MARLOWE, Christopher

Enciclopedia Italiana (1934)

MARLOWE, Christopher

Piero Rebora

Drammaturgo e poeta inglese, il maggior predecessore di Shakespeare, nacque nel febbraio 1564 a Canterbury. Suo padre era calzolaio e sua madre la figlia di un pastore protestante. Venne educato dapprima alla King's School di Canterbury, poi nel marzo 1581 s'immatricolò all'università di Cambridge, risiedendo nel collegio di Corpus Christi. Nel 1584 ottenne la prima laurea di "bachelor of arts" e nel 1587 il titolo di "master of arts". Durante la sua permanenza a Cambridge cominciò ad occuparsi, più che di retorica e di teologia, come avrebbe dovuto, di politica, d'arte e di poesia. Agli ultimi due o tre anni della sua residenza a Cambridge si devono assegnare la traduzione delle Elegie di Ovidio e del primo libro della Farsalia di Lucano, e la prima stesura della tragedia Dido, Queen of Chartage. In queste opere, che costituiscono una fase preliminare nella meteorica carriera poetica del M., echeggiano le armonie ornate ed estetiche della tradizionale classicità accademica. Non si avverte ancora alcun segno del vero M., rivoluzionario e barbarico, che doveva scatenarsi di lì a poco. Tuttavia questo stato d'animo classico (dal Swinburne e da altri fu detto addirittura ellenico), questa emozione estetica raffinatamente letteraria, eromperà ancora una volta nell'ultima sua opera lasciata incompiuta, troncata dalla tragica morte; nei due canti cioè del poemetto in distici rimati Hero and Leander composto nel 1592. In questo ardente e sensuoso rifacimento del poema di Museo, il M. raggiunge una piena maturità di tecnica letteraria che gli acquistò più fama nel suo tempo di quanto non avessero fatto le sue tenebrose tragedie. Hero and Leander, non privo di concettismi decadenti e di adornamenti barocchi, ma anche ricco di grazie squisite e di calda poeticità, gli uni e le altre in buona parte d'ispirazione italiana, venne poi terminato da George Chapman (1598). È psicologicamente interessante notare questo ritorno del M. alla solare serenità classica, dopo un intervallo di oltre quattro anni, tutti agitati dalla turbinosa creazione delle sue romantiche tragedie. L'esaltazione del bello e la maestria artistica furono per lui liberazione e rifugio dopo la tempesta della negazione tumultuosa; anche se in tale suo indubbio classicismo formale qualcuno ha voluto trovar le tracce d'un edonismo decadente. Ma in realtà il culto della bellezza e il gusto dell'armonia parvero riprendere il poeta non ancora trentenne, alla vigilia della sua morte violenta.

La tradizione ci ha tramandato la versione che il M. venisse ucciso in una rissa per causa di donne, avvenuta in una taverna di Deptford, presso Londra, il 1° giugno 1593. Francis Meres, nel suo Palladis Tamia (1598), afferma che il M. venne ucciso da un servo ruffiano, suo rivale in un amore mercenario. Altri due scrittori, Thomas Beard e William Vaughan, asseriscono che il M. venne pugnalato da un individuo che agì per legittima difesa. Ma recenti ricerche d'archivio hanno permesso d'assodare le più probabili cause dell'assassinio del M. Il poeta, fin da quando si trovava a Cambridge, era entrato a far parte del servizio segreto di spionaggio alle dipendenze del segretario di stato sir Francis Walshingham. In una rissa con altre tre spie e sicarî, per cause di denaro o di servizio, il M. perse la vita. Un'altra congettura recente, prospetta invece la possibilità che il M. sia stato assassinato da un sicario prezzolato da sir Walter Raleigh, centro di quel gruppo di ribelli atei e senza scrupoli di cui il M. faceva parte. Comunque, l'assassinio del M. fu dovuto, con forte probabilità, a vendetta politica; mentre è assodata l'appartenenza del poeta a quel movimento di corruzione e di violenza atea e sovversiva che faceva capo al Raleigh.

La prima tragedia del M., Tamburlaine, in due parti, di cinque atti ciascuna, venne composta nel 1587 o nel 1588, e venne pubblicata, anonima, nel 1590. Ma l'attribuzione è indubbia. Il materiale venne in parte tolto da una vita di Timur, dello spagnolo Pedm de Mexía.

Con questo fantastico poema drammatico, stravagante ed enfatico ma potente, il M. inizia le sue esaltazioni della volontà di potenza. Abbiamo qui l'apoteosi del conquistatore barbarico, Tamerlano di Samarcanda, che soggioga Persia, Siria e Turchia, che calpesta Bajazet, che trionfa su un carro al quale sono aggiogati i re da lui vinti, che simboleggia il dominio assoluto e la forza travolgente degli uomini eccezionali, arsi dalla frenesia di dominio. Tamburlaine è il primo grande dramma romantico inglese (insieme alla quasi contemporanea Spanish Tragedy di Thomas Kyd), che riscuote immenso successo popolare, porta la letteratura drammatica tra il popolo, e fonde il pedante teatro accademico con il basso dramma da piazza, creando una sintesi improntata dal suggello di un nuovo mezzo d'espressione poetica: il verso sciolto (blank verse), che diviene con il M. il metro drammatico inglese.

