CENSIMENTO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

CENSIMENTO

Antonio Cortese
Floriano Pagnanelli

(IX, p. 734; App. II, I, p. 560; III, I, p. 349)

Dopo l'interruzione giustificata dagli eventi bellici, nel nostro paese si è riproposto con cadenza decennale il tradizionale appuntamento con i c. generali. Dalla fine della seconda guerra mondiale sono stati eseguiti in Italia cinque c. della popolazione e delle abitazioni (1951, 1961, 1971, 1981 e 1991). Negli stessi anni è stato pure eseguito il c. industriale e commerciale che si avvale della stessa macchina organizzativa allestita per il c. demografico. Nel 1961, nel 1970, nel 1982 e nel 1990 sono stati infine eseguiti il 1°, il 2°, il 3° e il 4° c. dell'agricoltura. Le date di riferimento dei vari c. sono quelle qui di seguito indicate:

Censimento della popolazione: 4 novembre 1951; 15 ottobre 1961; 24 ottobre 1971; 25 ottobre 1981; 20 ottobre 1991.

Censimento industriale e commerciale: 5 novembre 1951; 16 ottobre 1961; 25 ottobre 1971; 26 ottobre 1981; 21 ottobre 1991.

Censimento dell'agricoltura: 15 aprile 1961; 25 ottobre 1970; 24 ottobre 1982; 25 ottobre 1990.

Sono ora in fase di elaborazione i dati rilevati ai 3 ultimi censimenti (agricoltura; popolazione; industria e commercio). Con i primi anni del decennio si è aperta la stagione dei c. pressocché in tutto il mondo, in quanto la cadenza decennale è praticamente rispettata da quasi tutti i paesi. Il processo di armonizzazione fra le varie esperienze nazionali va anzi ben al di là della data di riferimento in quanto, allo scopo di favorire i confronti sul piano internazionale, tende sempre più a riguardare anche i contenuti. Preziosa è al riguardo l'azione svolta da organismi internazionali quali l'ONU che diffonde spcifiche ''raccomandazioni'' adoperandosi per l'adozione di definizioni e classificazioni uniformi.

Val pure la pena di ricordare che nel nostro paese il compito di effettuare i c. generali è dalla legge affidato all'ISTAT che si avvale a livello periferico della collaborazione dei comuni. L'esecuzione di un c. comporta, come ben si comprende, lo svolgimento di operazioni complesse sotto il profilo organizzativo (v. oltre), dal momento che si rende necessario contattare l'universo delle ''unità rispondenti'': famiglie, imprese operanti nel campo delle attività economiche extragricole e aziende agricole. Il c. si risolve infatti in una conta esaustiva che mira essenzialmente a fornire un quadro delle loro principali caratteristiche strutturali. A questo proposito merita di essere evidenziato che all'inizio degli anni Ottanta si è a lungo discusso in Italia sull'opportunità o meno di mantenere in vita i c. (v. oltre). Questo fondamentale strumento di rilevazione è a molti parso superato: in particolare sono stati chiamati in causa, da un lato, gli alti costi che l'operazione comporta e, dall'altro, il perfezionamento delle tecniche di campionamento, il tutto per sostenere l'opportunità del ricorso a una serie di indagini parziali in luogo del rilevamento completo. Un'evoluzione in questo senso ha già caratterizzato la storia del c. in alcuni paesi. È quindi del tutto naturale che un confronto di idee su questo importante tema si sia sviluppato anche in casa nostra, per quanto alla fine si sia dovuto riconoscere che non vi sono ancora le condizioni per il superamento di una prassi fondata sull'esaustività della conta. Ciò si verifica soprattutto per la mancanza di archivi automatizzati che coprano l'intero territorio nazionale; occorre infatti ricordare che uno dei caratteri peculiari del c. è quello di assicurare la disponibilità di informazioni analitiche con riferimento a ristretti ambiti territoriali.

È a questo proposito doveroso precisare che per quanto l'impianto generale dei c. resti nel tempo abbastanza immutato, si registra ovunque un costante impegno per migliorarne la metodologia. Per quanto concerne le esperienze del nostro paese, va riferito che l'ISTAT si è adoperato per un più preciso raccordo fra c. e sistema delle statistiche correnti. Obiettivo primario è stato anche quello di adeguare l'output a scala comunale e subcomunale in relazione soprattutto alle esigenze della pianificazione urbanistica. Non sono inoltre mancate le utilizzazioni in sede censuaria della tecnica campionaria, in particolare per contenere i tempi tecnici necessari allo spoglio e alla elaborazione dei dati e rendere quindi più tempestivi i risultati censuari. Grossi sforzi sono infine stati sempre operati per migliorare la qualità dell'informazione che scaturisce dai censimenti.

Entrando da ultimo nel merito dei singoli c., risulta opportuno fornire qualche ulteriore sintetica indicazione sui contenuti informativi o, per meglio dire, sul campo di indagine, intendendo con questo termine non già la delimitazione delle unità da rilevare (problema questo inesistente in un c.) ma la individuazione dei quesiti da inserire nel questionario del censimento.

Relativamente al c. della popolazione si può osservare che si sono fatte più distinte le esigenze di interpretazione approfondita dei processi evolutivi in atto nella struttura socio-economica della popolazione. Tale circostanza ha richiesto maggiore attenzione nei confronti delle problematiche concernenti la famiglia e ha poi posto il problema di imprimere alla rilevazione censuaria un carattere ''dinamico'' inteso non solo a ''fotografare'' la struttura attuale della popolazione ma a coglierne aspetti della evoluzione passata attraverso quesiti di natura retrospettiva. L'attitudine del c. a farsi carico, in caso di particolari necessità, di esigenze conoscitive contingenti è dimostrata, a partire dal 1971, dall'inserimento di quesiti sul pendolarismo e in occasione dell'ultimo c. dal maggiore spazio riservato alle elaborazioni relative alla popolazione straniera. In materia di abitazioni è andato via via migliorando il quadro informativo sulla datazione dei servizi, il che ha consentito di connotare meglio lo stock sotto il profilo qualitativo.

