cui lezione di ‘antipoesia’ è punto di riferimento obbligato per la poesia della seconda metà del secolo. Dall’antipoesia muove E. Lihn, che però dà alla sua lirica un tono d’avanguardia fondato su un più libero gioco verbale (da Nada se escurre, 1949, all’antologico Mester de juglaría, 1987, e al postumo Diario de muerte, 1988). J. Teillier si rifugia nell’esaltazione della terra natale, trasformando in mito il mondo quotidiano (El cielo cae con las hojas, 1958; Pueblos y fantasmas, 1978; Molino y la higuera, 1993). Sentimenti e vita quotidiani, espressi in un linguaggio surrealista, caratterizzano la lirica di E. Barquero (La piedra del pueblo, 1954; El pan del hombre, 1960; El poema negro de Chile, 1974; A deshora, 1992), mentre la poesia venata da un’ironia amara di A. Rubio culmina in un sentimento tragico della vita (La greda vasija, 1952; Trances, 1987). Verso nuove esperienze poetiche si muovono successivamente autori come O. Hahn, che trae ispirazione da classici spagnoli e latini, e da fonti bibliche (Arte de morir, 1977; Mal de amor, 1981; Imágenes nucleares, 1983); la tecnica giapponese dell’haiku e contaminazioni con le arti visive, specie la pop art, si riscontrano nelle visioni di metropoli alienanti di G. Millán (Relación personal, 1968; Ciudad, 1978; Vida, 1982), mentre nella poesia di W. Rojas versi epigrammatici e sentenziosi evocano un mondo perduto e il tempo passato (Agua removida, 1964; Cielo raso, 1971; Almenara, 1985). Parallelamente, e in risposta all’esperienza del golpe del 1973 e alla repressione esercitata dalla dittatura, si afferma una poesia di violenta rottura rispetto alla tradizione. L’esponente più noto è R. Zurita, la cui visione della realtà si traduce nella massima libertà linguistica, nell’anarchia della punteggiatura e in un uso fantasioso dei caratteri tipografici (Purgatorio, 1979; Anteparaíso, 1982; El amor de Chile, 1987; El día más blanco, 1999).

