chiesa Il termine ἐκκλησία, che nel greco classico denota un’assemblea politica, è usato nelle parti più recenti della versione greca dell’Antico Testamento detta dei Settanta come equivalente dei termini ebraici qāhāl e ‛ēdāh, che indicano l’«adunanza» del popolo d’Israele, ossia una società religiosa e politica al tempo stesso. In altre parti della stessa versione questi termini sono resi con συναγωγή «riunione». Mentre il vocabolo sinagoga è rimasto in uso fra gli Ebrei sia con il significato di riunione (e quindi di società) religiosa sia con quello di luogo dove riunirsi, dai cristiani è stato adottato ecclesia per indicare sia le loro riunioni religiose e la società dei fedeli (tanto universale quanto locale, di una determinata città o regione, per la quale si trova anche il termine παροικία, onde «parrocchia») sia il luogo in cui quelle si celebrano.
1. La Chiesa come società religiosa
La differenziazione tra società civile (elemento umano e naturale) e società religiosa (elemento divino e soprannaturale) e la difficoltà di intenderli entrambi come essenziali si sono espresse in modo diverso nelle concezioni della Chiesa: alcune hanno sottolineato il primo elemento, facendo della Chiesa la società dei ‘santi’ o dei ‘predestinati’, società prevalentemente o anche esclusivamente mistica e invisibile; altre invece, partendo da considerazioni diverse ravvisano nella Chiesa una società meramente umana, giuridica e gerarchica, in continua evoluzione. È ovvio che le diverse dottrine circa la Chiesa, la sua natura e costituzione, sono strettamente legate all’insieme delle dottrine teologiche; anche da ciò dipendono l’importanza che nel complesso delle discipline teologiche assume l’ecclesiologia e l’utilità che lo studio delle dottrine relative alla Chiesa professate dai diversi gruppi cristiani presenta per una caratterizzazione dei gruppi stessi. Inoltre per la natura stessa del cristianesimo è da tenere presente che ciascuna confessione cristiana si presenta come vera (se non sempre come l’unica) Chiesa, erede e continuatrice autentica dell’opera di
Secondo la dottrina cattolica l’Ecclesia Christi, la comunità dei chiamati da Dio, è una commistione tra una comunità esterna di soggetti che professano la stessa fede, partecipano agli stessi sacramenti e tendono alla realizzazione dei medesimi fini spirituali sotto la potestà del romano pontefice, e una realtà interiore (corpo mistico di Cristo), che ha al suo centro un elemento invisibile e divino. La Chiesa cattolica è una società giuridicamente perfetta (in quanto non riceve da nessuno il suo potere) e autosufficiente. È una società ecclesiale, il cui imperativo primario è la salvezza delle anime. Le sue finalità sono essenzialmente spirituali, ovvero custodire e insegnare le realtà rivelate, condurre gli uomini a seguire le leggi di Dio, perfezionare e rendere più efficienti le strutture della Chiesa, gerarchicamente intese. La Chiesa non ha fini politici, economici o sociali, propri della comunità civile e politica, da cui la Chiesa è indipendente e autonoma. Giuridicamente la Chiesa è una struttura originaria non derivata e non territoriale, poiché non legata al dato territoriale particolare o circoscritta, ma è una realtà universale. È altresì autosufficiente sul piano economico, ed è dotata di soggettività direttamente derivata dal diritto divino, senza necessità di un riconoscimento o di un atto dell’autorità civile. Connaturato allo stesso concetto di Ecclesia Christi è la subordinazione dei fedeli ai legittimi pastori (cosiddetta sacra gerarchia), titolari delle funzioni gerarchiche di insegnare, santificare e governare
2.1 Sistemi teorici e dottrine. - Il regolamento dei rapporti fra la società religiosa e quella civile riveste una speciale importanza politica nella vita di tutti i popoli, ma ne acquista addirittura una fondamentale con l’avvento del cristianesimo e della Chiesa cattolica. La dottrina dominante si è da tempo orientata nel senso di concepire i rapporti fra Chiesa e Stato sulla base di uno schema logico, che distingue anzitutto il sistema di unione da quello di separazione fra i due enti.
