Céline et Julie vont en bateau

Enciclopedia del Cinema (2004)

Céline et Julie vont en bateau

Jean Douchet

(Francia 1974, colore, 192m); regia: Jacques Rivette; produzione: Barbet Schroeder per Les Films du Losange; sceneggiatura: Eduardo De Gregorio, Juliet Berto, Dominique Labourier, Bulle Ogier, Marie-France Pisier, Jacques Rivette; fotografia: Jacques Renard; montaggio: Nicole Lubtchansky; costumi: Jean-Luc Berne, Pierre D'Alby, Laurent Vicci; musica: Jean-Marie Sénia.

La bibliotecaria Julie e la prestidigitatrice Céline si incontrano in un giardinetto parigino. Nasce un'amicizia condita di buffi racconti. Uno di questi, narrato da Céline, riproduce l'identica situazione di un sogno di Julie: una casa frequentata da un vedovo con una bambina, una donna bruna e una bionda. Le due amiche cercano e trovano la casa e i personaggi delle loro fantasticherie. Nel corso dei loro viaggi magici all'interno della dimora, scoprono che una delle due donne misteriose vuole assassinare Madlyn, la bambina, in modo da poter sposare Olivier, il vedovo (egli, infatti, ha giurato che non prenderà moglie finché sarà padre). Céline e Julie smascherano infine la colpevole, in un crescendo di situazioni oniriche.

Céline et Julie vont en bateau si colloca nel territorio della fantasia e dell'immaginario. In primo luogo fantasia dei costumi e del maquillage, che rendono omaggio alle pantomime infantili, alle comiche del cinema muto e alle fiabe. E fantasia soprattutto nella sceneggiatura, che procede come un racconto senza fine, accumulando situazioni strampalate nel corso delle insolite peregrinazioni di Julie e Céline. Le due ragazze, un poco mitomani, inventano storie che non stanno né in cielo né in terra, popolate di personaggi misteriosi che prendono vita a seconda della loro immaginazione. Come sempre nel cinema di Jacques Rivette, i personaggi scoprono la sceneggiatura del film allo stesso modo in cui la casa degli spiriti si anima dopo che Céline vi è entrata. Il film cerca e trova se stesso nel corso del proprio svolgimento. Commedia leggera, Céline et Julie vont en bateau è privo di qualsiasi ambizione tematica; nel film non è riscontrabile nemmeno la minima traccia della coscienza politica che contraddistingue il cinema degli anni Settanta. Non vi è una sola storia, ma più storie che si accumulano sullo schermo come tante caselle di un gioco dell'oca. Tutto il cinema di Rivette ruota intorno a un unico soggetto che si modifica leggermente da un film all'altro e Céline et Julie vont en bateau non fa eccezione: ancora una volta si tratta del conflitto tra il concetto di improvvisazione e quello di macchinazione. Dell'aleatorio opposto al calcolo. Del caso opposto al complotto. Ma questa volta la sorpresa e l'estemporaneità trionfano chiaramente sui complotti ostentati. Come dimenticarsi della sceneggiatura? Questa sembra essere la domanda che ogni film di Rivette ci pone. E la risposta fornita da Céline et Julie vont en bateau sembra essere prima di tutto: deviando il linguaggio. Qui non vi sono che giochi di parole, inversioni, cadavres exquis, ecc. "Grazie, signore", dice Céline a Julie che le restituisce gli occhiali. Nella casa degli spiriti è la parola "fiore" a provocare gli svenimenti. Senza contare i numerosi effetti di straniamento nei dialoghi delle due ragazze ("sono scene di riempimento, queste"; "insomma, ho invertito due scene"). Come spesso avviene nei film dell'autore di Le pont du Nord (1981, altro 'film-gioco dell'oca') a una trama imposta dagli uomini le donne oppongono giochi sempre più aleatori e parodistici; sono giochi loro, ma soprattutto 'tra di loro'. Fin dal suo primo cortometraggio, Le coup du berger (1956), Rivette manifesta questo gusto per il gioco e per il suo svolgimento calcolato e manipolatore. Man mano che l'opera procede, il 'gioco' sembra liberarsi della sua finalità. È soltanto un veicolo dell'azione o, come nel caso di Céline et Julie vont en bateau, diviene l'azione stessa.