I questionari del c. industriale e commerciale hanno subito minori modifiche anche a seguito della decisione da parte dell'ISTAT, almeno sino al 1981, di rilevare dati di flusso mediante indagini ad hoc da effettuare con periodicità più frequente di quella dei censimenti. Questi ultimi, oltre naturalmente a fornire utili dati di struttura (è sulla natura dell'attività economica e sulla forza lavoro espressa dal numero degli addetti che si è in particolare insistito), sono andati sempre più configurandosi come il necessario supporto per la creazione e l'aggiornamento di archivi sui quali basarsi per l'esecuzione di indagini campionarie.

Per quanto concerne il c. dell'agricoltura, va ricordato che in occasione della rilevazione del 1961 fu coniata una definizione di ''azienda'', statisticamente operativa e applicabile al multiforme universo aziendale italiano, caratterizzato da un'eccessiva polverizzazione e frammentazione, essendo stati individuati e ben esplicitati i caratteri descrittivi. La definizione di azienda allora impostata si confermò valida anche successivamente: essa è infatti rimasta invariata nel c. del 1970, e nel c. del 1982 ha trovato un riscontro nella definizione concordata in sede comunitaria e applicata nelle indagini eseguite periodicamente secondo modalità armonizzate tra i vari paesi. Il questionario è assai ricco di notizie. Quello utilizzato nell'ultimo c. ha riguardato come principali caratteri: la forma di conduzione; il titolo di possesso dei terreni; la superficie e relativa localizzazione comunale; l'utilizzazione dei terreni nell'annata agraria; irrigazioni; allevamenti; mezzi meccanici; forze di lavoro.

Bibl.: i risultati di ogni singolo c. sono stati diffusi dall'Istituto Centrale di Statistica attraverso specifiche serie di volumi; in un volume di ciascuna serie, con il titolo Atti del censimento, sono analiticamente illustrate le modalità di esecuzione del censimento. ISTAT, Cinquant'anni di attività 1926-1976, Roma 1977; ONU, Recommandations pour les recensements de la population et des habitations de 1980 dans la region de la CEE, New York 1978; ISCE, Il futuro dei censimenti demografici: possibili alternative, Lussemburgo 1983; ISTAT, Relazione generale sul Censimento dell'industria, del commercio, dei servizi e dell'artigianato, Roma 1987; Id., Relazione generale sul 12° Censimento della popolazione, ivi 1989.

Analisi dei censimenti in Italia (1951-1981). - Nella metodologia statistica i c. rientrano nel novero delle rilevazioni definite come totali, o complete o esaustive, di un dato fenomeno collettivo.

Ciò significa che con i c. si procede alla conta e alla descrizione secondo predeterminati caratteri (per es., sesso, età, stato civile) di tutte le unità che compongono l'universo da indagare (la popolazione italiana, le aziende agricole, le imprese industriali, commerciali e di produzione di servizi). Pertanto, diversamente da quanto accade nelle rilevazioni parziali o campionarie, le quali presentano sempre un errore più o meno ampio (errore campionario), i c. forniscono informazioni ad altissima approssimazione anche a livelli territoriali minimi (i quartieri o le singole vie di una città, il territorio di una comunità montana, ecc.). L'esaustività della rilevazione consente, inoltre, la messa a punto di procedimenti di stratificazione dell'universo, altrimenti impossibili (si pensi, per es., a una classificazione delle famiglie per condizione socio-economica).

Unità di studio del c. della popolazione è l'individuo, cioè la singola persona, anche se per la raccolta dei dati viene usata come unità di rilevazione la famiglia o la convivenza.

Ai fini del c. per famiglia si intende l'insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, affiliazione, tutela, o da vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune, le quali normalmente provvedono alla soddisfazione dei loro bisogni economici con la messa in comune di tutto o parte del reddito comunque percepito. La definizione della convivenza è complementare a quella della famiglia in quanto va a coprire il resto dell'universo-popolazione: comprende cioè tutti gli insiemi di persone (religiosi, militari, malati, detenuti, ecc.) che vivono assieme senza essere legati da vincoli di parentela, affinità o affettivi.

In tal modo il campo di osservazione del c. della popolazione comprende tutti gli individui residenti, nonché tutti gli individui presenti sul territorio nazionale, i cui ammontari costituiscono rispettivamente la popolazione residente, o legale, e la popolazione presente (a livello Italia quest'ultima è data dalla somma degli Italiani residenti e presenti nel paese alla data del c. e degli stranieri presenti nel paese, ma non residenti).

L'unità di rilevazione del c. dell'agricoltura è l'azienda agricola, forestale e zootecnica. Per azienda agricola, forestale e zootecnica si intende l'unità tecnico-economica costituita da terreni ed, eventualmente, da impianti e attrezzature varie, in cui, ad opera di un conduttore (persona fisica, società o ente), il quale sopporta il rischio, sia da solo che in associazione, si attua la produzione agraria, forestale o zootecnica. In base a tale definizione vengono individuati i caratteri costituenti dell'azienda agricola: i terreni, la loro utilizzazione, l'unità tecnico economica di produzione. Comunque le aziende zootecniche (allevamenti di bovini, suini, avicoli, ecc.) possono risultare anche prive di terreno agrario.

Le aziende si individuano e censiscono nei comuni dove sono ubicati i terreni e facendo riferimento ai conduttori e non ai proprietari. Nel caso di aziende, i terreni delle quali ricadano in più comuni, l'azienda viene censita in quel comune nel quale si trova il centro aziendale o la maggior parte dei terreni. Pertanto il campo di osservazione del c. dell'agricoltura comprende l'universo delle aziende agricole, forestali e zootecniche, di qualsivoglia ampiezza e da chiunque gestite.

L'unità di rilevazione del c. generale dell'industria, del commercio, dei servizi e dell'artigianato è l'impresa (ditta), cioè l'organizzazione di un'attività economica esercitata con carattere professionale al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.

Le imprese si distinguono in ''unilocalizzate'' e in ''plurilocalizzate'', a seconda che abbiano una o più unità locali, essendo l'unità locale l'impianto, o il corpo di impianti, presso il quale viene effettuata la produzione o la distribuzione di beni o la prestazione dei servizi (stabilimento, negozio, laboratorio, ecc.). Le unità locali possono, a loro volta, essere ''operative'' (dove si effettua materialmente la produzione o vendita di beni o la prestazione di servizi) o ''amministrative'' (fisicamente o funzionalmente distinte dalle prime e destinate alla sola trattazione degli affari relativi alla gestione dell'impresa).

