VIVANTE, Cesare

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

VIVANTE, Cesare

Ferdinando Mazzarella

– Secondo di nove figli, nacque a Venezia il 6 gennaio 1855 da Leon Vita Cesare e da Giustina Gentili.

Sposò Lia Ascoli, figlia del glottologo Graziadio, dalla quale ebbe tre figli: Gina, Leone e Arturo, quest’ultimo morto durante la prima guerra mondiale.

Di origini ebraiche e antiche tradizioni mercantili, la famiglia era giunta nella città lagunare da Corfù sul finire del Settecento. Dalla metà dell’Ottocento il ramo familiare manifestò una decisa propensione per le professioni intellettuali e scientifiche: il padre di Cesare fu medico, egli giurista, il figlio Leone filosofo.

Compiuti gli studi classici al liceo Foscarini di Venezia, Vivante studiò giurisprudenza a Padova, dove si laureò nel 1878. Più che per il diritto commerciale, insegnato da Francesco Fantuzzi, l’ateneo patavino si distingueva allora per il primato della cultura storico-giuridica, che avrebbe lasciato un segno indelebile nella formazione del giovane Vivante. Nel 1857 Antonio Pertile vi aveva assunto la prima cattedra di storia del diritto italiano, ma fu soprattutto l’influenza di Francesco Schupfer a imprimere nella personalità di Vivante una forte vocazione storicistica, consolidata poi dall’ammirazione per Levin Goldschmidt.

Nella prolusione letta il 12 dicembre 1898 per inaugurare il suo magistero alla Sapienza di Roma, Vivante avrebbe tributato a Schupfer, in aula ad accogliere il nuovo collega, un pubblico «atto di riconoscenza» per avergli insegnato «a cercare le leggi della vita sociale nella nozione sicura ed organica di un mondo scomparso» (I difetti sociali del Codice di commercio, in La riforma sociale, VI (1899), p. 25). Parimenti, a Goldschmidt avrebbe dedicato il primo volume del suo Trattato di diritto commerciale (Torino 1893) per averlo educato «coll’alto esempio a trarre dall’intimità della storia il sistema del diritto vigente».

Appena laureato, Vivante insegnò per breve tempo diritto in un istituto tecnico di Palermo. Nel 1881 pubblicò a Milano la sua prima monografia, dedicata a La polizza di carico. Dichiarato eleggibile nel 1882 per la cattedra di diritto commerciale di Genova, dove per un solo punto gli fu preferito Stefano Castagnola, l’anno successivo divenne professore di diritto commerciale all’Università di Parma. Nel 1885 pubblicò il primo dei tre volumi sull’assicurazione (Il contratto di assicurazione, Milano 1885-1890), grazie al quale vinse il premio reale dei Lincei. Fu avvocato e socio del Reale istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Nel 1888 approdò alla cattedra dell’Università di Bologna, dove visse, come avrebbe ricordato il 2 febbraio 1908 nel discorso di ringraziamento tenuto in occasione del suo 25° anno di insegnamento, «una vita quasi claustrale», immerso nella preparazione di due opere monumentali: la prima edizione delle Istituzioni di diritto commerciale (Milano 1891), tradotte in spagnolo, francese e romeno, riproposte in cinquantotto edizioni e ristampe; il primo volume dell’opera che più di ogni altra lo rese celebre, il Trattato di diritto commerciale (Torino 1893), recensito in tutta Europa, tradotto in francese a cura di Jean Escarra (Paris 1910-1912) e in spagnolo da Sillió Beleña, Espejo de Hinojosa e Cabeza y Anido (Madrid 1932-1936), che in quattro volumi conteneva un’esposizione originale e ragionata del diritto commerciale (Milano 1893-1901). Riproposto in cinque edizioni (l’ultima, Milano 1922-26), fu lo stesso Vivante, declinando il pressante invito dell’editore Vallardi, a non ritenerne possibile una sesta, essendo il Trattato l’espressione di una precisa e ormai superata realtà storica (De Gregorio, 1944, p. 150).

