RUBINI, Cesare

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

RUBINI, Cesare

Silvio de Majo

RUBINI, Cesare. – Nacque a Trieste il 2 novembre 1923, secondogenito di una famiglia di dalmati emigrati verso l’Italia dopo il trattato di Rapallo del 1920, che aveva assegnato quasi tutta quella regione alla Iugoslavia. In questa circostanza il cognome Rubcich fu italianizzato in Rubini. Il padre Mirko, di Sebenico (od. Šibenik in Croazia), apparteneva a una famiglia borghese (il padre era presidente del tribunale di Spalato, od. Split in Croazia) ed era comandante di macchina sulle navi della marina; la madre, Maria (o Maritza) Orlandini, proveniva da una famiglia montenegrina.

Fin da ragazzo praticò molti sport e principalmente il nuoto (era un discreto ranista), la pallanuoto e la pallacanestro; nel 1941 – conseguito il diploma presso il liceo scientifico Oberdan – iniziò a giocare come regista nella squadra di pallacanestro della Società ginnastica triestina (SGT), che si piazzò quarta nel campionato italiano 1942-43. Dopo l’assoluta sospensione dovuta alla guerra, nel 1945 riprese l’attività con la squadra di pallacanestro Triestina Milano (dal 1947 Olimpia Milano), fondata dall’imprenditore milanese di origine trevigiana Adolfo Bogoncelli, e l’anno successivo conquistò la medaglia d’argento ai campionati europei di Ginevra con la nazionale italiana.

Contemporaneamente praticava – d’estate – la pallanuoto, e diventò in breve tempo uno dei migliori giocatori italiani dell’epoca, tra il 1947 e il 1955, segnalandosi soprattutto come difensore agguerrito e soffocante, dotato di notevoli mezzi fisici, grande senso della posizione e di galleggiamento. Nel 1947 vinse lo scudetto con l’Olona Milano e fu inserito nella nazionale italiana che vinse a Montecarlo i campionati europei, ma senza giocare mai. Invece nel 1948 fu tra i principali protagonisti della vittoriosa partecipazione alle Olimpiadi di Londra: medaglia d’oro in una nazionale dove era il più giovane, accanto a navigati pallanotisti più grandi di lui, come Gildo Arena, Pasquale Buonocore, Emilio Bulgarelli, Aldo Ghira, Mario Majoni, Geminio Ognio, Gianfranco e Tullio Pandolfini.

Nel 1949 andò a giocare nella Rari Nantes Napoli, con cui vinse i campionati 1949 e 1950 e quindi – passato nelle file del Camogli – vinse i campionati 1952, 1953 e 1955. Gli spostamenti di città e i cambi di società erano dovuti alla natura professionistica che questo sport andava assumendo in questo periodo, almeno per i suoi migliori giocatori. Ciò valeva anche quando si indossava la calottina della nazionale, tanto che i vincitori delle Olimpiadi del 1948 ricevettero un premio di un milione di lire, una cifra enorme per l’Italia appena uscita dalla guerra. Della nazionale Rubini continuò a essere uno dei perni dopo quella mitica vittoria, e conquistò due medaglie di bronzo alle Olimpiadi di Helsinki del 1952 e agli europei di Torino due anni dopo. Nel complesso con la maglia della nazionale italiana di pallanuoto disputò 84 incontri, di cui 42 in veste di capitano.

Se la pallanuoto – che allora si praticava in mare, con gli spettatori sui moli o nelle barche – era l’impegno estivo di Rubini, quello invernale era la pallacanestro, che sarebbe diventata il suo lavoro fino alla morte, prima come giocatore – naturalmente professionista – poi come allenatore e infine come dirigente, in grado di conseguire in tutte e tre le funzioni numerosi e importanti successi in campo sia nazionale sia europeo. Interpretò lo sport, «poco importa se fosse pallanuoto o basket, in modo professionale [...] un lavoro da svolgere al meglio» (parere di Eraldo Pizzo cit. in Eleni - Meda, 2013, p. 22), mentre per tanti altri quell’attività era ancora solo puro divertimento e passione. Per questo fu un precursore; e per questo – conscio del suo valore – pretendeva di essere pagato bene.

