CELTIBERI

Enciclopedia Italiana (1931)

CELTIBERI (Κελτίβηρες, Celtibäri)

Pietro Bosch

Nome applicato ai popoli della Spagna centrale dopo gli avvenimenti dell'anno 218 (Livio, XXII, 2, 3); la loro più antica menzione è in Polibio (III, 5, 1). Lo Schulten crede che già Timeo ed Eratostene (per quanto -t-imeo chiami la Spagna centrale soltanto Κελτική) dovessero avere conoscenza dei Celtiberi, perché essi dovevano essere noti ai mercanti greci delle spiagge orientali spagnuole e perché al tempo delle guerre puniche l'etnologia della penisola pare ormiai del tutto fissata.

Di fatto il nome Celtiberi non ha sempre lo stesso significato, neppure nello stesso autore. Polibio chiama Celtiberi tutti i popoli della Spagna centrale dalla Idubeda (i monti marginali dell'altipiano centrale), che è il confine con gl'Iberi del litorale mediterraneo, alla Orospeda (Sierra Morena). Plutarco, collocando Castulone in Celtiberia, crede Celtiberi anche i popoli dell'Andalusia. Per Artemidoro anche il litorale è celtibero, mettendo egli Hemeroskopeion in Celtiberia, così come Diodoro chiama celtibero il principe Andobale degli Ilergeti. Ma, in un senso più ristretto, i Celtiberi erano per Polibio, Posidonio, Strabone e Livio soltanto quei popoli che abitavano l'altipiano nella sua parte orientale, e confinavano con i Vaccei, i Beroni, gli Edetani e i Carpetani. Tolomeo poi dà il nome di Celtiberi soltanto a quelli che vengono generalmente chiamati "celtiberi citeriori", cioè ai popoli delle valli del Jalon e del Jiloca e della parte limitrofa del bacino dell'Ebro, escludendo di tra essi gli Arevaci.

Eccezion fatta di Plinio che non parla di tribù particolari dei Celtiberi e di Tolomeo che lascia a parte gli Arevaci e i Pelendoni menzionati anche da Plinio, tutti gli autori enumerano come tribù celtiberiche gli Arevaci e i citeriori, cioè i Belli, i Titti e i Lusoni (Polibio e Strabone). Negli Arevaci (v.) sono compresi i Pelendoni, probabilmente una piccola tribù cliente.

Dei Celtiberi citeriori i Belli (di nome celtico, che può essere paragonato a quello dei Bellovaci, come suggerì il D'Arbois de Jubainville) sono sempre nominati insieme coi Titti senza distinguere i rispettivi territorî. I Belli sono vicini degli Arevaci, che si stendevano fino a Segonzia (Sigüenza), mentre la principale città dei Titti era Segeda, di localizzazione difficile ma probabilmente prossima a Ocilis (Medinaceli), la capitale dei Belli. Pare che i Belli abitassero la valle del Jalon, ed avessero per frontiere la "Sierra de Solorio" ad E. dove cominciavano i Lusoni, e ad O. la "Sierra Ministra". I Titti si stendevano al S. dei Belli, fra essi ed i Lusoni, abitando il triangolo formato dalla "Sierra de Solorio" a NO., le "Parameras de Molina" a S. e la linea Ateca-Peña de Almenara ad E. che li separava dai Lusoni.

I Lusoni secondo Strabone abitavano tra le fonti del Tago ed i Carpetani, gli Arevaci (che arrivavano alle pianure di Almazan) e la valle dell'Ebro. Ad essi sono attribuite le città di Contrebia (probabilmente Daroca) che è la loro capitale, Mundobriga (nome che persiste nel moderno Munebrega a 25 km. a S. di Calatayud) e Nertobriga (La Almunia ad E. di Calatayud). Bilbilis (vicino a Calatayud) non è nominata come appartenente ai Lusoni ma cade nel loro territorio. D'altra parte il loro nome può essere riconosciuto nei moderni di Luzaga e Luzón nell'angolo NE. della provincia di Guadalajara. I loro limiti geografici sarebbero, secondo lo Schulten, a N. e ad E. le montagne dipendenti dal Moncayo (Sierra de la Virgen, Sierra de Vicor, Sierra de Cucalón) che limitano la valle del Jiloca, mentre comincia alla "Sierra de Solorio" il paese dei Belli e alla linea Ateca-Peña de la Almenara quello dei Titti. Il confine con gli Arevaci doveva essere nella odierna strada da Soria a Calatayud verso Ventas de Ciria e Torrelapaja.

