CELTI

Enciclopedia Italiana (1931)

CELTI

Giacomo DEVOTO
Raymond LANTIER
Enrico BESTA
Giacomo DEVOTO
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. È il nome (Κελτοί o Κελται) che le fonti greche (primo in ordine di tempo il frammento d'Ecateo di Mileto che parla dei Celti situati intorno a Marsiglia, colonia greca) dànno ai popoli, i quali nella tradizione romana son designati col nome di Galli e nelle stesse fonti greche con quello di Galati (Γαλάται). Erodoto (II, 33; IV, 49) parla dei Celti posti presso Pyrene, nel cui territorio nasce il Danubio; abiterebbero al di là delle Colonne d'Ercole. La tendenza, comune ai Greci e a molti altri popoli, a far discendere tutto un popolo da un solo eroe eponimo, ha fatto sì che venissero ritenuti discendenti da un Celto, figlio di Ercole e di Celto (Κελτώ) figlia di Britanno, o da Sterope figlia di Atlante, ecc. Tutto ciò esprime soltanto il fatto che si tratta di popoli stanziati nell'Europa occidentale e a settentrione della Grecia, e che si aveva coscienza di una loro unità, fosse questa soltanto linguistica, culturale e nazionale, o anche etnica. Il nome di Galati si diffonde soprattutto dopo Alessandro Magno, senza dubbio in conseguenza della celebre invasione che devastò Delfi e portò alla formazione di una Galazia nell'Asia minore; alcuni scrittori (Diodoro, V, 32; Cesare, De b. c., I, 1; Livio, V, 34,1; Strabone, IV, 177) introducono una distinzione, alla quale qualche moderno dà un certo peso, tra i Galati, settentrionali, e i Celti, meridionali; ma in Polibio il nome Galati designa tutti i Galli e in Giuseppe Flavio e Dione Cassio il nome di Celti, per il prevalere di quello di Galli nell'Impero romano, designa piuttosto popolazioni germaniche.

Le ricerche moderne hanno posto fuori contestazione l'unità linguistica di un gruppo di parlari indoeuropei, che si designano appunto col nome di lingue celtiche; per certe amnità si parla anche di un gruppo "italo-celtico" (sul quale v. sotto); l'esplorazione archeologica ha messo in luce l'esistenza di una vasta area culturale, distinta in periodi e designata col nome della località in cui furono fatti i primi, o più importanti, ritrovamenti (Hallstatt, La Tène). Da questo si è tentato di risalire anche all'affermazione d'un'unità etnica, per cui si parla talora indifferentemente di "tipo celtico" e di "tipo alpino". Si tratta, come si vede, di questioni estremamente complesse e di ben difficile soluzione. Perciò si limita qui la trattazione a quegli argomenti per cui il termine "celtico" è diventato d'uso comune e non dà luogo a discussioni; rimandando, per il resto, alle voci: indoeuropei; danubiane, civiltà; europa: preistoria; etnologia; galli; gallica, civiltà; francia; germania; irlanda; spagna.

Lingue.

Gruppo di lingue della famiglia indoeuropea, di cui costituiscono nei tempi storici l'estrema avanguardia occidentale. Esse sono attestate epigraficamente e attraverso scrittori stranieri fin dai primi secoli dell'era volgare, da glosse e brevi testi letterarî a partire dal sec. VIII; quindi in età molto più recente del sanscrito, del greco, del latino, più recente anche del gotico e dell'armeno, più antica invece delle lingue slave e baltiche. Sono notevolmente alterate dal tipo linguistico originario per aver spinto all'estremo le tendenze fonetiche ereditarie e per avere in modo estremo reagito alle semplificazioni che esse avevano introdotto. Perciò non sono molto redditizie per la comparazione delle lingue indo-europee; di fronte alle quali si definiscono per questi quattro caratteri principali: sostituzione di ē con ī; di r, l in funzioni di vocali con ri li; di gw con b; perdita di p iniziale. I documenti linguistici si dividono in tre gruppi: gallici, attestati in autori classici a partire da Giulio Cesare (nomi di persone e di luoghi) o da iscrizioni; gaelici, attestati dapprima dalle iscrizioni ogamiche (v. sotto) e, a partire dal sec. VIII, da glosse e da brevi componimenti poetici; britannici, attestati da glosse del sec. VIII e solo col XII da monumenti letterarî. L'area linguistica celtica è stata soggetta nell'antichità a profonde variazioni. Nella preistoria più recente, fino al sec. VI a. C. circa, essa corrispondeva essenzialmente alla Germania occidentale e alla Gallia settentrionale. Nel periodo della maggiore espansione, oltre alle Isole Britanniche, comprendeva tutta la Gallia, gran parte della Spagna, l'Italia settentrionale, e, attraverso la penisola balcanica, arrivava fino all'Asia Minore. Viceversa, con la conquista romana la Gallia romanizzava rapidamente la sua lingua, la Britannia, oltre la sovrapposizione romana, subiva anche quella germanica, persino in Irlanda arrivavano gruppi di popolazioni nordiche. Dal sec. XI in poi l'area linguistica celtica è limitata agli avanzi del gruppo gaelico in Irlanda, nell'isola di Man, e in alcune regioni della Scozia; a quelli del gruppo britannico nel paese di Galles e nella Bretagna francese, resa di nuovo celtica da invasioni britanniche fra i secoli V e VI d. C.; mentre non esiste più nessuna area celto-gallica. Parlano lingue celtiche più di tre milioni di persone, di cui due terzi sono bilingui. La costituzione dello Stato Irlandese e la conseguente diffusione dell'insegnamento elementare in lingua irlandese, avranno certamente conseguenze favorevoli sulla vitalità della lingua irlandese e di riflesso sul "celtismo" linguistico.

La preistoria. il celtico nell'ambito dei dialetti indoeuropei. - Nel tempo in cui le lingue indoeuropee avevano ancora una loro sostanziale unità, l'area celtica non era delimitata tanto dai pochi caratteri positivi proprî ad essa e ad essa sola, quanto dalla particolare ripartizione di caratteri comuni all'una o all'altra delle aree vicine. Il sistema delle consonanti è ridotto alla semplice opposizione di consonanti sorde e sonore, con l'eliminazione totale di tutte le aspirate; come in tutta la striscia centrale di lingue che attraverso il baltico e lo slavo arriva fino all'iranico. Il sistema del verbo è profondamente alterato dalla decadenza dell'"aspetto" e dalla formazione di un netto concetto di "tempo passato", come in tutte le lingue occidentali. L'alterazione delle consonanti intervocaliche è generalizzata; ma in germanico (sia pure falsati dalla mutazione consonantica) e in italico (sia pure limitati alle aspirate in latino, e alla sibilante in latino e in umbro) si hanno già i primi segni di questa tendenza; l'adattamento del timbro delle vocali ad alcune particolarità della pronuncia delle consonanti vicine non è separabile dai molti fenomeni di metafonia (Umlaut) del germanico, dalle alternanze del tipo volo velim del latino; la nasale finale è -n e non -m come in tutte le altre lingue indoeuropee salvo le estreme, il sanscrito e le italiche; i casi della declinazione sono ridotti a quattro, nominativo, genitivo, dativo, accusativo, come nelle aree centrali (greca e germanica); il suffisso del tipo -bh- nei casi obliqui del plurale va d'accordo con le lingue meridionali e orientali e si oppone a quello in -m proprio delle settentrionali.

La posizione estrema del celtico permette, nonostante la scarsa antichità dei documenti e il rapido svolgimento linguistico, la conservazione di alcuni elementi arcaici, come la differenza nell'accentuazione del verbo semplice e di quello composto con preverbi; l'esistenza di un femminile anche per i numeri "tre" e "quattro"; l'esistenza, comune all'italico, di quelle desinenze in -r che si ritrovano solo nelle estreme aree orientali; i legami ancora tenui che legano l'"infinito" al verbo, mentre è ancora vivo il suo carattere di nome astratto; le stesse manifestazioni di fonetica sintattica (saṃdhi) che nel sanscrito si conservano come norma irrigidita e solo nelle lingue celtiche sono ancora viventi.

Di più largo interesse sono i fatti d'ordine lessicale. Il nucleo dei termini fondamentali per tutte le lingue indo-europee è rappresentato bene dalle parole irlandesi: athir "padre", máthir "madre", brathir "fratello", siur "sorella", día "Dio". La radice *bheu che significa "crescere", per uno svolgimento di significato molto fortunato, è venuta a significare il semplice "essere", da principio nelle sole forme del passato: l'irlandese (ro) boí si confronta direttamente col latino fuit, con forme corrispondenti del lituano, dello slavo antico, del sanscrito e si oppone direttamente al greco. Un gruppo di parole è proprio, oltre che del celtico, delle sole lingue occidentali, l'italico e il germanico: così l'irlandese íasc che corrisponde al latino piscis e al tedesco moderno Fisch; l'irlandese faith "profeta" e il latino vates; bláth "fiore", flos e le parole tedesche Blume e Blüte; caech e caecus; cachtaim "prendo", captare e il tedesco (ver)haften. A un'unità alle volte più vasta, ma che comunque esclude il greco, l'armeno, l'iranico e il sanscrito, appartengono certi termini dell'agricoltura: tali l'irlandese síl "seme" derivato dalla radice * "seminare", attestata nel latino semen e rappresentata fino e non oltre il gruppo slavo; grán "grano" e granum; aball "mela" e il tedesco Apfel; net "nido" e nidus; e al di fuori dell'agricoltura il termine molto importante per indicare il "popolo", túath in irlandese, che corrisponde al touto dell'osco, al thiuda del gotico, al tauta del lituano. Un gruppo particolare è formato dai termini connessi più o meno strettamente con la religione. L'atto di credere è rappresentato dall'irlandese cretim che trova riscontro nel latino credo e, più lontano, solo nel manscrito śraddadhāmi; ráth "grazia" risale al concetto di "dono, tesoro, bene", rappresentato in latino da res, in sanscrito da rās; "re", in senso non solo civile ma religioso, ben noto anche nel gallico attraverso i nomi di persona del tipo (Dumno)rix, si trova nel latino rex e nel sanscrito raj-. La "legge" sia in senso civile sia in senso religioso è detta in irlandese cáin, con un derivato della stessa radice del sanscrito śasti "istruisce" e del latino castus "colui che si uniforma alla legge" La radice che indica il "bere", ed è attestata in questa forma generica nel greco, nella forma a raddoppiamento propria dell'irlandese ibim si trova solo nel latino bibo, nel sanscrito pibati; è verosimile che a questa particolarità formale ne corrispondesse una di significato, l'atto del bere qualche bevanda speciale, qualche liquore sacro. La corrispondenza delle due aree estreme rende agevole la conclusione che si tratta di un patrimonio lessicale molto antico; che è stato conservato là dove si è mantenuto un ordinamento aristocratico-sacerdotale (druidi, flamini, brahmani), che, dove questo ordinamento è venuto meno, come presso i Greci, Germani e Baltoslavi, è andato invece perduto.

Rapporti con il gruppo italico. - I rapporti italo-celtici sono dunque abbastanza stretti; non sufficienti tuttavia per ritenere assolutamente fondata la teoria di un'unità italo-celtica intermedia fra quella indoeuropea e quella puramente celtica. Le prove che sarebbero assolutamente favorevoli non sono più di tre: la formazione dei deponenti per mezzo della desinenza -r, originariamente di significato soltanto passivo (irlandese labrur, latino loquor); il superlativo irlandese nessam, che corrisponde esattamente all'osco nessimas "proximas" e, per la formazione, con il latino proc-simus; gli astratti nominali che si formano col suffisso ereditato -ti, ampliato però col suffisso in nasale -on; per cui la parola (toi)m-ti-u corrisponde perfettamente al latino men-ti-o. Ma l'esistenza generica delle desinenze in -r è un fatto di semplice conservazione, da quando con la scoperta del tocario ne è stata dimostrata l'esistenza anche in un'area orientale; la conservazione dell'elemento -a- nel grado ridotto delle radici è sostanzialmente confrontabile con quella greca; mentre la vera innovazione, l'introduzione di un timbro nuovo nel grado zero, si compie indipendentemente nei due territorî (celtico ri, ma italico or), il cambiamento della forma penkwe nell'irlandese coíc e nel latino quinque, la desinenza del genitivo singolare in -i non sono dimostrabili nel gruppo osco-umbro. D'altra parte le differenze dialettali che passano fra i due rami delle lingue italiche sono talmente profonde, il distacco del ramo latino dall'unità indo-europea così antico che di fronte all'unità celtica abbastanza omogenea, quella italica appare problematica e comunque fragile. La sonorizzazione delle aspirate all'interno, propria del latino, avvicina questo al tipo occidentale di alterazione delle consonanti intervocaliche; ma l'osco che non ne presenta la minima traccia si comporta in questo come il greco e il sanscrito. Le parole greche ἁνήρ, πῦρ, τειχος sono rappresentate in Italia nel gruppo orientale, ma non arrivano a quello occidentale. L'importante espressione touto- è, oltre che celtica, anche italica orientale; si tratta di un rapporto stabilito evidentemente quando i Latini erano ormai separati definitivamente dai Celti e dagli Italici orientali. Non è possibile adottare naturalmente la tesi opposta che invece delle classiche unità genealogiche "celtico" e "italico" si debbano accettare quelle fra dialetti celtici e italici e in particolare quella gaelico-latina. Le somiglianze e i contatti che si verificano sono dovuti a parallelismo o a contiguità di vicende più che a parentela vera e propria. Sicché l'espressione più felice per precisare la posizione del celtico fra le lingue indoeuropee è quella di "occidentale" nel senso di una particolare intimità di rapporti germanico-italo-celtici, che solo le diverse vicende storiche hanno potuto successivamente allentare.

Divisioni dialettali. - Mentre si può ritenere sicura la discendenza delle lingue celtiche da un'unità celtica comune, più omogenea di quella italica, in un certo senso equivoca è invece la triplice divisione dialettale accennata più sopra. Un posto a parte occupa il celtico continentale o gallico (v.). Le iscrizioni rimaste, fra cui il calendario di Coligny, il glossario di Vienna, i graffiti della Graufesenque, sono documenti molto più antichi di quelli celtici insulari e mostrano una lingua celtica distinta da quelle più per la maggior conservazione che per particolari innovazioni. I numerali ordinali conosciuti dai graffiti della Graufesenque suonano: cintuxo(s) "primo", alios "secondo", trit(os) "terzo", petuar(ios), pinpetos, svexos, sextametos, oxtumeto(s), naumetos, decametos; in confronto degl'irlandesi cétn(a)e, aile, tris(s), cethramad, coiced, se(i)ssed, sechtmad, ochtmad, nómad, dechmad o di quelli cimrici cyntaf, eil, trydyd, petwyryd, pymhet, chwechei, seithvet, wythvet, nawvet, degvet. D'altra parte le lingue celtiche insulari, hanno accentuato le loro differenze per la diversa accentuazione e per la diversa resistenza delle forme grammaticali specialmente nominali. Sicché si potrebbe essere indotti a vedere nel celtico continentale una fase arcaica da cui tutte le lingue celtiche sono derivate. Tuttavia nemmeno questo è possibile, perché vi sono due innovazioni fondamentali che risalgono al periodo indoeuropeo: la prevalenza dell'articolazione velare nelle consonanti labiovelari sorde che è comune oltre che agl'Indoeuropei orientali, all'irlandese e al latino, mentre è sostituita da un'articolazione labiale nelle lingue britanniche, osco-umbre e nel greco: l'irlandese cethir va d'accordo con quattuor, il cimrico petguar con l'osco petora; la differenza nella soluzione della nasale sonante in cui il gaelico va d'accordo con il latino e di nuovo il britannico, in un certo senso, con l'osco-umbro. In base a questi elementi, il gallico non è indifferenziato fra i due gruppi, ma, come mostrano i numeri "quattro" e "cinque", è più strettamente collegato col britannico. Ma attraverso la Gallia debbono essere passati anche quegli altri Celti che hanno occupato l'Irlanda, partendo direttamente dalle coste dell'Oceano, senza toccare la Gran Bretagna. Le tracce che essi possono aver lasciate non sono a noi riconoscibili se non in quanto sono diverse da quelle britanniche; il nome di mese equo, il nome di fiume Sequana col qu, il nome di Argentorate col suo en potrebbero esserne esempî. Le lingue celtiche si dividono in lingue del gruppo gaelico e lingue del gruppo britannico; il gallico non ha elementi sufficienti per rappresentare un gruppo autonomo; ha forti contatti col tipo britannico; ma anche il valore di questi contatti va limitato nel senso che i Britanni sono dei due gruppi gli ultimi che hanno lasciato un'impronta sul territorio celtico della Gallia.

Sostrati preceltici. - Il tempo passato e il fatto bruto delle migrazioni non spiegano però agli occhi di tutti le profonde differenze che passano fra la lingua relativamente conservatrice della Gallia e quelle così alterate delle isole. Il problema di una reazione del sostrato etnico si presenta così per le lingue celtiche con un'importanza particolare, e la determinazione della posizione linguistica dei Caledoni o Piti ne costituisce la parte preliminare. Piti o Pitti, dal latino Picti, non è che la traduzione del nome dato loro dai Celti, Pryiein in forma britannica, cruthni in forma irlandese, "i dipinti". La loro diffusione doveva essere molto maggiore; ma essa dipende da una decisione attorno al loro carattere etnico, se siano i primissimi Celti, o siano invece i veri indigeni, di colorito bruno, di statura non elevata. Quest'ultima opinione sembra la più verosimile e la più prudente. Gli elementi linguistici indiretti che si riferiscono ai Piti non sono decisivi per la soluzione del problema. La diffusione posteriore dei due tipi fisici in un paese che ha subito tante invasioni come la Gran Bretagna, non è neppure essa di aiuto; è avvenuto che nella Scozia rimasta immune dall'invasione romana e verosimilmente da quella celtica anteriore, il tipo bruno è malissimo conservato; molto meglio invece nel Galles, che è stato così ben celtizzato dal punto di vista linguistico, da essere ancora oggi una roccaforte del celtismo linguistico. Il carattere linguistico del sostrato preceltico è definito come iberico (basco) o come camitico; constatazione non dimostrabile e del resto di importanza secondaria rispetto alla constatazione degli avanzi effettivamente rimasti di questo sostrato. Fuori discussione sembra il sistema dei numerali: l'irlandese moderno "sono 497 anni" da solo dimostra la rivoluzione subita dal sistema numerale celtico:

Al di fuori di questo, le teorie sul sostrato preceltico si classificano in due gruppi: quelle di H. Zimmer e di J. Pokorny che gli dànno grande risalto, e specialmenie la seconda; quelle di H. Pedersen e di J. Baudiš che gliene dànno uno assai minore, attribuendo il primo le innovazioni delle lingue celtiche a un conservatorismo di impulsi psicologici che hanno agito coerentemente fino ai tempi storici; riconoscendo il secondo al sostrato solo un'azione negativa di selezione fra elementi linguistici ereditati. Il problema non può trovare una formulazione soddisfacente se non tenendo presenti due fattori essenziali; uno generico, e cioè le condizioni di disgregazione sociale in cui il mondo linguistico celtico s'è trovato nelle Isole Britanniche e senza le quali nessuna azione di sostrato poteva determinare alterazioni così profonde della parola celtica ereditata; uno specifico, l'indipendenza dei due rami gaelico e britannico nella loro diffusione nelle isole, e per conseguenza la necessità di far corrispondere gl'ipotetici sostrati a un'area volta a volta gaelico-britannica, gaelica o britannica secondo i dîversi ordini di fatti.

