CHIARAMONTE, Giovanni, il Vecchio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CHIARAMONTE, Giovanni, il Vecchio

Ingeborg Walter

Appartenente a una nobile famiglia siciliana di origini piuttosto oscure, nacque in data imprecisata dopo la metà del secolo XIII da Federico e da Marchisia Profoglio ed era fratello di Manfredi, primo conte di Modica, insieme al quale pose le fondamenta della fortuna della sua famiglia.

La carriera politica del C. ebbe inizio con il suo passaggio dalla parte di Federico d'Aragona, proclamato re dell'isola nel gennaio del 1296 in contrapposizione al fratello Giacomo, che nel trattato di Anagni dell'agosto 1295 aveva restituito la Sicilia alla Chiesa. Quando nell'estate del 1298 Giacomo d'Aragona e Roberto d'Angiò, duca di Calabria, sbarcarono nell'isola decisi a ricondurla all'obbedienza, al C. fu affidata la difesa di Siracusa assediata vanamente per quattro mesi - dall'ottobre 1298 fino al febbraio 1299 - da Giacomo. In quest'occasione si comportò con estrema decisione respingendo ogni offerta del re aragonese e soffocando nel sangue una congiura ordita da un gruppo di canonici siracusani per consegnare la città ai nemici. Meno fortunata fu invece la spedizione navale contro le coste del Regno comandata dal genovese Corrado Doria, alla quale partecipò insieme a molti altri nobili siciliani. Le trentadue galere siciliane furono bloccate dalla flotta angioina comandata dal famoso ammiraglio Ruggiero di Lauria e nella sanguinosa battaglia combattuta il 14 giugno 1300 nelle acque di Ponza, alla quale i Siciliani non avevano voluto sottrarsi malgrado la loro inferiorità numerica, il C. cadde prigioniero. Non è noto quando riacquistasse la libertà. Secondo lo Speciale (lib. V, cap. 5) resistette eroicamente alle minacce e alle offerte di Carlo II d'Angiò miranti a farsi consegnare le località dominate dal C. in Sicilia. Nel 1302 comunque era di nuovo libero e difese, per incarico del suo re, Caccamo, proprietà del fratello Manfredi, contro Carlo di Valois, sbarcato nell'isola nell'ultimo tentativo di sottometterla al dominio angioino. Di lì a poco il trattato di Caltabellotta dell'agosto 1302 concluse il primo ventennio della guerra del Vespro.

Nella divisione dell'eredità familiare fra i tre fratelli Chiaramonte - Manfredi, Federico e il C. - erano toccati a quest'ultimo i feudi di Favara, Comiso e Margidiramo (quest'ultimo venduto nel 1305 alla Chiesa di Agrigento in cambio di Mussaro), tutt'e tre nella regione agrigentina. Ma ben presto poté conquistarsi una posizione di predominio anche a Palermo, dove nel 1307 acquistò da Cirino, priore di S. Maria di Ustica e di S. Onofrio, un'estesa tenuta in prossimità del mare. Su questo terreno iniziò la costruzione dell'imponente palazzo della sua famiglia conosciuto con il nome di Steri (dal latino hosterium:"palazzo fortificato"), simbolo eloquente del suo dominio sulla città. Già nel 1317 è ricordato come capitano e giustiziere di Palermo e nelle lettere indirizzate al Comune il re soleva rivolgersi infatti per primo a lui come caput civitatis.La guerra contro gli Angioini riprese in seguito alla discesa in Italia di Enrico VII di Lussemburgo, con il quale Federico d'Aragona aveva stretto un'alleanza contro Roberto d'Angiò. Ma morto l'imperatore improvvisamente nell'agosto del 1313, Roberto d'Angiò nell'estate del 1314 sbarcò nuovamente in Sicilia per tentarne la riconquista. Dopo la presa di Castellammare il re angioino si attestò a Trapani con l'intenzione di penetrare da lì nell'interno dell'isola. In questo frangente al C. fu affidato il comando della flotta che doveva attaccare Roberto dal mare, mentre Federico III avrebbe cercato di tagliargli la strada in terraferma. Nell'ottobre la flotta si raccolse a Palermo, ma solo il 22 novembre riuscì a salpare in mare. Tuttavia, giunta all'altezza di Capo San Vito, un forte vento da sud-ovest le impedì di proseguire, e dopo essere rimasta ferma per nove giorni, alla fine dovette far ritorno a Palermo. La sfortuna del C. costrinse il re a concludere il 16 dic. 1314 una tregua con Roberto d'Angiò.

La morte del fratello Manfredi attribuita di solito al 1321, ma avvenuta sicuramente già prima, pose il C. a capo della sua ormai potente famiglia. Dal fratello ereditò anche l'ufficio di siniscalco regio di cui risulta investito già l'11 giugno 1317. A quest'ufficio il re aggiunse, al più tardi nel 1321, anche quello di procuratore generale e maestro razionale del Regno. Nel 1319 fu nunzio di Federico III per il rinnovo della lega con i ghibellini lombardi.