Campo di osservazione di questo c. è l'insieme di tutte le imprese e le relative unità locali di qualsiasi ampiezza e da chiunque gestite, ivi comprese le imprese a carattere artigiano, esercitanti attività che rientrano in predefinite categorie della classificazione ISTAT in materia. Nel 1981 tale classificazione è stata modificata per renderla coerente con quella adottata dalla Comunità Europea (la cosiddetta classificazione NACE o classificazione generale delle attività economiche nella Comunità Europea del 1970). Per questo motivo non vengono rilevate, per es., le attività connesse con la sicurezza nazionale, i servizi domestici, le organizzazioni religiose, le libere professioni artistiche e letterarie, ecc.

Con tali c. vengono rilevati anche gli addetti alle imprese e alle unità locali, cioè le persone, dipendenti o indipendenti, comunque occupate alla data di riferimento dell'indagine presso le unità economiche rientranti nel campo di osservazione. Gli addetti alle imprese e alle unità locali sono distinti in categorie corrispondenti alla funzione svolta: imprenditori, liberi professionisti, gerenti, ecc.; soci di cooperativa; familiari coadiuvanti; dirigenti; direttivi e altri impiegati; intermedi; capi operaio; operai specializzati; operai qualificati; operai comuni e manovali; apprendisti; altro personale.

Agli inizi degli anni Ottanta si è aperto in Italia un ampio dibattito tra i sostenitori dei c. e i fautori di una loro sostituzione con indagini parziali, in ragione del progresso della metodologia statistica nel campo delle rilevazioni campionarie, dell'alto costo delle rilevazioni censuarie, e della forte dilazione nei tempi tra rilevazione del c. e disponibilità dei dati. Quest'ultimo argomento è caduto con l'impiego degli elaboratori elettronici che hanno ridotto fortemente i tempi di lavoro. Comunque oggi, con il 4° c. dell'agricoltura in atto, con il 13° c. generale della popolazione e delle abitazioni e con il 7° c. dell'industria, commercio e servizi alle soglie, la polemica appare sopita. Si è d'altra parte convenuto che la soppressione dei c. e la loro sostituzione con indagini campionarie comporta la preventiva istituzione di archivi automatizzati che coprano l'intero territorio nazionale (i cui costi di costituzione e gestione sono ancora da verificare), e la messa in opera delle necessarie garanzie di tutela dell'assoluta riservatezza delle informazioni memorizzate. In tal senso un altro pregio fondamentale dei c. deriva dalle stesse complesse modalità di esecuzione (sulle quali si è impropriamente ironizzato) volte a garantire l'assoluta anonimità del modello di rilevazione. Lo stesso ISTAT, per es., per eseguire nel 1986 una speciale indagine sulla mortalità per condizione socioeconomica e per gruppo professionale, relativa ai deceduti nei sei mesi immediatamente successivi al c. del 1981, per poter collegare le notizie nominative dei deceduti a quelle presenti nel corrispondente foglio di c. (notizie sulla famiglia, abitazione, ecc.), ha dovuto fare ricorso alla collaborazione dei comuni. Infatti, il dato censuario è conservato con un duplice sistema di sicurezza ''a due chiavi'', l'uno in possesso dell'ISTAT (rappresentato dai modelli anonimi di rilevazione ricevuti dai comuni), l'altro in possesso dei comuni (anagrafe della popolazione) o di altri enti (anagrafe delle ditte, elenco dei coltivatori diretti, ecc.). La conoscenza unificata dei dati può avvenire solo attraverso il simultaneo utilizzo dei due sistemi. Questo meccanismo, data la molteplicità dei soggetti coinvolti nell'indagine, comporta scopi ben pubblicizzati, che sono di regola di studio e ricerca statistica di interesse nazionale, e resi peraltro difficili per la macchinosità della procedura.

Modalità di acquisizione dei dati. − Prima di passare all'illustrazione di alcuni dati socioeconomici offerti dai c., conviene accennare alla complessa struttura organizzativa e alle modalità operative attraverso le quali si perviene all'acquisizione dei dati.

Un requisito per cui i c. siano in grado di riflettere l'andamento progressivo del paese è la loro puntuale esecuzione, che può essere considerata altresì come un indicatore della funzionalità dell'organizzazione statale.

In Italia la cadenza decennale del c. della popolazione è stata infatti interrotta in due sole eccezionali occasioni: nel 1891 (ministero di Rudinì) per la miope politica di bilancio, che portò il governo a disattendere la l. 20 giugno 1871 n. 297, che fissava i criteri per determinare la popolazione legale delle circoscrizioni amministrative; e nel 1941, per la guerra in corso.

Per quanto attiene alle tecniche di rilevamento si farà qui particolare riferimento al c. della popolazione, il quale è implicitamente previsto dalla Costituzione (artt. 56 e 57, laddove fissa le modalità di ripartizione dei seggi tra le diverse circoscrizioni elettorali), con l'avvertenza che l'organizzazione e le modalità di esecuzione sono comunque simili a quelle del c. dell'industria, del commercio, dei servizi e dell'artigianato e a quello dell'agricoltura.

In occasione dei c. confluiscono in un'unica organizzazione, guidata tecnicamente dall'Istituto Nazionale di Statistica, più organi dello stato e, inoltre, una massa notevole di operatori di c. (circa 150.000 nel 1981), composta in genere da giovani in cerca di prima occupazione. Come già detto, gli organi periferici di rilevazione sono i comuni, nei quali vengono costituiti appositi Uffici di c. (in sigla UCC). Il sindaco, quale ufficiale del governo, è il responsabile comunale dei c. e viene coadiuvato in questa sua funzione dal segretario comunale, quale dipendente del ministero dell'Interno, il quale ultimo collabora con l'ISTAT nell'ambito dell'organizzazione generale.

