CHIMICA DEI COLLOIDI

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

CHIMICA DEI COLLOIDI

Enzo Ferroni

(v. colloidi, X, p. 761; App. II, i, p. 644). − Lo sviluppo delle proprietà chimiche e fisiche dei colloidi è stato rilevante negli ultimi decenni. Esso è dovuto sia alla migliore comprensione delle forze che condizionano la formazione e la stabilità dei sistemi colloidali, sia alla disponibilità di affinate metodologie sperimentali, come per es. la risonanza magnetica nucleare (NMR) ed elettronica (ESR); la diffusione di luce (light scattering), di raggi X, di neutroni, e varie tecniche di spettrografia.

Com'è noto, i colloidi sono da tempo classificati in due categorie: colloidi liofobi e colloidi liofili. I primi in genere sono sistemi di solidi finemente suddivisi e dispersi opportunamente in un mezzo disperdente; nei secondi invece la particella colloidale è formata da molecole aggregate in un mezzo disperdente. Con il progredire delle conoscenze questa classificazione appare sempre più artificiosa, in quanto i meccanismi che regolano i processi di aggregazione e di stabilità dei sistemi colloidali sembrano essere regolati dalle stesse leggi fisiche e dipendere, in ultima analisi, dal bilancio delle forze a corto e a lungo raggio.

Colloidi liofobi. - La stabilità di un tipico sistema disperso liofobo bifasico costituisce il tema centrale della chimica colloidale. La coagulazione o la flocculazione (cioè l'aggregazione fra le particelle costituenti il sistema disperso) possono essere considerate stati termodinamici più stabili.

Interazioni di van der Waals. - In un sistema colloidale costituito da un solo componente disperso in una fase disperdente omogenea, le particelle sono reciprocamente attratte da forze di van der Waals che integrano interazioni di tipo diverso: dipolo-dipolo (Keesom), dipolo-dipolo indotto (Debye) e di dispersione (London). Eccetto che nei materiali fortemente polari, le forze di London costituiscono il contributo più importante di tali interazioni. Le forze di London fra due molecole sono a corto raggio poiché l'energia (V) risulta inversamente proporzionale alla sesta potenza della distanza intermolecolare (V=a/r6). Per un insieme di molecole le forze di dispersioni sono, in prima approssimazione, additive, cosicché l'interazione di van der Waals tra due particelle può essere calcolata sommando le interazioni tra tutte le coppie di molecole. Ne consegue che l'energia attrattiva di London, in un sistema costituito da molte particelle, decade molto più lentamente di quanto non faccia per una coppia di molecole isolate.

Più precisamente, fra due particelle sferiche isolate di raggio a1 e a2 alla distanza H fra i due centri, l'energia attrattiva dovuta all'interazione di London (nel vuoto) è data da:

dove e A è una costante, detta di Hamaker.

Per particelle di raggio uguale e per piccole distanze fra le particelle (Ha e quindi x≪1) l'energia attrattiva si riduce a:

La costante di Hamaker A è riducibile all'espressione A2 q2β, dove β è l'interazione di London costante per due molecole dello stesso tipo, q rappresenta la loro densità, β è un parametro correlabile alla polarizzabilità atomica o molecolare. I valori di Va calcolati risultano generalmente sovrastimati quando le distanze fra le particelle superano i 10 nm.

Il calcolo delle interazioni di van der Waals tra particelle colloidali risulta condizionato dalla valutazione della costante di Hamaker. Esistono due metodi d'impostazione alternativa: il primo (proposto da London-Hamaker) utilizza l'espressione sopra scritta e quindi evidenzia un approccio microscopico; mentre il metodo proposto da Lifshitz utilizza un approccio macroscopico in quanto sia le particelle interagenti che il mezzo disperdente sono trattati come fasi continue. I valori calcolati di A con i due metodi tendono a coincidere per piccoli valori di H. Nella tabella si riportano alcuni valori della costante di Hamaker.

In un sistema bifasico disperso l'interazione fra la fase dispersa e il mezzo omogeneo disperdente può essere trattata schematicamente utilizzando la formulazione di una classica reazione chimica. Se indichiamo con 2 la fase dispersa e con 1 il mezzo solvente, il processo di coagulazione può essere così schematizzato:

2 1 + 2 1 → 2 2 + 1 1.