Il sistema di unione può essere a sua volta di subordinazione o di coordinazione. Il sistema di subordinazione della C. allo Stato si è attuato attraverso due forme distinte in diversi Stati e periodi della storia: si ha il cesaropapismo allorché l’organizzazione e il governo della Chiesa sono considerati come un ramo dell’amministrazione pubblica (Chiesa di Stato) e il capo dello Stato è nel medesimo tempo capo della Chiesa (cesare e papa: imperator ac sacerdos); si ha il giurisdizionalismo quando lo Stato, mentre concede favori e privilegi alla Chiesa, ne invade la sfera di competenza estendendo i poteri della sua sovranità territoriale sui rapporti esteriori ecclesiastici (entro l’ambito del giurisdizionalismo sono state riportate le varie manifestazioni del sistema di subordinazione della Chiesa allo Stato attuatesi, specialmente dopo la Riforma, nei vari Stati europei con i nomi di gallicanismo in
Con il sistema della coordinazione dei poteri, la Chiesa e lo Stato si considerano come società ugualmente sovrane rispettivamente nel campo spirituale e in quello temporale; questo sistema si attua praticamente mediante i concordati, con l’instaurazione cioè di un rapporto formale di parità fra le due Alte Parti contraenti, che dovrebbe fondarsi sostanzialmente su uno spirito di collaborazione per il regolamento di mutuo accordo delle cosiddette res mixtae.
In contrapposizione ai vari sistemi unionistici si pone quello della separazione fra la Chiesa e lo Stato, il cui concetto giuridico ha dato luogo a notevoli divergenze dottrinali per la sua determinazione. I sistemi di relazione fra Stato e Chiesa (più propriamente fra lo Stato e le confessioni religiose) si distinguono anche, da un punto di vista sostanziale anziché formale, in confessionismo e laicismo o laicità dello Stato, fondato sul principio dell’assoluta astratta uguaglianza di tutte le confessioni religiose di fronte alle leggi e quindi sulla completa libertà di coscienza (per i credenti e per gli atei) e di culto.
2.2 Storia. - Nell’antichità non esisteva, in genere, una distinzione fra i due poteri, civile e religioso, poiché lo Stato assorbiva entro la sua organizzazione tutta l’attività dei suoi sudditi. L’indipendenza dei due poteri nacque dall’affermarsi del cristianesimo, con l’esigenza di un’autonomia della vita spirituale. Ne derivò un contrasto con la politica dell’Impero romano per l’impossibilità che il cristianesimo, pur ossequente verso le autorità costituite («date a Cesare quel che è di Cesare»), si sottomettesse alle esigenze del culto ufficiale dello Stato. Con l’editto di
In
3. La chiesa come luogo di culto
3.1 Diritto canonico La disciplina giuridica canonica relativa alle chiese è contenuta nelle disposizioni, frutto di lunga elaborazione, del
3.1.2 Chiese palatineSolo dopo l’editto di Costantino si cominciò a parlare di oratori e chiese palatine, per indicare dapprima la cappella privata del palatium imperiale, poi la cappella privata dei capi di Stato cristiani; con il Concordato del 1929 lo Stato ha rinunciato a tutti i privilegi palatini relativi alle chiese e cappelle non più al servizio della casa regnante.
3.1.3 Chiese privateIl Codex iuris canonici in vigore non contempla chiese private, ma solo «cappelle private», identificate con «il luogo destinato, su licenza dell’Ordinario del luogo, al culto divino in favore di una o più persone fisiche» (can. 1226). Per celebrarvi la Messa o le altre funzioni sacre, si richiede la licenza dell’Ordinario del luogo. È d’obbligo che gli oratori e le cappelle private siano riservati unicamente al culto divino e liberi da ogni uso domestico, ed è opportuno che siano benedetti secondo il rito prescritto nei libri liturgici.