Organi intermedi di rilevazione sono gli Uffici Provinciali di Statistica (in sigla UPC), che vengono costituiti presso le Camere di Commercio Artigianato ed Agricoltura e dei quali fanno normalmente parte anche funzionari della prefettura. Responsabile dei c. a livello provinciale è il prefetto (o il commissario del governo nelle province autonome). Compito degli UPC è di vigilare sul regolare svolgimento dei c. presso i comuni e di fornire loro puntuale assistenza tecnica. È opportuno sottolineare l'estrema delicatezza, anche sotto l'aspetto pratico, dell'operazione di conta delle persone residenti nei singoli comuni: la popolazione censuaria, o legale, rappresenta infatti il parametro di riferimento di numerose leggi (elettorali, tributarie, commerciali, equo canone, ecc.).

Coadiuvano l'operato degli UCC e degli UPC rispettivamente le commissioni comunali di c. e le commissioni provinciali di censimento. A titolo di cronaca si ricorda come fino a non molti anni fa, quando la popolazione era mediamente meno istruita e non esistevano mezzi di comunicazione di massa, venisse raccomandato dall'ISTAT che nelle commissioni comunali di c. fossero immessi anche il parroco, con il compito di pubblicizzare dal pulpito gli scopi della rilevazione, e il maestro elementare, come tramite tra gli alunni e i genitori, chiamati a riempire i modelli di rilevazione. L'operato degli UPC è, infine, coordinato dagli ispettori provinciali di c., inviati dall'ISTAT in ciascuna provincia.

Gli uffici tecnici comunali suddividono l'intero territorio comunale in sezioni di c., il numero e l'ampiezza delle quali ha subito nel tempo delle modifiche, legate sia alla crescita della popolazione che alla necessità di salvaguardare al massimo l'omogeneità delle microaree di rilevazione. All'inizio del c. il dirigente l'UCC consegna ai rilevatori (chiamati tecnicamente ''ufficiali di censimento''), in precedenza adeguatamente istruiti, gli ''itinerari di sezione'', che sono modelli contenenti le indicazioni delle vie che ciascun rilevatore deve percorrere per effettuare il censimento.

Nell'itinerario di sezione, messo a punto dagli uffici tecnici comunali sulla base dello ''stradario'' esistente presso ciascun comune, sono indicati anche i numeri civici, ai quali l'ufficiale di c. deve rivolgersi per la consegna dei modelli di rilevazione, tecnicamente indicati con il termine di ''foglio di famiglia'' (''questionario di azienda'' per il c. dell'agricoltura, ''questionario di impresa'' per quello industriale). Il rilevatore percorre le vie o il tratto di via descritto nel suo itinerario di sezione, censisce tutte le abitazioni, anche quelle prive di numero civico, e le famiglie che vi risiedono o, nel caso di abitazioni non occupate, svolge opportuni accertamenti (ritorni successivi, informazioni presso i vicini, ecc.) sulla reale esistenza della non occupazione.

Le informazioni raccolte nell'itinerario di sezione vengono trascritte sullo ''stato di sezione provvisorio'' che, dopo gli opportuni accertamenti effettuati dall'UCC, assume la denominazione di ''stato di sezione definitivo''. Quest'ultimo modello rappresenta la fotografia alla data (giorno, mese, anno) di riferimento del c., mentre le operazioni censuarie abbracciano un arco di tempo molto più ampio, relativamente a quella particolare porzione del territorio comunale. L'unione delle singole sezioni dà la visione censuaria dell'intero comune. Dai comuni si risale alla provincia, dalle province all'intero territorio nazionale. Gli innumerevoli dati in tal modo raccolti, elaborati su computer e sottoposti dall'ISTAT ad analisi di qualità e di congruenza, vengono, infine, tabulati e pubblicati in specifici volumi, che nel 1981 hanno visto la luce nell'arco di tre anni.

Per dare soltanto un'idea della complessità delle operazioni preliminari alla pubblicazione dei risultati, si consideri che il file (cioè lo ''schedario'' elettronico) della popolazione italiana relativo alla variabile ''genere della famiglia'' (un indicatore sperimentale di sintesi, utilizzato per la già ricordata indagine sulla mortalità per stratificare la popolazione italiana secondo la ''qualità'' della famiglia di appartenenza) contiene oltre 80 milioni di record per un totale di 5,3 miliardi di informazioni elementari, le quali occupano oltre 11 miliardi di posizioni informatiche. Sembra opportuno precisare che con i termini inglesi file e record, oramai di uso comune, si indicano rispettivamente l'insieme sequenziale (o archivio) di più record relativi a un dato universo e l'insieme di informazioni raccolte su ciascuna unità rilevata.

Una breve analisi di alcuni dei principali dati raccolti consente di mettere in risalto l'enorme potenzialità informativa dei censimenti. A questo scopo si illustreranno i risultati relativi ad alcune variabili della popolazione (sesso, età, composizione della famiglia, ecc.); l'andamento della consistenza e di alcune delle caratteristiche delle abitazioni e, infine, alcuni sintetici risultati dei c. economici.

I censimenti della popolazione. − La distribuzione della popolazione sul territorio.- Già dalla tab. 1 è possibile cogliere l'intensità di alcune variazioni relative alla diffusione della popolazione sul territorio, che, per uno stato, è un fattore di primaria importanza. L'intero territorio nazionale è stato suddiviso in tre grandi ripartizioni: il Nord (dal Piemonte fino all'Emilia-Romagna), il Centro (dalla Toscana al Lazio), il Mezzogiorno (dagli Abruzzi alle Isole), allo scopo di individuare il complesso delle condizioni socio-ambientali (frutto delle differenti vicende storiche) peculiari delle popolazioni di ognuna delle tre zone. Il periodo è quello che va dal 1951 al 1981, nel corso del quale la società italiana ha vissuto radicali cambiamenti che l'hanno trasformata da società prettamente agricola e provinciale a nazione fortemente industrializzata (attualmente la quinta nel mondo), fatta oggetto ormai delle correnti migratorie provenienti dai paesi in via di sviluppo. Il primo dato deducibile dalla tab. 1 è che il Mezzogiorno, a dispetto di un tasso di natalità costantemente più elevato di quello delle altre due ripartizioni, ha visto calare la sua incidenza percentuale sulla popolazione totale (tra il 1951 e il 1971) dal 37,2% al 34,9%. Questa diminuzione, che appare lieve in termini percentuali, in valore assoluto equivale a circa 1.200.000 individui, ed è stata il risultato delle correnti migratorie dal Sud verso il Nord-Centro verificatesi dalla seconda metà degli anni Cinquanta fino alla prima metà degli anni Sessanta, in coincidenza con il periodo del boom economico. Tra il 1971 e il 1981 il Mezzogiorno ha tuttavia recuperato 0,6 punti percentuali, risultato che testimonia la fine del fenomeno dell'emigrazione da questa ripartizione.