La variazione di energia potenziale associata al processo è data da:

ΔV = V11 + V22 − 2V12.

Ogni termine dipende in egual misura dalla dimensione e dalla distanza fra le particelle e differentemente da quei parametri (polarizzabilità atomica o molecolare) che sono inclusi nella costante di Hamaker. Si può quindi definire una nuova costante di Hamaker, detta netta o effettiva, avente la seguente espressione:

A212 = A11 + A22 − 2A12

dove l'indice 212 indica che le due particelle di tipo 2 sono separate dal mezzo 1. In prima approssimazione si può dimostrare che:

Pertanto, è possibile dedurre le seguenti importanti generalizzazioni sul valore di A212:

a) il valore della costante effettiva di Hamaker è sempre positivo, cioè fra le particelle disperse prevale un'attrazione dovuta alle forze di van der Waals;

b) la presenza del mezzo disperdente diminuisce l'interazione fra le particelle;

c) se A11 =A22, A212 = 0, ovvero l'energia d'interazione è nulla, ovvero non c'è interazione fra le particelle.

L'intervento di un terzo componente, quale un tensioattivo adsorbito all'interfase della particella colloidale, provoca una variazione nell'interazione di van der Waals in quanto lo strato adsorbito ha una diversa costante di Hamaker. L'energia d'interazione è valutabile usufruendo dell'espressione proposta da Vold, in cui oltre i termini A11, A22 e A33 compaiono altri parametri come lo spessore dello strato adsorbito e la separazione tra le superfici degli strati.

Un colloide è stabile solo se le particelle si respingono reciprocamente con una forza maggiore di quella attrattiva di van der Waals. Sono noti due tipi d'interazione repulsiva: una di tipo elettrostatico e l'altra di carattere sterico.

Interazioni elettrostatiche. - In un sistema disperso in solvente acquoso, la repulsione di tipo elettrostatico è correlabile alla presenza di una discontinuità dielettrica (caratteristica dell'interfase) e da cariche superficiali dovute alla dissociazione o all'adsorbimento preferenziale di ioni della stessa specie. L'effetto risultante si esplicita nella formazione di un doppio strato elettrico. Più precisamente il ''doppio strato'' è formato da uno strato divenuto carico per l'adsorbimento ionico (per es. SO4−2 se si utilizzano tensioattivi solfonati o R3N+ con sali di ammonio quaternario), detto strato di Stern, e da uno strato di controioni la cui densità diminuisce gradualmente fino al valore caratteristico della fase massiva del mezzo disperdente. Detto strato è detto di Gouy-Chapman o diffuso.

Derjaguin ha proposto un'espressione approssimata per l'energia repulsiva, valida per particelle sferiche con un raggio molto grande rispetto alla distanza d'interazione:

Vr = 2πa roϕo2 ln (1+exp(−KH))

dove ἄr è la costante dielettrica del mezzo, ἄo quella del vuoto, ϕo il potenziale superficiale, H la distanza minima tra le superfici di due particelle e K è il reciproco dello spessore del doppio strato. L'equazione proposta risulta valida solo per bassi potenziali superficiali. La repulsione fra le particelle aumenta incrementando il potenziale superficiale, o diminuisce aumentando la concentrazione ionica. È utile evidenziare che per particelle cariche aventi lo stesso segno (anioniche o cationiche) Vr è positiva e repulsiva. In caso contrario la funzione diventa attrattiva(Va) e ciò si verifica manifestamente quando si mescolano particelle stabilizzate con tensioattivi con carica opposta (anionici e cationici).

È possibile impostare un bilancio fra i contributi attrattivi e repulsivi in funzione della distanza H fra le particelle, tenendo conto che: per piccole distanze l'attrazione decade con l'inverso della distanza (1/H), mentre per quanto riguarda le grandi distanze varia con 1/H6; d'altra parte la Vr decade esponenzialmente. Ne consegue che, in ogni caso, il contributo prevalente è quello attrattivo e solo per distanze intermedie (H=1/K) prevale l'apporto della repulsione e quindi si ha la formazione di una barriera di potenziale che stabilizza il sistema. L'andamento dei due contributi (attrattivo e repulsivo) e quello risultante dalla loro somma (Vt) è presentato nella fig. 1.