Nel romanzo del 20° sec. si accentua l’interesse per l’ambiente criollo e a partire dai Cuentos de Maule (1912) di M. Latorre la vita dei campi, la lotta dell’uomo con la terra costituiscono il nucleo centrale della narrazione. Venidos a menos (1916) di R. Maluenda, cui farà seguito Colmena urbana (1937), segna l’avvio di un nuovo orientamento che trova nei romanzi di O. Castro, Llampo de sangre (1950) e La vida simplemente (1951) un ampliamento di temi e un equilibrio strutturale. Nei primi anni 1960 il nuovo romanzo latino-americano esercita sulla narrativa cilena un effetto dirompente, affrancandola dai dogmi del realismo sociale e del romanzo criollo. Le innovazioni strutturali e ideologiche che ne conseguono danno vita a opere in cui la realtà non è più descritta fedelmente, ma trasformata dall’immaginazione e talora deformata, come in El obsceno pájaro de la noche (1970) e Casa de campo (1978) di J. Donoso, tra i massimi artefici del rinnovamento, ed El peso de la noche (1962) di J. Edwards. Non escono di scena.gli scrittori realisti della precedente generazione, molti dei quali sviluppano la propria opera in nuove direzioni: C. Droguett (Todas esas muertes, 1971; El hombre que trasladaba las ciudades, 1973); G. Atías, che pubblica in Francia un romanzo sulla presidenza di S. Allende (Le sang dans la rue, 1978, tit. orig. La contracorriente); V. Teitelboim, impegnato a rappresentare la realtà cilena in romanzi (La guerra interna, 1979) e saggi; F. Alegría, autore di romanzi (Amérika, Amérikka, Amérikkka, 1970; El paso de los gansos, 1975; Coral de guerra, 1979) e numerose opere di critica. L’esperienza del colpo di Stato del 1973 provoca in vari casi la scelta dell’esilio e fa sì che molti scrittori non possano prescindere da un forte richiamo alla storia. È il caso di Donoso, che continua a scrivere fuori dal C. e dopo il suo rientro in patria pubblica una serie di romanzi sull’esilio, la difficoltà del ritorno, la scomparsa di un mondo rimpianto (El jardín de al lado, 1981; La desesperanza, 1986). In esilio o nelle difficili condizioni della dittatura continuano anche a lavorare E. Lafourcade (Salvador Allende, 1974; Adiós al Führer, 1982) e altri scrittori. I narratori più giovani, che maggiormente hanno risentito della crisi provocata dalla fine violenta della democrazia, sembrano prediligere il tema della nostalgia e la riflessione sulla cruenta storia recente del paese: per es., le storie laceranti dei romanzi Los recodos del silencio (1981) e El obsesivo mundo de Benjamín (1982) di A. Ostornol. Spesso la testimonianza è proposta in chiave metaforica e allegorica, come nei racconti Entre paréntesis (1985) e nel romanzo Óxido de Carmen (1986) di A.M. del Río o nel romanzo Nada terminado (1984) di D. Muñoz Valenzuela; il monologo interiore o la forma epistolare fanno da supporto a preoccupazioni esistenziali nei racconti di Atrás sin golpe (1985) di R. Díaz Eterovic e in quelli di No queda tiempo (1985) di J. Calvo, mentre in Lumpérica (1983) e Por la patria (1986) di D. Eltit una scrittura trasgressiva e fortemente sperimentale diventa arma di liberazione, veicolo per la ricostruzione di una storia personale e collettiva. Nel folto gruppo di scrittori che hanno vissuto l’esperienza del governo di Allende figurano anche autori che hanno conosciuto un successo internazionale, come A. Skármeta, alla cui notorietà ha contribuito la fortunata trasposizione cinematografica (Il postino, 1994, interpretato da M. Troisi) del romanzo Ardiente paciencia (1985); e soprattutto I. Allende, che ha pubblicato una serie di romanzi in bilico tra autobiografia e finzione, tra passato e presente, tra il mondo ispano-americano d’origine e quello angloamericano. Notevole la fortuna editoriale anche di L. Sepúlveda che, dopo romanzi impegnati sul versante ecologista, ha affrontato il tema, tradizionale nella letteratura ispano-americana, del rapporto tra civiltà e barbarie. Appartenente alla stessa generazione, ma estranea all’esperienza dell’esilio, la scrittrice M. Serrano che, al fortunato Nosotras que nos queremos tanto (1991), ha fatto seguire altri romanzi costruiti attorno a conflitti interiori di donne che attraverso l’esperienza sentimentale giungono alla presa di coscienza dei conflitti sociali e politici del paese (Antigua vida mía, 1995; El albergue de las mujeres tristes, 1997).

La vitalità del teatro cileno è legata ai teatri universitari (Teatro experimental de la universidad de Chile e Teatro de ensayo de la universidad Católica), attivi dagli anni 1940. In questo ambito si sviluppa un teatro di impronta neorealista, militante e rivolto a un pubblico popolare, che trova i risultati più felici nelle opere d’ispirazione brechtiana di I. Aguirre (Los papeleros, 1963; Los que van quedando en el camino, 1969). Negli anni 1960 i teatri universitari diventano il luogo deputato ad accogliere proposte d’avanguardia, di cui massimo esponente è J. Díaz, animatore del gruppo indipendente Ictus, che nel 1961 mette in scena Un hombre llamado Isla ed El cepillo de dientes. Negli anni 1970 si fa preponderante il fenomeno del teatro collettivo che, mettendo in secondo piano l’autore, attribuisce ad attori e tecnici il compito di sviluppare e controllare criticamente il testo. Dopo un momento di crisi, attorno al 1976 la vita teatrale comincia a rifiorire grazie alla costante attività del gruppo Ictus e alla creazione di nuovi teatri indipendenti come il Teatro Imagen, il Teatro La Feria, il Taller de investigación teatral, che recuperano autori del passato o mettono in scena nuovi autori quali J. Pineda, J. Radrigán (Testimonio de las muertes de Sabina, 1979), D. Benavente, M.A. de la Parra (La secreta obscenidad de cada día, 1984; El deseo de toda ciudadana, 1987), J. Miranda (Regreso sin causa, 1984), R. Griffero (Historias de un galpón abandonado, 1983).