Elementi stranieri nel zocabolario. - Altre influenze straniere, diverse da quelle dei sostrati, concorrono a dare l'aspetto definitivo alle lingue celtiche sulla soglia della storia. Sono gli elementi lessicali, che, indipendentemente da quelli che si confondono col problema dei Precelti, si distinguono in latini, scandinavi e inglesi. L'elemento latino si suddivide per il suo contenuto in uno strato più antico, introdotto nella Britannia con la conquista romana e quindi di carattere pagano e in uno più recente, connesso con la diffusione del Cristianesimo. Il primo strato e parte del secondo è giunto in Irlanda solo attraverso intermediarî britannici. Solo le parole cristiane più recenti sono state introdotte in irlandese direttamente. Esempî di parole limitate al gruppo britannico sono cib "coppa" (lat. cūpa), gwyrdd "verde" (lat. viridis), fos "fossa e; parole latine penetrate in irlandese e ivi sottoposte a rapido assolgimento di significato sono per es. láich "guerriero" (da laicus), montar "famiglia" (da monasterium), póc "bacio" (da pax); parole latine penetrate attraverso l'elemento britannico sono eclis (cimrico eglwys) da ecclesia, oróit (cimrico arawd) da oratio, foneticamente diverse da quelle con terminazione analoga: caimmse da camisia, coibse da confessio, introdotte invece direttamente. Il secondo gruppo risale alle relazioni coi Vichinghi, conosciuti dapprima dagl'Irlandesi come pirati, e poi come commercianti, che stabilirono nuclei di lingua norvegese o islandese nei porti. Essi comprendono il periodo che va dal sec. VII al XII: per es., diberc, "saccheggio" da Tr-verk, "opera del dio della guerra"; scipad "attrezzare una nave" derivato dal nordico skipa. Da ultimo, tutta la storia delle lingue celtiche della Gran Bretagna è piena dell'invasione progressiva dell'elemento lessicale inglese, e, rispettivamente, per la lingua bretone, di quello francese. Di qualche interesse è ora il grande arricchimento di parole straniere provocato dalla terminologia amministiativa necessaria al funzionamento dello Stato Libero: per es., Coimisiún um Stat-Sheirbhis che traduce con parole straniere l'inglese Civil Service Commission; nello stesso tempo la vitalità che termini anche di oggetti famigliari mantengono di fronte alle parole ereditate: pláta (ingl. plate), buidéal (bottle), bosga(box), lampa/ (lamp), stól (stool), bórd (board), ecc.

Le lingue celtiche antiche. - Le lingue celtiche insulari appaiono la prima volta nella storia con le iscrizioni oganiche, così chiamate dal nome dell'alfabeto, documenti di carattere funerario, appartenenti all'antichissima lingua irlandese. L'alfabeto consiste in linee tracciate perpendicolarmente od obliquamente allo spigolo di una pietra poggiata in senso verticale:

La facilità degli errori, la frequente corrosione degli spigoli, l'uniformità del contenuto limitano l'importanza linguistica di questi documenti arcaici (interessanti per la conservazione delle vocali finali scomparse nell'irlandese letterario, e del suono q che piú tardi appare semplice c).

Il periodo più antico dell'irlandese letterario è costituito da monumenti dei secoli VIII e IX. Fra i più antichi sono il palinsesto di Torino contenente 29 glosse irlandesi alla seconda epistola dell'apostolo Pietro, un manoscritto di Cambrai, contenente frammenti di una omelia irlandese trascritta con molti errori; un manoscritto di Firenze con alcune glosse a Filargirio. I due più importanti sono: le glosse di Würzburg al testo latino delle epistole di Paolo, e quelle di Milano, provenienti da Bobbio, che commentano l'epitome latina di un commentario ai Salmi; il manoscritto di queste ultime contiene anche due poesie irlandesi. Meno voluminose sono le glosse al testo del grammatico Prisciano contenute in diversi manoscritti, di cui uno a Milano e un altro, il più ampio, a S. Gallo; e quelle di Torino a due frammenti di un commento latino al vangelo di S. Marco. Gli altri due dialetti gaelici, quello di Scozia e quello di Man, non hanno importanza a questo scopo, sia perché anticamente appena distinguibili dall'irlandese, sia perché i primi documenti risalgono rispettivamente al 1567 e al 1604-1610. Del periodo corrispondente a quello antico irlandese le lingue britanniche non conservano che glosse: i monumenti letterarî più importanti sono conservati invece in manoscritti del sec. XII e appartengono alla lingua cimrica: il libro nero di Carmarthen, il codice più antico della poesia dei bardi, che conserva una lingua molto arcaica (ed. J. G. Evans, 1906); le leggi cimriche, in particolare quelle contenute nel Codex Venedotianus, dalla provincia del Galles detta Gwynedd (ed. 1841). Appartiene al sec. XIV, ma non è meno importante, la raccolta dei Mabinogion (ed. J. Rhys e J. G. Evans, 1887). Della lingua cornica ci restano i Vocabula in pensum discipuli, in un manoscritto. del sec. XII (ed. Zeuss, 1853).

Accento. - Il sistema dell'accentuazione non è uguale nei due gruppi gaelico e britannico; ed è difficile ricosiruirne i precedenti, stabilirne il rapporto esatto con il sistema di accentuazione indoeuropeo. Il gallico (della cui accentuazione è stato fatto uno studio attraverso le parole e specialmente i toponimi romanizzati, per es., Augusto-dunum, oggi Autun), non ci assicura un'accentuazione iniziale. Il britannicro ha fissato rigidamente l'accento sulla penultima sillaba (dopo la caduta della finale l'accento si sposta sulla nuova penultima); l'irlandese ha chiara accentuazione iniziale. Ora tutto il gruppo occidentale delle lingue indoeuropee mostra un trattamento particolare della prima sillaba e si potrebbe essere indotti a ritenere effettivamente l'accentuazione irlandese come quella originaria. Quanto alla natura, l'accento irlandese è chiaramente un accento di intensità; quello britannico è ritenuto da qualcuno originariamente musicale, e in questo senso più conservatore dell'irlandese. La posizione dell'accento irlandese è influenzata dalla composizione. Quando una parola è semplice, essa porta l'accento sulla prima sillaba: mídiur "giudico"; quando è composta, se si tratta di composto nominale, lo porta pure sulla prima: fársingmenmaige "audacia", se si tratta di un verbo con un prefisso, sulla prima sillaba del verbo: do móiniur "penso, ritengo", se di verbo con due o più prefissi, sul secondo prefisso: ni fó-dmat "non soffrono" rispetto a fo-dáimet "soffrono". Naturalmente ci sono forme particolari accentate sulle prime sillabe anche se composte a prefisso. Gli effetti dell'accento irlandese sulle vocali interne sono di riduzione in direzione di a, cioè l'opposto del latino ma non appaiono molto spesso in questa forma per le influenze del colorito delle consonanti contigue che s'incrociano con l'azione dell'accento. L'effetto è di sincope nelle parole che dopo la caduta della finale, cioè in età relativamente recente, posteriore alle iscrizioni ogamiche, sono rimaste almeno trisillabiche: samail "quadro", cos-mil "simile"; cumung "stretto"; cum-ce "strettezza". La posizione penultima dell'accento britannico è naturalmente immune dalle influenze della composizione: il cimrico hafal "simile" è eguale sotto questo rispetto all'antico bretone Leu-hemel "simile a leone". Ma la sua azione è diversa a seconda che si tratti di posizione anteriore o posteriore all'accento; più sensibile nella-prima, in cui arriva fino alla sincope ed è antica, meno nella seconda perché recente. Civitátem sotto l'accento antico mostra sincope protonica quale si ha nel medio cimrico ciwtawt, sotto l'accentuazione della nuova penultima ciwdod, con la sola fusione del dittongo. Azione diretta dell'accento sulla vocale tonica si manifesta nel cambiamento dell'a in o, e questo cambiamento colpisce anche le parole latine come il nome Donatus, che appare come Dinoot.

Vocalismo. - Il sistema delle vocali è costituito dai cinque timbri tradizionali, che però dalla quantità non sono ripartiti in due serie uguali. Il prevalere della forza dell'accento tende a limitare la scelta e a concentrare i mezzi di differenziazione sulla vocale tonica: la quale in irlandese può essere lunga o breve, mentre l'atona è sempre breve. Nel cimrico antico e medio la vocale tonica è pronunciata lunga o semilunga, l'atona è sempre breve. Gli antichi dittonghi sono soggetti in parte al fatale processo di fusione, proprio delle altre lingue indoeuropee: ei ē, ai, oi peristono. In una fase posteriore se ne sono formati moltissimi nuovi nel gruppo britannico, in modo non diverso dalla dittongazione romanza che succede alle vecchie tendenze latine verso la fusione. Tuttavia qualche associazione vocalica è antica come il gruppo ía che deriva dall'ē derivato a sua volta da ei, come in tíagu che corrisponde al greco στείχω; e in maggioranza sono soltanto apparenti in quanto connesse strettamente con il sistema delle consonanti. Effetti a distanza hanno le vocali secondo il tipo ben noto delle lingue germaniche: il singolare di "uomo" è fer perché la sillaba finale conteneva -o- (*wiros); ma al plurale, la finale -oi (*wiroi) ha esercitato prima di cadere un'azione a distanza, conservata appunto nel plurale fir. L'intimità dei rapporti fra vocali e consonanti è spinta nelle lingue celtiche all'estremo. In tempo molto antico le consonanti assumono un colorito speciale a seconda della vocale che segue: colorito chiaro o a tendenza palatale davanti i, e; oscuro o a tendenza velare davanti ad a, o; anche limitatamente all'irlandese, oscurissimo o labializzante davanti a u. Queste differenze, che vivono sostanzialmente ancora nelle lingue moderne, sono anteriori alla caduta delle finali; e sono riconoscibili nelle lingue antiche attraverso le conseguenze che le consonanti così classificate esercitano a loro volta sulle vocali precedenti. Sono morfologicamente importanti perché spesso solo attraverso il colorito delle consonanti si distinguono i casi della declinazione: per es., in quella in -o, il solo colorito palatale distingue il genitivo e il vocativo singolare e il nominativo plurale; il solo colorito oscuro distingue il nominativo e l'accusativo singolare e il genitivo plurale; il colorito oscurissimo il dativo singolare; mentre una desinenza vera e propria esiste solo per il dativo plurale -aib, e l'accusativo e vocativo plurale -u: la "spada" si dice claideb con colorito oscuro della consonante finale, claidib con colorito palatale, claidiub con colorito oscurissimo; e queste tre forme bastano per tutta la declinazione, salvo il dativo plur. claidbib e l'accusativo e vocativo plurale claidbiu. Il cimrico, che ha perduto come le lingue romanze la declinazione, mantiene un'opposizione di singolare e plurale fondata pur essa sul colorito della consonante venuta ad essere finale: "cavallo" è march al singolare con colorito oscuro, mairch, meirch al plurale con colorito palatale.

Consonantismo. - Il sistema delle consonanti, dopo il radicale processo di semplificazione subito, si riduce alle cinque consonanti ereditate k, t, g, d, b, mentre p esiste solo all'interno della parola e solo nel gruppo britannico. Ma esso era dominato fino dai tempi più antichi da due serie di opposizioni, l'una di natura qualitativa, l'altra di natura quantitativa, che hanno provocato necessariamente la formazione di nuove articolazioni consonantiche. Le prime hanno provocato la distinzione di consonanti a colorito chiaro od oscuro (ed oscurissimo); le seconde la distinzione di consonanti nettamente articolate, eventualmente percepite come doppie, e di consonanti debolmente articolate, destinate a diventare spiranti. Queste distinzioni appaiono in modo più o meno chiaro attraverso tre ordini di fatti: la lenizione, procedimento comune al gruppo gaelico e a quello britannico, sia pure con effetti diversi; il raddoppiamento delle consonanti proprio dell'irlandese, la spirantizzazione propria del gruppo britannico. La lenizione viene a costituire in irlandese una nuova serie di consonanti sonore e spiranti: infatti tutte le consonanti intervocaliche, non solo occlusive, ma anche nasali e sibilanti, hanno quella pronuncia speciale o lenita che nel caso di s è rappresentata dalla pura e semplice aspirazione. La lenizione è antica e anteriore alla sincope. In irlandese sono colpite dalla lenizione anche le consonanti poste fra vocale e liquida; resistono quelle doppie e quelle posconsonantiche. Il raddoppiamento di consonanti, molto meno antico e limitato all'irlandese, si presenta in gruppi di consonanti risultati dalla sincope di qualche vocale e che con la maggior durata dell'articolazione consonantica si premuniscono contro l'azione della lenizione. La spirantizzazione é invece una innovazione tipicamente britannica che si differenzia dalla lenizione in quanto produce suoni sordi e non sonori. Essa si presenta nell'interno della parola e colpisce consonanti poste tra una consonante e una vocale. Il numero "otto" dalla forma originaria *okto, appare con la seconda consonante spirantizzata octh, da questa con la dittongazione della vocale e la semplificazione del gruppo consonantico wyth.

Analoghi sono i fenomeni che si presentano nella successione sintattica. Una consonante iniziale a seconda della finale preistorica della parola precedente può subire tre diversi trattamenti: la lenizione, il raddoppiamento (irlandese) e rispettivamente la spirantizzazione (brit.), la nasalizzazione o eclipsi. La lenizione appare quando la finale era vocalica: per. es., cenn "testa", ma ar (da are) chenn "in faccia, incontro"; in cimrico brys "fretta", ma ar vrys "in fretta". Il secondo fenomeno si manifesta quando l'antica finale della parola precedente era in -s o comunque non poteva provocare lenizione: pecad "peccato", ma appecad "dal peccato", con a, derivato da as = ex; e, in cimrico, con la spirantizzazione invece che con il raddoppiamento: penn "testa", ma y phenn "la testa di lei", con y, risultato finale di *āsyās. Il terzo fenomeno si ha con le parole che seguono antiche finali in nasale; secht mbliadni (sing. bliadin "anno"); cimrico seith mlyned, invece di blyn.

Nome. - La morfologia del nome non è complicata. L'irlandese conserva lo stesso numero di casi del greco, il britannico li ha addirittura eliminati. Il neutro è conservato in irlandese, non in britannico. Il duale è conservato in irlandese e in britannico, ma sempre accompagnato dal numero due, cioè ormai senza vitalita grammaticale. Ricchi sono i temi nominali, conservati in molte varietà sia vocaliche sia consonantiche. Ma in questi come nelle desinenze dei singoli casi influiscono molto le innovazioni fonetiche; per cui si formano due classi parallele di temi in dentale lenita e non lenita, delle quali la prima corrisponde a temi greci e latini in -t, la seconda a temi in -nt; e così si hanno due classi di temi in nasale ripartiti non sempre in modo chiaro: cú con (lat. canis, canis) appartiene alla classe lenita; ainm, anme (lat. nomen, nominis) a quella non lenita. Gli aggettivi, conservati in cinque categorie in irlandese, sono fusi in una sola in britannico. Nella comparazione ha una corrispondenza formale autonoma anche il comparativo di uguaglianza col grado "equativo"; irl. sonartaidir slebe "così forte come i monti", brit. kynwynnet ar eiry "bianco come la neve".

I numerali, che sono fra gli elementi più conservatori, appaiono confrontati con quelli latini, in questa forma:

Pronome. - Il pronome personale ha sostituito la vecchia opposizione di tonico e atono con quella di semplice e rinforzato. Inoltre si hanno associazioni, più o meno note nelle altre lingue, con preposizioni o prefissi verbali, che nelle lingue celtiche acquistano un'intensità eccezionale. Forma semplice e rispettivamente rinforzata della prima persona in irlandese sono me e messe; in cimrico corrispondono a queste le tre forme mi, mivi, minheu, rispettivamente di grado semplice, raddoppiato e congiuntivo, press'a poco paragonabili alle congiunzioni latine et, enim, at. La fusione con un prefisso porta a una forte riduzione del volume del pronome e, insieme, alla posizione intermedia fra prefisso e verbo (si confronti il latino arcaico ob vos sacro): romgab "mi ha afferrato" in irlandese, rymgoruc "mi ha fatto" in cimrico. Finalmente, associato a una preposizione, si ha il pronome affisso, p. es., nell'irlandese trium (preposizione tri), e nel brit. trwydof (preposizione trwy); che significano "attraverso me".

Verbo. - Il carattere più appariscente del verbo è la sua posizione iniziale, regolare tanto in irlandese quanto in britannico. Nelle glosse di Würzburg la frase di una lettera paolina unusquisque nostrum pro se rationem reddet è commentata: taiccéra cách dará chen fessin, letteralmente "parlerà ciascuno per la testa sua", con una posizione del verbo opposta a quella latina.

Si hanno verbi deponenti, distinti formalmente dal passivo, e con scarsa vitalità: in irlandese sono in decadenza, in cimrico sono scomparsi. Come nelle altre lingue occidentali i modi sono ridotti all'indicativo, congiuntivo, imperativo. L'indicativo con cinque tempi, un presente, due passati, due futuri in irlandese; un presente, due passati, un futuro in cimrico. Il congiuntivo ha un presente e un imperfetto (irlandese e cimrico). L'imperativo non ha tempi. La nozione di aspetto non ha più una regolare espressione formale, almeno per mezzo di suffissi. Esiste invece un'antica preposizione, ro, che è stata adibita a indicare l'azione compiuta. Un tempo passato che, non preceduto da ro, rappresenta in irlandese un semplice narrativo, cioè l'aoristo greco, preceduto da ro, rappresenta l'azione compiuta, cioè un perfetto. La sua funzione è rappresentata nel cimrico da ry, forma in decadenza.

Le forme infinite del verbo non sono così caratteristiche: si ha un participio passato passivo e un participio di necessità paragonabili a quelli latini, un astratto verbale cioè un infinito costruito nominalmente e non verbalmente: per es., l'irlandese íar facbail a ech, "dopo lasciare di lui cavalli" è alieno dal rappresentare una differenza di "tempo" con un astratto verbale; in italiano è necessario invece dire "dopo aver lasciato i cavalli" e dell'uso irlandese darebbe un'idea più esatta l'espressione "dopo il rilascio dei cavalli" che esclude anche per noi una differenza di tempo.

Le persone sono le solite sei; manca il duale. Ma il passivo, che tende a irrigidirsi, non è distinto formalmente se non alla terza persona. Le classi verbali sono ancora numerose, del resto in corrispondenza con quelle nominali, in irlandese; in britannico le vecchie differenze sono molto confuse, benché non scomparse del tutto. In compenso le tracce della vecchia flessione atematica sono quasi completamente scomparse.

La novità essenziale della flessione verbale in celtico è data in molte formazioni dalla differenza fra flessione assoluta e congiunta. La flessione congiunta è quella propria del verbo composto con preposizione, o con particelle sintatticamente equiparate; l'assoluta è quella del verbo semplice e non in contatto con particelle del genere. La differenza sta nella diversa mole delle desinenze, ridotta nel primo caso, più ampia nel secondo. Per cui bereti berid, ma do-beret dobere e quindi dobeir con caduta della finale e trasporto del colorito palatale sulla vocale precedente. Nel britannico esistono tracce di questa differenza: ma la prova più importante in favore dell'antichità di questa distinzione è data dal fatto che il materiale di scelta fra le desinenze è di natura indoeuropea, cioè le vecchie desinenze secondarie servono per la flessione congiunta, quelle primarie per l'assoluta.