Più precisamente la curva risultante presenta tre punti singolari: un minimo primario (a piccole distanze), un secondo minimo secondario (a grandi distanze), e un massimo per distanze intermedie. La determinazione dei valori assoluti di questi punti singolari presenti nella curva risultante sono dipendenti dalle dimensioni delle particelle, dalla costante effettiva di Hamaker, dalla concentrazione elettrolitica della soluzione e dal potenziale di superficie (che in prima approssimazione può essere assimilato al valore del potenziale elettrocinetico Z misurabile sperimentalmente). A seconda delle condizioni sperimentali si possono presentare vari casi:

a) nel caso che Vt max> 100kT (essendo T la temperatura assoluta e k la costante di Boltzmann) Vt min secondario poco profondo (〈1kT), la concentrazione ionica in soluzione è bassa, mentre la carica superficiale è elevata (ciò si verifica per es. quando il tensioattivo ionico è adsorbito all'interfase e orientato perpendicolarmente su questa). In queste condizioni si ha la formazione di una ''sospensione stabile'';

b) nel caso che Vt max sia piccolo o addirittura assente (Vt max〈10kT), la sospensione coagula poiché le particelle possono facilmente superare la piccola barriera di potenziale. Ciò si verifica quando le molecole del tensioattivo sono scarsamente adsorbite sulla superficie delle particelle ponendosi su questa con i gruppi polari paralleli all'interfase. Ciò è altresì agevolato da forti concentrazioni elettrolitiche;

c) nel caso che Vt max sia di media grandezza e più precisamente con 10kTVt max〈100kT e Vt min secondario fra 1 e 5 kT, la sospensione è debolmente flocculata e le particelle si mantengono tra loro alla distanza del minimo secondario. In particolari condizioni e a medie concentrazioni elettrolitiche il sistema tende a formare una struttura pseudosolida di tipo gel che può essere distrutta per semplice agitazione (tixotropia).

Quanto esposto costituisce la parte essenziale di una nota teoria detta DLVO (dalle iniziali degli autori che l'hanno formulata: Derjaguin, Landau, Verwy e Overbeek). Essa permette di definire i parametri più importanti della stabilità di un sistema colloidale. Inoltre, la teoria permette di prevedere le concentrazioni critiche di coagulazione (CCC) o di flocculazione (CFC) che si verificano per aggiunta di elettroliti di tipo diverso a una sospensione colloidale. La teoria DLVO razionalizza regole empiriche già note ai primi del secolo: è noto infatti fin dal 1900 che l'aggiunta di elettroliti a una soluzione colloidale provoca la coagulazione e che le capacità coagulanti dipendono dal tipo di ione e dalla sua carica. Il potere coagulante di ioni aggiunti a un sol negativo, per es. di As3S3, varia (secondo la regola di Schulze-Hardy) nell'ordine Cs+>Rb+>K+>Na+>Ba++>Sr++ >Ca++>Mg++, mentre l'aggiunta di anioni a un sol positivo, per es. Fe2O3, varia nell'ordine: CNS>I>NO3>Cl>SO4−−.

L'applicazione della DLVO permette di ricavare per via teorica la regola di Schulze-Hardy con eccellenti risultati.

Interazioni steriche. - La stabilità di molte dispersioni non può essere interpretata solo in termini di interazioni elettrostatiche e di van der Waals fra le particelle disperse. La repulsione si può verificare per via sterica, e ciò si manifesta quando le particelle sono ricoperte, per es. per adsorbimento, da molecole aventi in genere una lunga catena idrocarburica. Interazioni repulsive di tipo sterico si manifestano per particelle disperse in acqua, per es. con tensioattivi a lunga catena formanti strati adsorbiti spessi quali per es. i tensioattivi non ionici del tipo etossilico (R−(CH2 CH2 O)n−OH) o tensioattivi macromolecolari contenenti blocchi A-B ad A-B-A come:

(CH2CH2O)x − (CH2−CH−O)y − (CH2CH2O)x.

Se i tensioattivi sono sufficientemente flessibili possono ancorare la loro parte idrofobica sulla superficie delle particelle ed estendere le loro catene idrofobiche nel mezzo disperdente. Nella fig. 2 è rappresentata schematicamente una particella isolata di raggio a avente uno strato adsorbito di un tensioattivo di spessore δ, e una coppia di particelle aventi distanza H fra le loro superfici. Quando le particelle giungono in contatto, la presenza dello strato adsorbito di tensioattivo provoca una repulsione tra le particelle stesse incrementando la stabilità del sistema. Alla stabilizzazione di tipo sterico convergono due contributi fondamentali: un contributo osmotico (VM) provocato dalla maggiore concentrazione della sostanza adsorbita all'interfase delle particelle, e un contributo ''restrittivo di volume'' (VVR) dovuto alla diminuzione di conformazioni possibili delle catene in uno spazio ristretto tra due superfici.