Nel 1898, su proposta della facoltà di giurisprudenza, fu chiamato alla Sapienza, dove rilanciò l’insegnamento del diritto commerciale, tenuto fino all’anno prima da Luigi Maurizi. Nel 1903 fondò, insieme a Angelo Sraffa, la Rivista del diritto commerciale, che divenne la «rivista principe tra le riviste di diritto privato» e anzi «tra le riviste giuridiche» (Ascarelli, 1960, p. 5): una rivista che, superando «la farragine delle leggi e delle sentenze», mirasse alla «rinnovazione» e alla «sistemazione del diritto commerciale» (Il nostro programma, in Rivista del diritto commerciale, I (1903), parte I, p. I).

Membro della commissione per la riforma del codice di commercio nominata dal guardasigilli Vincenzo Calenda di Tavani nel 1894, di quella nominata dal ministro Andrea Finocchiaro Aprile nel 1905 e di quella reale per la riforma del diritto cambiario del 1914, Vivante fu anche delegato alla conferenza internazionale dell’Aja per l’unificazione del diritto cambiario (giugno-luglio 1910) e a quella preliminare di Vienna con i rappresentanti dell’Austria-Ungheria e della Germania (febbraio 1910), componente del comitato per il progetto italo-francese di un codice delle obbligazioni (1916-27), ma soprattutto presidente della commissione incaricata nel 1919 dal ministro Lodovico Mortara di proporre le riforme più urgenti e utili alla legislazione commerciale italiana. Pubblicato nel 1922, il ‘progetto Vivante’ disciplinava la circolazione dell’azienda e la concorrenza sleale, introduceva la nuova società a garanzia limitata e adoperava una formula generale per includere le imprese, colte ormai sul piano economico nella loro caratterizzante natura organizzativa.

Se per fondazione s’intende non un casuale primato cronologico, ma un’autentica paternità spirituale, Vivante fu senza ombra di dubbio il fondatore della giuscommercialistica italiana, alla quale impresse un’identità culturale e metodologica che trascese le generazioni e le appartenenze, elevandosi a elemento fondante di una tradizione nazionale di altissimo profilo. Egli chiese al giurista un salto culturale, richiamandolo a due essenziali dimensioni della realtà, quella storica e quella economica, che altro non erano se non l’espressione di una visione sociale, presente fin dall’inizio del suo itinerario riflessivo. Nel 1882 l’emanazione del nuovo codice di commercio fu l’occasione per avviare un discorso sulle fonti, quanto mai necessario per diradare la cappa legalistica che egli intravedeva intorno alla cultura giuridica (Gli usi mercantili, in Archivio giuridico, XXIX (1882), pp. 234-266). Scrivendo il quinto volume del Codice di commercio italiano commentato (Verona 1883), Vivante iniziò la disamina del contratto di assicurazione ricostruendone in primo luogo «lo sviluppo storico» (p. 6). Due anni dopo, nel volume su Le assicurazioni terrestri, spiegò che il «metodo storico» era la chiave di volta per impadronirsi dell’intima essenza di un istituto, lungo una linea evolutiva che si distendeva senza soluzione di continuità fino ai territori della contemporaneità, da esplorare attraverso l’«osservazione dei fatti» e la «conoscenza pratica degli affari» (pp. V s.). Una tensione tra passato e presente stemperata dalla vita, che costituiva, in un’ottica schiettamente positivistica, il vero oggetto scientifico del sapere giuridico.