Da allenatore-giocatore nell’Olimpia Milano – inzialmente sponsorizzata dall’azienda meccanica Borletti – vinse cinque campionati italiani consecutivi, dal 1949-50 al 1953-54, e poi – con la sponsorizzazione dell’azienda alimentare Simmenthal, per cui dal 1956 la squadra si chiamò Simmenthal Milano – il campionato 1956-57 (i titoli 1954-55 e 1955-56 andarono a una delle grandi rivali dell’Olimpia dell’epoca, la Virtus Bologna). Pertanto Rubini nelle stagioni 1949-50, 1951-52 e 1952-53 fu campione d’Italia in entrambe le discipline, la pallanuoto e la pallacanestro.

In questi stessi anni faceva parte della nazionale italiana, con la quale nel complesso disputò 39 partite tra il 1946 e il 1954, segnando 103 punti. Non era fortissimo, ma giocava con grande determinazione e agonismo. Con la nazionale, ai campionati europei – dopo l’argento del 1946 – conquistò un quinto posto nel 1951 e un settimo posto nel 1953.

Nel 1957, a 32 anni, smise di giocare, e da allora fu solo allenatore della squadra milanese, che la lungimiranza e le disponibilità economiche di Adolfo Bogoncelli proiettavano ancora di più verso continui e incontrastati successi. La Simmenthal Milano con Rubini allenatore vinse otto dei dieci campionati italiani tra il 1957-58 e il 1966-67 (i titoli 1960-61 e 1963-64 andarono alla maggiore rivale storica, l’Ignis Varese dell’industriale Guido Borghi). Frattanto, nel 1958 Rubini si era sposato con Luisella Travan, ma non ebbe figli.

Era questo il periodo delle mitiche scarpette rosse, il capo di abbigliamento tipico e unico indossato a partire dal campionato 1956-57 dalla Simmenthal Milano, una squadra in cui giocarono per molti anni alcuni dei migliori giocatori di basket dell’epoca: Sergio Stefanini, Romeo Romanutti, Niki Pagani, Paolo Vittori, Gabriele Vianello e soprattutto il pesarese Sandro Riminucci, considerato il numero uno (non a caso realizzò 77 punti in una sola partita), e il triestino Gianfranco Pieri, che Rubini ebbe l’intuizione di trasformare da pivot (centro) in playmaker (regista) perché ne apprezzava la visione di gioco e le capacità di passatore.

L’abilità principale di Rubini nella gestione della squadra non era solo di natura tecnica o tattica, ma risiedeva nella grinta – quasi nella ferocia – che richiedeva e anzi pretendeva dai suoi giocatori. Per lui contavano soprattutto atletismo, «attaccamento alla maglia, serietà non solo in partita ma anche in allenamento, rispetto dei compagni anche dei meno dotati» (parere di Giulio Iellini cit. in Eleni - Meda, 2013, p. 46), impegno massimo, morire su tutti i palloni. Lui stesso di sé disse: «Non avevo pietà per i miei giocatori, gli allenamenti erano certo più duri di molte partite del campionato. Se un mio giocatore diceva che non poteva farcela cercavo di forzarlo, volevo eroi, lo ammetto e molti lo sono stati» (Eleni - Pacor, 1996, p. 123). La squadra era al centro delle sue attenzioni, con una foresteria che ospitava i giocatori della prima squadra, pressoché tutti non milanesi, di cui curava la coesione di gruppo. Gli avversari e talvolta anche gli arbitri avevano grande soggezione di lui, «uomo magnetico, con una personalità fortissima» (parere di Antonio Bulgheroni cit. in Eleni - Meda, 2013, p. 52).

