CANTÙ, Cesare

Enciclopedia Italiana (1930)

CANTÙ, Cesare

Guido Mazzoni

Nacque a Brivio, in provincia di Como, il 5 dicembre 1804, morì a Milano l'11 marzo 1895. Uomo d'una prodigiosa alacrità, facilità, costanza nel lavoro, giovò grandemente, più che alla scienza storica e alla critica letteraria, a divulgare una enorme quantità di fatti importanti o curiosi; ma sarebbe ingiusto non riconoscergli, in qualche campo speciale, una vera e propria competenza, ed erroneo sarebbe negare a ogni suo libro un valore anche scientifico, oppure letterario, di gran lunga superiore a quello dei volgari compilatori.

Della prima educazione, che ebbe nel ginnasio di Sant'Alessandro in Milano, da chierico, egli ritenne non poco, così nelle credenze religiose come nella formazione intellettuale. A diciotto anni, non più chierico, cominciò a insegnare nel ginnasio di Sondrio; poi, dopo quattro anni, in quello di Como. La residenza in Como gl'ispirò un poemetto romantico, Algiso (1828), che fece molto sperare in lui poeta: meglio, gli suggerì l'idea di raccogliere e di esporre le memorie locali e regionali nella Storia della città e della diocesi di Como (1829-1831), che è, per molti rispetti, un lavoro eccellente. Chiamato nel 1832 a insegnare nello stesso ginnasio milanese, dove era stato discepolo, poté godere la dimestichezza del Manzoni, e utilmente, nel medesimo anno, diede al romanzo di lui un commento storico, La Lombardia nel sec. XVII. Ad esso si può riconnettere il volume l'Abate Parini e la Lombardia nel secolo passato (1854), che a lungo ha conservato importanza; come a quella dimestichezza è necessario ricondurre le Reminiscenze su Alessandro Manzoni (1882), intorno alle quali si è molto disputato, perché, come purtroppo accade nei libri del C., vi è assai d'imprecisione, di tendenze personali, di malizie, volontarie o involontarie che fossero, contro i vivi a proposito dei morti, e contro i morti a proposito dei vivi. Il che non fa che, per alcuni concetti e fedi fondamentali, per alcune figure da lui più ammirate o meglio sentite, egli non volesse o non sapesse mantenersi in un'equa serenità di giudizio.

Sebbene dall'arte fosse attratto ancora, e col romanzo storico Margherita Pusterla (1838) egli si facesse celebre, e sebbene continuasse a lungo nel novellare, ben più conseguì di fama e di utilità con molti studî storici e letterarî, tra i quali indicheremo la Notizia di G.D. Romagnosi (1835), Beccaria e il Diritto penale (1862), Alcuni Italiani contemporanei (scritti raccolti nel 1868), Italiani illustri (biografie raccolte nel 1873-74), Il Conciliatore e i Carbonari (1878), Monti e l'età che fu sua (1879). Dove si trovano sviste ed errori, taluni per sostenere una tesi religiosa e politica; ma anche una ricca messe di peregrine notizie, e osservazioni ingegnose, talvolta originalmente acute.

Nel 1838, insieme con la Margherita Pusterla uscì il primo dei trentacinque volumi della notissima e molte volte ristampata Storia universale, che fu compiuta nel 1846. Conviene, innanzi tutto, riconoscere che fu quello uno sforzo gigantesco, e, sommato tutto, fu uno sforzo felice; perché il pubblico italiano, e non l'italiano soltanto, imparò una quantità di vicende storiche, di produzioni artistiche, di costumanze e di opinioni, non ancora mai raccolte e ordinate in forma largamente accessibile, e dilettevole per il calore dello stile, e per le stesse qualità meno elette dello storico, parziale e accorto a cogliere tutte le occasioni per ungere e pungere. Certo è che si fa più presto a rintracciarvi parziali ragioni di censura, che non a rendersi canto del meraviglioso impasto personale d'una così sterminata materia. E talvolta lo scrittore vi è davvero eloquente. D'altra parte, non è un pensatore profondo né uno storico accurato.

In contatto, o in derivazione per ampliamento, con la Storia Universale, sono quasi tutte le altre opere del C.: Storia di cento anni (1851), Storia degli Italiani (1854-1856), le tre Storie della letteratura, greca, latina, italiana (1865-1866), Gli eretici d'Italia (1865-1866), la cronistoria Della indipendenza italiana (1872-1877), Gli ultimi trent'anni (1879). Alcune pagine, specialmente nella prima di esse opere, sono magistrali; d'altro lato, specialmente per la politica moderna italiana, il C. si lasciò non di rado andare a giudizî mal ponderati e ad allusioni malevole. Può perfino sospettarsi, che, di quando in quando, facessero velo al suo occhio di storico le nebbie di personali rancori e disdegni.

A lui infatti sembrava, più forse del vero, di essere stato remunerato malissimo di quanto aveva operato e sofferto per l'Italia. Vero è che il governo della nuova Italia non gli diede la cattedra di storia nell'università di Bologna;. ma è anche vero che, se egli era stato un romantico-liberale, se era stato inviso alla polizia austriaca, e anche carcerato, aveva poi avuto il modo di proseguire comodamente, come sopraintendente al R. Archivio di stato in Milano, le felici sue ricerche archivistiche e di metterle a profitto con pubblicazioni non meramente erudite; e aveva accettato dal governo italiano la croce dell'ordine civile di Savoia.

Fra tanta attività, che comprendeva insieme la politica, la storia, le letterature, anche la francese (fu dei primi a scrivere sopra Victor Hugo) e l'inglese (scrisse su Byron), si deve non trascurare la serie di libri e libretti educativi: Carlambrogio da Montevecchio (1836), Il buon fanciullo, Il govinetto, Il galantuomo (1837), Buon senso e buon cuore (1870), ecc.; il quale ultimo libro, specialmente, ebbe una larga e giusta diffusione.

Il romanzo storico Margherita Pusterla, sorto nella mente di lui carcerato, ha tuttavia lettori, e moltissimi ne ebbe, e fu ristampato più volte e tradotto in più lingue: raccozzamento del romanticismo nostro col francese, senza riuscire al capolavoro, ben poté essere allora apprezzato, e resta un documento curioso dell'arte romantica. Una congiura milanese del Trecento è rappresentata per mezzo di casi e di personaggi, che potremmo dire oleografici, in una trama dove il sentimentale e il violento si alternano crudamente, con l'intento che le varie sensazioni e commozioni conferiscano a un'elevazione cristianamente morale. Alcune scene se ne staccano con effetti che si capisce come a mezzo il sec. XIX piacessero tanto: di frati ottimi, innamorati castamente; di giovani baldanzosi; di sozzi e brutali tiranni; di buffoni vili; di donne pie; accomunati tutti nella miseria dei tempi e nell'umana infelicità qui in terra

Bibl.: Copiosa e ricca registrazione di stampe, studî ecc. è nel volume In morte di C. Cantù, a cura della famiglia, Milano 1896. Rimandi a lavori su lui si trovano nel Manuale della letteratura italiana di A. D'Ancona e O. Bacci, V, Firenze 1911, p. 556 segg.; VI, p. 379; cfr. altresì G. Mazzoni, Elogio di C. Cantù, in Atti della R. Accademia della Crusca, Firenze 1899; id., L'Ottocento, Milano 1911. Fra i tanti articoli su lui, posteriori a tali repertorî, indicheremo almeno V. Mikelli, C. Cantù. Dieci anni dalla sua morte, in Atti della Società Colombaria, Firenze 1912, p. 49 segg. Sullo storico cfr. poi B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, I, Bari 1921.

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