Architettura e arte

Le testimonianze rimaste delle culture del periodo precolombiano sono relative, in particolare, alla cultura di El Molle e di quelle più elaborate degli Atacameños e dei Diaguitas. Del periodo coloniale restano rari monumenti. Nel 18° sec. furono introdotte in architettura e in pittura forme del rococò bavarese a opera di architetti e artisti chiamati da gesuiti e in particolare da C. Haymbhausen; l’opera dell’italiano G. Toesca diffuse un moderato classicismo, presente fino alla metà del 19° sec., allorché s’impose un’influenza francese con l’attività di R. Monvoisin e C.F. Brunet Debaines, fondatore nel 1850 a Santiago della Scuola di architettura. Altri architetti attivi in C. sono l’italiano E. Chelli, gli inglesi W.H. Hendry e J. Stevenson, gli americani J.L. Wetmore e J. Brown. All’inizio del 20° sec. lo stile liberty ha segnato molte realizzazioni, soprattutto a Santiago. L’influsso di Le Corbusier è riscontrabile sia a livello di realizzazioni urbanistiche (unità residenziale Portales, a Santiago, opera di C. Bresciani, H. Valdés, F. Castillo, C.G. Huidobro) sia di edifici singoli (palazzo delle Nazioni Unite a Santiago, di E. Duhart; chiesa del monastero benedettino di Las Condes). In seguito l’architettura cilena ha risentito delle nuove tendenze internazionali, in particolare quelle segnate dalla complessità decostruzionista e dal minimalismo. Negli anni 1990, in un clima di grande attività costruttiva, la ricerca architettonica ha mantenuto vivo l’intento di acquisire una precisa fisionomia, un’identità già perseguita da tempo dalla storica Scuola di Valparaiso, la cui espressione più emblematica è costituita da Ciudad Abierta, cittadina fondata nel 1970 in continua evoluzione in cui sono costruiti nuovi edifici a carattere sperimentale.

Per l’arte contemporanea, il personaggio più interessante è Matta, stabilitosi in Italia. Particolarmente interessante, durante la presidenza di Allende, fu l’attività anonima e collettiva di propaganda socialista da parte di gruppi di pittori muralisti sotto il nome di brigadas, che avvalsero anche della collaborazione di Matta e Neruda; un’altra espressione di protesta in quel periodo furono le arpilleras, ricami di piccolo formato. Oltre a Matta è importante la presenza di artisti come l’iperrealista C. Bravo e la scultrice M. Colvin; vanno inoltre ricordate l’arte tecnologica di J. Downey a New York e le bizzarrie umoristiche di J. Pablo Langlois Vicuña.

Musica

La musica popolare cilena presenta aspetti molto diversi che vanno dai canti dei Quechua e degli Aymara di origine inca, nel Nord del paese, a quelli degli Indios mapuches e araukanos al centro e dei gruppi alakalufes della Patagonia. La musica della Patagonia fu studiata solo a partire dal 20° sec. ed è costituita da canti molto semplici senza accompagnamento strumentale, mentre la musica popolare del resto del paese risente fortemente dell’influenza spagnola.

La musica europea fu introdotta dagli ordini religiosi missionari francescani, domenicani e gesuiti, che utilizzarono il potere suggestivo della musica come strumento di conversione. Centri importanti furono le cattedrali di Santiago, dove era maestro di cappella lo spagnolo J. de Campderrós (1742-1812), che lasciò 80 composizioni, e Concepción. La prima figura di compositore cileno da ricordare è quella di M. Robles (1780-1837). Nel 19° sec. emersero il clarinettista, direttore di banda e compositore J. Zapiola (1804-1885), che nel 1842 fondò a Santiago un’orchestra sinfonica, e F. Guzmán (1837-1885), legato al romanticismo europeo. La formazione di una scuola nazionale aperta all’uso di elementi desunti dal folclore si deve ai compositori nati tra il 1880 e il 1890, fra i quali P. Allende (1885-1959) e C. Isamitt (1887-1974). Nel corso degli anni 1970 diversi cantautori e gruppi musicali folcloristici, costretti all’esilio (Inti-Illimani, Quilapayún, Cantores de Quilla Huasi, Canto general ecc.), hanno diffuso largamente in Europa la canzone cilena popolare e di protesta politico-sociale.

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