Vicende delle lingue celtiche. - Le vicende delle lingue celtiche segnano un processo di differenziazione molto più netta di quanto appare dall'esame dei caratteri linguistici. Rapporti fra i due grandi gruppi dopo il loro stabilimento nelle isole britanniche non sono mancati, e il lessico ne conserva le tracce: per es., il prefisso che serve a formare la parola bisnonno appare nella forma britannica gor, invece di for anche in irlandese: cimrico gor-hendad, irlandese gar-athair. La religione cristiana è penetrata in Irlanda dalla Britannia, sia pure superficialmente romanizzata. Ma già dalle prime documentazioni, le lingue celtiche appaiono destinate a divisione anche all'interno dei grandi gruppi, il gaelico e il britannico. Nel sec. VIII, i Gaeli hanno colonie nella Gran Bretagna settentrionale, che dal loro nome di Scoti vien chiamata Scotia, e nell'isola di Manapia, oggi di Man, in quest'ultima sostituendosi a coloni britanni. I Britanni, premuti dalle invasioni anglo-sassoni, costituiscono nella Gran Bretagna, tre gruppi staccati: i Cimri settentrionali sui confini della Scozia; i Cimri meridionali nel paese di Galles; i Britanni di Cornovaglia. Da questi ultimi s'erano staccati i Britanni della Bretagna francese o Bretoni. L'importanza europea delle lingue celtiche, oltre che nel tempo, ha aspetti profondamente diversi anche per il suo contenuto: il mondo irlandese custodisce fra i secoli VII e IX il patrimonio della cultura classica e lo riporta in Europa attraverso l'opera degli ordini religiosi da Colombano in poi; il mondo britannico è invece il centro delle leggende cavalleresche che prendono nome dal re Arturo e che si saldano sul continente con le altre di origine germanica.

Il fattore politico è stato fino ai nostri giorni l'ostacolo principale alla diffusione e alla vitalità delle lingue celtiche, che non hanno mai potuto rappresentare un'unità nazionale. Dei sette gruppi del sec. VIII, quello dei Cimri settentrionali scompare prima del 1000, quello cornico o di Cornovaglia rimane linguisticamente documentato molto più a lungo, ma scompare del tutto col sec. XVIII; quello dell'isola di Man sta morendo ai nostri giorni. È chiaro che la nuova situazione politica dell'Irlanda (v.), potrà avere conseguenze importanti per un rifiorire della lingua irlandese.

Il fattore religioso ha avuto invece effetti diversi. Nella lingua gaelica di Scozia la gerarchia ecclesiastica irlandese ha esercitato un'azione conservatrice fino a quando la Scozia non è passata sotto la chiesa anglo-sassone, la quale ha esercitato, come è ovvio, influenza snazionalizzatrice. La riforma protestante, mirando a far arrivare al popolo il testo della Bibbia, ha provocato traduzioni della Bibbia stessa nelle lingue celtiche, e precisamente nel gaelico di Scozia, nel gaelico di Man e in cimrico. Nei paesi rimasti cattolici la religione non ha rallentato la decadenza linguistica né in Irlanda, né in Bretagna.

Riassumendo, le sorti delle lingue celtiche sono affidate in Irlanda al prestigio sociale e politico del nuovo stato, in Scozia e nel Galles alla persistente cultura religiosa del popolo, in Bretagna solo al culto di tradizioni, fortissime, è vero, ma che né la politica né la religione espressamente favoriscono.

Sopravvivenze delle lingue celtiche. - Il mondo linguistico celtico non è scomparso dalle due Gallie senza lasciar tracce. Tuttavia poche, e fra queste la numerazione per "ventine", del tipo francese quatre-vingts, si sottraggono a discussioni e dubbî. L'opinione dell'Ascoli che i passaggi del tipo a in ä, u in ü nei dialetti romanzi delle corrispondenti regioni risalgano a una reazione "etnica" dei Celti, è tuttora accettabile sia pure nella formulazione più generica di una tendenza a formare vocali miste, intermedie fra le due serie palatale e labiale. Tuttavia la corrispondenza geografica non è perfetta: dall'esistenza di vocali miste non si può arguire l'esistenza di un sostrato celtico perché questa innovazione, partita da un'area effettivamente celtica, si può essere diffusa come innovazione romanza. Altra cautela è imposta dal fatto che tendenze sicuramente celtiche, come il passaggio del gruppo kt a ht, o la palatizzazione delle consonanti davanti a vocali palatali erano proprie anche di altre aree linguistiche; per cui una stessa innovazione romanza può essere attribuita in una zona al sostrato celtico, in un'altra a un sostrato magari illirico. Al contrario non può essere presa in considerazione per negare l'influenza del sostrato la diversa intensità con cui una tendenza celtica si manifesta nelle lingue celtiche e nelle lingue romanze sovrapposte: come l'indebolimento e la scomparsa di certe consonanti intervocaliche, che in celtico è un fatto anche di fonetica sintattica e colpisce quindi talvolta consonanti iniziali, mentre nelle lingue romanze si limita all'interno della parola; infatti le lingue romanze avevano ereditato dal latino una salda individualità della parola nella frase e contro questa individualità la tendenza alla lenizione non ha potuto prevalere e si è contenuta in limiti più ristretti.

Problemi più precisi offrono invece le reliquie lessicali celtiche. Le sopravvivenze più antiche sono quelle germaniche; il nome di "re" e di "regno" che suona in gotico reiks e reiki (e che rimane anche nel tedesco moderno nella forma di Reich) deriva da un celtico rix e rugyon, cfr. l'irlandese ri e rige; il gallico ambactus, quale ci appare in forma latina, sopravvive pure nel gotico andbahts "servo", andbahti "servizio" e conseguentemente nel tedesco moderno Amt. Qualche sopravvivenza celtica è rimasta pure in greco: il nome della "spada" in irlandese gae, appare in greco sotto forma gallica, γαῖσος. Ma, anche nel campo lessicale, il nucleo delle sopravvivenze celtiche si trova nelle lingue romanze, e la loro serie si è venuta accrescendo negli ultimi anni attraverso i lavori di J. Jud e V. Bertoldi; se anche riguarda più direttamente fra le lingue celtiche il gallico (v.), è importante per tutto il mondo celtico che alle parole celtiche tradizionali come "becco", "braca", "gamba", "cavallo", "gatto", si siano accompagnate categorie intere di vocaboli, in particolare di contenuto botanico e comunque campagnolo. È a notare tuttavia che fra le parole romanze di origine celtica sono da distinguere due gruppi: quello più antico che risale ai tempi del latino classico ("carro") e quello recente che è rappresentato meglio col binomio bretone-francese che con quello celtico-romanzo. L'inglese, contrariamente ad ogni attesa, è estremamente scarso di avanzi celtici: e qui la condizione è ancora più grave che per la fonetica e la morfologia, perché l'inglese, con le immigrazioni nordiche e soprattutto con quella normanna, ha subito nella lingua una rivoluzione essenzialmente lessicale, che può avere eliminato anche gli ultimi superstiti dei vocaboli britannici che fossero riusciti a passare nel primitivo anglo-sassone. Diverso è invece il caso dell'inglese della Cornovaglia: là il dialetto britannico o cornico si è spento solo nel sec. XVIII e per es., nei termini connessi col mare, si trova buon numero di sopravvivenze celtiche.

Un'ultima categoria di sopravvivenze è quella data dai nomi locali; non tutti sussistono più ai nostri giorni: ma anche quelli documentati non oltre il periodo imperiale sono un'efficace testimonianza della massima espansione raggiunta dai Celti. Città importantissime dell'Europa attuale hanno un nome di origine celtica: Londinion (Londra), Vindobona (Vienna), Moguntiacum (Magonza), Mediolanum (Milano); Parigi conserva il nome di un popolo, dei Galli Parisii; Dublinti, per quanto non attestata in forma molto antica, è pure nome celtico. I nomi tipici di città sono quelli in -dunum, attestati per tutta l'Europa: Senodunum in Irlanda (Shandon), Lugdunum in Francia (Lione) e in Olanda (Leida), Cambodunum in Baviera (Kempten), Ebrodunum in Svizzera (Yverdon) e nelle Alpi Marittime (Embrun), Virodunum in Francia (Verdun). Senza aver mantenuto la forma originaria, sono noti Caladunum in Portogallo, Noviodunum oltre che in Svizzera (Nyon) anche in Romania, finalmente Singidunum, l'odierna Belgrado. Alcuni altri composti sono molto frequenti, per es., quelli con -magos "campo"; Rotomagos (Rouen), Noviomagos (Noyon). L'elemento -dunum si è conservato vitale anche tardi, per es. in Augustodunum (Autun). Finalmente sussistono come toponimi, nomi di popoli gallici: Tricasses (Troyes), Bituriges (Bourges), Eburovices (Évreux), Atrebates (Arras), Mediomatrici (Metz). La toponomastica celtica promette risultati importanti nelle zone di confine non ancora completamente studiate, come l'Italia settentrionale e la Germania occidentale; molto meno nelle zone più lontane, in cui la continua sovrapposizione di nuovi strati linguistici, e la minor facilità di un controllo scientifico lasciano una gran parte al lavoro di fantasia.

Storia della filologia celtica. - Il concetto di lingue celtiche, a differenza di quello dei popoli celtici, non è molto antico. Mentre la celtomania aveva un rappresentante fin dal sec. XV con Annio di Viterbo, il concetto linguistico esatto è rappresentaio per la prima volta nell'Archaeologia Britannica di Edward Lhuyd (Oxford 1707), la classificazione dei due gruppi gallico e britannico nel Mithridates di Adelung (1809). Il carattere indoeuropeo delle lingue celtiche è stato riconosciuto piuttosto tardi: dopo Pritchard e Pictet, Bopp ha esattamente formulata la tesi indoeuropea solo nel 1838. Johannes Caspar Zeuss pubblicava nel 1853 la prima grammatica comparativa che, nella revisione di H. Ebel del 1871, è stata lo strumento essenziale per gli studî di linguistica celtica fino a quella di H. Pedersen (2 voll., Gottinga 1909-1913). I testi irlandesi pubblicati da diversi studiosi fra cui H. Zimmer e E. Windisch in Germania, Graziadio Ascoli e Costantino Nigra in Italia, sono comodamente raccolti, anche se in modo non perfetto, nel Thesaurus Palaeohibernicus (Cambridge 1901-1903) a cura di W. Stokes e J. Strachan.

Il materiale lessicale è stato raccolto da W. Stokes nell'Urkeltischer Sprachschatz, Gottinga 1894; ma il lavoro preparatorio è ancora insufficiente. Graziadio Ascoli aveva iniziato e condotto a buon punto il Glossarium palaeohibernicum, Torino 1889-1907; ma alla puntata che fu pubblicata postuma, non ne è seguita più nessun'altra, sicché mancano ancora cinque lettere dell'alfabeto. Tuttavia il ramo gaelico si trova in una condizione più favorevole di quello britannico, perché mentre l'irlandese offre un quadro sufficiente di tutto il gruppo, il cimrico e il bretone sono già diversi fra loro e anche nel corso dei secoli hanno subito influenze troppo divergenti perché possano essere studiati in modo unitario; e la grammatica irlandese si trova in condizioni di privilegio, sia nella comparazione con le altre lingue indoeuropee, sia anche come salda unità rappresentativa del mondo linguistico celtico. La grammatica di R. Thurneysen (Handbuch des Altirischen, Heidelberg 1909) e quella di J. Vendryes (Grammaire du vieil irlandais, Parigi 1908) hanno importanza per tutto il mondo celtico; e importanza generale hanno altresì le ricerche sui due punti fondamentali della grammatica irlandese, l'accentuazione del verbo, scoperta contemporaneamente, insieme col Thurneysen, da H. Zimmer nel 1884, e la lenizione, illustrata dal Pedersen nel 1897.

Risonanza più limitata rispetto al mondo celtico complessivo hanno i lavori intorno alle lingue britanniche; delle quali sono benemeriti in prima linea J. Loth (Chrestomathie bretonne, Parigi 1890), J. Strachan (Introduction to early Welsh, Manchester 1908), J. Morris Jones (A Wehh Grammar, Oxford 1913).

Lo studio dei dialetti moderni è nato naturalmente in tempo più recente. I lavori principali sono quelli di F.N. Finck, Die Araner Mundart Marburgo 1899; E. C. Quiggin, A Dialect of Donegal, Cambridge 1909; A. Sommerfelt, Le Bréton parlé à Saint-Paul-de-Léon, Parigi 1921. Fra i celtisti viventi che non sono stati citati in quest'ultimo capitolo vanno ricordati O. Bergin, J. Pokorny, J. Baudiš, C. Marstrander. Le principali riviste in cui compaiono i nuovi contributi di filologia celtica sono: la Revue celtique di Parigi dal 1871, la Zeitschrift für celtische Philologie di Halle dal 1896, la Èriu di Dublino dal 1904.

Bibl.: Sulle lingue celtiche in generale: E. Windisch, in Ersch e Gruber, Enzyklopädie der Wissenschaften, XXXV, pp. 133-180; E.C. Quiggin, Celt, in Encycl. Britannica, 11ª ed., V, pp. 613-622; H. Zimmer, in Hinneberg, Kultur der Gegenwart, I, xi, i, pp. 16-46; J. Pokorny, in Reallexikon der Vorgeschichte, VI, pp. 296-300. Reliquie dei dialetti celtici viventi, raccolte negli anni 1907-08, sono conservate nella discoteca di Vienna: cfr. Anzeiger der Akademie der Wissenschaften, 1908, nn. V, XXVI; 1909, n. XXVII.

Celtico e indoeuropeo: A. Meillet, Les dialectes indoeuropéens, 2ª ed., Parigi 1920; Vendryes, Mém. de la Soc. de ling. de Paris, XX (1920), p. 268 segg.

Per i rapporti fra celtico e italico: A. Walde, Über ältestensprachl. Beziehungen zwischen Kelten und Italikern, Innsbruck 1917; Vendryes, in Revue celtique, XLII (1925), pp. 379-390.

Divisioni dialettali: J. Rhys, The Celtic inscriptions of France and Italy, Londra 1907 segg.; G. Dottin, la langua gauloise, Parigi 1920; J. Rhys, British Academy, Celtae and Galli, Londra 1905; J. Loth, in British Academy, Celtae and Galli, Londra 1905; J. Loth, in Revue celtique, XXXIX (1922), p. 58 segg.

Sui sostrati preceltici: W. Stokes, in Beitr. zur Kunde der indog. Spr., XVIII (1895), p. 84 segg. (per i Piti); H. Zimmer, in Zeitschr. für celt. Phil., IX (1913), p. 103 segg.; J. Pokorny, ibid., XVI (1925), p. 95 segg., 231 segg.; J. Baudiš, in Revue celtique, XXXIX (1922), p. 33 segg.; XL (1923), p. 104.

Per gli elementi stranieri: J. Loth, Les mots latins dans les langues bretonniques, Parigi 1892; J. Vendryes, De hibernicis vocabulis quae a latina lingua originem duxerunt, Parigi 1902; Marstrander, Bidtrag til det norske sprogs historie i Irland (Contributo alla storia della lingua norvegese in Irlanda), Cristiania 1915; Zimmer, in Sitzungsber. der Berl. Akademie, 1891, p. 299 segg.

Per la grammatica comparativa delle lingue celtiche: H. Pedersen, Vergl. Grammatik der kelt. Sprachen, voll. 2, Gottinga 1909-1913.

Per le singole lingue celtiche vedi bretagna (vol. VII, pag. 828); gallia: Lingua; galles: Lingua; irlanda: Lingua.

Per i rapporti fra Gaeli e Britanni: G. O' Rahilly, Ireland and Wales, their historical and literary relations, Londra 1924; Zimmer, loc. cit., pp. 16-34; K. Meyer, ibid., p. 69 segg.

Per le sopravvivenze celtiche: Ascoli, in Riv. di filologia, X (1881), p. 1 segg.; Meyer-Lübke, Einf. in das Studium der rom. Sprachwiss., 3ª ed., Heidelberg 1920, p. 37 segg.; Terracini, in Riv. di filol., XLIX (1921), pp. 401-430; Vendryes, in Revue de ling. romane, I (1925), p. 262 segg.; R. Thurneysen, Keltoromanisches, Halle 1884; Förster, Engl. Studien, LVI, p. 204 segg.; J. Jud, in Romania, XLVI, p. 465 e passim; A. Holder, Altkeltischer Sprachschatz, Lipsia 1896 segg.

Per la storia degli studî celtici: V. Tourneur, Esquisse d'une histoire des études celtiques, Liegi 1905; R. Thurneysen, in Gesch. der indogerm. Sprach- und Altertumskunde, Strasburgo 1916, II, i, p. 281 segg.

Religione.

I gruppi celtici e la loro unità. - Non è possibile studiare utilmente le istituzioni religiose dei Celti senza esaminare nello stesso tempo i documenti originarî delle varie regioni celtiche: Gallia, Irlanda, Gran Bretagna. La maggior parte degli autori che hanno trattato tale questione ha trascurato di farlo; anzi, uno di essi, il Fustel de Coulanges, ha condannato questo metodo, sotto il pretesto che tutte quelle-civiltà fossero separate da troppo lunghi intervalli di tempo. Ma, se pure tra le notizie di provenienza irlandese e quelle della Gallia e del Galles v'è una distanza di una decina di secoli, non va dimenticato tuttavia che tutti questi documenti sono collegati tra di loro e che assai spesso si tratta di tradizioni orali, messe in iscritto quando cominciavano ad essere dimenticate. Sotto questo punto di vista, l'esempio dei Mabinogion è particolarmente significativo, trattandosi d'una mitologia da gran tempo tramontata e trasformata in novellistica: prova che la sostanza dei racconti era anteriore alla loro redazione scritta.

Altre ragioni ancora consigliano di studiare insieme queste manifestazioni diverse d'uno stesso sentimento religioso. Questi popoli celtici, che erano in continue relazioni fra di loro, dovevano somigliarsi. Già gli antichi avevano conoscenza di tale solidarietà: Marsiglia era in relazione con i Galli della Gallia, e nel 197 a. C., quando gli ambasciatori di una città dell'Asia Minore sbarcarono al Lycaon, il Senato consegnò loro delle lettere di raccomandazione per i Galli Tectosages. Questo semplice fatto dimostra che già nell'antichità si riconosceva l'esistenza di un legame abbastanza stretto tra quei popoli lontani.

Questa solidarietà non si può spiegare se non col sentimento della comunanza d'origini, d'una parentela reale. L'esistenza di un corpo sacetdotale, i Druidi, comune ai varî gruppi celtici, è una riprova del legame effettivo ćhe li univa tutti. L'istituto dei Druidi ai quali era affidata la conservazione delle tradizioni antiche, non è proprio di un piccolo popolo, ma corrisponde a un vasto organismo internazionale. I Druidi della Gallia avevano rapporti con quelli della Bretagna; le tradizioni irlandesi permettono di stabilire l'esistenza di rapporti fra l'Irlanda e la Bretagna. Non pare verosimile che un tale corpo sacerdotale, che possedeva delle istituzioni giuridiche, una morale sua, una dottrina sull'immortalità dell'anima e che esercitava la sua azione su tutta la massa dei Celti, non sia esistito in tutto il territorio, sul quale questa civiltà si è sviluppata.