Il termine 'gioco' è da intendersi in tutti i suoi significati: recitazione degli attori, rapporto tra i personaggi, la ludica atmosfera infantile in cui le due ragazze sembrano giocare alle bambine che sono state o che vorrebbero ancora essere. Da qui la giornata che esse trascorrono nella casa degli spiriti, o la traversata di Montmartre sui pattini a rotelle. È questo aspetto infantile che conferisce al film il suo aspetto di 'fiaba'. A partire dalla frase ("cominciava quasi sempre così") che introduce la presentazione dei personaggi (la donna cattiva, per forza bruna e vestita di rosso), passando per le numerose storie raccontate da Céline (i nemici immaginari che le danno la caccia, il safari in Kenia che non ha mai fatto o la miliardaria americana con la piscina a forma di cuore), tutto sembra obbedire alla logica della fiaba e della mitomania.

E in che modo Rivette ci mostra la magica attività ludica delle due ragazze? In un spazio, certo, ma in quello del tempo sul quale finge di basarsi il cinema, l'arte del tempo per eccellenza, costringendolo, stringendolo e restringendolo, facendolo precipitare e riducendolo a mero veicolo utilitario dell'azione. Rivette, con orgoglio e semplicità, tenta di esplorare una superficie vergine. Le assegna un luogo vuoto o semplicemente privo di qualsiasi decorazione (la casa fantasma), che trasforma in spazio scenico ‒ da qui la sua predilezione per la scena teatrale ‒ che non necessita di ulteriori abbellimenti (Paris nous appartient, 1960; L'amour fou, 1968). Perché un tempo morto non lo si abbellisce, lo si occupa. Si tratta, attraverso una complessa interazione fra elementi preparati e improvvisati, di creare, di far scaturire momenti di vita. La durata diviene quindi la materia prima della quale si serve il nostro cineasta e l'attività ludica il suo strumento principale. In Céline et Julie vont en bateau il 'gioco' si fa onnipresente e invade tutte le forme di rappresentazione: dalle pose del cinema muto alla delirante partita di 'un, due, tre, stella' nella casa degli spiriti, dalle numerose aperture e chiusure di porte al buffo valzer che Céline accenna insieme al cugino Guilou guardando verso la macchina da presa, passando per la sequenza in cui le attrici si urtano come in una comica e cadono maldestramente tra le mele. Prima di cadere, entrambe avanzano in primo piano e s'immobilizzano di fronte a noi, come marionette che improvvisamente smettono di funzionare. Nel cinema di Rivette, quando una scena ha inizio, non si sa mai come andrà a finire. Essa rimane aperta, libera di vivere a modo suo, per quanto lunga sia. È questo modo di trattare la durata come uno spazio libero, a sé stante, privo di limiti e di finalità, che conferisce a Céline et Julie vont en bateau e più in generale all'opera di Rivette il suo aspetto innovatore e sperimentale, la sua 'modernità'.

Interpreti e personaggi: Juliet Berto (Céline), Dominique Labourier (Julie), Bulle Ogier (Camille), Marie-France Pisier (Sophie), Barbet Schroeder (Olivier), Philippe Clevenot (Guilou), Nathalie Asnar (Madlyn), Marie-Thérèse Saussure (Poupie), Jean Douchet (Dédé), Adèle Taffetas (Alice), Anne Zamire (Lil), Monique Clément (Myrtille), Jérôme Richard (Julien), Michael Graham (Boris), Jean-Marie Sénia (Cyrille), Jean-Claude Biette, Jean Eustache.

Bibliografia

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G. Lenne, Céline, Jacques et Julie. Il existe encore des enfants, in "Écran", n. 29, octobre 1974.

G. Legrand, Un film est un complot, in "Positif", n. 162, octobre 1974.

J. Rosenbaum, Work and Play in the House of Fiction, in "Sight & Sound", n. 4, autumn 1974.

W. Johnson, Recent Rivette ‒ An Inter-Re-view, in "Film Quarterly", n. 2, winter 1974/75.

J. Ashton, Reflecting Consciousness: Three Approaches to Henry James, in "Literature/Film Quarterly", n. 3, summer 1976.

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I. Softley, Céline and Julie, in "Sight & Sound", n. 9, September 1994.

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