3.2 Lo sviluppo architettonico della chiesa. - I luoghi di culto dei primi cristiani furono semplici sale di riunione ricavate entro edifici profani (domus ecclesiae). Ma nel 3° sec. il termine ecclesia incomincia a essere applicato non più soltanto alla comunità dei fedeli, ma anche all’edificio stesso in cui essa si riunisce. Si afferma così una sacralità dell’edificio che ha fondamentale importanza nel suo sviluppo architettonico. Non si hanno notizie certe sulla costruzione di chiese anteriori alla pace costantiniana ma dall’età di Costantino si affermano alcuni tipi fondamentali: la piccola chiesa a sala, spesso priva di abside, testimoniata nel Norico, in Pannonia e in altre regioni; le numerose varianti derivate dalla basilica romana dell’età classica (fig. A); l’edificio a pianta centrale, con cupola retta da pilastri a L raccordati da esedre (chiesa costantiniana di
Le chiese vengono costruite nelle forme e con i materiali consueti alle diverse regioni e ai diversi periodi storico-artistici: notevoli influssi intercorrono tuttavia anche tra regioni assai distanti. Le variazioni nell’alzato delle chiese sono in gran parte dovute ai tipi di copertura: in legno, con tetto a falde inclinate sostenute da capriate; in muratura a volta o a cupola, più raramente a lastroni di pietra (
3.3 Arredo e suppellettile della chiesa. - Parte costitutiva della struttura architettonica della chiesa è l’arredo che ne qualifica gli spazi e le funzioni, anche come espressione artistica di rilievo, in modalità che si sono diversificate nel corso del tempo adeguandosi alle esigenze liturgiche. I primi arredi mobili della chiesa primitiva sono presto sostituiti da strutture fisse: così l’altare, collocato al termine della navata, originariamente una tavola di legno trasportabile, viene costruito in pietra, marmo o muratura; il ciborio, copertura simbolica derivata dal baldacchino, originariamente costruita su tombe particolarmente venerate, già nel 4° sec. si presenta in relazione all’altare. Nel presbiterio, generalmente nel catino absidale, è posta la cattedra episcopale e in collegamento con il presbiterio sono anche gli amboni e la schola cantorum, già dall’alto medioevo trasferita nell’abside (➔ coro; cantoria). Sulle pareti della zona presbiteriale sono generalmente posti il tabernacolo per gli oli santi e il tabernacolo eucaristico, che sin dal 15° sec. trova tuttavia una sua collocazione privilegiata sull’altare (➔ tabernacolo). A metà della navata, isolato o più spesso addossato a un pilastro è il pulpito. Dislocati lungo le pareti, i confessionali, solo alla fine del 16° sec. assumono la tipologia definitiva. Il fonte battesimale, a partire dal Rinascimento, fa parte della struttura fissa della chiesa, collocato in una cappella accanto all’ingresso (prima era in un edificio autonomo; ➔ battistero). Accanto all’entrata è collocata anche l’acquasantiera. In epoca medievale il candelabro per il cero pasquale costituisce un arredo fisso, realizzato in marmo variamente scolpito o decorato.
Alla sacralità dell’edificio è strettamente connessa la sacralità di tutta la sua suppellettile, non soltanto degli oggetti strettamente liturgici (➔ liturgia) e non soltanto degli oggetti stessi, ma della loro forma e della loro decorazione. Già nel 4° sec. si ebbero teorie che interpretavano la chiesa, nella sua struttura e nella sua decorazione, come proiezione dell’ordine celeste, o replica della Gerusalemme celeste (Eusebio, Historia ecclesiastica). Il numero delle colonne, delle finestre, la disposizione dei mosaici e degli affreschi sono visti entro tali schemi simbolici. Le diverse tipologie architettoniche producono programmi iconografici differenti: negli impianti basilicali lungo le pareti delle navate si dispongono, secondo uno sviluppo lineare, i grandi cicli narrativi; nelle cupole e in genere nelle volte e nelle zone elevate, in particolare negli impianti centrali, la decorazione privilegia la presenza di immagini divine, figurazioni iconiche, simboliche o allegoriche. In Occidente l’interpretazione simbolica dell’edificio è specialmente approfondita da Rabano Mauro (9° sec.) e ha il suo apogeo in Sicardo da Cremona e Guglielmo Durante (12°-13° sec.). Nell’Umanesimo e nel Rinascimento, dai testi letterari, dalla trattatistica (da L.B. Alberti a Palladio), dai disegni degli architetti (da Bramante ai Sangallo) emergono considerazioni cosmiche, filosofiche e simboliche che portano a privilegiare la pianta centrale, la più idonea al luogo di culto di Dio, essenza della perfezione e dell’armonia. Tipologia contestata dalla controriforma (C. Borromeo), che prescrive la forma a croce latina, simbolo del sacrificio di Cristo.