Appunto l'esistenza di questo corpo sacerdotale comune condiziona l'unità di questa religione celtica, il materiale della quale - gallico, irlandese e bretone - non è esattamente comparabile, e i cui dei ci sono noti come quelli di una religione inferiore, buoni dei popolari riuniti in gruppi e nascosti sotto le sembianze delle grandi divinità del pantheon greco-romano. Difatti, l'istituto dei Druidi corrisponde al carattere dell'organizzazione propria alla società celtica, divisa in clan, i quali, nel momento in cui noi ne afferriamo l'esistenza, sono in via di riduzione, di esaurimento o di accrescimento: società segrete, in cui si entra, non più soltanto in base a un vincolo di parentela, ma per cooptazione. Appunto perché la società celtica era stata una società organizzata in clan, vi troviamo società di sacerdoti - i Druidi - paragonabili solo alle società segrete dell'America del Nord. Sono gruppi politico-domestici, famiglie, che vivevano sparsi, e solo più tardi, in Gallia, cominciarono a concentrarsi in oppida. In Irlanda l'evoluzione fu più lunga e più lenta. I testi irlandesi, contemporanei all'era cristiana, descrivono una condizione sociale analoga a quella della Gallia Hallstattiana. A questo stato di disgregazione corrispondono dei punti di concentramento temporanei, ma fissi: dei santuarî che tuttavia non sono città propriamente dette se non durante le feste stagionali. Di qui l'importanza predominante delle feste nella religione celtica, la quale appare come una religione di feste periodiche, e dove commemorazioni drammatiche dànno luogo a un rituale. Infine, in queste società basate sui clan e sulle famiglie, che vivono sparse e solo in certi periodi dell'anno vengono in contatto fra loro, il culto degli antenati ha particolare importanza e l'eroe della festa acquista una posizione preminente. Come in Irlanda, la mitologia, l'epopea e le leggende degli eroi celtici si regolano sulle feste. Gli eroi sono gli antenati dei gruppi; è questa una caratteristica delle società fommate da gruppi politico-domestici, dove il legame è costituito dalla parentela, ed è così che Dis Pater apparisce come l'antenato della società gallica.

Le fonti. - I testi relativi alla religione celtica, che si possono spigolare nelle narrazioni degli scrittori antichi, si riferiscono gli uni alla Gallia Transalpina, gli altri alle rimanenti regioni celtiche. Sono di epoche molto diverse: il primo gruppo è il più recente, posteriore al 100 a. C.; il secondo, più antico, conserva il ricordo di credenze meno contaminate da elementi estranei. Queste notizie ci vengono da scrittori classici, greci o romani: Ammiano Marcellino, Timagene, Diodoro Siculo, Strabone, Cesare, Plinio il Vecchio, Tacito, Dione Cassio, Lucano, ecc. Il più importante è sempre il libro VI dei Commentarii di Cesare, ma; come tutti gli altri documenti, esso non ci fa conoscere quali erano effettivamente le credenze e le pratiche religiose dei Celti, bensì l'interpretazione data loro da stranieri, talvolta anche da avversarî. Alcune notizie si ricavano anche dalle vite dei santi e da autori cristiani, come Gregorio di Tours, ma anche qui ci troviamo in presenza di autori avversi alla religione, di cui riferiscono le manifestazioni. Una fonte migliore sono le iscrizioni con dediche a divinità e i monumenti figurati scoperti nei paesi celtici (statue, statuette, monete). Tuttavia ogni tentativo di interpretazione deve essere fatto con la massima prudenza e molto senso critico. Le fonti sono dunque manifestamente insufficienti e non possono fornire elementi a un'esposizione ordinata, se non si colmino le troppo numerose e importanti lacune ricorrendo all'interpretazione e all'ipotesi. Insomma, nessuna delle religioni celtiche ci è nota nel suo insieme; d'altra parte le notizie che ne abbiamo non sono contemporanee e perciò il lavoro della comparazione, che potrebbe integrare l'una con l'altra, è molto delicato. Degl'Irlandesi e dei Galli non conosciamo se non la mitologia, della quale cerchiamo di afferrare le forme evanescenti attraverso la leggenda eroica; della religione dei Galli rimangono solo dei fantasmi di divinità camuffate alla romana, senza personalità definita. Eppure, forse proprio nello studio dell'antica letteratura degl'Irlandesi e dei Galli, si potranno ritrovare altre tracce di questa religione quasi interamente scomparsa. D'Arbois de Jubainville aveva tentato una volta di rintracciare i miti degli dei gallici nelle leggende irlandesi. Abbandonato per qualche tempo, questo metodo scientifico e sensato è stato ripreso da Henri Hubert, il quale l'applicò con successo all'interpretazione dei monumenti relativi ai culti di Epona, di Sucellus, di Nantosuelta e alla rappresentazione dell'Oceano presso i Celti. Tutti questi documenti non potrebbero quindi essere studiati su un medesimo piano, ma piuttosto in un ordine cronologico, che non è quello dei testi. Infatti i Celti si sono evoluti in ragione del loro contatto col Mediterraneo, e perciò la società irlandese si è conservata più arcaica delle altre, e le varie comunità celtiche si rassomigliano fra loro come parenti di età molto diversa. Tali dissomiglianze possono dare un'immagine di quella evoluzione.

Sopravvivenze di totemismo. - Insomma è necessario estendere il campo di comparazione e ricollocare i Celti nel loro ambiente. Fra i gruppi Indo-Europei i Celti appartengono aglî Occidentali, coi quali essi presentano le affinità più strette. Ora, questi gruppi sociali, nel momento stesso in cui cominciarono a differenziarsi e a separarsi, avevano già raggiunto un grado abbastanza alto di sviluppo e di differenziazione politica, religiosa e giuridica. Lo stesso accadeva per le famiglie. Però, prima di arrivare a questo stadio, esse avevano dovuto passare per lo stadio totemico. Di tale epoca, troviamo presso i Celti tracce non dubbie, in tre istituzioni: la caccia ai cranî, l'affratellamento mediante il sangue, il potlach, sopravvivenza di un tempo in cui la vita sociale e religiosa erano concentrate nei clan. Secondo Posidonio i Galli tagliavano le teste dei loro nemici morti (Diodoro, V, 29, 5). Sono stati trovati scheletri decapitati, e, al Puig Castellar (Spagna), dei cranî trafitti da un chiodo; rappresentazioni di teste tagliate sono molto frequenti nei monumenti (monete, pilastro di Entremont, fregio di Nages). Nel santuario di Roquepertuse, nel portico porta-trofei che precedeva il luogo sacro, erano state scavate delle nicchie, che contenevano dei cranî, le cui ossa sono state trovate durante gli scavi. Questa usanza non scompare con l'antichità: il portale della chiesa di Clonfert, in Irlanda, era ornato ancora nel sec. XII da fregi di teste tagliate. Sembra che in questo paese il raccogliere cranî potesse costituire un obbligo rituale per i giovani che raggiungevano l'età virile. Tacito (Germ., 31) parla di un'usanza analoga presso i Chatti, che non si tagliavano barba e capelli finché non avessero ucciso un nemico (v. cranio: Cacciatori di teste e cranî-trofei).

Fu fatta più volte l'ipotesi di un totemismo celtico, consistente nel culto di specie animali, considerate dai clan come progenitori o la cui immagine adoperavano come insegna. Uno dei principali sostenitori di questa tesi è Salomone Reinach, il quale ha fatto la lista delle sopravvivenze totemiche fra i Celti (culto degli animali sacri e degli animali figurati). Il Conrady ha creduto di riconoscere negli stemmi dei clan scozzesi esempî di emblemi totemici. Fra tutte queste ipotesi, una sola appare solidamente costruita, ed è quella che S. Reinach ha formulato riguardo alla dea Artio e alla sua orsa.

Gli dei. - Il testo più esplicito che ci è pervenuto intorno alle divinità del pantheon celtico è un noto passo di Cesare (De bello gall., VI, 17). Il dio che i Galli onorano sopra ogni altro è Mercurio, che considerano inventore di tutte le arti, custode delle vie e guida dei mercanti. Dopo di lui vengono Apollo, dio risanatore, Marte, dio della guerra, Giove, il gran dio del cielo, e Minerva, la dea delle arti e dei mestieri. Non si deve però intendere questo testo alla lettera. Non è possibile una fusione così completa fra le divinità galliche e le cinque grandi divinità greco-romane, e neanche Cesare commette questo errore; egli ci avverte che queste identificazioni sono soltanto approssimative. Del resto gli autori antichi non sono meglio informati di lui, né dimostrano un senso critico più acuto. Lucano (Phars., I, 444) segnala una triade, bramosa di sacrifizî cruenti: Teutates, Taranis e Esus. Luciano (Herc., I, 3) ci fa sapere che i Celti davano ad Ercole il soprannome di Ogmios e lo figuravano come un vecchio armato di arco e di mazza, che conduceva con la lingua gli uomini incatenati per le orecchie. Callimaco (IV, 173), Floro (11, 4), Silio Italico (IV, 200-202), Ammiano Marcellino (XXVII, 4, 4) conoscono un Ares-Marte ai tempi delle migrazioni. Galati avrebbero avuto una venerazione particolare per Artemide (Plutarco, De mul. virt., XX), gli Insubri per Atena (Polibio, II, 32, 6), i Celti abitanti sulle rive dell'Oceano per i Dioscuri (Diodoro, IV, 56, 4).

I testi epigrafici ci mostrano che le grandi divinità latine erano a volte associate agli dei celtici. Belenus, Borvo, Grannus, Maponius, Moritasgus, Siannus sono assimilati ad Apollo; Belatucadrus, Camulus, Cocidius, Latobius, Rudianus, Segomo, Vintius a Marte; Atesmerius, Cissonius, Visucius a Mercurio; Belisama e Sulis a Minerva. Dalle stesse fonti si ricava un certo numero di nomi proprî preceduti dalla parola deus o dea: Alisanus in Borgogna, Anvalus a Autun, Baco a Châlon-sur-Saône, Brixantus nella Nièvre, Gisacus a Évreux, Ialonus a Lancaster, Ibosus a Néris, Matunus nella Gran Bretagna, Nemausus a Nîmes, Nerius a Néris, Nodons nella Gran Bretagna, Ouniorix nella Champagne, Rudiobos a Orléans, Ucuetis a Alise, Uxellus a Hyères. Tra le dee: Ancasta e Latis nella Gran Bretagna, Brigantia, Burorina a Domburg, Camuloriga a Soissons, Icauvellauna sul Reno, Mogontia, Noreia nel Norico, Rosmerta nella Costa d'Oro, Segeta sulla Loira, ecc. A questa lista incompleta bisogna aggiungere le Matres o Matronae, le divinità delle sorgenti, delle strade, a volte a gruppi di due, tre o anche quattro.

I monumenti figurati ci fanno conoscere ancora altre divinità: il dio toro, Tarvos Trigaranus; Cernunnos, il dio dalle corna di cervo; Smertullos, degli altari di Parigi, Suceluts e Nantosuelta, la dea dell'alveare, Epona protettrice dei cavalli, il dio con il maglio così spesso raffigurato da statuette di bronzo, i tricefali di Reims, di Dennevy, di Beaune, di Langres, gli dei accoccolati di Velaux, di Roquepertuse e di Autun, la dea Artio e la sua orsa, di Berna.

Divinità con nomi ed attributi romani, divinità gallo-romane con nomi celtici, mostri: tali sono gli elementi di cui disponiamo per ricostituire il pantheon celtico. Fra le ipotesi proposte una delle più ingegnose è quella di Camille Jullian. Il Jullian crede all'esistenza di un grande dio nazionale, Teutates, "interpretato" più tardi in Mercurio o Marte, ma questo dio non è un essere dotato di "un nome proprio, personale, immutabile, una fisionomia precisa e definita... questo dio era invisibile, immateriale e senza nome". A questo Teutates si adatterebbero le caratteristiche che Cesare attribuisce al Mercurio e al Marte gallici. Accanto al dio, egli pone due divinità femminili che gli sono compagne o mogli. Una era la patronessa degli operai; anch'essa prendeva parte alle lotte contro i nemici della nazione, ma era più una Minerva delle opere della pace che una dea delle battaglie. L'altra divinità sarebbe stata una Terra, talvolta "interpretata" come Maia o come Vesta. Accanto a questi dei maggiori, Belenus rappresenta la forza tienefica del sole, Sirona "produceva senza dubbio nello stesso tempo la dolce luce lunare e le acque salubri delle fonti", Taranis, il Giove gallico, dominava nei cieli. Fra le divinità che rappresentano gli elementi distruttori vi è una specie di Vulcano gallico e Esus che sarebbe stato, dopo Teutates, la maggiore divinità dei Galli. L'aspetto di questa divinità varia da tribù a tribù, ma si tratta di forme particolari di una divinità sola. Accanto a questi dei imperiali, come li chiama il Jullian, delle comunità galliche, vi è ancora posto per un'infinità di genî locali, dei delle acque correnti, delle fontane, delle sorgenti termȧli, dei fiumi e dei ruscelli, dei monti e delle colline: Deus Nemausus, Divona, Namphae Griselicae, Dea Arduana, ecc. Talvolta certe divinità locali s'incorporavano con gli dei maggiori e s'identificavano con essi.

Questa ricostituzione di un pantheon gallico è ingegnosa; anzi troppo ingegnosa; rimane sempre molto difficile riconoscere quale divinità si nascondesse dietro la maschera gallo-romana. È verisimile che il nome Teutates sia derivato da teuta "popolo" e che i Galli abbiano dissimulato sotto questo nome la personalità di un dio protettore. Tuttavia non sembra possibile riconoscere in esso un unico dio nazionale dei Galli. Vi possono benissimo essere stati parecchi Teutates, e ciò permetterebbe di spiegare come Teutates, considerato come nome personale, sia stato identificato ora con Marte, ora con Mercurio.

D'altra parte questa ipotesi è troppo sistematica e tiene un conto troppo esiguo delle notizie forniteci dall'archeologia figurata e dalla mitologia irlandese. Non si deve dimenticare che noi conosciamo solo l'esistenza delle divinità popolari dei Celti, pallida effigie dei grandi antenati divini. Prima di tentare la ricostituzione di un pantheon celtico, bisogna cercare gli esseri divini che si nascondono dietro gli innumerevoli dei e genî. Solo con un'analisi precisa del carattere e degli attributi di ognuno, sarà forse possibile un giorno di tentare la sintesi.

Tali studî particolari non sono per ora numerosi. Henri Hubert si era accinto a chiarire le origini di alcune di queste divinità, Sucellus, Nantosuelta, Epona. L'esempio di Sucello è particolarmente importante. "Dio dei dolori infiniti e effimeri, della linfa vitale che ribolle sulla morte, di entusiasmi mortiferi, dell'ebbrezza permessa nei giorní di festa e della fatica quotidiana dei lavoratori; dio singolare, grandioso o grottesco, forse bonario in fondo, il dio dal maglio, Dispates e Sucellus, il grande dio dei Celti, si avvicina a Dioniso, che aveva dato la birra ai Traci prima che il vino ai Greci, e all'Orfeo della filosofia mistica. Questo grande dio dei Celti apparisce sotto varie forme. Sappiamo da monumenti epigrafici o anepigrafici che in una parte della Gallia il nome di Sucello o di Silvano fu attribuito ad una figura divina, al dio dal maglio, rappresentato ora cogli attributi del primo ora con quelli del secondo. Questo fatto contiene in sé la prova di un doppio lavorio di definizione e di rappresentazione che andava compiendosi nella religione gallo-romana, la quale traduce in latino i nomi degli dei indigeni ad uso degl'immigrati o degli stranieri, ma soprattutto ad uso del popolo bilingue e di doppia civiltà, plasmato dalla conquista. Di fronte alle nuove rappresentazioni che venivano a tradurre in un modo forse troppo netto le figure dei suoi dei, il Gallo doveva fare uno sforzo per riconoscere in esse le sue antiche divinità oscure e famigliari; e per poterle afferrare egli cercò di riconoscerle negli dei latini, che possedevano figure tipiche e attributi plastici mentre le sue divinità avevano attributi poetici, di cui non sempre gl'idoli recavano i simboli. L'arte celtica ha sempre mostrato ripugnanza o, meglio, impotenza a rappresentare delle persone o a raffigurare dei tipi; perciò, quando si fece sentire il bisogno di materializzare le concezioni della divinità, essa ricorse all'iconografia grecolatina. Non è impossibile ricostruire il procedimento mediante il quale Sucello fu assimilato a Silvano. Quest'associazione ha avuto la sua origine nella religione rustica, giacché le divinità dei campi devono essere state in prima linea nella religione dei Celti. Così nella statuetta di Orpierre (Alte Alpi) quest'assimilazione si manifesta nell'aggiunta pura e semplice degli attributi dell'uno a quelli dell'altro. Un'altra ragione di pensare che la figura del dio col maglio procede dai tipi di Silvano ci è fornita dalla distribuzione geografica di questo tema iconografico. Salvo un'eccezione, tutti i monumenti che lo rappresentano sono stati trovati a est di una linea che va dal basso Reno a Reims, comprendendo la valle dell'Allier e arrivando al Mediterraneo presso Saint-Gilles. Ora, il culto di Silvano ha la medesima estensione, limitata alla striscia orientale della Gallia e alla Narbonese. Se ora vogliamo ricercare le cause che hanno prodotto la confusione delle due divinità, essa non sta nel fatto che la confusione delle immagini abbia fatto notare le analogie esteriori; ma all'opposto, nel fatto che l'una e l'altra divinità presentavano analogie profonde, affinità intime personali, funzioni divine quasi eguali.

Nella regione gallica del Danubio e nella Gallia una sessantina di rilievi e di figurine rappresentano una dea seduta sul fianco destro di un cavallo in moto e fornita generalmente di attributi di un'Abbondanza, di una Fortuna, o delle Matres. Si ammette che queste figure rappresentino l'Epona delle iscrizioni o dei testi, dea dei cavalli e dei cavalieri, protettrice delle stalle. Queste figure, con certe varianti nei particolari, presuppongono l'esistenza di un mito, di cui si è creduto di ritrovare il prototipo nella leggenda di Pwyll, principe di Dyved e in quella di Manawyddan, figlio di Llyr, nei Mabinogion.

Gli esempî qui riportati basteranno a dimostrare quanto rimanga ancora da fare per chiarire la mitologia dei Galli. Accanto ad alcune grandi divinità, il cui aspetto differiva certamente secondo i gruppi, si scopre ancora un culto primitivo della natura, degli animali e delle forze agresti. Di qui le divinità particolari dei monti, delle foreste, dei campi, delle strade, dei fiumi, le divinità del cielo, del sole, della fecondazione e della vegetazione. Associati dopo la conquista alle divinità romane, questi dei perdono sì la loro personalità, almeno in parte, e si trasformano; tuttavia hanno dovuto sopravvivere, più o meno riconoscibili, nelle credenze delle campagne; e il loro ricordo dura delle leggende medievali popolate di spiriti e di demonî.

