Darwin, Charles Robert

Dizionario di filosofia (2009)

Darwin, Charles Robert


Naturalista inglese (Shrewsbury, Shropshire, 1809 - Downe, Kent, 1882).

La formazione

Studente a Cambridge, iniziò la carriera ecclesiastica, ma seguendo la sua vocazione di geologo e zoologo si imbarcò sulla nave Beagle per un viaggio naturalistico intorno al globo che durò cinque anni. Il viaggio segnò gli esordi della sua vita di naturalista, trascorsa prevalentemente in privato a Downe (Kent). Il racconto autobiografico di D. è lineare: la sua prima educazione si fondò sulla Bibbia e sulla Teologia naturale del reverendo W. Paley, il cui provvidenzialismo, scrisse, «mi piacque quanto la logica euclidea». La Narrazione di viaggio di A. von Humboldt suscitò la sua vocazione di esploratore, mentre gli scritti storico-epistemologici dell’astronomo W. Herschel e del filosofo Whewell lo iniziarono al metodo sperimentale di Bacone, Newton e dei loro successori. Dai Principles of geology (3 voll., 1830-33; trad. it. Principi di geologia) di Ch. Lyell, suo vademecum durante il viaggio in America Meridionale, D. assimilò il paradigma ‘uniformista’ che opponeva alla teoria delle catastrofi geologiche di Cuvier i mutamenti lenti e graduali subiti dalla superficie terrestre in milioni di anni, ricostruiti mediante l’analisi delle cause attuali e tuttora operanti. Ma Lyell lasciava irrisolto un dilemma metodico: la serie ininterrotta dei processi evolutivi non includeva il mondo organico. Egli negava la variabilità delle specie, confutando Lamarck e osservando che la selezione operata dall’uomo su piante e animali dà luogo a variazioni modeste e reversibili. Restavano così sullo sfondo il tabù delle origini dell’uomo, creato a immagine di Dio secondo il racconto del Genesi, e l’intera tradizione teologica.

Le leggi dell’evoluzione dei viventi

D. dette un primo contributo alla geologia uniformista con la sua teoria della formazione delle scogliere coralline. Dai fenomeni adattivi che osservò in una specie di fringuelli delle isole Galàpagos intuì la «variazione con discendenza», ossia la tendenza a trasmettere alla prole certi caratteri acquisiti fino a differenziarsi in specie diverse. Dal 1838 la formulazione dell’ipotesi, documentata da una serie di taccuini, culminò nei due abbozzi dell’Origine delle specie (1842, 1844), dove sono già enunciate le leggi dell’evoluzione dei viventi: la selezione naturale opera in natura sulle variazioni spontanee conservando e rendendo ereditarie soltanto quelle più favorevoli a ciascuna specie; il principio della sopravvivenza dei più adatti implica lo sterminio della grande maggioranza di specie e configura al tempo stesso lo sviluppo di un «albero della vita». D. si convinse, pur senza rinunciare alla teologia naturale di Paley – teorico della «guerra della natura» e dei processi di adattamento reciproco tra organismo e ambiente, tra specie e specie –, che la divina provvidenza non aveva potuto generare all’inizio le varie specie già formate, né era intervenuta nel tempo a dar vita a ciascuna specie mediante singoli atti creativi. Svaniva così l’immagine biblica del creatore; restava la tesi che un fiat iniziale si fosse limitato a dettare, come in fisica e in astronomia, leggi deterministiche capaci da interagire con il caso, guidando l’intera serie dei processi e degli adattamenti che hanno dato luogo nel tempo alla successione delle specie viventi.

L’assetto teorico definitivo

Mentre D. meditava sull’ipotesi, il poligrafo dilettante W. Chambers pubblicò anonime le sue Vestigia della creazione (1844), dove era esposto senza prove convincenti un grezzo criterio evoluzionistico. L’opera ebbe grande successo; ma poiché ammetteva le leggi create all’inizio, negando le creazioni successive e la finalità, suscitò una violenta reazione di teologi, naturalisti e filosofi, che la definirono un’opera pseudo-scientifica, materialistica, blasfema riguardo alla creazione dell’uomo. D. previde che le sua ipotesi avrebbe rischiato lo stesso destino e la rielaborò per un quindicennio, in modo tale che risultasse ineccepibile sia sul piano metodico, sia riguardo alle prove. Trovò un decisivo sostegno in tal senso nella legge esposta da Th. R. Malthus nel suo Essay on principle of population (1798; trad. it. Saggio sulla popolazione), che enunciava un preciso rapporto differenziale tra l’incremento della popolazione umana per progressione geometrica, e l’incremento dei mezzi di sussistenza per progressione aritmetica. Era ‘l’uovo di Colombo’, che consentì a D. di soddisfare sia i criteri induttivi del metodo sperimentale tracciati da Herschel, sia la «coincidenza delle induzioni» dell’epistemologia di Whewell. La gran massa di osservazioni e prove zootecniche, biologiche, geografiche raccolte per molti anni assunse un rigoroso assetto formale nel volume On the origin of species (1859; trad. it. Lorigine delle specie): la selezione artificiale dovuta alla mano dell’uomo era una prova che in milioni di anni il corso della natura poteva aver creato, distrutto e modificato le specie secondo precise leggi evolutive. La «lunga argomentazione» fece scandalo per le sue implicanze teologiche, fu confutata come quella del dilettante Chambers, difesa da T. Huxley e pochi altri; nel volume The descent of man, and selection in relation to sex (1871; trad it. L’origine dell’uomo e la selezione sessuale), D. la estese alla nostra specie.

Biografia

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