Nel primo volume del Trattato le fondazioni del metodo vivantiano appaiono ormai saldamente infisse in una concezione dalla fisionomia ben definita: un empirismo scientifico, non «scettico» (Il nostro programma, cit., p. I), impregnato di venature positivistiche e sociologiche. Vivante fece del diritto una «scienza di osservazione», rivolta alla vita nelle sue tre dimensioni del passato, del presente e del futuro (Trattato, cit., I, p. VI). Immerse il diritto nel terreno dell’esperienza, ricostruendo gli istituti lungo «il filo storico del loro svolgimento» e studiando «la pratica mercantile dominata com’è da grandi leggi economiche» (ibid.). Il diritto scaturiva dai fatti economici e sociali, che entravano massicciamente nel novero delle fonti, sotto forma di usi e consuetudini, ma anche allo stato grezzo, come «natura dei fatti», da ricercare scientificamente nella miriade di manifestazioni umane che riflettono le mille sfaccettature della vita (ibid., I, l. I, cap. I, Le fonti, par. 9, Natura dei fatti). Insieme al servilismo esegetico, Vivante chiuse così ogni spazio al concettualismo e al dogmatismo. «Di logica, anzi di metafisica» se n’era vista e respirata fin troppa, egli denunciò nel discorso di ringraziamento del 1909 (ibid., p. 14). I giuristi si ostinavano a ragionare per astrazioni, volavano «coll’ala della mente di cima in cima alzandosi alle costruzioni più generali» (ibid.). Vivante restò invece «a mezza costa», per «non perdere il contatto colla realtà» e «cadere nel vuoto» a caccia di «idee generali» (ibid.). Raccolse «i fatti per farli parlare», cercò «nelle banche, nelle borse, nelle agenzie d’affari, nelle cancellerie giudiziarie, nelle sentenze, il ricco materiale con cui s’intesse la vita» (ibid.). Alle architetture dogmatiche sostituì così l’elaborazione «organica» di principi desunti dall’osservazione dei fatti (Prefazione al Trattato, cit., II, parte 1, Torino 1894; con il titolo Le nuove influenze sociali nello studio del diritto commerciale, in La scienza del diritto privato, II, 1894, pp. 616-618). La dimensione teorica rimaneva essenziale, ma si risolveva nell’elaborazione di «una costruzione sistematica, fondata sull’esperienza» (Il nostro programma, cit., p. I).

È in questa cornice filosofica che vanno collocate le proposte di Vivante per l’unificazione del diritto delle obbligazioni e per la riconfigurazione del diritto privato in senso solidaristico e sociale. Vivante non fu un socialista in senso propriamente politico. Fu un positivista in senso filosofico, uno storicista animato da un forte senso di giustizia sociale. L’osservazione della realtà, con le sue contraddizioni e sperequazioni, dimostrava l’inservibilità di un modello puramente liberale. A esso Vivante contrappose una visione armonica del diritto commerciale, che tenesse in equilibrio gli interessi degli industriali, degli operai e dei consumatori, ma più ampiamente una visione armonica del diritto privato, che escludesse leggi di classe e privilegi di ceto. Il 14 gennaio 1888, appena chiamato all’Università di Bologna, lesse la celebre prolusione che riaccendeva il dibattito sull’unificazione del diritto privato (Per un codice unico delle obbligazioni, in Archivio giuridico, XXXIX (1887), pp. 497-516, e in Monitore dei tribunali, XXIX (1888), pp. 169-176, da cui si cita). Per superare la «barriera legislativa» che separava il diritto civile e il diritto commerciale, propose l’adozione di un unico diritto delle obbligazioni, sul modello del codice svizzero, con un contenuto «essenzialmente mercantile», capace di spirare «un nuovo alito di vita a tanti vieti istituti del diritto civile» (ibid., pp. 169-171). Il tema fu riproposto nel 1892 (Ancora per un codice unico delle obbligazioni, in Monitore dei tribunali, XXXIII (1892), pp. 749-760). E di nuovo, estesamente, nell’Introduzione al primo volume del Trattato, il cui paragrafo 1 s’intitolava L’unità del diritto privato.

Nella prolusione del 1902 l’orizzonte solidaristico si allargò ai principi e agli istituti dell’intero diritto privato (La penetrazione del socialismo nel diritto privato, in Critica sociale, XII (1902), pp. 345-351, ora in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 2012, n. 3, pp. 25-40). «La libertà e l’eguaglianza», le due «grandi forze di redenzione sociale» che la codificazione liberale aveva posto «sugli altari», recavano insiti «i pericoli della loro degenerazione» (ibid., p. 29). Vivante suggerì pertanto una disciplina imperativa per i contratti di adesione e la nullità delle clausole vessatorie, il riconoscimento del contratto collettivo e della contrattazione per gruppi, la repressione dei cartelli e delle coalizioni industriali, l’introduzione del contratto a favore di terzi e la promozione delle società cooperative. Ma anche una riforma del diritto societario volta alla tutela delle minoranze, al controllo sugli amministratori e alla partecipazione dei lavoratori agli utili sociali (Le società anonime, in Monitore dei tribunali, XXXIV (1893), pp. 421-425; La riforma delle società commerciali, ibid., XXXVI (1895), pp. 321 s.; Ancora intorno alla riforma delle società per azioni, ibid., pp. 361 s.; Un progetto di legge sulle società anonime, in Rivista del diritto commerciale, III (1905), parte 1, pp. 212-218; Per la riforma delle società anonime, ibid., XI (1913), parte 1, pp. 146-158).