Gli eroi. - L'immagine più fedele di ciò che erano le popolazioni celtiche e del carattere delle loro credenze religiose, malgrado il grande intervallo di tempo che li divide dall'antica storia celtica, si trova nei miti irlandesi. Le avventure dei Tuatha De' Danann, dei Fomore, dei Firbolg, sono una fonte importante, che si presenta sotto l'aspetto di una storia, e nella quale i personaggi appaiono come esseri che hanno realmente vissuto, e che hanno superato la morte. Sono eroi sovrumani, non soprannaturali, legati a un dato territorio, abitanti nelle loro tombe, e che hanno subito, sia per reincarnazione, sia per omonimia, un processo di ringiovanimento: fatto comune in tutte le religioni; ma che si presenta qui sotto un carattere più sistematico (Tochmarch Etain: "risurrezione di Etain"; nel Munster, reincarnazione di Eine).

Nelle sue narrazioni mitologiche l'Irlanda ci si presenta come una-società con capi e con feste periodiche, a mezza via tra l'aggregato tribale e l'organizzazione monarchica una confederazione di clan (tuatha), divisi in grandi famiglie agnatizie (fine), e raggruppati in tribù (morthuatha), riunite insieme in regni che hanno tra loro relazioni più o meno deboli. Le città sono rare e la popolazione vive dispersa nei campi. Il solo legame è costituito dalle feste dei clan, del regno, della nazione, che cadono nelle stesse date stagionali del calendario celtico. L'anno irlandese è diviso in due grandi periodi di 6 mesi ognuno, e questi alla loro volta in 2 stagioni di 3 mesi l'una, suddivise in due semi-stagioni. Nel primo giorno di ogni stagione cade una festa solenne: Samhuin il 1 novembre, Begen il 1 maggio, Lugnasad il 1 agosto e Imbolc il 1 febbraio. Le prime tre di queste feste venivano celebrate con molta solennità da tutti i clan, ciascuno per proprio conto; ma in ciascuna di queste feste vi era anche una riunione generale, alla quale partecipava tutto il paese e che si teneva a Tara per Zamhuin, a Uisnech Midi per Belten, a Tailtizu per Lugnasad. Patrono di queste feste è l'eroe che è simbolo ed emblema di un gruppo sociale. Conchobar è un eroe del Samhuin, come Diarmuid mac Cerbhaill è un eroe del Belten. In questa religione di feste, l'elemento commemorativo è fornito dalla figura dell'eroe. Ognuno dei grandi eroi è per così dire conglobato in una delle feste dell'anno. Con il cristianesimo all'eroe si è sostituito un santo (S. Patrizio).

I luoghi sacri. - Templi costruiti sembra che fossero eccezione; ma non si può dire che non esistessero, sotto forma di dimore permanenti costruite dall'uomo. Plutarco (Caes., 26) e Svetonio (Caes., 54) riferiscono che gli Arverni, impadronitisi della spada di Cesare, la collocarono in uno dei loro templi. Nella dimora sacra delle sacerdotesse dell'isola namnete v'erano travature e coperture (Strabone, IV, 46). Ma le cerimonie del culto si svolgevano per lo più nei boschi, di cui parlano Cesare (Bell. g., VI, 17, 45) e Lucano (III, 390-425). Beleno aveva una di queste dimore nei laghi e nelle paludi di Tolosa (Orosio, V, 15, 25). Nei locis-consecratis (Cesare, Bell. g., VI, 17, 3-5) i tesori consacrati agli dei erano deposti formando un tumulo a cielo aperto.

È attraente il riconoscere uno di questi santuarî a cielo aperto nel temenos scoperto in Gallia, a Roquepertuse presso Velaux (Bouches-du Rhône) e costituito da un emiciclo e da un portico porta-trofei, che fu frequentato dai fedeli dal sec. VI alla metà del II a. C. È un santuario che, a eccezione di qualche casupola e di piccole officine di fonditori, vasai, scultori e pittori, sembra essere stato occupato solo in epoche determinate, senza dubbio durante le feste stagionali. Sarebbe un esempio di uno di quei punti di riunione, temporanei ma fissi, che diventavano città propriamente dette solo durante le riunioni religiose del gruppo.

Le figurazioni religiose. - Non vi è dubbio che i Celti possedessero degli idoli. Cesare (Bell. g., VI, 17,1) parla dei plurima simulacra di Mercurio, e le scoperte archeologiche hanno portato alla luce un certo numero di immagini. Si può farsene un'idea dalle informi statuette lignee raccolte nel tempio di Châtillon-sur-Loing. Attualmente, possiamo riconoscere due gruppi di rappresentazioni, appartenenti alla regione del Reno e alla zona mediterranea. Al primo gruppo si collegano i monumenti di pietra, la piramidi di Saint-Goar, la testa di Heidelberg, e il blocco a sezione rettangolare, già sormontato da una figura umana, di cui è rimasto solo un braccio (Museo di Stoccardarda al secondo, le statue di dei accoccolati di Velaux e il fantastico uccello, metà rapace, metà palmipede, dello stesso santuario. Il gruppo delle figurazioni religiose dei Celti è completato da un certo numero di piccole statuette di rame e di bronzo, di cui è indubbio il carattere indigeno, qualunque sia la data loro attribuita. Sono generalmente degli dei seduti con le gambe incrociate sotto il corpo, dei quali alcuni hanno il collare (torques) sul collo, altri lo tengono in mano: altri ancora hanno per distintivo delle corna di cervo sulla fronte.

Sul celebre vaso argenteo di Gundestrup (Danimarca) si ha la figurazione sintetica del mondo divino dei Celti: dei delle feste stagionali sulle lastre esterne, scene di sacrifizio sulle interne.

Il sacrificio. - Lo stesso vaso di Gundestrup è per noi la fonte più importante per lo studio dei riti religiosi dei Celti. Le rappresentazioni figurate che adornano le sue pareti esprimono simbolicamente e in maniera particolareggiata i miti della cerimonia alla quale il vaso era destinato. È noto che la caldaia era l'utensile principale della cucina dei Celti che, salvo eccezioni, usavano bollire la carne e preparavano la birra. Ora, la loro cucina religiosa segue da vicino le tradizioni della cucina laica. Nei poemi irlandesi sono descritte le caldaie di Dagde, di Goibniu, in quelli del Galles la pentola rigeneratrice di Branwu.

Le decorazioni del vaso di Gundestrup sono in stretto rapporto con il suo uso sacrificale. Nel fondo è figurato un sacrifizio, nel giro il sacrifizio è ripetuto ed è sviluppato il mito della nascita del dio; all'esterno sono rappresentate le condizioni del sacrifizio, il tempo, il ciclo delle stagioni e delle feste corrispondenti. Il dio della caldaia è il dio delle feste.

Il rito principale di queste feste è un sacrifizio che ha per oggetto di assicurare un buon raccolto, la crescita del bestiame e la nascita di bei bambini. In occasione della stessa cerimonia il mondo dei morti si apre (mundus patet di Roma). Sul vaso di cui ci occupiamo è rappresentato il carnivoro androfago, la cagna-lupa mangiatrice di uomini dell'Oceano, immagine dell'oltre tomba e anche del mare. Cesare (VI, 16-17) segnala l'esistenza di sacrifizî umani fatti durante le sacre riunioni. Quanto più grande è il numero delle vittime tanto maggiore il numero delle anime che si possono far uscire dall'oltretomba. La morte e il sacrifizio agrario sono un mezzo di scambiare una certa quantità di vite sacrificate con vite nuove.

Sul vaso di Gundestrup troviamo rappresentate tre vittime, l'uomo, il toro e il cervo, il cui sacrificio non è rappresentato, ma che è in atteggiamento sacrificale. Gli scolî bernesi a Lucano spiegano la natura del sacrifizio umano rappresentato su una delle lastre della caldaia. È un sacrifizio a Teutates, durante il quale la vittima veniva affogata con la testa in giù in una botte smezzata. Questo genere di sacrifizî veniva praticato anche in Irlanda (leggende di Muicertach mac Erca e di Flann mac Dima). Queste leggende ci chiariscono la natura di questa cerimonia, che era un sacrifizio per la risurrezione. Allo stesso modo il sacrifizio annuale a Taranis, durante il quale le vittime venivano bruciate, era una festa con sacrifici: quanto più grande era il numero delle vittime tanto più abbondante doveva essere il raccolto. A Esus si offrivano degli uomini, impiccati ad alberi.

Ma il rituale dei Celti non ha soltanto vittime umane e il vaso di Gundestrup ci mostra il sacrifizio di un toro, che è una vittima scelta (Plinio, XVI, 249). E la caldaia stessa, come ha dimostrato H. Hubert, è stata adoperata per un sacrifizio di grani, usati per la fabbricazione della birra: la caldaia ha servito a fare la birra rituale, la bevanda che procura l'estasi bacchica in un culto che ha per oggetto le primizie del raccolto.

Nel culto delle acque fluviali, Tarvos Trigaranus, il dio dalle tre gru, la divinità delle rive, è sacrificato sotto il suo duplice aspetto, di toro e di albero (bassorilievi di Parigi e di Treviri).

Filosofia e morale. - Non si sa molto sulle dottrine dei Druidi (v.); ma dalle notizie forniteci dai documenti irlandesi si possono ricostituire in parte le idee che avevano sulla natura del mondo, sull'immortalità dell'anima e sui destini dell'uomo dopo la morte.

I Druidi credevano nell'immortalità del mondo e dell'anima, ma il fuoco e l'acqua dovevano un giorno diventarne i padroni assoluti. In Irlanda, al principio del Senchus Mor, si trova una descrizione del mondo, tutta compenetrata delle loro dottrine filosofiche e morali. Come gli sciamani, essi pretendevano di esercitare un'influenza sul sole e sulla terra. Preoccupati di far coincidere l'azione religiosa con certi momenti della vita del mondo, essi ci appaiono quali determinatori di tempi.

La loro dottrina centrale è quella dell'immortalità dell'anima. Cesare (VI, 14 e 19) parla della migrazione delle anime; secondo Diodoro Siculo (V, 28) presso i Celti prevaleva l'opinione di Pitagora, secondo la quale le anime umane sono immortali e, dopo un certo numero di anni, ricominciano a vivere in altri corpi; Valerio Massimo (II, 6, 10) non fa che ravvicinare le due dottrine. Ammiano Marcellino (XV, 9, 4), che attinge senza dubbio a Timagene, è meno affermativo: "Fra di essi, i Druidi, più elevati nelle loro concezioni, siccome attesta l'autorità di Pitagora, riuniti in collegi, s'innalzarono col pensiero verso le cose occulte e profonde e, disprezzando le cose umane, proclamarono l'immortalità delle anime". L'anima non passa dunque immediatamente da un vivente all'altro, e fra le sue reincarnazioni v'è un intervallo. V'è quindi una quantità fissa di anime, alcune delle quali dormono mentre le altre vengono distribuite sulla terra. Dove si trova questa riserva disponibile? Essa attende in un mondo che non differisce dall'orbis alius di Lucano, in un luogo abbastanza simile al mondo dei vivi e che è anch'esso fonte dì vita. I Galli pretendevano di essere nati ex Dite patre, nati dal dio dei morti; dice la tradizione druidica (Cesare, VI, 18). Ma in queste regioni, nelle quali il morto assomiglia esattamente al vivo, non si conduce una vita da ombre: da questo mondo sono venuti gl'invasori mitici, da esso, le generazioni successive che hanno popolato l'Irlanda; tutti sono venuti dall'oltremare, da paesi che la tradizione irlandese considera come terre straordinarie, la Spagna, la Grecia, ecc. In questo orbis alius i viventi fanno frequenti viaggi, dai quali però non è sempre facile per loro il ritorno (viaggio di Bran [v.], di Cuchulainn).

Questa credenza nell'immortalità dell'anima, propagata dai Druidi, spiega, a quanto dicono gli scrittori antichi (Pomponio Mela, III, 29), il coraggio eroico dei Galli, sicuri di ritrovare dopo la morte un mondo identico a quello che avevano lasciato, o per lo meno non timorosi della morte, per la certezza della reincarnazione (Cesare, VI, 14).

I riti funebri corrispondono a queste credenze. Le tombe del primo periodo di La Tène con urna cineraria e la barca funeraria attestano questa credenza in un altro mondo verso il quale il morto doveva navigare. Questo rito è da mettere in relazione col testo di Procopio (Bell. Goth., IV, 20), il quale racconta che le anime si accumulano in certi punti della riva dell'Oceano, per aspettare il traghettatore che le trasporterà in quel regno dei morti, di cui l'Echtra Condla Caim ci permette di farci un'idea.

Le religioni celtiche devono molto ai Druidi, i quali hanno separato la religione profonda dalla religione popolare, elaborato un sistema di metafisica e di morale e, al pari dei Brahmani, teorizzato i loro miti. Sono stati anche missionarî, propagandisti di idee. Nell'età del bronzo, quando si sviluppa il rito dell'incinerazione, se esso si diffonde così rapidamente dalla Polonia fino al centro della Gallia, non è perché i riti abbiano accompagnato i popoli nelle loro migrazioni, ma perché i Druidi si sono fatti propagandisti di questo nuovo rito funebre. Per l'organizzazione del sacerdozio celtico v. oltre, p. 686, e alla voce druidi.

Bibl.: E. Anwyl, Celtic Religion in Pre-christian times, Londra 1906; H. d'Arbois de Jubainville, Cours de littérature celtique, voll. 12, Parigi 1883-1902; id., Les Celtes, Parigi 1904; id., Les Druides et les dieux celtiques à forme d'animaux, Parigi 1906; A. Bertrand, La religion des Gaulois, les Druides et le druidisme, Parigi 1897; St. Czarnowski, Le culte des héros et ses conditions sociales: Saint Patrick héros national de l'Irlande (Travaux de l'Année Sociologique), Parigi 1914; id., L'arbre d'Esus, le taureau aux trois grues et le culte des voies fluviales en Gaule, in Revue celtique, XIII, 1925; J. Déchelette, in Revue de synthèse historique, III, pp. 50-55; id., Manuel d'archéologie préhistorique, celtique et gallo-romaine, III, iii; G. Dottin, Manuel pour serivr è l'étude de l'antiquité celtique, 2ª ed., Parigi 1915; idem, L'épopée irlandaise, Parigi 1925; H. Gaidoz, art. Gaulois, in Encyclopédie des sciences religieuses di F. Lichtenberger; G. Grupp, Kultur der alten Kelten und Germanen, Monaco 1905; H. Hubert, Le culte des héros et ses conditions sociales, Parigi 1919; id., Divinités gauloises. Sucellus et Nantosuelta, Epona, dieux de l'autre monde, Mâcon 1925; id., Le carnassier androphage et la répresentation de l'Océan chez les Celtes, in C. R. du XIV Congrès international d'anthropologie et d'archéologie préhistorique, Ginevra 1912, pp. 220-230; id., L'interprétation du vase de Gundestrup, in L'anthropologie, XXX (1920), p. 158; id., Une nouvelle figure du dieu au maillet, in Revue archéol., 1915, pp. 26-39; C. Jullian, Histoire de la Gaule, II: La Gaule indépendante, pp. 84-181, 3ª ed., Parigi 1920; A. MacBain, Celtic Mythology and Religion, Londra 1917; J. A. MacCulloch, The religion of the ancient Celts, Edimburgo 1911; id., Celtic mythology, in Mythology of all Races, III, Boston 1918; id., art. Celts, in Hastings, Encyclopaedia of religion and ethics, III, Edimburgo 1910; id., Die Kelten, in Chantepie de la Saussaye, Lehrbuch der Religionsgeschichte, 4ª ed., Tubinga 1925, II, pp. 600-635; A. Nutt, Studies on the legend of the Holy Grail, Londra 1902; A. Nutt e Kuno Meyer, The voyage of Bran, Londra 1902; S. Reinach, Cultes, mythes et religions, voll. 4, Parigi 1905; C. Renel, Les religions de la Gaule avant le christianisme, Parigi 1906.

Diritti.

Dovunque si diffusero, i Celti portarono col loro linguaggio le proprie istituzioni giuridiche, adatte ad una costituzione economica e sociale primitiva, in cui l'agricoltura cominciava appena a svilupparsi accanto alla pastorizia e il gruppo prevaleva ancora sull'individuo. Esendosi i Celti sovrapposti ad altri popoli di diverso ceppo etnico, anche il loro diritto ebbe probabilmente a modificarsi per adattamenti e recezioni. Ne risultò un diritto misto, i cui elementi si possono oggi difficilmente isolare, specialmente là dove la vecchia civiltà e la nuova non erano troppo divergenti. Potrebbe essere più facile, forse, lo sceverare il diritto celtico dall'etrusco, che aveva già forme di vita cittadina, che non dal ligure, che non andò molto oltre la comunità di villaggio. Data l'estensione dell'influenza celtica, già nell'antichità si erano anche probabilmente sviluppati diritti diversi nelle diverse regioni. Non sappiamo però ancora se rispetto alla vita giuridica si possano distinguere propriamente le stesse aree che si sogliono distinguere nel linguaggio, così da potersi sceverare un diritto gaelico, vigente nell'alta Scozia, nell'isola di Man e nell'Irlanda, un diritto cimrico vigente nel Galles e nell'Inghilterra, un diritto bretone vigente nella Cornovaglia e nell'Armorica o nella Bretagna, un diritto gallico anticamente vigente nella Gallia, nella Svizzera, nell'Italia superiore, nella Spagna.

Il diritto gallico. - Nell'antichità, grazie a Cesare e a Strabone, quest'ultimo soprattutto fu noto. Il popolo gallico, ribelle ad una coesione politica salda, che abbracciasse tutte le genti d'un medesimo ceppo o territorio, era diviso in tante popolazioni indipendenti (lat. civitates), risultanti da un complesso di minori circoscrizioni (lat. pagi), in cui si raggruppavano famiglie e clientele. Il loro nesso era fondato su rapporti analoghi ai feudali. I capi-gruppo si subordinavano per essi in via gerarchica, secondo la loro potenza. Il capo della civitas figurava come il rix ("re"). La nobilitas predominava. Accanto al guerriero figurava in essa il sacerdote. Raccolti in concilia, i druidi non erano soltanto ministri del culto; ma indovini, medici, poeti, giudici. La conoscenza del diritto, trasmessa oralmente per mezzo di apoftegmi probabilmente ritmici e artificialmente oscuri, costituì un loro privilegio.

Roma centralizzatrice dovette vivacemente combattere le istituzioni galliche, che resistevano all'accentramento; e specialmente combatté il druidismo che era il più saldo ostacolo alla affermazione della giurisdizione pubblica. Tolti di mezzo i druidi, il diritto indigeno soggiacque facilmente alla sopraffazione del diritto romano, che del resto, soprattutto nel periodo delle origini, aveva avuto con esso molti caratteri comuni. Il processo di assimilazione fu rapido e profondo, anche se non completo.

Così pure nelle regioni armoricane. Forti reliquie dell'antico diritto celtico si vogliono tuttavia conservate nella Bretagna. La tradizione presenta qui come legislatori Capu il saggio, Mahe il leale, Fréal il fiero. Se veramente il secondo dovesse ravvisarsi in Macé le Bard la tradizione perderebbe ogni significato. Egli sarebbe stato, intorno al 1315, uno dei compilatori del Très ancien Coutumier de Bretagne, riveduto poi più volte nel secolo successivo e riformato a fondo nel 1539. In quelle consuetudini, che sono presentate come Britanniae leges, il diritto celtico affiora però faticosamente tra le materie ampiamente offerte dal diritto romano e dal canonico.