Tolomeo dice Celtiberi gli abitanti di un gruppo di città situate nella valle dell'Ebro, vicine da una parte al territorio dei Pelendoni ed Arevaci, dal quale sono separate dal Moncayo, e d'altra parte vicine al territorio dei Lusoni. Questi Celtiberi, dei quali non conosciamo nome speciale di tribù, possiedono Balsio (Cortes), Turiasso (Tarazona) e Bursada (Borja), come pure Calagurris (Calahorra) che è un posto avanzato nel territorio dei Vasconi, al modo stesso che per i Lusoni Nertobriga sembra sia stato dall'altra parte del "Puerto de Morata" un posto militare contro gli Edetani di Salduvia (Saragozza).

I confini estremi ad O. e S. dei Celtiberi citeriori non sono troppo chiari. Tolomeo attribuisce ai Celtiberi verso O., in più d'Arcobriga (Arcos) e Attacum (Ateca) che appartengono ai Belli, la città di Caesada (Hita, nella provincia di Guadalajara), cominciando forse il territorio dei Carpetani verso Arriaca (Guadalajara), poiché più ad E. Thermida (Trillo), anche essa dei Carpetani, pare prossima alla frontiera celtiberica, che continua nella provincia di Cuenca, inchiudendo (in Tolomeo) Segobriga (Cabeza del Griego vicino a Saelices), Valeria (Valera de Abajo, vicino al Jucar) e Laxta (Iniesta).

A SE., cioè nella valle del Jiloca e verso i monti di Albarracin non sappiamo quale fosse l'estensione massima dei Celtiberi. Fra essi ed i Carpetani in questa parte sono piccole tribù, come i Lobetani (che possiedono Lobetum-Albarracin) e gli Olcadi che lottarono con Annibale, di situazione incerta; inoltre il Periplo, conservato nel poema di Avieno Ora maritima, ci parla dei Beribraci probabilmente nel confine fra le provincie di Valencia e Cuenca. Per la loro situazione geografica si potrebbe credere che alcune di tali tribù, soprattutto i Lobetani, fossero anch'esse celtiberiche.

La struttura etnica dei Celtiberi, al pari della loro origine, è assai difficile a determinare. Abbondano fra essi gli elementi celtici: nomi di luogo, nomi di tribù (Arevaci, Belli), nomi di generali delle loro guerre (Leukon, Ambon [Ammo], Retogenes [Rectugenus], Caros, Auaros), culti celtici (Lugoves Matres, Callaicae). Strabone (III, 4, 5) li chiama celtici (Κελτοῖς οἵ νῦν Κελτίβηρες καὶ βήρωνες καλοῦνται) e lo stesso si trova in altri autori (Plinio, Scoliasta di Lucano, S. Isidoro, S. Girolamo; vedi Schulten, Numantia, I, p. 17). Lo Schulten, benché riconosca l'esistenza fra essi di elementi celtici, non dà valore alla testimonianza di Strabone (che pure ammette per i Beroni) e crede predominante l'elemento iberico: e ciò, sia per il carattere speciale delle guerre celtiberiche, che mostra uno spirito di difesa disperata e una strategia (di guerrille) più somigliante a quella dei popoli tipicamente iberici (Sagunto, i Cantabri, i Lusitani) che a quella dei Celti: sia perché, a partire da Eratostene, gl'Iberi sono l'elemento predominante in Spagna, che soltanto in quel tempo diventa "Iberia" nei geografi classici. Anche dalla stessa composizione del nome "Celtiberi" crede lo Schulten poter trarre la conclusione che gl'Iberi erano l'elemento principale (come per i Libifenici ed i Blastofenici il secondo è l'elemento decisivo del nome); perciò egli ritiene che i Celtici, che dominavano la più grande parte della penisola, poi detta iberica, dal sec. VI al III, furono spogliati dagli Iberi, i quali dall'Ebro conquistarono la terra celtiberica, che così sarebbe territorio celtico dominato dagl'Iberi.