È rimasta famosa l'eroica difesa di Palermo comandata dal C. contro gli Angioini, che nel maggio del 1325 con 115 galere al comando di Carlo duca di Calabria sbarcarono in Sicilia, ponendo l'assedio alla città. L'episodio è descritto dettagliatamente dallo Speciale (lib. VII, cap. 17) che elogia l'organizzazione e il coraggio del C., il quale, nonostante la gotta che loaffliggeva, non si stancò di incitare i combattenti e di distribuire viveri di sua proprietà tra la popolazione, quando cominciò a farsi sentire la fame.

Nel 1328 partecipò ancora una volta a una grande spedizione navale. In base ai suoi accordi con Ludovico il Bavaro, suo alleato naturale contro Roberto d'Angiò, Federico d'Aragona aveva armato una flotta di ottanta galere destinata a soccorrere l'imperatore. Per l'occasione, il C., insieme ad altri grandi del Regno, fu scelto ad affiancare l'erede al trono Pietro cui era affidato il comando dell'impresa. La flotta, salpata nell'agosto 1328 da Milazzo, veleggiò fino a Pisa dopo aver saccheggiato le coste, ma arrivò troppo tardi per essere ancora utile all'imperatore, il quale, stanco degli insuccessi, aveva deciso di tornare in Germania.

Nel 1332, quando esplose il violento conflitto tra suo nipote Giovanni conte di Modica e Francesco Ventimiglia, il re lo chiamò a corte come capo della famiglia per tentare una mediazione. L'aperta ribellione di Giovanni e il suo conseguente bando dal Regno, tornarono comunque a pieno vantaggio dei figli del Chiaramonte. Nel 1335 i beni di Giovanni compresa la contea di Modica, furono concessi al primogenito del C., Manfredi, il quale tuttavia li dovette restituire, quando nel 1337, dopo la morte di Federico III, Giovanni venne riammesso nella grazia del nuovo sovrano. Passarono definitivamente a Manfredi nel 1342, dopo la morte del conte di Modica. Due i titoli che lo avevano abilitato alla successione: Manfredi, fratello del C., nel suo testamento confermato da Federico III, aveva stabilito, con l'evidente intento di tenere unito il patrimonio familiare, che nel caso che il figlio Giovanni fosse morto senza eredi maschi (come avvenne), i suoi beni dovessero passare al nipote Manfredi, primogenito di suo fratello Giovanni. Quando nel 1339 il conte di Modica cadde prigioniero nella battaglia di Lipari e fu costretto a riscattarsi con una forte somma di denaro, impegnò a tal fine i suoi beni al cugino Enrico, altro figlio del C., che gli era successo nelle carica di maestro razionale e che cedette poi a sua volta i crediti al fratello Manfredi. Questi diventò così, dopo la morte del padre e quella del cugino Giovanni, il nuovo capo della famiglia riunendo nelle sue mani un immenso patrimonio.

Il C. morì nel 1339 a Palermo, lasciando, oltre a Manfredi e a Enrico, altri due figli maschi di nome Federico e Giacomo, nati dal suo matrimonio con Lucca Palizzi, figlia di Niccolò il Vecchio.

Fonti e Bibl.: Nicolai Specialis Historia Sicula, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorumqui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, I, Panormi 1791, lib. IV, cap. 5, p. 389; lib. V, capp. 14-15, pp. 428, 434 s.; lib. VI, cap. 8, p. 447; lib. VII, capp. 17-18, pp. 483-486; lib. VIII, capp. 1, 6, p. 492, 500; Chronicon Siculum ab a. 820 usque ad a. 1343,ibid., II, Panormi 1792, cap. XCII, pp. 215 s.; Gli atti della città di Palermo dal 1311 al 1410, a. c. di F. Pollaci Nuccio-D. Gnoffo, Palermo 1892, ad Indicem; Catal. illustrato del Tabulario di S. Maria Nuova in Monreale, a cura di C. A. Garufi, Palermo 1902, p. 75; Acta Aragonensia, a cura di H. Finke, I, Leipzig 1908, p. 374; III, ibid. 1922, pp. 31, 62, 89; A. Inveges, La Cartagine sicil., Palermo 1651, pp. 233-45; G. Picone, Mem. stor. agrigentine, Girgenti 1866, pp. 473 s.; S. V. Bozzo, Note storiche siciliane del sec. XIV, Palermo 1882, p. 354; G. Pipitone-Federico, I Chiaramonti di Sicilia, Palermo 1891, pp. 7 ss.; E. Haberkern, Der Kampf um Sizilien in den Jahren 1302-1337, Berlin-Leipzig 1921, ad Indicem;A. De Stefano, Federico III d'Aragona re di Sicilia(1296-1337), Palermo 1937, pp. 104, 172, 200; V. D'Alessandro, Politica e società nella Sicilia aragonese, Palermo 1963, ad Indicem; M.Amari, La guerra del Vespro siciliano, a cura di F. Giunta, Palermo 1969, ad Indicem; B. Gabrici-B. Levi, Lo Steri di Palermo e le sue pitture, Milano-Roma s.d., pp. 4, 7.

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