Altro dato interessante deriva dalla composizione della popolazione per sesso. I rapporti di mascolinità (numero dei maschi per 100 femmine), oltre alle informazioni analitiche che possono trarsi dalla suddivisione della popolazione per classi di età, indicano indirettamente che la popolazione del Mezzogiorno è più giovane di quelle del Nord e del Centro.

È noto infatti che il rapporto maschi/femmine è superiore a 100 alla nascita e va via via scendendo all'aumentare dell'età. Quindi quanto più il suo valore si avvicina a 100 tanto più giovane è la popolazione in esame.

È, infine, da osservare che la pressione della popolazione sul territorio, espressa dal numero di abitanti per km2, è aumentata in modo sensibilmente diverso tra le tre ripartizioni: del 22% nel Nord, del 24% nel Centro e del 14% nel Mezzogiorno, contro un incremento nazionale del 20% circa. La concentrazione della popolazione nei centri abitati (in opposizione a quella residente nei nuclei abitati e nelle case sparse) ha subito nello stesso periodo un forte aumento (dal 75,6% del 1951 a oltre il 90% del 1981), che tradotto in termini di unità significa una diminuzione dei residenti nei nuclei e case sparse da circa 11 milioni nel 1951 a circa 5,3 milioni nel 1981.

La popolazione per sesso e per classi di età. − Uno degli aspetti della struttura della popolazione italiana attualmente più dibattuti in sede sia politica che sindacale − per le implicazioni di ordine economico (costi di mantenimento e assistenza) e sociale (progressiva tendenza all'emarginazione) − è quello dell'invecchiamento. I c. ne danno periodicamente la misura. La tab. 2 mostra con evidenza il processo di invecchiamento al quale è sottoposta la popolazione italiana dal 1951 al 1981.

In particolare si ricava che la componente più giovane (quella in età 0÷14 anni) ha subito in termini percentuali una netta flessione nel trentennio. Ciò si è verificato sia per i maschi che per le femmine (rispettivamente dal 25,6% al 22,7% e dal 23,5% al 20,4%).

In misura complementare è aumentato il contingente delle età anziane (da 65 anni in poi), che per le femmine ha avuto una vera e propria impennata (oltre il 15% nel 1981 contro meno del 10% nel 1951).

Le donne ultrasettantacinquenni hanno, inoltre, quasi raddoppiato la loro presenza. L'indicatore di questo fenomeno, comunemente chiamato indice di vecchiaia (cioè il rapporto tra la popolazione in età di 65 e più anni e quella in età 0÷14 anni) è passato dai valori di 32,6% per i maschi e 41,1% per le femmine (36,8% per il complesso dei sessi) del 1951 ai rispettivi valori di 48,9 e 74,5 (61,4 per il complesso dei sessi) del 1981.

L'allungamento differenziale della vita tra i maschi e le femmine (è noto che le donne vivono più a lungo degli uomini e tale differenza risulta essere, al 1989, per l'Italia, pari a circa 7 anni) porta a un numero sempre più elevato di vedove. Dal confronto delle distribuzioni della popolazione per stato civile relative ai c. del 1951 e del 1981 si riscontra peraltro che le vedove, le quali nel 1951 rappresentavano il 9,5% della popolazione femminile, nel 1981 sono salite all'11,2% (in termini assoluti sono passate da 2.306.000 a 3.242.000); il numero dei vedovi è invece sceso dal 2,9% al 2,4% (da 682.000 a 656.000).

Nel contempo le condizioni generali di vita (reddito, lavoro - inteso in particolare come orario −, ritmi, ritorni, ecc.), le condizioni abitative, i nuovi bisogni di svago e di vacanze, lo stesso salto nel livello medio di istruzione verificatosi da una generazione a quella immediatamente successiva, hanno contribuito all'affermarsi di una nuova tipologia di famiglia, che appare ben distante dalla situazione del 1951.

La popolazione per grado di istruzione. − I dati raccolti evidenziano il forte aumento medio del livello di istruzione. Questo sostanziale progresso risalta nettamente dai valori esposti nella tab. 3, anche se non è stato uguale per l'intera popolazione. Si riscontrano, infatti, differenze territoriali secondo il sesso. Esaminando le differenze secondo la variabile sesso e procedendo dal livello di istruzione più elevato a quelli più bassi, dal confronto dei soli c. del 1951 e del 1981, si osserva che le laureate, che all'inizio del periodo rappresentavano all'interno della popolazione femminile da 6 anni in poi solo lo 0,38% (81.541 su 21.712.836 donne), alla fine del periodo salgono al 2,1% (564.000); le diplomate dal 2,8% (604.054) al 10,8% (2.927.400) e così via. I dati sono esposti in dettaglio nella tab. 4.

I rapporti femmine per 100 maschi, che nel 1951 davano 24 laureate per 100 laureati, 78 diplomate per 100 diplomati e 153 analfabete per 100 analfabeti, salgono rispettivamente a 62 e a 95 per la laurea e il diploma e a 188 per l'analfabetismo. Ciò significa che le analfabete, che pure si sono fortemente ridotte di numero (3,9% nel 1981 contro il 15,2% del 1951), sono diminuite in misura minore degli analfabeti. Questa circostanza è da attribuirsi in parte alla nota supermortalità maschile, la quale si accentua in corrispondenza degli strati meno istruiti della popolazione, in parte alla persistenza di reali differenze tra i sessi rispetto alle opportunità di accesso allo studio. Dalla tab. 4 è possibile osservare anche le ineguaglianze nel grado di istruzione associabili alla localizzazione territoriale della popolazione.

