Cennamella

Enciclopedia Dantesca (1970)

cennamella

Raffaello Monterosso

. Il termine (che in If XXII 10 riprende metaforicamente l'immagine della trombetta di Barbariccia) designa uno strumento musicale a fiato, che è però difficile rapportare a uno dei moderni strumenti d'orchestra, i quali, nei confronti dei loro antenati medievali, hanno subito trasformazioni anche radicali di carattere morfologico, e, di conseguenza, anche acustico e timbrico. Sicura è l'etimologia, dal latino calamus, che perdura, oltre che nell'italiano c. o ʽ ciaramella ', anche nel francese chalemie o chalemele, e nell'antico spagnolo chalamel o chalemel. Tuttavia, allo scopo di evitare confusioni con altri strumenti dal nome apparentemente simile, ma molto diversi quanto a struttura e a timbro, occorre tener presente che da calamus, e dal suo diminutivo calamellus, sono derivati tanto chalemele quanto chalumeau: quest'ultimo, verso la fine del secolo XVII, si è trasformato nel moderno clarinetto, mentre il primo ha maggiori affinità con l'oboe. Per l'etimo, cfr. A. Schiaffini, Su denominazioni di provenienza francese di strumenti musicali, in " Italia dialettale " IV (1928) 224-230.

Ai giorni nostri, la differenza tra i due strumenti è radicale, specie dal punto di vista timbrico: munito di ancia semplice e di canna cilindrica, il clarinetto ha voce limpida, piena e pura, mentre l'oboe, con ancia doppia e canna conica, emette un suono agrodolce e mai immune da una certa acerbità e ruvidezza. Non possiamo naturalmente essere certi che una distinzione così netta si possa fare anche per gli strumenti medievali, di cui possediamo solo testimonianze iconografiche e qualche citazione poetica; ma è probabile che, pur se i termini, almeno sino a tutto il 1500, potevano essere usati indifferentemente, una sostanziale differenza esistesse. Dall'esame dei monumenti pittorici medievali, apprendiamo che esistevano due diversi tipi di strumenti a fiato con ancia: uno si presentava piuttosto largo, ampiamente svasato a cono verso l'estremità inferiore, mentre l'altro era sottile e terminava, verso il basso, con una campana a foggia di pera. La diversa struttura comportava necessariamente una sostanziale differenza timbrica: più potente e insieme stridulo il primo, maggiormente delicato il secondo. Sebbene manchino elementi per concludere che D. intendeva riferirsi proprio al più sonoro dei due strumenti (per quanto, il fatto che la c., all'inizio del canto XXII, sia ricordata insieme alle trombe, alle campane e ai tamburi, tutti dotati di notevole intensità sonora, lascerebbe desumere che anche la c. non dovesse essere molto da meno quanto a volume e ad aggressività di suono), risulta però accertato che esisteva ed era ampiamente diffuso nel Medioevo uno strumento musicale, capostipite del nostro oboe, pur se più voluminoso e quindi più potente, ma già allora dotato del caratteristico timbro nasale e lacerante, strettamente simile, quanto all'effetto, alla bombarda e all'olifante, e ben differenziato dall'altro ramo, progenitore del moderno clarinetto, la cui maggior delicatezza sonora è confermata anche dal termine - ‛ dulciana ' - con cui è talora designato.

Bibl. - C. Sachs, Reallexicon der Musikinstrumente, Berlino 1913; ID., The history of musical instruments, New York 1940, 288; N. Bessaraboff, Ancient european musical instruments, Boston 1941; ID., Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Kassel-Basilea 1957, VI, 744 ss.; ID., The new Oxford history of music, III, Londra 1960, 475-477 (trad. ital. Milano 1964, 531-533); C. Sachs, Die Musik in Geschichte und Gegenwart, IX, Kassel-Basilea 1961, 1781-1782 (sub v. Oboe); A. Baines, Woodwind Instruments and their history, Londra 19622, 209 ss.; The new Oxford history of music, III, ibid. 1960, 477-479 (trad. ital. Milano 1964, 534-535). Testimonianze iconografiche sono raccolte in E. Buhle, Die musikalischen Instrumente in den Miniaturen des frühen Mittelalters, Lipsia 1903, 144-46.