La seconda figura che il M. porta sulle scene è Faustus, scritto alla fine del 1588 e pubblicato nel 1604 con il nome del poeta. Ma il testo del dramma è estremamente corrotto. Il dramma ci è stato tramandato in un in-quarto del 1604 e in uno del 1616, mentre il primo in-quarto del 1601 è andato perduto. L'in-quarto del 1604, ritenuto il documento base per ogni critica testuale fino a ora, è stato recentemente attaccato da F.S. Boas, il quale ritiene di dover dare maggiore credito all'in-quarto del 1616. In realtà ambedue i testi sono zeppi d'interpolazioni, scene riadattate che, a dire del Simpson, "sembrano volgari caricature del principale tema svolto dal M.". Le scene comiche sono grossolane aggiunte, buffonate farsesche che gl'impresarî hanno interpolato per accontentare le platee elisabettiane. Il M. stesso può avere abbozzato qualche spunto comico, svolto poi da commediografi prezzolati; ma in realtà egli non rivela mai nelle sue opere né umorismo né gusto comico, onde il più dell'elemento farsesco del Faustus va attribuito agl'interpolatori. Del resto si ha notizia che il 22 novembre 1602 l'impresario Henslowe pagò quattro sterline a William Bird e a Samuel Rowley "for their adicyones in doctor fostes". Così le grottesche scene della corte papale e imperiale sono state scritte dagl'interpolatori. In conclusione non più di 850 versi pare appartengano veramente al M. (cfr. P. Simpson, The 1604 text of Marlowe's Doctor Faustus, in Essays and Studies of the English Association, VII). Il Faustus che Goethe ammirava (non lo nomina tuttavia che nel 1818), è basato sulla vecchia storia tedesca del Faustbuch di cui una versione era apparsa in Inghilterra in quei tempi (1578?). Al torvo eroe della potenza e dell'imperialismo politico, Tamerlano, succede qui l'eroe della conoscenza e del piacere, che vuole magicamente spremere dalla vita l'assoluto e il definitivo dell'uno e dell'altra. Ma il patto con Mefistofele non ha qui alcuna grandezza di dramma spirituale; l'obiettivo è la potenza e il piacere terreni, e non già l'illimitata totalità dello spirito. La poesia erompe solo nell'esaltazione della bellezza di Elena e nella scena potente della dannazione finale.

Terza tragedia della volontà di potenza è The Jew of Malta, scritta probabilmente nel 1590 e pubblicata con il nome del suo autore nel 1633. In essa il protagonista, l'ebreo Barabas, rappresenta l'incarnazione dell'eroe nella conquista della ricchezza. A tratti il dramma assurge a epopea esaltante la libidine del danaro; ma l'opera è ineguale; e mentre i primi due atti e il quinto rivelano il genio del poeta, il terzo e il quarto sconcertano per la loro incongruenza e povertà poetica e drammatica. Si congettura che il mediocre Thomas Heywood abbia ritoccato nel 1632 questo dramma, che è la più perfetta rappresentazione del motivo machiavellico che tanta parte ha avuto nella formazione di molti personaggi elisabettiani; nel prologo Machiavelli stesso si presenta sulla scena a esporre le sue teorie di spicciolo arrivismo e di ateismo. Già a Cambridge il M. dovette assorbire la casistica machiavellica, allora intensamente studiata nelle sue note deformazioni e soprattutto praticata. Il Greene appunto Accusa il M. di aver assorbito la pestilent Machiavilian policie.

Nella quarta delle sue maggiori tragedie, Edward II, il poeta affina e approfondisce la sua arte, usa un tono meno enfatico e il suo eroe è qui piuttosto una vittima che un dominatore; all'ostentato esotismo, all'enfasi eroica e alle violente emozioni espresse nelle precedenti tragedie, subentra qui un patos più temperato e un insolito sentimento di pietà. La scena della morte del debole re è di potenza shakesperiana. La tragedia, composta tra il 1591 e il 1592, venne pubblicata col nome dell'autore nel 1594. Si basa sulle cronache di Stowe, Holinshed e in parte di Fabyan.

Fra la data di composizione del Jew of Malta e di Edward II vanno poste alcune opere minori, una delle quali di sicura attribuzione, e cioè The Massacre at Paris; le altre due, The Whole Contention between the two Houses of York and Lancaster, e The True Tragedy of Richard Duke of York, estremamente dubbie. Altre opere vennero attribuite al M., quali, ad es., Titus Andronicus,. Arden of Feversham, che la critica moderna tuttavia non accetta come sue.