Diritto irlandese. - Maggiore vivacità poté conservare il diritto celtico nelle regioni insulari, alle quali i Romani si affacciarono più tardi e con minor impeto.

Il diritto continuò anche lì ad essere per secoli consuetudinario o, per meglio dire, a essere trasmesso oralmente. La sua tradizione appare in Irlanda il monopolio della corporazione dei fili, interpreti della volontà divina, legislatori e indovini a un tempo, che potevano anche meglio di ogni altro fungere da brehon o arbitri e consiglieri delle parti, contro i quali non sarebbe dimenticata la vendetta divina se avessero tradito la giustizia. Essi contribuirono a formare un vero sistema di diritto, che più tardi si volle attribuire all'autorità legislativa del re.

Le tradizioni irlandesi ravvisano il loro re in Cond dalle cento battaglie, al tempo del quale sarebbe vissuto il giudice Caratnia, il segnato, di cui parla il Gubretha Caratniad ("falso giudizio di Caradnia") in cinquantun paragrafi. Nipote di Cond sarebbe stato Cormac, che avrebbe regnato in Tara tra il 254 e il 277 d. C., al quale non pure si attribuisce quella specie di guida morale che è il Tecosc na Rogh, ma il Leabhar Acle ("Libro d'Aicill") che è quasi un codice penale riflettente il periodo di passaggio tra il sistema della vendetta e quello delle composizioni (eric) graduate non pur secondo la ricchezza, ma secondo la posizione sociale dell'offeso.

Un altro legislatore sarebbe stato nel sec. V il re O' Leary, che convertendosi col suo popolo al cristianesimo avrebbe nominato per la revisione del vecchio diritto una commissione composta di tre vescovi, tra cui S. Patrizio, di tre regoli e di tre brehon, attivissimo fra gli altri Dubhthac. Ne sarebbe sgorgato, intorno al 438, il Senchus Mor ("libro delle consuetudini") che è anche talvolta indicato come Cain Pathraic ("Libro di Patrizio"). Ma neppur esso è in realtà opera legislativa. Esso appare nelle parti più antiche materiato di fasach, specie di adagi giuridici che con dubbia opportunità furono assimilati ai brocardi dei glossatori. Risulta da elementi che si potrebbero dire giurisprudenziali, formatisi attraverso lo spazio di più secoli e con l'apporto di parecchie generazioni di brehon. Sono legati ancora al caso, reale o fittizio, e diretti più a distinguere che a generalizzare; pure testimoniano un progredito tecnicismo, che solo imperfettamente conosciamo per le difficoltà del linguaggio, per noi ancora in parte incomprensibile. Il Senchus Mor figura attualmente diviso in cinque libri, di ampiezza diversa, dei quali il primo tratta della procedura per presa di pegno mobiliare (athgabail) immediata o con dilazione, il secondo degli ostaggi, il terzo della educazione dei figli, il quarto, per così dire, dei diritti reali (ceptels liberi e servili), il quinto delle obbligazioni (società ed altri contratti). In alcune parti è ancora possibile di isolare i più antichi canovacci sui quali fu intessuta la nuova compilazione, non in ogni parte accurata. Questa fu certo anteriore alla fine del sec. X, perché il Senchus Mor è ricordato, con altre opere giuridiche, purtroppo perdute, nel cosiddetto dizionario di Cormac. Ma doveva essere di molto anteriore se i suoi termini abbisognavano già di chiarimenti. È d'altra parte senza dubbio posteriore alla collezione canonistica irlandese.

Si tratta indubbiamente di opera privata, come i Coic conara fugill ("I cinque sentieri del giudizio"): ma ebbe in realtà autorità di legge. Fu, come il libro di Aicill, oggetto di una vasta letteratura esplicativa che si esplicò soprattutto per mezzo di glosse: talune di carattere filologico, altre di carattere più strettamente giuridico. Quelle che a noi si sono conservate, del secolo XIV o XV, hanno scarsa utilità per la ricostruzione del diritto antico, poiché, mal riuscendo a comprendere i testi originarî, i commentatori sfigurarono spesso gl'istituti che avrebbero dovuto chiarire.

Diritto gallese. - Anche i Gallesi vollero l'onore di antichi legislatori. E favoleggiarono di leggi date dal re Dyvnwal Moel Mud o dal re Marsia già prima dell'occupazione romana. Su terreno più saldo potremmo credere di trovarci quando si parla di leggi date da Hywel il buono che occupò il Galles nel 943. Sono conservate in manoscritti che non vanno oltre il sec. XII: ma le interpolazioni subite le dimostrano anteriori. Le Hivrethen Huwel Dda, materiate di consuetudini indigene, nonostante qualche influenza romanistica o canonistica, hanno però tutti i caratteri di una elaborazione giurisprudenziale. Caratteristica dell'autore la tendenza alle distinzioni trimembri. Fu opera autorevolissima dalla quale derivarono, non lievemente divergenti fra loro, il Dull Gwinned, il Dull Dwewd e il Dull Gwent, osservati rispettivamente nel Galles nord-orientale, nel Galles sud-occidentale, nel Galles sud-orientale. Sin dal sec. XIII la loro fonte comune fu tradotta in latino col nome di Leges Walliae.

Bibl.: Il vecchio diritto d'Irlanda si trova adunato nella collezione Ancient Laws and Institutes of Ireland, Dublino 1865-1901, in cinque volumi con uno di indici; quello gallese nella collezione di Aneurin Owen, Ancient Laws and Institutes of Wales, Londra 1841, cui si deve aggiungere A.W. Wade Evans, Welsh mediaeval Law, Oxford 1909.

Sul diritto irlandese, cfr. anche J. O' Donovan, The book of Rights, Dublino 1847; Sumner Maine, Early history of Institutions, Londra 1875; L. Ginnel, The brehons Laws, Londra 1894; R. Dareste, Études d'histoire du droit, Parigi 1889; O' Curry e W. K. Sullivan, Manners and Customs of the ancient Irish, Londra 1873; W. E. Montgomery, History of land tenure in Ireland, Cambridge 1889; Thurnheysen, Aus dem irischen Recht in Zeitschrift für celtische Philologie, XIV (1920), XV (1921), XVI (1922); J. Mac Neill, Celtic Ireland, Dublino 1920; S. Bryant, Liberty, Law and order under native Irish Rule, Londra 1925.

Sul diritto gallese cfr. H. Lewis, The ancient Laws of Wales, Londra 1889; T.P. Ellis, Welsh tribal and customs in the middle ages, Oxford 1926; Th. Lewis, A glossary of mediaeval Welsh Law, Manchester 1913; T. Seebohm, The tribal system in Wales, Londra 1904; P. Vinogradoff, Outlines of historical Jurisprudence, Londra 1920; R. Thurneysen, Cōie Conara Fugill (Die fünf Wege zur Arbeit), Berlino 1826. Il Très ancien coutumier de Bretagne fu edito in edizione critica da M. Planiol, Rennes 1896. Aggiungi M. Planiol, L'esprit de la coutume de Bretagne, Vannes 1891; cfr. Revue historique du droit français, IV (1925), p. 445 segg.

Letterature.

Alla vecchia aristocratica organizzazione degl'Indoeuropei, conservatasi con particolare fedeltà presso i Celti, risale senza dubbio la ripartizione dei letterati in rigide classi sociali. Gli scrittori dell'antichità conservano il nome delle tre classi, di cui, presso l'uno o l'altro popolo, rimangono più tardi tracce più o meno chiare. Posidonio parla per primo dei bardi (ουάτεις, Fragm. Hist. Gr., III, 259), Cesare dei druidi, Strabone dei vati (βάρδοι, IV, 4, 4); i primi musici e poeti, i secondi dotti e sacerdoti, i terzi storici e indovini. Queste classi sono conservate in modo diverso in Irlanda e in Britannia. In Irlanda l'antica dignità dei Druidi, ben nota per quanto riguarda la Gallia, è attestata efficacemente nei documenti che si riferiscono all'età pagana: geiss d Ultaib labrad rena ríg, geis don ríg labrad rena druidib "proibizione agli Ulati di parlare prima del loro re, proibizione al re di parlare prima dei suoi druidi" (Táin bó Cualnge, ed. Windisch, 4724 segg). Ma col cristianesimo i druidi sono assai svalutati e nella sala delle feste del palazzo reale di Tara capitale d'Irlanda, mentre i preti cristiani sono equiparati ai re, i druidi sono considerati solo come nobili di 6ª classe. La parola draoi oggi viene a significare "mago". Il vecchio nome irlandese faith, identico al latino vates, significa soltanto "profeti": i vati sono chiamati invece fili (da velēs -ēdos) da una radice *wel "vedere"; con una derivazione identica è formato il nome di veleda, la vergine fatidica di Tacito (p. es. Hist., IV, 61). Erano non solo i custodi dell'epos irlandese, ma gli amministratori della giustizia; avevano grande importanza a corte, dove sedevano subito dopo il prete cristiano; avevano un'origine leggendaria in Amergin glun-gel ("dal ginocchio bianco"), l'antichissimo fili che accompagnava i Gaeli al momento del loro arrivo in Irlanda; erano divisi in una gerarchia complicata, secondo il numero di racconti che conoscevano, dall'ollam che sapeva 350 storie al fochloc(on) che ne sapeva 30 e, secondo qualche lista, all'oblaire che ne sapeva 7. La fortuna dei bardi, rappresentanti della poesia indotta, non poteva perciò essere grande. Essi sono relegati dopo l'ultimo fili. Tuttavia dal sec. XIII in poi, quando le mutate condizioni politiche tolgono ogni potere ai fili, cominciano ad aver fortuna i bardi, che si tramandano di padre in figlio il culto della poesia e delle vecchie tradizioni nazionali. E nella grande disputa fra le famiglie regnanti della provincia di Munster e quella di Leinster e di Connaught, che si svolse agli inizî del sec. XVII, una disputa di bardi continuò per anni a base di centinaia e centinaia di versi.

In Britannia, come in Gallia, i druidi (v.) hanno rappresentato la resistenza politica alla conquista romana. Essi appaiono per l'ultima volta nell'insurrezione della regina Budicca (Tac., Ann., 14, 31, 35, 62 d. C.). I "vati" appaiono solo nella qualità di giudici e come tali sono molto apprezzati; ma sono lontani da un'attività propriamente letteraria. Narratori di storie esistono, ma, al di sotto di una classificazione sociale, non si sa se siano in qualche rapporto con gli antichi "vati". Sono invece i bardi che dall'inizio della tradizione fino al sec. XV impersonano l'attività letteraria dei Celti di Britannia. Nei tempi più antichi l'elemento fondamentale della loro ispirazione è quello eroico, le lotte dei Britanni contro i Sassoni, i loro capitani più o meno fortunati. Una delle cause della scomparsa dei bardi presso i Britanni emigrati nell'Aremorica è la mancanza di vicende guerresche ispiratrici. La loro gerarchia è non meno complessa di quella dei fili irlandesi: loro capo è il bard kadeyryauc, il "bardo incattedrato". La spontaneità della loro lirica eroica o sentimentale è contenuta dai metri complicatissimi che richiedono lungo studio, e soprattutto dalla loro applicazione restrittiva dal sec. XV in poi. L'artificio formale che viene così a prevalere sul contenuto, le condizioni politiche che impediscono alle vecchie famiglie di mantenere i loro bardi dopo l'assoggettamento al re d'Inghilterra, sono le cause della decadenza dell'istituzione dei bardi. L'esistenza di druidi, completamente indipendenti da quelli dell'antichità, è favorita dalla formazione delle prime società segrete intorno al sec. XVI. Vicino a noi è il ristabilimento di una istituzione bardica, con relative scuole e gerarchie.

Prima che un alfabeto di uso generalizzato avesse permesso di fissare i monumenti genuini delle due letterature nazionali d'Irlanda e di Britannia, i Celti ebbero conoscenza della cultura classica e della religione cristiana. Al sec. II risalgono le prime tracce di religione cristiana in Britannia; e Tertulliano (adv. Iud., 7) parla di Britannorum inaccessa loca, Christo vero subdita. Al sec. IV risalgono testimonianze indirette per l'Irlanda come quelle di Gerolamo che nel commentario alla lettera agli Efesî (392 d. C.) polemizza con uno Scoto (cioè Irlandese) seguace dell'eresia di Pelagio. Del 431 è la missione ufficiale di Palladio, inviato dal papa Celestino, nel 432 si inizia l'apostolato di Patrizio, proveniente dalla Britannia, che nel 450 fonda Armagh, centro dell'organizzazione religiosa e sede ancora oggi del primate d'Irlanda. Con la metà del sec. VI la prevalenza della nuova religione sul paganesimo, del prete sul druida è definitiva: il festino di Tara si celebra per l'ultima volta in un anno che, secondo le cronologie, varia dal 558 al 569. Terra di conquista dal punto di vista religioso, l'Irlanda diventa ben presto il centro della cultura classica agonizzante in tutta l'Europa. I conventi irlandesi, fra cui quello di Clonard fondato da Findia fra il 500 e il 550, di Bangor fondato da Comgall nel 558, di Clonmacnois da S. Ciaran nel 541, l'abbazia di Iona (o Hi) fondata in vicinanza della Scozia da S. Colomba (morto nel 597) nel 563, sono non soltanto centri di cultura religiosa, ma sono i luoghi in cui ormai s'è rifugiata la conoscenza del greco, in cui si copiano le opere dell'antichità classica, da cui irradiano missionarî dotti che riportano quest'antica cultura nell'Europa continentale: così Colombano (morto nel 615), allievo di Bangor. È in questo ambiente che durante il sec. VII si cominciano a fissare i testi delle vecchie epopee nazionali; che, accanto alla fedeltà del copista, l'aspirazione alla sintesi dello studioso, lo scrupolo del religioso introducono qua e là qualche variante, lasciano qualche traccia della sovrapposizione di credenze cristiane o di dottrine bibliche sulla tradizione letteraria ereditata. Questo stato di cose è ancora più accentuato nella Britannia. Sicché le letterature celtiche pur conservando molti tratti dell'antichità pagana si riferiscono a un periodo molto più recente di quello degli antichi Celti, appartengono completamente al mondo medievale e sono infine nettamente divise in due rami, quello gaelico e più particolarrmente irlandese e quello britannico, principalmente cimrico.

Letteratura gaelica d'Irlanda. - La storia letteraria d'Irlanda si svolge attraverso periodi di varia fortuna dal sec. VII. Dopo il fiorire del sec. VII-VIII, il periodo delle invasioni nordiche più intense, dal 795 (pagani bianchi o norvegesi) e dall'852 (pagani neri o danesi) fino alla vittoria di Clontarf (1014) che mette fine alle invasioni, rappresenta una prima parentesi. Da qui fino al 1169, prima invasione normanna, si ha un periodo brillante, al quale risalgono alcune fra le più importanti raccolte di vecchie saghe. Col sec. XIV il dominio inglese si fa più severo, le frequenti rivolte conducono alla proibizione della lingua irlandese, alla confisca delle terre, allo spopolamento dell'Irlanda. Con G. Keating (morto nel 1650) che ha scritto una storia d'Irlanda con documenti andati poi perduti si chiude il periodo antico della letteratura irlandese, Per il periodo successivo, v. irlanda: Letteratura.

Al periodo della prima fioritura, corrispondente alla fase linguistica dell'antico irlandese, non risale nessun manoscritto di opera letteraria, ma solo glosse a opere religiose o grammaticali latine (v. oltre) e qualche breve poesia. La tradizione propriamente letteraria ha inizio col periodo linguistico detto del medio irlandese, con alcune grandi raccolte quali il Leabhar na hUidre ("libro della mucca grigia") del sec. XI, di 134 pagine in folio e il libro di Leinster del sec. XII, di 410 pagine. Continua abbondantissima nei due secoli seguenti, nei quali sono degni di ricordo il Libro giallo di Lecan e il Leabhar Brecc o "libro variopinto" del sec. XIV. Tuttavia solo una parte delle 350 storie che conoscevano i fili "ollam" ci è conservata, mentre le opere più celebri come la Táin bó Cualnge sono conservate in più redazioni. Si conoscono i titoli di circa duecento, classificate secondo la parola iniziale del titolo: Togla o "conquiste", tana o "razzie", tochmarca o "domande di matrimonio", catha o "battaglie", uatha o "caverne", imrama o "viaggi di mare", oitte o "morti violente", fessa o "feste", forbassa o "assedî", echtrada o "avventure", aithid o "ratti", airgne o "macelli", tomadma o "alluvioni", fís o "visioni", serca o "amori", sluagid o "spedizioni militari", tochomlada o "migrazioni", ecc.

L'epos mitologico. - L'epos mitologico è quello in peggiori condizioni di conservazione, soprattutto perché ha subito maggiori alterazioni dal punto di vista delle dottrine cristiane e delle credenze bibliche. Il documento fondamentale è il Leabhar Gabála o libro delle invasioni", composto nella prima metà del sec. XII, sulla base di vecchi racconti del gruppo dei Tochomlada o "migrazioni". Queste migrazioni mitiche sono parecchie: quella di Partholon in Irlanda, quella di Nemed in Irlanda, quella degli Uomini Bolg o Firbolg, quella dei popoli della Dea Dana (Túatha Dé Danann), quella di Mile in Spagna, quella dei figli di Mile dalla Spagna in Irlanda, quella dei Piti dalla Tracia in Gran Bretagna e in Irlanda. In queste vicende entrano elementi molto diversi: la tendenza a stabilire una genealogia di tutti gli abitanti delle provincie d'Irlanda, e a connettere questa genealogia con il biblico Iaphet da una parte; le lotte e le vicende di creature sovrumane, con una forte tendenza a distinguere nettamente esseri benefici ed esseri malefici; una reminiscenza di fatti realmente avvenuti come le lotte fra i Gaeli invasori e le popolazioni primitive d'Irlanda, con una grande facilità a sdoppiare successivamente questo contrasto, originariamente di due popoli soli. Appartiene al ciclo mitologico la "Battaglia di Mag Tured" (Cath Maige Tured), conservata in un manoscritto del sec. XVI, ma risalente a tempo molto più antico. Nuada, re delle genti Dé Danann vittorioso sui Firbolg, perde in battaglia una mano e cede il regno a Bress. Questi, per avidità di danaro, scontenta talmente i sudditi che deve fuggire. Si rifugia presso i terribili Giganti Fomoré, coi quali intraprende una spedizione per riconquistare il regno. Nella battaglia di Mag Tured i giganti sono sconfitti e il trionfo dei Dé Danann viene annunciato per tutta l'Irlanda dalla dea Morrigu.