Tra il 1951 e il 1981 il Nord vede infatti quasi azzerato il numero degli analfabeti e registra un lieve aumento degli alfabeti privi di titolo di studio (occorre, però, tenere presente la forte immigrazione verificatasi nella ripartizione nel corso del periodo in esame, con provenienza soprattutto dal Mezzogiorno, che si configura come la ripartizione più debole in assoluto rispetto al grado di istruzione). Anche il Mezzogiorno registra comunque una fortissima riduzione della quota degli analfabeti (ridotti in termini relativi a un quarto rispetto al 1951), ma la presenza di questi stessi permane molto elevata, tanto che gli analfabeti del Mezzogiorno costituiscono da soli oltre il 70% del totale degli analfabeti censiti nel 1981 nell'intera Italia (nel 1951 costituivano il 68%). Per quanto riguarda i gradi di istruzione più elevati (diploma e laurea), le tre ripartizioni presentano andamenti molto simili.

Ampiezza media della famiglia. − L'evoluzione socio-economica della società ha portato a forti modifiche anche nella famiglia, soprattutto per quanto ne riguarda la composizione. Nella tab. 5 sono contenute le informazioni riguardanti il numero medio di componenti la famiglia, determinato sulla base dei risultati delle ultime quattro rilevazioni censuarie. La ripartizione con ampiezza media più elevata è costantemente il Mezzogiorno. La diminuzione dell'ampiezza media per l'intera Italia di quasi un componente è di tutto rilievo, ma forse non dà con immediatezza la situazione reale.

Questa può ricavarsi meglio dalla tab. 6, dalla quale risulta che le famiglie numerose (5 e più componenti), che nel 1961 rappresentavano per l'intero territorio nazionale il 27% del totale, hanno quasi dimezzato nel 1981 la loro incidenza (14,9%). Contemporaneamente le famiglie unipersonali sono passate dal 10,7% al 17,8%, il che tradotto in valori assoluti significa che nel 1981 gli individui che vivevano soli erano 2.664.023 contro il 1.464.377 del 1971.

La dinamica demografica e il mutamento dei comportamenti hanno fatto sì che il numero totale delle famiglie passasse dal valore di 13.746.929 del 1961 al valore di 18.632.337 del 1981.

Un altro aspetto rilevante riguardo alle famiglie, e che nel contempo evidenzia le trasformazioni economiche avvenute in trenta anni nella società italiana, viene messo in luce dalle differenze nella distribuzione per condizione professionale e non professionale del capofamiglia, a seconda del settore di attività economica nel quale esplica l'attività. I dati di riferimento sono quelli riportati nella tab. 7 che contiene, oltre alle distribuzioni per valori assoluti, anche quelle per valori percentuali e, inoltre, il dato sull'ampiezza media delle famiglie per settore.

La popolazione occupata per settore di attività economica e per professione. − Uno degli elementi che meglio concorrono a caratterizzare l'evoluzione socio-economica della popolazione italiana nel trentennio 1951-1981 è dato dalle variazioni delle forze di lavoro impiegate nei tre grandi settori di attività (agricoltura, industria e terziario, nel quale ultimo sono compresi il commercio, i trasporti, i servizi e la pubblica amministrazione).

Nella parte relativa alla famiglia l'esame era stato limitato ai soli capifamiglia; in questo caso esso sarà, invece, più completo, dovendo cogliere, seppure di riflesso, uno dei principali aspetti dei c. economici: l'occupazione. Nel 1951 la popolazione occupata era così ripartita: il 42,2% (pari a 8,3 milioni di persone, delle quali 3,6 residenti nel Mezzogiorno) risultava impiegato nell'agricoltura; il 32,2% (6,3 milioni di persone) nell'industria; il 25,6% (5,0 milioni) nel terziario.

I dati dei c. del 1961, 1971 e 1981 rispecchiano esattamente l'immagine dei mutamenti intervenuti in Italia: progressivo abbandono da parte della forza lavoro del settore agricolo (5,7 milioni di addetti nel 1961; 3,2 milioni nel 1971 e 2,3 milioni nel 1981, pari questi ultimi al solo 11,1% del totale degli occupati); crescita degli occupati nel settore industriale fino al 1971 (8 milioni nel 1961, pari al 40,6% del totale degli occupati; 8,4 milioni nel 1971, pari al 44,3%); flessione tra il 1971 e il 1981 (8 milioni di occupati, corrispondenti al 39,5% del totale); continuo aumento degli occupati nel settore terziario, che nel 1981 con 10 milioni di addetti copre il 49,4% del totale degli occupati. Se i flussi delle forze di lavoro da un settore di attività a un altro delineano con chiarezza l'evoluzione dell'economia di un paese, i cambiamenti registrati dagli occupati nei confronti della posizione nella professione possono essere considerati come una misura dell'adeguamento delle forze di lavoro alle nuove esigenze produttive.

Tra il 1951 e il 1981 è andata costantemente diminuendo l'incidenza della figura, un tempo meno protetta e meno professionalizzata dell'organizzazione del lavoro (il coadiuvante), normalmente ricoperta, soprattuto nel settore agricolo, dalle donne; è fortemente aumentata la presenza degli imprenditori e dei liberi professionisti e quella dei dirigenti e impiegati; tra il 1971 e il 1981 i lavoratori dipendenti presentano una lieve flessione (cfr. tab. 8).

Per quanto riguarda l'andamento nel tempo della presenza delle donne in attività lavorative esterne alla famiglia si possono formulare le osservazioni che seguono. Nel 1951 il settore che registra il maggior numero di donne occupate è quello agricolo (2.033.447 su un totale di 4.913.553, pari a oltre il 41%). La posizione professionale dominante è quella di lavoratore dipendente (2.469.962, il 50,3%), seguita immediatamente da quella di coadiuvante (1.275.952, il 26%). Come imprenditore e libero professionista la donna rappresenta solo il 10% del totale di questa figura professionale.

Nel 1981 la situazione appare notevolmente modificata: le donne impiegate in agricoltura rappresentano il 12% del totale delle lavoratrici (810.000 su 6.660.800); quelle occupate nel terziario toccano la quota del 59% (3.930.000). La posizione professionale più frequentemente ricoperta dalla donna è ancora quella di lavoratore dipendente (43,2%, pari a 2.877.000 unità). Questa è, però, immediatamente seguita dalla figura di dirigente e impiegato (circa 2.437.000 unità), mentre la posizione di coadiuvante si è ridotta ad appena il 6% (388.000 unità). Un'ulteriore misura della progressiva affermazione della donna nel lavoro viene dalle 105.000 unità femminili (contro le 42.000 del 1951) che nel 1981 rivestono la posizione di imprenditore e di libero professionista. A completamento dei dati, nella tab. 9 sono riportati, a livello di ripartizione, i valori dei rapporti nel tempo tra il numero delle donne, classificate per posizione nella professione, rispetto a 100 maschi nella stessa figura professionale.