In The Massacre at Paris si narrano le vicende atroci delle lotte religiose di Francia e l'assassinio del duca di Guisa, anch'esso personaggio a tinte nettamente machiavelliche. Parrebbe che dopo avere sbozzato queste statue colossali e quasi mostruose di eroi della potenza terrena, figure irriducibili e implacabili, simili al Capaneo dantesco, il M. si sia arrestato sopraffatto dall'opprimente orrore delle sue stesse creazioni e dalla consapevolezza forse che la strada del violento arrivismo umano era una strada anche artisticamente cieca. Si nota nel dramma marlowiano senza dubbio una specie di cinico odio anticristiano che si esaurisce nel vano tentativo di un'esaltazione di onnipotenza umana, senza convinzione e senza sbocco. Se non una vera e propria swiftiana saeva indignatio, vibra, in fondo, nel M. un'implicita negazione delle possibilità umane, per quanto concerne l'acquisto totale della potenza e della conoscenza. Nei vaneggiamenti di Tamburlaine, di Faustus o di Barabas s'avverte un senso di vanità tragica. Il M. è un ulisside molto moderno, indifferente ai sentimenti d'amore, un esteta raffinato e aggressivo; non per nulla asseriva che l'ignoranza era il solo peccato.

Esaurite spiritualmente e tecnicamente le possibilità del dramma sensazionale, del dramma di potenza e di violenza, il M. ritorna esausto e forse disgustato, al poetare più raccolto e più intimo di Hero and Leander. Negata la verità trascendentale, dato fiato a tutte le trombe nell'esaltazione dei beni terreni e dell'avidità umana, il giovane drammaturgo inquieto e insoddisfatto trovava rifugio e conforto nel puro amore dell'arte e della bellezza, nella creazione di plastiche finzioni artistiche. Fu questo il M. più noto ai suoi tempi; il M. di Hero and Leander e delle brevi delicate liriche pastorali, tra cui la famosa, e oramai generalmente ritenuta sua, Come, live with me and be my Love che fu pubblicata in parte nell'antologia The Passionate Pilgrim, sotto il nome di Shakespeare.

Il M., la cui fama s'è accresciuta in tempi recenti, è considerato il padre della tragedia inglese e creatore del verso sciolto, ch'egli plasmò e preparò, come strumento mirabile di poesia, per il suo maggior successore. Eccessivo e melodrammatico, senza chiaroscuri psicologici e senza umorismo e mezzi toni comici, il M. è sempre grandioso, spesso declamatorio e incline al sovraccarico e quasi al barocco. I suoi drammi sono drammi di una persona sola; di "umori", più che di veri esseri umani. Egli nobilitò il drammatico sensazionale, gradito alle folle elisabettiane, con una regale onda di poesia, di cui il suo personalissimo blank verse fu l'adeguato veicolo. Ama le grandi parole per le grandi emozioni; e le sue ricercatezze verbali si rivelano, fra l'altro, nell'uso e nell'abuso di sonori nomi geografici e proprî a scopo di effetto coloristico ed esotistico.

Gli apprezzamenti dei contemporanei sulla sua personalità sono contraddittorî. I suoi colleghi del gruppo degli university wits o intellettuali universitarî, ci dànno di lui pessime informazioni; e specialmente Kyd, Nash e Greene (nel suo Groatsworth of Wìts, nel quale attacca anche Shakespeare). D'altra parte Chapman e Jonson usano deferenti espressioni a suo riguardo, e così pure Drayton e forse Shakespeare nell'apostrofe al "dead shepherd" in As you like it (III, 5, 78-79).

Ediz.: The Works of C.M., a cura di Dyce (1858), di Bullen (1885), di Cunningham (1902), di Tucker-Brooke (1910). Sta per essere completata la grande edizione curata da R. H. Case, in 6 volumi di cui il primo a cura di C. F. Tucker-Brooke contiene una completa biografia: The Works and Life of C. M., Londra 1930 segg. (5 volumi erano già usciti a tutto il 1932).

Bibl.: Cfr. i saggi critici del Swinburne (Early English Dramatists, 1857); e di T.S. Eliot (The Sacred Wood, 1920); e gli studî di: J.H. Ingram, C.M. and his associates, Londra 1904; J. Leslie Hotson, The death of C. M., Londra 1925; S. Tannebaum, The assassination of M., New York 1929; U. M. Ellis Fermor, C. M., Londra 1927; F. S. Boas, Marlowe and his circle, Oxfrod 1929; J. M. Robertson, C. M., Londra 1931; M. Praz, C. M., in English Studies, XIII (dicembre 1931). Per il Faustus e Goethe, cfr. V. Errante, Il mito di Faust, 1924; O. Heller, Caust and Faustus, Washington University Press, 1931.