L'energia d'interazione di tipo sterico può essere espressa dalla somma dei due contributi: Vster.=VM + VVR. Il contributo osmotico emerge quando gli strati adsorbiti si sovrappongono (H〈2δ), mentre il contributo restrittivo di volume si manifesta quando un'ulteriore sovrapposizione delle catene provoca una diminuzione dell'entropia conformazionale (H〈δ). Il contributo osmotico VM, nel caso di uno strato adsorbito formato da segmenti di un tensioattivo uniformemente distribuiti, è valutabile utilizzando l'espressione di Fischer che risulta funzione della frazione di volume nello strato adsorbito, del volume delle molecole del solvente e del parametro (χ) d'interazione catena-solvente derivabile dalla nota teoria di FloryHuggins delle soluzioni polimeriche che interpreta le principali proprietà termodinamiche delle miscele polimero-solvente e classifica i vari solventi proprio in base al parametro d'interazione. Se χ〈0,5 il contributo osmotico VM è positivo; se χ=0,5 VM=0; se infine χ>0,5 VM è negativo, cioè si ha attrazione fra le particelle. L'effetto restrittivo di volume (VVR), per bassa ricopertura della superficie è valutabile utilizzando l'espressione di Mackor, che tiene conto del numero delle catene adsorbite per unità di area e della frazione di superficie delle singole particelle ricoperte dallo stato adsorbito. Gli andamenti del contributo attrattivo Va e dei contributi VM e VVR in funzione della distanza H fra le particelle sono rappresentati in fig. 3. Per χ〈0,5 si ha minimo molto piccolo che permette di ottenere un sistema stabile. Se invece χ>0,5 si ha minimo profondo che giustifica la flocculazione del sistema. È opportuno sottolineare che il parametro d'interazione catena-solvente dipende dalla temperatura, cosicché sospensioni stabili possono flocculare se si supera una definita temperatura o anche per aggiunta di elettroliti che producono un effetto analogo a quello termico.

Andamento dell'energia totale d'interazione. - Nel caso più generale, il processo di stabilizzazione di un sistema disperso, stabilizzato da un tensioattivo non ionico o polimerico, è condizionato dalla somma dei vari contributi Va, Vr e Vster.. Il contributo Vr, dovuto al doppio strato elettrico, è piccolo in quanto risulta notevolmente modificato dalla presenza dello strato adsorbito. Se gli strati adsorbiti sulle particelle risultano sufficientemente spessi, anche il contributo Va è piccolo e quindi l'effetto prevalente è dato dal contributo sterico. Nella fig. 4A si riportano i vari andamenti e quello risultante dalla loro addizione (Vt). Il minimo risultante (Vt min) è piccolo e comunque non sufficiente a far coagulare il sistema disperso.

Qualora il contributo elettrostatico non sia trascurabile, come nel caso che il sistema sia stabilizzato da tensioattivi ionici, il diagramma energetico, rappresentato in fig. 4B, conferma la realizzazione di sistemi molto stabili.

L'uso di sostanze di alto peso molecolare per la stabilizzazione per via sterica di dispersioni colloidali idrofobiche non è recente; sappiamo infatti che esso era già praticato in età molto antica, dai Cinesi e dagli Egizi, che erano in grado di preparare, per es., dispersione di carbone e di altri pigmenti utilizzando come stabilizzanti la gomma arabica o altre resine naturali.

Tutti i modelli proposti possono essere considerati approssimati soprattutto per il fatto che si trascura l'effetto della superficie, che induce a piccole distanze (10÷20 diametri molecolari) una strutturazione del solvente. Ne consegue che i modelli sono correttamente applicabili solo al di là di una certa distanza dalla superficie. Tale distanza dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche della superficie delle particelle e da quelle del solvente.