Il ciclo epico degli Ulati (dell'Ulster). - Al centro di questo ciclo, di carattere molto più storico, sta la Táin bó Cualnge ("Razzia delle mucche di Cualnge"), la massima manifestazione dell'epica irlandese. Senchan Torpeist è il "fili" che verso la metà del sec. VII, chiamando a gara tutti quelli che credevano sapere la T. b. C., ne stabilì la redazione definitiva, da cui non divergono molto quelle più tarde da noi possedute. A lui sono attribuite anche alcune poesie. Il racconto si riferisce a una guerra scatenatasi fra il re del Connaught, la regina, alleati a tutti gli altri stati dell'Irlanda del sud e dell'ovest da una parte e l'Ulster dall'altra. D'ispirazione ulsteriana è il racconto come greca è l'ispirazione dell'Iliade. Medb regina del Connaught confronta con Ailill suo consorte le proprie ricchezze, secondo un tratto caratteristico del diritto irlandese, per cui la moglie legittima dev'essere in condizioni di parità rispetto al marito. Così i loro oggetti preziosi, come le loro mandre risultano uguali: solo, Ailill possiede il giovane toro Findbennach ("dalle bianche corna"), al quale Medb non può contrapporre nulla. Non potendosi impadronire con le buone del Dond Cualnge ("il Bruno di Cualnge"), l'unico toro d'Irlanda che potesse superare il rivale, dà inizio alla guerra. E benché gli auspici le siano sfavorevoli, Medb fa avanzare il suo esercito nel periodo in cui, per un vecchio sortilegio, gli Ulati sono malati. Cuchulainn è il solo guerriero dell'Ulster che appartenga alla nuova generazione finalmente immune dal sortilegio e da solo si assume a difendere l'Ulster, combattendo ogni giorno con un guerriero avversario. Terribile è fra gli altri, il duello, poi vittorioso, con Fer Diad. E benché nel frattempo Medb riesca a far rapire il Dond, Cuchulainn resiste fino all'arrivo degli Ulati. L'esercito invasore si ritira, Medb domanda la protezione di Cuchulainn, il Dond uccide Findbennach, riprende la via di Cualnge, ma, appena giunto in patria, gli si spezza il cuore.

Attorno alla T. b. C. stanno numerose storie "satelliti" che illustrano fatti anteriori e posteriori della corte del re dell'Ulster Conchobar e dell'eroe Cuchulainn. Così due racconti parlano della nascita meravigliosa, di Conchobar, figlio di Ness, concepito, secondo una versione, per avere Ness inghiottito due vermi in un bicchier d'acqua; della richiesta di matrimonio di Ness da parte di Fergus, re dell'Ulster; della condizione posta da Ness di cedere il regno per un anno al figlio Conchobar, che poi lo tenne definitivamente per sé. Il Compert Cuchulinn o "concepimento di Cuchulainn" racconta come Dechtire bevendo abbia ugualmente concepito il futuro eroe. Il Tochmarc Emire o "domanda di matrimonio di Emer" racconta le prove superate da Cuchulainn per ottenere in sposa Emer da Forgall l'astuto. La malattia di Cuchulainn è rappresentata in un altro racconto come conseguenza dell'aver ferito due uccelli sotto le cui spoglie s'era nascosta la dea Fand moglie del dio Manannan perché, innamorata, voleva arrivare sino a lui. Il racconto continua con l'incontro di Cuchulainn e della dea, con la gelosia di Emer e il ritorno di Cuchulainn presso la moglie. Chiudono la serie i due racconti della morte di Cuchulainn per vendetta dei figli di Calatino e di quella di Conchobar che era stato ferito da una palla formata dal cervello del re di Leinster Mesgegra impastata con terra, e che può sopravvivere a condizione di non fare movimenti violenti né subire emozioni: secondo un'aggiunta cristiana, fu all'annuncio della Crocifissione di Gesù che non poté sopravvivere. Di formazione un po' posteriore ma sempre intorno ad avvenimenti del regno di Conchobar, è la Fled Bricrend o "festino di Bricriu", seminatore di discordie che promette la porzione più scelta - ambitissima dagli eroi irlandesi - a Loegaire il vincitore, a Conall il trionfatore, e a Cuchulainn. Dopo una quantità di prove nelle quali Cuchulainn trionfa ma che i due rivali non vogliono riconoscere, Cuchulainn riesce finalmente a essere riconosciuto come l'"eroe", il primo combattente degli Ulati. Analoga è la "Storia del maiale del figlio di Datho", che promette il suo cane a tre diversi re d'Irlanda e suscita discordie terribili nel suo palazzo.

Il ciclo degli Ulati che descrive avvenimenti compiutisi intorno al primo secolo della nostra era, mostra una civiltà più arretrata di quella omerica, ma, nei suoi costumi ancora sanguinarî, mostra un netto riconoscimento di virtù morali, quali gli obblighi di lealtà fra i combattenti. Tipico il caso di Conall che essendo affrontato da Mesgegra privo di un braccio, acconsente subito a farsi legare il braccio corrispondente per porsi in condizione di uguaglianza.

Importante è anche l'Orgain brudne Dá Dergae o "distruzione del Castello di Da Derga", di cui però è difficile stabilire il rapporto clonologico con la T. b. C. Secondo gli annali irlandesi Conaire il Grande è morto nel 43 d. C., secondo l'analisi del contenuto si è indotti a pensare invece a una anteriorità rispetto alla T. b. C. (Zimmer, Zeitschr. fùr vergl. Sprachforschung, XXVIII, 554 segg.).

Il ciclo di Leinster e Munster. - Mentre il ciclo dell'Ulster è fissato anteriormente alle invasioni del sec. IX e al tempo delle prime grandi raccolte è ormai irrigidito, quello di Leinster si sviluppa nell'XI, nel XIII-XIV e, nella tradizione popolare che ha dimenticato completamente il primo, quest'ultimo continua a svolgersi fino al sec. XVIII. I fatti storici che permettono una cronologia sono le due battaglie di Cnucha (174 d. C.) e di Gabra (283 d. C.). Personaggi principali sono Find ("bianco", medio irlandese Finn), suo figlio Oisin, il figlio di questo Oscar. Find è il capo dei Feniani, associazione di guerrieri che aveva speciali statuti e che noi conosciamo solo attraverso le notizie dello storico Keating. I componimenti principali sono: la "Causa della battaglia di Cnucha che racconta il rapimento di Murni da parte di Cumall, figlio di Tadg, druida del re Cathair il Grande, rapimento che provoca la guerra e la uccisione di Cumall a Cnucha. Murni incinta si rifugia dalla cognata e mette al mondo Demni, detto poi Find. Questi, cresciuto, si fa restituire dal nonno materno il castello di Almu come riparazione per la uccisione del padre. L' "Inseguimento di Diarmaid e Grainne" si riferisce a un tempo posteriore in cui Find, già vecchio, si fidanza con Grainne, ma questa all'ultimo momento fugge con Diarmaid. Find insegue i fuggitivi, ma questi sono protetti da una fata; Find si riconcilia con Diarmaid, ma quando questi rimane ferito gravemente a caccia, temporeggia a portargli soccorso e lo lascia morire, e riesce quindi a sposare Grainne. Il "Dialogo dei vecchi" o Acallamh na Senorach è già nell'orbita delle idee cristiane. Dopo la battaglia di Gabra, Oisin e Cailte superstiti con pochissimi altri Feniani, si recano presso Cama, la vecchia protettrice di Find, quindi si separano. Cailte si incontra con Patrizio il quale allontana i demoni da lui e dai suoi compagni; si mettono in cammino e arrivano a Tara dove si ritrovano con Oisin. I vecchi racconti dell'ambiente pagano fanno risaltare nettamente gli opposti costumi cristiani per mezzo dell'artificio cronologico che anticipa di due secoli la venuta di Patrizio.

Componimenti poetici. - La forma originaria dell'epica irlandese (come di quella britannica) è la prosa. Solo nel ciclo più recente di Finn cominciano ad apparire anche passi poetici, nella forma per es. della ballata ossianica che arriva sino a 200 versi. Molto più antica è la forma poetica, usata non da poeti veri e proprî ma da eruditi a scopi mnemonici o pedagogici; sicché essa si è venuta avvicinando all'epica più per interesse storico che per calore di sentimento. La metrica, dapprima ritmica, poi sillabica dal sec. VIII al XVI, poi di nuovo ritmica con la ripetizione delle vocali nelle sillabe accentate, si accorda con la sua rigidità, con il suo carattere più antico di strumento formale più che di viva espressione. Sicché la poesia spontanea, libera dalle classificazioni tradizionali, appare di straforo (nei margini delle pagine che conservano dotti elenchi di fatti, di nomi, di luoghi, sia pure in forma poetica ufficiale), come manifestazione personale dei sentimenti e dei risentimenti dei poeti irlandesi, dei "fili". Il panegirico e la satira sono i componimenti più caratteristici, strettamente connessi con le vicende dei fili, dall'elogio di Aed del sec. IX fino all'inizio dell'età moderna. La potenza della "satira" è sconfinata: rende vulnerabili gli eserciti nemici, deturpa il viso del sovrano poco generoso col "fili". Intorno al sec. VI era una vera piaga sociale. Minore individualità ha la poesia amorosa che si manifesta soprattutto con movimento drammatico e carattere narrativo; mentre precocissime sono le manifestazioni del sentimento della natura in poemetti in cui piante e animali sono i principali personaggi.

Testi giuridici. - L'esercizio della giustizia era nella persona dei "fili" strettamente connesso con l'attività letteraria; e i monumenti del diritto irlandese, conservatosi lungo tempo immune dalle influenze del diritto romano e di quello canonico, si accompagnano ai più antichi cicli epici nel rappresentare l'Irlanda pagana. L'esercizio della giustizia era profondamente sentito in Irlanda dove si raccontavano i castighi terribili cui soggiacevano i "fili", colpevoli di avere pronunciata una sentenza ingiusta (v. qui sopra, Diritto).

Elementi stranieri. - L'elemento classico e l'elemento cristiano sono penetrati in modo assai diverso nella letteratura irlandese. Accanto all'Odissea, all'Eneide e alla Farsaglia, la Presa di Troia di Darete Frigio e la Storia d'Alessandro di Q. Curzio hanno avuto ben presto delle traduzioni e dei rifacimenti irlandesi, ma non si sono innestati con la tradizione nazionale. Tuttavia la conoscenza della mitologia classica si è grandemente diffusa perché favorita dall'elemento cristiano come un minor male, come un elemento che poteva sostituire con fortuna il paganesimo nazionale. Sicché fra il mondo classico e quello cristiano giunti in Irlanda quasi contemporaneamente non si è avuta vera antitesi e, per fortuna della cultura europea, il cristianesimo irlandese è stato dal sec. VI all'VIII il custode della cultura classica.

È invece l'elemento cristiano che penetra nelle anime, nella vita e nella letteratura irlandese. I grandi personaggi della tradizione epica vengono avvicinati ai grandi santi, superando le distanze cronologiche di secoli: come Oisin e Patrizio, così si mettono in relazione Fergus e S. Ciaran, Mongan e S. Columcille. La poesia religiosa è largamente rappresentata fin dal periodo più antico col Liber Hymnorum che contiene alcuni inni di redazione anteriore al 1000. Pura preghiera contengono gli inni di Colman (morto nel 662) e di Ultan (morto nel 656); l'inno attribuito a Fiacc (morto nel 500) riassume la vita di S. Patrizio; l'inno di Broccan, è un panegirico di S. Brigida, che, dopo Patrizio, è la figura più nota del sec. V nel mondo cristiano; finalmente un inno attribuito allo stesso Patrizio (morto nel 461) ha l'aspetto di una incantazione magica.

Trasformate progressivamente dal contenuto pagano primitivo appaiono le imrama o "navigazioni" da quella ancora arcaica di Bran mac Febail (v. bran), a quelle di Snedgus e Mael Duine che si riferiscono a personaggi del sec. VII-VIII. Fra le Fís o "visioni", racconti di viaggi nell'altro mondo, sono quelle di Fursa (morto nel 680) scritta prima in latino poi anche in irlandese; e la visio Tungdali del 1149. Infine, ricche di un contenuto obiettivo, le vite pure e semplici, fra cui quella di S. Cellach, figlio del re del Connaught Eoghan Bél (prima metà del sec. VI) che, chiamato a succedere al padre mentre studia a Clonmacnois sotto S. Ciaran, si allontana, nonostante la proibizione del maestro, vien maledetto da questo, è cacciato dal regno da Guaire, è tradito dai suoi compagni, e solo riconciliandosi col maestro può avere assicurata, se non la vita terrena, quella eterna.

Di carattere più strettamente religioso sono la Scuap Chrabuid o Scopa devotionis di colgu di Clonmacnois (morto nel 796) maestro di Alcuino, in prosa; e in versi l'opera più notevole di tutte, il Saltair na rann o Salterio in versi che eontiene 150 episodî tratti dai due testamenti. Il Salterio sarebbe stato composto nel 987 da Angus. A un altro Angus (mac Aengobann) vissuto fra il sec. VIII e il IX è attribuito il più antico Felire o calendario in versi, elenco di feste con cenni biografici sui diversi santi; un genere letterario molto coltivato in Irlanda.

L'erudizione. - I più antichi monumenti della lingua irlandese sono documenti di erudizione. I monaci irlandesi che si consacravano allo studio integrale del mondo classico, ci hanno lasciati dei commenti grammaticali, delle glosse che attestano contemporaneamente la fase più antica della lingua irlandese e la dottrina e la precisione del loro lavoro filologico. La preoccupazione pedagogico-mnemonica nella diffusione della cultura ha dato origine alle "Triadi", raccolte di sentenze e di definizioni in cui un concetto o un oggetto viene esemplificato tre volte: se ne contano nel sec. IX già circa duecento.

La passione per l'epos nazionale si avvicina progressivamente all'interesse storico. Nel sec. XII si hanno già componimenti il cui scopo è apertamente istruttivo: più antico il Coir Anmann o "Concordanza dei nomi" raccolta di spiegazioni di nomi di persone; posteriore è il dindsenchus o "antichità", descrizione storico-geografica del paese, e spiegazione più o meno forzata dei nomi di luoghi. I nomi di autori passano in seconda linea di fronte al carattere didattico, impersonale dell'opera.

Di vere fonti storiche non si può parlare se non nel caso degli Annali. I più antichi sono attribuiti al sec. VII, ma sono perduti. Tigernach, abate di Clonmacnois (morto nel 1088) è l'autore della cronaca più antica ("Annali di Tigernach") giunta in gran parte sino a noi, e che ci dà notizie dettagliate dal 305 a. C. in poi. Al sec. XV appartiene Cathal Oc Mac Magnusa, autore degli "Annali dell'Ulster" che dalla missione di Palladio (431 d. C.) arrivano fino alla morte dell'autore. Conservano la lingua dei modelli, che si sussegue così variando da un secolo all'altro. Continuati postumi, terminano nel 1541. La terza grande raccolta annalistica è costituita dagli "Annali dei 4 maestri", opera collettiva che arriva sino al 1616. Indipendentemente dalle opere storiche minori, l'interesse storico rimane prevalente in tutto questo periodo sino alla soglia del periodo moderno, più strettamente irlandese, che si inizia con Geoffrey Keating (morto nel 1646; v. Irlanda: Letteratura).

Letteratura gaelica di Scozia. - I legami con l'Irlanda sono stati per secoli così intimi che l'irlandese ha continuato praticamente ad aver valore di lingua scritta della Scozia fino al sec. XVI. Il più antico indizio dell'esistenza di una lingua gaelica di Scozia è dato da un vangelo latino del sec. IX, in cui si trovano alcune annotazioni del sec. XI o XII in un irlandese un po' diverso da quello d'Irlanda. Ma si tratta di documenti di valore linguistico, non letterario.

Il Dean's book di James Macgregor composto fra il 1512 e il 1542 è una raccolta di canti scozzesi, in cui gli elementi linguistici caratteristici appaiono in modo più chiaro e la grafia rispecchia la pronuncia scozzese. Ma solo col sec. XVIII, e in modo clamoroso, la poesia popolare scozzese acquista grande fama ed esercita una influenza, anche esterna, sull'Europa continentale. È del 1756 la prima traduzione o rifacimento di una ballata gaelica da parte di Jerome Stone: "Albin e la figlia di May". Del 1760 i 16 frammenti tradotti da James Macpherson (1738-1796); del 1762 il poemetto epico Fingal, del 1763 il Temora, l'uno e l'altro dal Macpherson attribuiti a Ossian figlio di Fingal, re irlandese del sec. III. Le polemiche sull'autenticità delle fonti hanno avuto una doppia azione sulla poesia scozzese, nel senso che lo stesso Macphers0n faceva tradurre letteralmente in gaelico le sue "traduzioni" e d'altra parte nasceva un vivo desiderio di ricercare e pubblicare le vere fonti della poesia scozzese. Queste apparivano in forma compiuta nel 1872 per opera di J. F. Campbell Non vi mancano le tracce del più antico epos irlandese con Conchobar e Cuchulinn; ma la massima parte si riferisce a elementi più recenti, descrive combattimenti, avventure di caccia, ratti di fanciulle, mentre dei personaggi antichi fa risaltare soprattutto Ossian e suo padre Finn.

La poesia individuale è rappresentata nel sec. XVIII soprattutto da Alessandro Macdonald, maestro di scuola, conoscitore profondo della lingua della quale compilò un dizionario, autore di poemi descrittivi, di canti patriottici e amorosi. Nel sec. XIX si ha una serie abbastanza lunga di poeti, da Peter Grant, pastore, a Evan Maccoll, morto nel 1898, autore di un poema drammatico I Danesi a Islay. A Ewen Maclachlan si deve la traduzione dei primi sette libri dell'Iliade.

Molto in ritardo è stata la prosa che solo alla fine del sec. XVIII ha avuto una consacrazione definitiva con la traduzione della Bibbia (1783-1801). Come libro di storia si può ricordare la Storia scozzese di Angus Mackenzie.

Letterature britanniche. - La letteratura dei Celti del gruppo britannico risale a un'antichità meno lontana da noi. Il dominio romano sulla Britannia ha segnato un solco molto più profondo fra la Britannia pagana e quella cristiana. Le tradizioni celtico-pagane che compaiono dal sec. XII in poi, attestate anche in Britannia, sono difficilmente sopravvivenze della paganità originaria; più verosimilmente sono da attribuirsi a quello scambio di rapporti fra Irlanda e Britannia che dal sec. IV d. C. in poi si è continuato ininterrotto. Massima fonte di ispirazione per la saga eroica e la lirica guerriera sono le lotte dei Celti contro i Sassoni invasori, che hanno luogo dal sec. V d. C. in avanti.

La tradizione letteraria nel gruppo britannico e in particolare presso i Cimri del Galles è, ancor più che presso gl'Irlandesi, limitata al periodo linguistico del medio cimrico. Tre grandi codici impersonali sono in prima linea: il Libro nero di Carmarthen, contenente testi poetici, che appartiene alla fine del sec. XII; il Libro bianco di Rhydderch del sec. XIII-XIV; il Libro rosso di Hergest contenente poesia e prosa, del sec. XIV.

I testi che si riferiscono a un'antichità più remota sono probabilmente quelli giuridici. Il re Hywel Dda (907-948) fece raccogliere ed elaborare da giuristi e da religiosi un complesso di leggi che si fondavano in parte su altre più antiche del leggendario re Dyvnwal ab Moelmud. Esse sono divise in tre parti, quella che riguarda i poteri del re e il diritto amministrativo e quella posteriore che contiene un testo di procedura. La redazione originaria non è nemmeno conosciuta: rimangono invece tre codici, molto importanti perché provano che, a differenza dell'Irlanda, le leggi del Galles non erano uniformi per tutto il regno: il codice Venedotianus per il Galles settentrionale, quello Demetianus per il Galles sud-orientale, quello Groentianus per il Galles sud-occidentale (v. Diritto, p. 685).