Tra gli anni Venti e Trenta Vivante rimodulò alcune delle sue proposte, cercando di adeguarle alle trasformazioni politiche ed economiche. Nel 1922 rilevò come la «diversa velocità» con cui si andavano elaborando i contenuti del codice civile e di quello di commercio avrebbe probabilmente rappresentato «un grande ostacolo alla unificazione» (Ragioni della riforma, in Progetto preliminare per il nuovo Codice di commercio, Milano 1922, p. 200). Tre anni dopo, ‘formalizzando’ il suo «atto parziale di conversione», spiegò che «l’impeto» dell’attività commerciale era «troppo vivo» per «fissarla entro il sistema statico del diritto civile» e che fosse quindi «più prudente» collaudare i nuovi fenomeni giuridici nel codice di commercio onde trasferirli poi eventualmente nel codice civile (L’autonomia del diritto commerciale e i progetti di riforma, in Rivista del diritto commerciale, XXIII (1925), parte 1, pp. 572-576; poi ancora L’autonomia del diritto commerciale e il sistema corporativo, in Diritto e pratica commerciale, VIII (1929), pp. 113-120). In realtà ebbe sempre chiara sia la necessità di favorire il «libero svolgimento» del diritto commerciale rispetto alle «norme lente, prudenti e comode del diritto civile» (Gli usi mercantili, cit., p. 254), sia la possibilità di conservare un autonomo codice di commercio «per regolare la disciplina di quegli istituti che sono soggetti a più frequenti revisioni, perché subiscono più immediatamente l’influenza dei progressi tecnici» e della «pratica cosmopolita» (La riforma del diritto privato, intervista in Giornale d’Italia, 25 settembre 1906, anche sulla copertina del Monitore dei tribunali, 1906, nn. 46 e 47).

Allo stesso modo l’interesse per l’ordinamento corporativo discendeva dalla convinzione che gli organi introdotti dal fascismo potessero svolgere quelle funzioni di adeguamento normativo e riequilibrio contrattuale che egli aveva sempre auspicato. L’ideologia corporativa rilanciava il ruolo del contratto collettivo e la funzione normativa dei contratti-tipo (I contratti-tipo nell’ordinamento fascista, in Commercio, III (1930), pp. 3-7; La penetrazione dell’ordinamento corporativo nel diritto privato, in Il diritto del lavoro, V (1931), pp. 437-444). Fermo restando il primato del consenso, il controllo del Consiglio nazionale delle corporazioni e l’approvazione delle associazioni sindacali avrebbero secondo Vivante favorito l’osservanza delle consuetudini generali, garantito condizioni contrattuali più eque e combattuto gli abusi della libera concorrenza.

Il pensionamento per limiti d’età, nel 1930, risparmiò a Vivante il confronto con l’obbligo del giuramento e con le leggi razziali, che ne decretarono tuttavia l’espulsione dall’Accademia dei Lincei. Proprio nell’anno delle leggi razziali, quasi in concomitanza con la morte di Sraffa (1937), Vivante lasciò anche la direzione della Rivista del diritto commerciale, affidandola ai «colleghi più giovani»: Alberto Asquini, Giuseppe Valeri e Lorenzo Mossa. Il «congedo» apparve sulla prima pagina del trentunesimo numero della rivista. E suona come un bilancio, da un lato, e uno sguardo al futuro, dall’altro. Esaurita la spinta dei fondatori, si delineavano all’orizzonte «nuovi problemi di metodo e di contenuto legislativo», da affrontare con «spirito libero» e slancio creativo (Congedo, p. I).

Il progressivo intensificarsi delle persecuzioni antiebraiche suggerì scelte dolorose. I figli lasciarono l’Italia. Vivante si ritirò nella sua villa di Solaia, in Toscana, salvato dal suo prestigio e dalla sua autorevolezza, che gli consentirono di pubblicare ancora, al principio della guerra, sul Nuovo digesto italiano, conservando la firma e il titolo di «Prof. emerito della R. Univ. di Roma» (voce Società a catena (“holding”2), XII, 1, Torino 1940, pp. 383-387).

Morì a Siena il 5 maggio 1944, i figli profughi e lontani, la moglie Lia, due anni più giovane, morta già da qualche tempo.

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