Colloidi liofili. - Molecole amfifiliche, cioè costituite da una ''testa'' polare e da una catena idrocarburica apolare, possono formare aggregati come per es. micelle, bistrati, vescicole, microemulsioni e strutture similari alle membrane biologiche. Le forze che aggregano le molecole amfifiliche sono deboli e pertanto anche piccole variazioni delle condizioni chimico-fisiche del sistema colloidale, come pH, temperatura, ecc., possono provocare variazioni rilevanti nelle proprietà del sistema aggregato come la forma e la dimensione.

I composti amfifilici si possono classificare a seconda della natura della testa polare e più precisamente in anionici, cationici, non ionici e anfoteri. Questi ultimi sono molecole ibride, cioè la struttura molecolare presenta per es. sia una testa polare anionica che cationica; oppure ionica e non-ionica. Questi composti hanno una caratteristica comune: oltre una particolare concentrazione si aggregano, sia in modo spontaneo che indotto (per es. mediante ultrasuoni). La concentrazione critica di aggregazione è detta ''concentrazione critica micellare'' (CMC). Sono stati definiti, per via teorica, i requisiti d'ingombro sterico delle molecole amfifiliche condizionanti la formazione dell'aggregato colloidale. La teoria permette altresì di prevedere le strutture geometriche dell'aggregato, ponendole in relazione alla costituzione e struttura della singola molecola amfifilica. È possibile dedurre la concentrazione critica micellare dalla valutazione del potenziale chimico della molecola amfifilica μ°N.

Data la natura chimica delle molecole amfifiliche la formazione di aggregati in soluzione deriva dal bilancio di interazioni ''idrofobiche'', presenti all'interfase tra la parte idrocarburica e l'acqua e che induce le molecole ad associarsi, e di interazioni ''idrofiliche'' dipendenti dalla natura delle teste polari che impongono alle molecole di restare in contatto con l'acqua. Queste due opposte tendenze agiscono principalmente nella regione interfasale dell'aggregato colloidale. La prima tenderebbe a far crescere in modo infinito l'aggregato, mentre la seconda producendo interazioni repulsive fra le teste tenderebbe a limitare le dimensioni dell'aggregato conferendogli dimensioni finite e una particolare forma geometrica.

In condizioni di equilibrio ogni molecola amfifilica è caratterizzata da un'area media ao che dipende dalla natura chimica della molecola e dalle condizioni chimico-fisiche del sistema colloidale (pH, temperatura, pressione, presenza o meno di elettroliti, ecc.). Dal momento che le interazioni repulsive e attrattive si manifestano, nell'aggregato colloidale, principalmente all'interfase aggregato-acqua, è possibile considerare il potenziale chimico di una molecola amfifilica nell'aggregato, μ°N, come dovuto alla somma dei due contributi: il primo attrattivo è dato dal prodotto dell'energia libera interfasale (tensione superficiale) γ per l'area a; ovvero γa; il secondo, legato alla presenza delle forze repulsive, è inversamente proporzionale all'area a; ovvero K/a, dove K è una costante di proporzionalità.

Il potenziale chimico della molecola amfifilica nell'aggregato è quindi dato da μ°N=γa+K/a, dove γ è compresa fra 20 e 50 mJm−2 e a assume valori che generalmente, per i più comuni tensioattivi, sono compresi tra 20 e 150 ]2 per molecola. Da un punto di vista generale, cioè termodinamico, il sistema sarà in equilibrio quando il valore dell'energia interfasale totale sarà minimo. Questa condizione è espressa dalla seguente relazione:

μ°N(min)=2γao

dove: aoK/γ, essendo ao l'area ottimale occupata da una molecola amfifilica nell'aggregato colloidale.

Pertanto, l'energia libera interfasale per molecola può essere espressa in funzione di ao. Più precisamente essa è data da:

Nella fig. 5 sono riportati gli andamenti dell'energia attrattiva Ea, dell'energia repulsiva Er e quindi dell'energia totale Et in funzione dell'area superficiale per molecola, a. Emerge la presenza di un minimo marcato per un definito valore dell'area per molecola amfifilica nell'aggregato. Tale valore è correlabile alle dimensioni della molecola e quindi al volume e alla lunghezza della catena alchilica.