La saga britannica si manifesta nella poesia dei primi e leggendarî bardi del sec. VI, la cui ispirazione è in prima linea guerriera. Cunedda, Arturo, Unen Reged principe del nord sono i principali personaggi. Aneurin è ritenuto l'autore del più antico di tutti i poemi, il Gododin, successivamente ampliato e non coordinato in un'armonica unità. Nella parte più antica esso canta la lotta fra Gododin e Catraeth nella battaglia durata otto giorni fra Britanni e Scoti (cioè Irlandesi) da una parte contro Piti e Sassoni dall'altra. Taliessin "principe del canto" è il bardo di Unen Reged: gli sono attribuite circa 80 poesie, di contenuto guerresco (per es. "la battaglia di Gwen Ystrad"), religioso e anche classico. Llywarch Hen, forse un poco inferiore, è più umano e dall'ispirazione guerresca trae accenni di carattere malinconico o religioso. Per tutti questi bardi la difficoltà filologica consiste essenzialmente nella tarda documentazione (dal sec. XII in poi) dei loro canti, che hanno subito anche un radicale ringiovanimento della lingua; per cui i canti realmente composti da loro sono certamente molto minori di quelli che la tradizione a loro attribuisce. Di fronte a questi personaggi sicuramente storici sta invece Myrddin (Merlino), figura quanto mai enigmatica e vaga, non conosciuta ancora dalle fonti più antiche, indovino, guerriero, poeta, probabilmente creazione della fantasia o almeno radicale alterazione leggendaria di un più modesto individuo reale.

L'autore più antico, di cui è determinabile con maggior precisione la cronologia, è però uno storico che scrive ancora in latino, Gildas, mab Kaw secondo il racconto Kuhlwch e Olwen. Contemporaneo Arturi regis totius maioris Britanniae secondo una fonte del sec. XII, vissuto quindi nella prima metà del sec. VI, scrisse De excidio Britanniae intorno al 540. Egli si occupa delle continue invasioni dei Piti negli ultimi secoli dell'Impero, della declinante capacità di difesa di Roma, della chiamata dei Sassoni. Posteriore, ma meno conosciuto, è Nennio, ipotetico autore di una Historia Britonum, che in realtà è il rifacimento di una storia più antica: questa è databile al 679, mentre Nennio, discepolo del vescovo Elvodugus di Bangor (morto nell'809) è vissuto fra i secoli VIII e IX senza possibilità di fissarne le date estreme. Oltre che della fine del governo imperiale in Britannia e della chiamata dei Sassoni, la storia di Nennio si occupa di Arturo, ancora trascurato nella storia di Gildas. Arturo appare qui come il dux bellorum che ha combattuto contro i Sassoni dodici battaglie. A distanza di tre secoli, Goffredo di Monmouth (Galfredus Monumetensis) è autore di una Historia regum Britanniae di cui esiste una versione cimrica, Ystoria Brenhined y Brytanyeit: estratto di questa è il Brut Tysilio. Il genere letterario cui appartiene è chiamato Brut, dal latino Brutus, considerato, per un'etimologia popolare, il progenitore dei Britanni. La figura d'Arturo subisce in questa storia una trasformazione radicale: dopo le due guerre effettive coi Sassoni, succedono a intervalli di pace brillantissima, due nuovi periodi di guerre contro tutta l'Europa e contro Roma; solo la sua morte è rappresentata di nuovo in ambiente storico, collegata alle lotte contro i Sassoni, cui s'era alleato il nipote Modredus. La sua storia, così ampliata e trasformata di carattere, rappresenta fedelmente il nuovo aspetto delle tradizioni simriche, nelle quali ha una parte così importante il problema dei Mabinogion, nel significato più vasto del termine, e dell'elemento cavalleresco.

I Mabinogion, secondo J. Loth "racconti che deve conoscere il mabing o allievo letterato", sono quattro nel senso più ristretto, undici in quello più ampio. Appartengono al primo gruppo: Pwyll, principe di Dyved, il racconto della liberazione del regno di Arawn da parte di Pwyll mediante sostituzione di persona, del matrimonio di Pwyll con Riannon, del ritrovamento del figlio Pryderi; Branwen, figlia di Llyr, il racconto del suo matrimonio col re d'Irlanda, dell'affronto subito da questo per opera di un fratello di lei, della invasione cimrica in Irlanda e della quasi completa distruzione degli invasori; Manawyddan, figlio di Llyr, il racconto del sortilegio in cui tutto il regno di Dyvet è caduto per vendetta di un amico di Gwawl, lo sfortunato aspirante alla mano di Riannon, e del quale sono vittime principali Manawyddan e Pryderi; Math, figlio di Mathonwy, il racconto della guerra nata con Pryderi per opera dei due fratelli Gilwaethwy e Gwydyon allo scopo di allontanare il re dalla vergine Goewin; della punizione dei due fratelli; della uccisione, per opera della moglie adultera, di Lleu Llaw Gyffer e del suo ritorno in vita. Questi -romanzi vengono chiamati nello stesso loro testo Mabinogion.

Un altro gruppo è formato dal Sogno di Macsen cioè l'imperatore romano Massenzio, da Lludd e Llevelys, da Kuhlwch e Olwen e dal Sogno di Ronabwy. I primi due hanno un orizzonte molto più vasto, l'uno con un personaggio romano, il secondo con gli accenni al re di Francia; gli altri due sono caratterizzati dall'apparizione di Arturo.

Vengono infine i tre romanzi più evoluti: Owen e Lunet o "La Signora della Fontana", Peredur ab Evrawc, Gereint e Enid, il primo il racconto del matrimonio di Owen con la Signora della Fontana (con l'aiuto devoto dell'ancella Lunet) dopo che le ha ucciso il marito, e l'abbandono e riconciliazione col conseguente ritorno definitivo alla corte d'Arturo; il secondo la vocazione irresistibile di Peredur per la vita cavalleresca, benché il padre e sei fratelli ne fossero morti, la sua consacrazione presso il re Arturo e le sue avventure fino alla distruzione delle streghe nel Castello delle Mermiglie; l'ultimo infine l'incontro di Gereint con Enid mentre vendica un affronto fatto alla moglie di Arturo, la loro vita felice e la riconciliazione dopo le dolorose avventure determinate dalla sua infondata gelosia.

Questi tre ultimi componimenti non rappresentano però senza altro uno svolgimento della tradizione cimrica dei primi Mabinogion. Il carattere di Arturo appare profondamente modificato; non è più l'Arturo epico ma un Arturo cavalleresco, senza che sia possibile rendersi ragione di questo mutamento; non solo, ma proprio nel sec. XII questa materia bretone veniva elaborata ed elevata ad opera d'arte in Francia per opera di Chrétien de Troyes; del quale si conservano fra le altre opere Yvain, Perceval le Gallois, Erec et Enid, che formano l'esatto parallelo dei tre ultimi dei Mabinogion intesi in senso lato.

Il parallelismo casuale della tradizione francese e di quella cimrica è ammesso da una scuola di studiosi che più o meno direttamente si collega col Windisch, mentre altri ammettono fra la tradizione genuina e quella cavalleresca l'intervento di uno strato di cultura francese. Il passaggio di Arturo in Francia è un fatto storico, intorno al quale tuttavia sono state lunghe discussioni fra la cronologia recente di G. Paris, che riteneva la conoscenza di Arturo posteriore alla conquista normanna, e quella antica di W. Förster, che connetteva la penetrazione dell'epos cimrico con le immigrazioni britanniche in Francia e la corrispondente intimità di rapporti fra la Bretagna francese e la Cornovaglia. Questa tesi, la quale si appoggia anche all'autorità di H. Zimmer, è la sola che giustifica la trasformazione progressiva del motivo epico in cavalleresco, con l'avvicinamento di Arturo a Carlo Magno e ai suoi 12 pari e la conseguente introduzione della Tavola Rotonda ignota in origine nel Galles. Questa non appare infatti se non presso Rhys ab Tewdwr, nel 1077. Non è tuttavia da spingere agli estremi la tesi dello Zimmer a proposito della "imitazione" dei tre romanzi cimrici sul modello di Chrétien de Troyes. Ammesso il carattere francese della storia, non si può decidere se si tratti di una cosciente imitazione, o del diritto di cittadinanza riconosciuto a leggende francesi dopo la conquista normanna. Dalla quale è passato almeno un secolo prima che si siano avute le manifestazioni in questione; e in questo secolo non solo il patrimonio di leggende, ma tutto il patrimonio culturale francese si è affermato nella Gran Bretagna. Sicché, anche nella più ristretta e appartata storia letteraria dei Cimri, la vittoria normanna di Hastings ha lasciato un'impronta.

La poesia dei bardi comincia a fiorire all'inizio del sec. XII. Meilyr, bardo dell'avventuroso principe Trahaearn (morto nel 1080) e quindi di Gruffydd ab Kynair visse a lungo, e proprio negli ultimi suoi anni scrisse Il letto di morte del bardo, uno fra i più belli dei suoi canti (1060-1140 circa). Di Gwalchmai suo figlio rimangono 14 poesie, fra cui un'ode al suo signore Owain Gwynnedd, re del Galles settentrionale, morto nel 1169. Il culto della poesia appare anche nelle famiglie dei sovrani: Owain Kyveiliog (morto nel 1197), è stato non solo protagonista di una fierissima guerra col re d'Inghilterra Enrico II ma anche bardo; è noto di lui "Il corno per bere" o Hirlas, poesia in lode di guerrieri. Hywel ab Owain invece, figlio di Owain Gwynnedd, è appassionato piuttosto per la lirica amorosa: altro segno del rivolgimento letterario compiutosi col sec. XIII fra i Britanni. Grandi protettori di bardi furono i due sovrani Llywelyn il Grande e Llywelyn ab Gruffydd, sotto i quali fiorirono Dafydd Benvras e Cynddelw "il grande poeta". In onore del secondo re, l'ultimo sovrano del Galles indipendente, si conserva una dolorosa elegia sull'assoggettamento definitivo del Galles, di Gruffydd ab yr Ynad Coch "figlio della rossa Giustizia".

Le imprese di Llywelyn, eccitando la fantasia popolare, avevano favorito il nascere di una poesia più libera dalle costrizioni dei metri tradizionali. Le mutate condizioni politiche portano col sec. XIV a una prevalenza dell'elemento meridionale, a nuovi tipi di ispirazione, e a nuove forme metriche. L'organizzazione dei bardi, dopo una triplice assemblea o eisteddfod, riordinava le complicate regole metriche e consacrava un verso nuovo composto di sette sillabe con rime accoppiate, il cywydd, che era destinato ad aver fortuna per due secoli.

L'età d'oro del cywydd va dal 1340 al 1440; è a questo periodo che appartiene il massimo poeta cimrico Dafydd ab Gwilym, vissuto dal principio del sec. XIV al 1368. Della sua vita, divenuta ben presto oggetto di racconti romanzeschi, si sa poco. Fra le eroine della sua poesia amorosa ha maggior risalto la bionda Morvudd, alla quale sono dedicati ben 101 canti, naturalmente senza che si possa giudicare se si tratti di una donna reale o di una creazione del poeta. Gl'influssi provenzali appaiono numerosi, mentre non si può dire che abbia conosciuto il Petrarca. Ma la sua musa non è prigioniera di una poesia amorosa formalistica; sa essere moraleggiante e istruttiva, e raggiunge il vertice dell'ispirazione nel sentimento della natura. Le sue poesie sono quasi trecento, in gran parte alterate e oscurate da interpolazioni e false interpretazioni.

L'insurrezione di Owen Glyndwr ha ispirato, con altri, Jolo Gôch, il maggiore dei bardi che seguono a Dafydd ab Gwilym. L'elemento patriottico e guerriero, quello encomiastico in onore dei suoi protettori, quello descrittivo e istruttivo prevalgono in lui su quello amoroso. A lui è anche attribuito un episodio teatrale di una vita di Cristo. Il periodo immediatamente successivo, fino alla metà del sec. XVI, è in parte già di decadenza (età d'argento del cywydd), principalmente a causa delle norme restrittive riguardo ai metri sancite nell'eisteddfod del 1451. Si distingue fra i poeti di que3to periodo Dafydd ab Edmwnd, morto verso il 1480, discepolo di Meredidd ap Rhys, poeta amoroso dalla firma artificiosa e severa. Egli ha avuto una scuola che si è continuata pet tutto il sec. XVI, e della quale gli ultimi rappresentanti sono Siôn Tudur (morto nel 1602), e Simwnt Vychan (morto nel 1606).

Col sec. XVI si hanno le prime manifestazioni di teatro popolare tratte da misteri inglesi, e ben presto diffuse e radicate al punto da essere attribuite a poeti del periodo aureo del cywydd. Un'innovazione importante s'è compiuta nella tecnica del verso nel sec. XVII, con la sostituzione dei versi liberi in confronto di quellì con un numero fisso di sillabe: Hugh Morris (1623-1709) è il più noto fra questi autori. Rappresentante di una tendenza conservatrice nella tecnica del verso è invece Goronwy Owen (1723-1769), poeta del resto ricco di sentimento e, anche a causa della vita travagliata, assai amato fra i Cimri. Anche nel sec. XIX la tradizione poetica si conserva vigorosa, ma passa in seconda linea di fronte alla prosa.

Come in tutti i paesi protestanti, l'inizio della prosa moderna è dato dalla traduzione della Bibbia, che presso i Cimri è apparsa nel 1588 a cura del vescovo William Morgan. Essa si sviluppa specialmente nel sec. XIX, in cui si hanno romanzieri come Daniel Owen (morto nel 1895), critici come Lewis Edwards (morto nel 1887) e storici come Thomas Price (1783-1848) che pubblicava nel 1842 la migliore storia del Galles.

La prosa cimrica è più diffusa e viva anche di quella irlandese, e ha una larga base popolare con la diffusione della Bibbia e di un gran numero di giornali.

Letteratura cornica e bretone. - La letteratura delle due famiglie minori dei Celti britannici rimane molto addietro rispetto a quella cimrica. Il distacco precoce della Cornovaglia dal Galles, e soprattutto l'emigrazione dei Bretoni nell'Aremorica, hanno fatto sì che tutte le ricche tradizioni ereditate si spegnessero prima di poter essere fissate nella scrittura. Perdita tanto più dolorosa in quanto ad es. la Bretagna francese ha esercitato nello svolgimento delle leggende arturiane una parte che non siamo in grado di valutare direttamente, ma che è stata certamente cospicua (v. sopra). Come per l'irlandese, così per il cornico e per il bretone i documenti puramente linguistici (glosse, lemmi di vocabolarî, nomi proprî) precedono di secoli quelli letterarî: sono del sec. X quelli cornici, arrivano all'VIII quelli bretoni.

Perduta ogni traccia di letteratura epica e lirica, la letteratura cornica è di carattere eminentemente religioso. Del sec. XV sono un poema sulla Passione, del XV e XVI dei misteri di argomento biblico o cristiano. La scarsa vitalità della lingua già nel sec. XIV ha fatto sì che non vi sia stata nemmeno tradotta la Bibbia, e si abbiano solo traduzioni di qualche preghiera isolata.

Nella Bretagna tragedie e canzoni costituiscono il patrimonio letterario più antico. Le tragedie, più di un centinaio, discendono direttamente dai misteri medievali e rappresentano soggetti biblici, agiografici e cavallereschi: la più antica è la vita di S. Nonna della fine del sec. XV. Altri misteri pure antichi (sec. XVI) come quello della Passione o come la vita di S. Barbara e di S. Caterina riposano su modelli esclusivamente francesi. Le canzoni popolari, che hanno paralleli fra i Celti anche al di fuori della Bretagna in quanto sono canzoni amorose, sono invece tipicamente bretoni in quanto complaintes o gwerziou. Naturalmente non si possono cercare in esse dei documenti di carattere storico.

Il rinascimento della letteratura bretone avviene nel sec. XIX; opere di lessicografi come Le Gonidec, di traduttori come Le Gonidec e Troude (la Bibbia è del 1868), di editori di poesie come il visconte de la Villemarqué (1839) e Brizeux (1844), hanno creato un terreno adatto che si salda all'esterno col movimento panceltico. Risveglio teatrale si nota negli ultimi tempi: accanto agli argomenti religiosi del teatro tradizionale sono frequenti quelli romantici: ma l'ispirazione fmncese si mantiene esclusiva.

Fonti: Fonti irlandesi: E. O' Curry, Lectures on the manuscript materials of ancient Irish history, Dublino 1873; E. Windisch, Irische Texte, voll. 5, Lipsia 1880-1901 (i voll. I e IV in collabórazione con W. Stokes), W. Stokes e J. Strachan, Thesaurus paloeohibernicus, voll. 2, Cambridge 1901-1903; R. Thurneysen, Zu irischen Handschriften und Literaturdenkmälern, in Abhandl. der Gött. Akademie, 1912-13; R. I. Best, Bibliography of Irish philology and of printed Irish literature. Dublino 1913 (v. anche irlanda).

Fonti cimriche: I. Morganwg, Iolo Manuscripts, Llandovery 1848; W. F. Skene, The four ancient Books of Wales, voll. 2, Edimburgo 1868; W. Owen, I. Morganwg, O. Jones, Myvyrian Archaeology of Wales, voll. 3, Londra 1801; 2ª ed., Denbigh 1870, in 1 vol.; J. G. Evans e J. Rhys, Y Llyvyr Coch o Hergest, voll. 2, Oxford 1887-1890; id., Pedeir Hainc Oxford Mabinogi, Oxiord 1897; J. G. Evans, The Black Book of Carmarthen, Oxford 1907.

Bibl.: Enciclopedie: E. Windisch, Keltische Literaturen, in S. Ersch e J. G. Gruber, Allgemeine Encyklopädie der Wissenschaften u. Künste, Lipsia 1818-1890; H. Zimmer, K. Meyer, L. C. Stern, Keltische Literaturen, in Kultur den Gegenwart, I, XI, i, pp. 1-138; Berlino-Lipsia 1909; E. C. Quiggin, W. J. Gruffydd, Celtic literature, in Encyclopaedia Britannica, 11ª ed., Cambridge 1911, V, pp. 622-652; H. d'Arbois de Jubainville, Cours de littérature celtique, voll. 12, Parigi 1883-1902; G. Dottin, Les littératures celtiques, Parigi 1924; M. Maclean, The literature of the Celts, Londra 1902.

Per il gruppo gaelico: E. Hull, Text Book of Irish literature, voll. 2, Londra 1904-1908 (con bibliografia); D. Hyde, History of Irish literature, 2ª ed., Londra 1920; D. Maclean, The literature of the Scottish Gael, Londra 1913; G. Dottin, L'épopée irlandaise, Parigi 1926 (traduz.); R. Thurneysen, Sagen aus dem alten Irland, Berlino 1901; id., Die Irische Helden und Königsgage bis zum siebzehnten Jahrhundert, Halle 1921.

Per il gruppo britannico: T. Stephens, Literature of the Kymry, 2ª ed., Londra 1876; E. Windisch, Das keltische Britannien bis zu Kaiser Arthur, Lipsia 1912 (Abhandlung. der kgl. sächs. Akad., Philolog.-historische Kl., XXIC, 6); Faral, la légende arthurienne, Parigi 1929; J. Loth, Les Mabinogion, 2ª ed., voll. 2, Parigi 1913 (traduz.); L. Mühlhausen, Die vier Zweige der Mabinogi, Halle 1925.

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