Le rilevazioni censuarie delle abitazioni. − È noto che uno dei bisogni la cui soddisfazione differenziale, all'interno delle popolazioni, riveste un peso notevole nella determinazione della qualità della vita, è rappresentata dall'abitazione.

Per questo motivo fin dal primo c. (1861) l'abitazione è stata oggetto di rilevazione. Nel corso degli oltre 120 anni di osservazione, coperti dai dodici c. susseguitisi nel frattempo, l'evoluzione delle caratteristiche delle abitazioni, con riferimento a quelle essenziali, all'inizio, e a quelle accessorie in seguito, è stata vagliata attentamente con un graduale arricchimento delle informazioni nel modello di indagine (per es., nel modello di rilevazione predisposto per il prossimo c. del 1991, è stata introdotta una specifica domanda sulla presenza o assenza del telefono).

Fondamentale tra i nuovi quesiti introdotti appare quello relativo al titolo di godimento dell'abitazione da parte della famiglia occupante (proprietà, affitto, ecc.). Dal confronto temporale dei dati si vede che la popolazione si è impegnata fortemente a soddisfare il bisogno abitativo, anche con l'adozione di caratteristiche e strutture, le quali, almeno sotto l'aspetto tecnico, appaiono sempre più consone alle esigenze degli individui e delle famiglie.

Per dare soltanto un'immagine dell'impegno economico profuso dalla collettività verso il bene ''casa'' basta tenere presente che la consistenza delle abitazioni è salita tra il 1931 e il 1981 da 9.664.000 a 21.937.000, cioè si è più che raddoppiata. Nello stesso periodo la spesa in termini reali delle famiglie per le abitazioni si è più che triplicata e ha portato a una forte crescita del numero dei proprietari dell'abitazione nella quale risiedono (le abitazioni non occupate costituiscono un fenomeno a sé stante). Tale sforzo di acquisizione della proprietà dell'abitazione si è poi esaltato negli anni Ottanta, con la nascita di cinque milioni di nuovi ''padroni'' di abitazione, portando l'incidenza dei proprietari sul totale degli occupanti l'abitazione prossima al 70%.

Naturalmente più scarse sono le notizie per gli anni lontani, dal momento che in alcuni dei c. passati (1901, 1911 e 1921) la rilevazione fu limitata ai soli comuni capoluoghi con oltre 20.000 abitanti. Infatti, se già dal predetto c. del 1861 si hanno alcune prime informazioni sulle abitazioni, occorre sottolineare come la definizione stessa dell'unità di rilevazione era alquanto approssimata.

Nel 1861 le abitazioni vennero definite con il termine generico di ''casa'', che comprendeva sia i tuguri (allora numerosi) che le abitazioni vere e proprie. Alla categoria delle case apparteneva, infatti, "ogni edificio isolato, grande piccolo, purché dotato di un diverso accesso esterno". Non era richiesta alcuna informazione sui servizi esistenti. La definizione oggi comunemente usata è, al contrario, molto più articolata e complessa. Per abitazione si intende "un insieme di vani, o anche un solo vano, destinato funzionalmente ad uso di abitazione, che dispone di un ingresso indipendente su strada, pianerottolo, cortile, terrazza, ballatoio, e simili e che alla data del censimento è occupato da una o più famiglie o destinato ad essere occupato". La differenza tra le due definizioni è sostanziale ed è riassunta dall'espressione "destinato funzionalmente ad uso di abitazione" (la quale da sola implica l'esistenza di specifici servizi), tanto che attualmente gli alloggi si distinguono in abitazioni vere e proprie e alloggi impropri (grotte, baracche per terremotati, ecc.).

L'affinamento della tecnica di rilevazione ha portato nel tempo a un accertamento di buon livello e sufficientemente analitico, ma non certo esaustivo delle informazioni che dovrebbero essere raccolte. Tra quelle più interessanti ricavabili dal c. del 1861 spiccano i dati relativi al numero delle case ''abitate'' e di quelle ''vuote'', le quali ultime risultarono in quell'occasione pari all'11,5% del totale. Nella tab. 10 è riportata la serie storica delle informazioni sulle abitazioni occupate, riguardanti il loro ammontare in totale, il numero di famiglie per abitazione e, a partire dal 1931, il numero di stanze per abitazione.

Il numero assoluto delle abitazioni occupate è aumentato nel periodo di 4,6 volte circa, rispetto al raddoppio del numero degli occupanti (rispettivamente 17 milioni e mezzo di abitazioni occupate nel 1981 contro i 3,8 milioni del 1861 e 56,6 milioni di occupanti nel 1981 contro i 26,3 milioni del 1861). Il rapporto tra il numero degli occupanti e quello delle abitazioni occupate costituisce uno degli indicatori grezzi per la misura della qualità delle condizioni abitative. Il valore di questo rapporto è sceso da 6,88 occupanti per abitazione nel 1861 a 3,22 nel 1981, fatto che testimonia indirettamente un notevole progresso delle condizioni sociali.

Un altro indicatore delle condizioni abitative è il numero delle stanze per abitazione. L'aumento del suo valore rispecchia ovviamente la tendenza a costruire alloggi più ampi e, quindi, meglio rispondenti alle esigenze delle famiglie. Per la costruzione di questo indicatore si dispone dei dati a partire dal 1931. Tra tale anno e il 1981 il suo valore è salito da 3,3 a 4,2. Il rapporto tra il numero delle famiglie e quello delle abitazioni occupate dà, invece, una misura del fenomeno ''coabitazione'', sintomo di una situazione di disagio sociale. Esso è sceso, come risulta dalla colonna 7 della tab. 10, da 1,4 del 1861 a 1,1 del 1981. Ciò sta a significare che di fronte a 1.467.000 famiglie coabitanti nel 1861, pari al 27,7% di tutte le famiglie, nel 1981 le famiglie coabitanti si sono ridotte al 5,3% del totale delle famiglie (980.000 in cifra assoluta). A livello di ripartizione l'evoluzione nel periodo del numero di stanze per abitazione, nonché, per gli ultimi due c., della superficie media a disposizione di ciascun occupante l'abitazione è evidenziata dai dati delle tabb. 11 e 12.