Tanford ha determinato che per idrocarburi saturi valgono le seguenti relazioni per il volume (V) e per la lunghezza massima della catena alchilica (lmax):

V ≃ (27,4 + 26,9n) ] Å3

lmax ≃ (0,15 + 0,1265n) ] Å

dove n è il numero di atomi di carbonio presenti nella catena alchilica. Valutati V, ao e la lunghezza della catena (lc), è possibile prevedere la forma e le dimensioni dell'aggregato colloidale. Un esempio calzante è offerto dalla determinazione delle condizioni necessarie per l'ottenimento di aggregati sferici. Indicando con M il numero di aggregazione e con R il raggio dell'aggregato, semplici considerazioni geometriche suggeriscono, per l'aggregato sferico, la seguente relazione:

M = 4πR2/ao = 4πR3/3V; ovvero R = 3V/ao.

Molecole amfifiliche potranno formare aggregati sferici, con area per testa polare ao e raggio dell'aggregato R che non ecceda la lunghezza della catena lc, solo se R lc. Ne consegue pertanto che V/aolc ≤ 1/3, che rappresenta la condizione di ''sfericità'' per l'aggregato amfifilico ed è espressa da parametri geometrici propri della struttura moecolare. Per es., per una catena alchilica con dodici atomi di carbonio (sodio dodecilsolfato) si ha M ≃ 57 e il volume, determinato dalla relazione di Tanford, risulta: V≃350 Å3. Dalla relazione sopra scritta si ricava ao≃62 Å2 e lc≃17 Å. Ne consegue pertanto che V/aolc≃1/3; ovvero, la teoria prevede per sodio dodecilsolfato in soluzione acquosa la formazione, in prossimità della concentrazione critica micellare, di aggregati sferici.

La previsione teorica è confermata dai dati sperimentali dedotti per es. da misure di diffusione di luce e di NMR-self-diffusion.

Si può procedere in modo analogo per definire le condizioni d'impacchettamento molecolare per varie strutture geometriche. Nella fig. 6 si riportano le condizioni di formazione di strutture di equilibrio di molecole amfifiliche in soluzione acquosa.

La presente teoria consente in modo semplice di prevedere non solo le strutture ma anche le varie fasi di sistemi strutturali con le emulsioni, le microemulsioni e le più complesse architetture assimilabili alle membrane biologiche. Essa ci offre uno strumento prezioso nella programmazione di sistemi colloidali nuovi e nella modificazione di sistemi colloidali noti. In particolare, essa potenzia le possibilità previsionali per la realizzazione di sistemi colloidali presentanti specifiche proprietà chimico-fisiche.

Considerazioni conclusive. - Le teorie esposte permettono la razionalizzazione di complessi meccanismi di cui sono oggetto i sistemi colloidali liofili e liofobi, come la flocculazione e la coagulazione o la formazione e la stabilizzazione di aggregati molecolari. Questi sistemi hanno assunto negli ultimi decenni un ruolo rilevante nella chimica sia per la preparazione di intermedi sia per l'ottenimento di prodotti finiti a cui sono state conferite particolari desiderate proprietà chimico-fisiche. Un esempio dell'importanza assunta dai sistemi colloidali emerge dagli elevatissimi consumi di tensioattivi per i vari settori industriali e per usi domestici. Attualmente i colloidi liofili sono presenti sia direttamente, come detergenti per l'igiene personale e della casa, sia indirettamente in oggetti utilizzati quotidianamente come vernici, fibre tessili, cosmetici, materie plastiche, carta, pellami, additivi alimentari, conservanti, anticrittogamici, prodotti per l'agricoltura, ecc., per un ammontare che supera i 4,2 milioni di t (solo in Europa, USA e Giappone).

Bibl.: J. Mahauty, B. W. Ninham, Dispersion forces, New York 1976; M. J. Rosen, Surfactants and interfacial phenomena, ivi 1978; Dispersion of powders in liquids, a cura di G. D. Parfitt, Londra 1981; A. W. Adamson, Physical chemistry, New York 19834; R. D. Vold, M. J. Vold, Colloid and interface chemistry, Reading 1983; D. H. Napper, Polymeric stabilization of colloidal dispersions, New York 1983; V. De Giorgio, M. Corti, Physics of amphiphiles. Micelles, vescicles and microemulsions, Amsterdam 1985; J. N. Israelachvili, Intermolecular and surface forces, New York 1985; P. C. Hiemenz, Principles of colloid and surface chemistry, ivi 19862; S. Ross, I. D. Morrison, Colloidal systems and interfaces, ivi 1988.

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