Gli studî e i risultati dell'archeologia sembravano confermare fino ad ora l'ipotesi dello Schulten, perché le necropoli celtiche posthallstattiane del territorio celtiberico non offrivano materiale di età posteriore al sec. III e la civiltà di Numanzia, che è pur la città celtiberica per antonomasia, era abbondante in elementi iberici. Oggi invece si ravvisa nello sviluppo della civiltà numantina un'evoluzione che muove dalla civiltà celtica posthallstattiana senza soluzione di continuità, e si osserva come a poco a poco nelle stesse necropoli posthallstattiane s'infiltrano elementi di civiltà iberica, particolarmente la ceramica dipinta, che in Numanzia, nonostante i suoi paralleli coi gruppi dell'Ebro, rimane tutt'affatto originale; questa ceramica dipinta si trova tanto nel territorio dei Celtiberi dell'Ebro (Veruela, presso Borja e Tarazona), quanto nel territorio vacceo ad ovest dei Celtiberi fra una civiltà tipicamente celtica (Las Cogotas, provincia di Avila). Anche i movimenti di popoli iberici nel III secolo non vengono confermati dall'archeologia, ma al contrario quel secolo pare un tempo di stabilizzazione e di fusione di popoli e di culture. La preistoria, infine, ci dà adesso una nuova possibilltà di spiegazione dell'origine dei Celtiberi, contrariamente all'ipotesi dello Schulten e d'accordo con l'ipotesi corrente, che faceva i Celtiberi popoli iberici dominati dai Celti: nel loro territorio si osserva nei remoti tempi della transizione dall'eneolitico all'età del bronzo una vera invasione di popoli dall'Ebro, che portarono ivi la civiltà di Almeria, tipica dell'est e del sud-est della Spagna, dove pare trovarsi la vera origine degli Iberi; così diviene evidente la traccia dell'esistenza di Iberi, prima delle invasioni celtiche, nel territorio che fu poi detto celtiberico.

È curiosa l'identità di nome dei Lusoni celtiberici coi Lusitani del Portagallo. Lo Schulten credeva i Lusitani l'ultima estensione degl'Iberi nel III secolo. Ora può darsi che i Lusitani rappresentino l'avanzata degl'Iberi, ma in tempo molto più antico, e che restassero chiusi per le invasioni celtiche nelle montagne dal Portogallo, fino alla decadenza celtica dal sec. III, la quale permise l'espansione militare dei Lusitani, rimasti immuni da mescolanze coi vicini, e forse dominatori, celti.

Le vicende storiche dei Celtiberi cominciano con la sottomissione dell'Ebro a Catone, il quale arriva ai territorî dei Celtiberi, che prima avevano servito come mercenarî negli eserciti cartaginesi e romani. Nel 195 egli ottiene la sottomissione dei Celtiberi, benché soltanto nominale. Sempronio Gracco nel 179 conclude trattati con i Celtiberi. Dopo una lunga pace nel 154 i Belli e Titti, con l'aiuto degli Arevaci, si sollevano. Nel 153 Q. Fulvio Nobiliore tenta di portare la guerra fino a Numanzia, ma è vinto e si ritira in un campo a 6 km. da Numanzía, a Renieblas. Il suo successore Marcello conclude la pace nel 152, ma le ostilità si rinnovano nel 143 sempre con fortuna avversa per i Romani, fino a che Scipione Emiliano assedia Numanzia e la prende, dopo che era stata incendiata dai suoi proprî abitanti. Dopo una nuova sollevazione dal 99 al 93, per la quale furono puniti, i Celtiberi aiutano Sertorio, sollevandosi di nuovo in alleanza coi Vaccei nel 56, per essere soggiogati nel 49 da Afranio e Petrelo, legati di Pompeo. Dopo Munda i Celtiberi cooperarono coí pompeiani. Con Augusto i Romani iniziano una politica di amicizia verso i Celtiberi; restaurando anche Numanzia.

Bibl.: A. Schulten, Numantia, Ergebniss der Ausgrabungen, I, Monaco, 1914; III, 1927; IV, 1929; D'Arbois de Jubainville, Les Celtes en Espagne, in Revue celtique, XIV, p. 356 seg.; XV, p. 1 seg.; Excavaciones de Numancia (Memoria de la Comisión ejecutiva), Madrid 1912; Mélida, Taracena ed altri nelle Memorias de la Junta superior de excavaciones y antigüedades, dal 1915; B. Taracena, la cerámica ibérica de Numancia, Madrid 1924; B. Taracena, Arte ibérico. Los vasos y las figuras de barro de Numancia, in Jahrbuch für prähistorische und ethnographische Kunst, I (1925), pp. 74-93; Bosch, El estado actual de la investigación de la cultura ibérica, in Boletín de la R. Academia de la Historia, Madrid 1929, e Pyrenäische Halbinsel, nel Reallexikon der Vorgeschichte di M. Ebert; B. Taracena, Excavaciones en las provincias de Soria y Logroño, in Memorias de la Junta superior de excavaciones y antiguëdades, Madrid 1926-27, n. 86.

TAG

Scipione emiliano

Età del bronzo

Guerre puniche

Cartaginesi

Archeologia