La Simmenthal da lui allenata, oltre ai campionati italiani, vinse la Coppa dei campioni del 1966, grazie a un episodio rimasto famoso nella storia della pallacanestro italiana, l’inserimento in squadra, solo per quel torneo, del celebre cestista statunitense Bill Bradley, allora studente all’Università di Oxford (e che poi diventerà senatore degli Stati Uniti). La Simmenthal fu la prima squadra italiana a compiere quest’impresa, in seguito riuscita più volte alla rivale Ignis Varese, ma non alla squadra allenata da Rubini.

La vittoria europea del 1966 e il successivo titolo italiano del 1966-67 costituirono il picco dei grandi successi consecutivi di Rubini allenatore, perché i successivi quattro campionati furono vinti da due storiche rivali, il primo (1967-68) dall’Oransoda Cantù, i restanti tre dall’Ignis Varese, con la Simmenthal seconda. Questa fase si chiuse però con l’ultimo campionato vinto da Rubini nel 1971-72 e con le Coppe delle coppe 1971 e 1972 (anno in cui vinse anche la Coppa Italia). Nel complesso l’era Rubini nella Simmenthal fu costituita da 509 vittorie su 594 gare allenate, pari all’83%. Con lui come giocatore-allenatore o soltanto come allenatore la squadra milanese vinse 15 scudetti, una Coppa Italia, una Coppa campioni e una Coppa delle coppe. Frattanto, nel 1968 aveva pubblicato il libro, scritto con Giulio Signori, Il vero basket, edito dalla Longanesi di Milano.

Nel 1973, in concomitanza con la fine della sponsorizzazione Simmenthal, e dopo un altro secondo posto in campionato dietro l’Ignis Varese, Rubini lasciò il suo incarico di allenatore e si dedicò a funzioni manageriali, che svolse soprattutto, a partire dal 1976, in qualità di dirigente della Federazione italiana pallacanestro (FIP) delegato al coordinamento delle squadre nazionali. Importante fu la sua collaborazione con l’allenatore Alessandro Gamba, già suo vice a Milano, nel periodo 1980-85, pieno di importanti successi: la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Mosca nel 1980, la vittoria ai campionati europei di Nantes nel 1983 e il successivo terzo posto a quelli di Stoccarda nel 1985. Poi ci sarà un secondo posto agli europei di Roma del 1991 (di nuovo con Gamba come allenatore) ma anche due amari insuccessi: la mancata qualificazione per le Olimpiadi di Seul del 1988 e il nono posto nei campionati mondiali in Argentina nel 1990. Dopo questi eventi si ritirò dall’attività dirigenziale nella FIP conservando un ruolo simbolico di nume tutelare del basket milanese.

Rubini è stato un caso unico al mondo per il suo inserimento nelle liste dei più grandi interpreti mondiali di due sport differenti. Presidente dell’associazione mondiale degli allenatori di basket, nel 1993 fu inserito nella Naismith memorial basketball hall of fame in qualità di allenatore e dirigente di pallacanestro e nel 2000 nell’International swimming hall of fame, in qualità di giocatore di pallanuoto.

Morì a Milano l’8 febbraio 2011 e fu inserito nel famedio del cimitero Monumentale di Milano.

Significative le parole del necrologio della famiglia (apparso su Il Piccolo di Trieste e sul Corriere della sera il 9 febbraio 2011): «Il suo saper coinvolgere ed influenzare è andato molto al di là della profondità dell’acqua e delle dimensioni del campo».

A suo nome è intestato il palazzo dello sport di Trieste, al cui interno, in uno spazio museale, è previsto l’inserimento dei cimeli della sua vita.

Fonti e Bibl.: O. Eleni - A. Pacor, Sono Rubini, Milano 1996; O. Eleni - S. Meda, Indimenticabile. C. R., un guerriero dello sport, s.l. 2013.

Si vedano anche la sezione Storia nel sito www.olimpiamilano.com, e M. Marrello, Domani a Milano i funerali di C. R., 9 febbraio 2011, www. legabasket.it (13 marzo 2017).

Si ringrazia il nipote Giorgio Rubini, figlio del fratello Ferruccio, già presidente del tribunale di Milano, che ha fornito alcune notizie familiari inedite. S

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