Nel solo decennio 1971-81 la superficie media a disposizione di ciascun occupante è aumentata di circa 5 m2. Un altro indicatore delle condizioni abitative, l'indice di affollamento (numero di occupanti per stanza), mostra negli ultimi 50 anni un netto miglioramento: dai 136 occupanti per 100 stanze del 1931 si passa ai 90 occupanti per 100 stanze del 1981.

Un quinto indicatore della ''qualità'' dell'abitazione, il titolo di godimento (proprietà e affitto), che ha iniziato a essere rilevato dal 1951, ha mostrato nel tempo notevoli variazioni: al c. del 1981 i proprietari dell'abitazione nella quale risiedevano risultavano pari al 58,9% del totale degli abitanti, contro il 42,0% del 1951.

Il settore nel quale la qualità abitativa ha segnato un più netto miglioramento è quello della dotazione dei servizi. La disponibilità di acqua potabile nel 1981 copre oltre il 98% del totale delle abitazioni occupate, contro il 66,9% del 1931, l'88,3% del 1951, il 94% del 1961 e il 97,1% del 1971. L'energia elettrica è al 1981 allacciata a oltre il 99% delle abitazioni occupate, rispetto al 76,5% del 1931, al 91,1% del 1951, al 94,9% del 1961 e al 99,0% del 1971. Il progresso appare più evidente se si considera che i dati del 1931 e del 1951 si riferiscono ai soli capoluoghi di provincia e, quindi, a una situazione senza dubbio migliore rispetto a quella del resto del paese. La presenza del bagno (apposito impianto di vasca o doccia), accertata nel 12,2% delle abitazioni occupate per l'anno 1931 e nel 26,6% di quelle del 1951, è balzata nel 1981 all'86,4%. Un identico forte aumento si è verificato per la presenza dell'impianto fisso di riscaldamento. Tale indicatore di comfort, presente nel 1961 solo nel 14,4% delle abitazioni occupate, è oggi divenuto una componente quasi indispensabile delle nuove abitazioni (56,5%). Un'ultima informazione sulle abitazioni viene dal c. del 1981. Essa dice che a tale rilevazione esistevano in Italia quasi due milioni di abitazioni non occupate, la cui destinazione era la vacanza.

I censimenti economici. - I censimenti dell'agricoltura. − Il primo c. dell'agricoltura (1961) ha indicato in circa 4,3 milioni il numero delle aziende agricole esistenti nel paese e in 26,5 milioni di ha la consistenza della superficie da quelle utilizzata (cfr. tab. 13).

Tra il 1961 e il 1982 sono diminuiti sia il numero delle aziende (attestatesi alla fine del periodo sulla cifra di circa 3,2 milioni), sia la superficie agricola utilizzata (circa 23,6 milioni di ha nel 1982). La forma predominante di conduzione dell'azienda è quella definita ''a conduzione diretta del coltivatore'', per la quale il coltivatore, oltre a dirigere l'azienda, vi presta anche la sua opera manuale. Nei ventuno anni di osservazione questa figura di lavoratore agricolo, pur diminuendo come numero (dai 3,5 milioni del 1961 si è passati ai 3,0 milioni circa del 1982), ha acquistato maggior peso economico, in quanto è aumentata la superficie agricola utilizzata dai coltivatori diretti (13,2 milioni di ha nel 1961 e 16,6 milioni di ha nel 1982). Il patrimonio zootecnico delle aziende ha visto calare il numero dei capi bovini (8,5 milioni di capi nel 1982 contro i 9,5 milioni nel 1961) e, nel contempo, ha visto quasi triplicarsi quello dei capi suini (8,8 milioni nel 1982 rispetto a 3,3 milioni nel 1961). Questo secondo tipo di allevamento è andato concentrandosi nel tempo in aziende di sempre maggiori dimensioni (nel 1982 7,1 milioni di capi, pari a oltre l'80% del totale, risultano allevati in aziende con superficie superiore ai 100 ha) a indicare una sempre più spinta specializzazione, mentre nel 1961 la situazione appariva opposta: erano le aziende con superficie fino a 2 ha a coprire il 30% della produzione (più di un milione di capi). I tre milioni di ha in meno di superficie agricola utilizzata nel 1982 rispetto al 1961 vengono per il 98% dalle aziende condotte con salariati e/o compartecipanti, cioè in economia, e potrebbero stare a indicare che è proprio la partecipazione diretta la migliore forma di gestione dell'azienda agricola.

I censimenti dell'industria, del commercio e dei servizi. - Tra il 1951 e il 1981 il numero delle imprese operanti nel settore industriale, in quello della vendita dei beni e in quello della prestazione di servizi, è salito da 1.672.811 a 2.847.313. Nello stesso periodo gli addetti delle imprese sono passati da circa 7 a oltre 13 milioni; il numero delle unità locali da 1,8 a 3,1 milioni e gli addetti a queste ultime sono saliti a 13,5 milioni.

Per le variazioni subite dal campo di osservazione, i confronti tra i quattro c. non sono agevoli e, senza opportune cautele, non del tutto corretti. Restringendo l'esame al solo decennio 1971-81 (per il quale si è provveduto all'omogeneizzazione dei dati), si registra un netto incremento del numero delle imprese (26,1%) e delle unità locali (27,8%). Gli addetti alle unità locali sono nel frattempo aumentati di circa 2,4 milioni, il che equivale a un incremento percentuale del 21,5%.

Tra i tre settori di attività economica (industria, commercio e altre attività) quello che ha presentato la più forte crescita intercensuaria rispetto al numero delle imprese e delle unità locali è il settore industriale. Per quanto riguarda il numero di addetti delle unità locali, è invece il settore delle ''altre attività'' (che comprendono i trasporti, il credito, le assicurazioni, la pubblica amministrazione, i servizi ) a presentare il maggior incremento. Tali andamenti costituiscono una rappresentazione dei processi di industrializzazione, prima, e di terziarizzazione, poi, del sistema produttivo nazionale.

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