BRANDI, Cesare

Enciclopedia del Cinema (2003)

Brandi, Cesare

Flavio De Bernardinis

Scrittore, teorico e critico d'arte, nato a Siena l'8 aprile 1906 e morto a Vignano (Siena) il 19 gennaio 1988. La sua riflessione 'fenomenologica' sull'essenza dell'arte, d'ispirazione prevalentemente kantiana, si propone come rifondazione dell'estetica generale in relazione alle diverse arti, approfondendo anche la possibilità di un'analisi teorica del cinema. Membro dell'Accademia nazionale dei Lincei dal 1969, B. fu insignito del premio Antonio Feltrinelli per la critica d'arte nel 1959 (ex aequo con G.C. Argan) e nel 1980 per la critica dell'arte e della poesia.

Ispettore di Antichità e Belle Arti, nel 1939 B. divenne direttore dell'Istituto centrale del restauro, per dedicarsi quindi, dal 1960 al 1976, all'insegnamento universitario, come professore di storia dell'arte nelle università di Palermo e di Roma. In Carmine o della pittura (primo dei quattro dialoghi che compongono Elicona, 1945-1957), B. era giunto a negare la patente di artisticità al cinema, perché, diversamente dalla pittura, "il fotogramma mantiene in sé qualcosa che nella pittura non c'è mai. Questo qualcosa è l'esistenza. Il che comporterebbe, per il cinema, l'impossibilità di raggiungere la realtà pura della forma richiesta all'arte" (Montani 1993, p. 156). Il problema del cinema, infatti, è quello di un realismo "esacerbato": grazie ai movimenti e alle angolazioni della macchina da presa, all'uso coinvolgente del sonoro e del commento musicale, nulla della realtà può sfuggire al cinema, sia di quella visibile sia di quella rimasta nascosta. Ma se l'"astanza", il fulcro estetico dell'opera d'arte, è per B. quel "fenomeno-che-fenomeno-non-è", presenza-assenza dell'opera che è nel mondo, e insieme fuori del mondo, e che, pertanto, non può essere raggiunta, il cinema si costituisce in qualcosa che sembra il contrario dell'astanza, pescando piuttosto nella "flagranza" piena e irriducibile del dato esistenziale, incapace di sospendere il film in quella epoché che sola serve la forma. Nella sua opera maggiore, Teoria generale della critica (1958; 1974²), B. corregge il tiro. A differenza del teatro, il cinema implica la mediazione della fotografia. La fotografia attesta certamente la flagranza della cosa ritratta: ciò che si vede nella traccia fotografica è la cosa stessa, nel suo "essere-stata-là". B. può concludere: "Nel cinema si ha un prelievo diretto sulla matrice esistenziale, e quanto ne può suscitare l'astanza non è allora un'assimilazione alla struttura della lingua ma un superamento della flagranza nella flagranza stessa" (p. 228). In tale superamento, senza dubbio, si annida un apice fenomenologico: "L'astanza a cui può aspirare il cinema tramite la fotografia (e il suono registrato) può apparire allora un misto di teatro, di racconto e di pittura, e il suo specifico sarà di rendersi intraducibile separatamente come teatro, racconto o pittura [...] perché resterà sempre il fatto del medium fotografico a imporre una differenziazione" (p. 229). La differenza, così, ha luogo nell'automatismo del medium fotografico. Il cinema, linguaggio "proteiforme", può aspirare alla condizione della presenza-assenza: presenza esacerbata della realtà, e messa in parentesi della realtà stessa grazie alla manifestazione intraducibile di una macchina, che attinge a singole materie espressive (pittura, teatro, racconto) e tuttavia le sospende. La realtà, nell'ibrido cinematografico, sarà talmente esistente, che alla fine è.La riflessione di B. istituisce così un orizzonte fecondo in cui il cinema viene individuato come espressione polimorfa. All'inizio del 21° sec. è evidente come il cinema manifesti davvero l'aver luogo della differenza, nella capacità di attraversare svariati supporti, dalla pellicola al video al DVD. Il transito fra un supporto e l'altro implica naturalmente la deperibilità. La condizione del restauro, di cui B. è stato un'autorità indiscussa, risulta congeniale, nella prospettiva contemporanea, all'arte cinematografica e alla sua storia.

Bibliografia

P. Montani, L'ospite importuno del Carmine di Cesare Brandi, in P. Montani, Fuori campo. Studi sul cinema e sull'estetica, Urbino 1993, pp. 151-71.

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