CAVA dei Tirreni

Enciclopedia Italiana (1931)

CAVA dei Tirreni (A. T., 27-28-29)

Goffredo COPPOLA
Carmelo COLAMONICO
Ernesto MARTINI
Gino CHIERICI

Comune della provincia di Salerno, formato da 16 frazioni, sparse in un territorio di 36,46 kmq., con una popolazione complessiva di 26,729 ab. Il centro principale, che è il "borgo", e che conta solo 8691 ab., è una graziosa cittadina che sorge a 195 m. s. m., e segna la quota di maggiore altitudine nell'insellatura che articola la Penisola Sorrentina. Questa più considerevole altitudine, insieme con la relativa accidentalità del terreno, ha fatto del territorio di Cava una delle più frequentate stazioni climatiche dell'Italia meridionale. Nei mesi d'agosto e di settembre molte migliaia di villeggianti vi convengono soprattutto da Napoli e da Salerno. Specie in primavera e in autunno Cava è poi meta anche di numerosissimi stranieri attratti dalla dolcezza del clima e dalla bellezza del paesaggio.

Il borgo è una graziosa cittadina, la cui via principale, il corso Umberto I, è caratterizzata dalla successione di portici; esso è situato sulla ferrovia Napoli-Salerno-Battipaglia e sulla tramvia elettrica Salerno-Valle di Pompei. Una singolarità di Cava sono i cosiddetti giochi, torri dalle quali nell'ottobre, si pratica, con lancio di sassi, il tiro al piccione.

La magnifica conca di Cava dei Tirreni è coperta da fittissima vegetazione, e produce specialmente vino, olio, granturco, ortaggi, gelsi, tabacco; vi ha notevole importanza l'industria tessile del cotone. A ovest del borgo, a circa 4 km. di distanza, sorge la celebre Badia della Trinità.

V. tav. CLIX.

Storia. - Fu nel sec. XII terra feudale del monastero della SS. Trinità, la quale comprendeva appena una borgata detta "Scaczaventuli" con qualche piccolo casale sui colli vicini. Ebbe importanza nel Medioevo, perché, posta tra l'antica Nuceria e Salerno, a guardia dell'Abbazia, offriva vantaggiosi mercati ed era la chiave per penetrare nella Lucania. L'appellativo "dei Tirreni" le venne nel 1862, perché si ritenne - ed è assai discutibile l'opinione - facesse parte dell'antica Marcina, la quale, come si sa, fondata dai Tirreni e distrutta nel sec. V da Genserico, si trovava più ad est, verso Vietri, ed era il porto più sicuro del golfo di Salerno. Munita del Castrum S. Adiutoris, che appartenne al cenobio fin dal 1111; con varia vicenda amministrata dagli abati, si estese notevolmente nel secolo XIV. Durante le guerre dei Durazzeschi, tenne per Ladislao, e meritò da Bonifazio IX il titolo di città e l'abate-vescovo (1394).

Più tardi dovette arrendersi allo stesso Ladislao, sperando di emanciparsi dal potere dei monaci, ligi ai Francesi. Le rendite che la città offriva all'Abbazia, di 1048 tarì nel sec. XIII, andaron così, per i tributi imposti, assottigliandosi, specie poi al tempo di Ferrante I e Carlo VIII, il quale (1495) dichiarava Cava città demaniale col diritto di fregiare lo stemma col giglio di Francia. Toccò poi per il trattato di Granata (v). a Luigi XII, e dopo inutili dedizioni, i Cavesi parteggiarono di nuovo per gli Spagnoli nelle lotte tra Francesco I e Carlo V, e anche durante la rivoluzione di Masaniello, per cui Tommaso di Savoia, dopo rivolte le armi contro Salerno, saccheggiava Vietri e i sobborghi di Cava, ostinati a non voler riconoscere il Duca di Guisa.

La città non ebbe gran parte nella congiura di Macchia e s'acconciò volentieri ai Borboni.

L'Abbazia. - L'abbazia della Cava o della SS. Trinità sorse presso l'antico Mitilianum, tra Vietri e la città di Cava, località probabilmente appartenente alla gens Metella, che vi ebbe una villa, di cui avanza qualche monumento. Il nome di Cava fu dato in origine al monastero, perché costruito nella "cavea" o "crypta arsicza", e anticamente, nelle sue modeste proporzioni, tutto dominato da una paurosa roccia che serviva di tetto.

Un primo ricordo della denominazione "SS. Trinità" si trova nel diploma di Guaimaro III di Salerno, del 1025, all'abate Alferio (morto nel 1050), fondatore della Badia. Questi avrebbe avuto una visione della Trinità dal fondo dello speco, dove poi sorse il monastero, mentre invano su d'un'altura vicina aveva tentato di edificarlo. Ma è strano che i testi agiografici di quel tempo, tra cui la Vitae SS. Patrum Cavensium, non parlino del prodigioso evento. Sulla fede del Chronicon Vulturnense si assegnano al 1011 gl'inizî dell'Abbazia: però il carattere delle costruzioni, divenute in seguito venerando ipogeo - a torto chiamato cimitero longobardo - ci riportano per lo meno al sec. X, ed è da supporre che S. Alferio, accanto alle antiche celle eremitiche, altre ne costruisse per il suo istituto cenobitico.

Sin dal primo abate ben presto si moltiplicarono le donazioni di carattere feudale; onde quei monaci, ricchi d'immunità, esercitando i diritti signoriali, proprî delle grandi abbazie franche dell'Italia centrale, divennero assai potenti, a fronte dei Bizantini, a cui opposero una vasta organizzazione religiosa - l'Ordo cavensis - il cui Magnus Abbas contava grange persino nel Bruzio e in Sicilia. È la riforma cluniacense che da Cava diffondono i discepoli del terzo abate - Pietro I - maestro di papa Urbano II: gli ultimi principi longobardi, non meno che i normanni e i pontefici, da Gregorio VII a Lucio III e Innocenzo III, investirono quegli abati di eccezionale giurisdizione. Così nei feudi lontani un baiulo - gabarrectus - preposto all'amministrazione dei beni, andò costituendo il nucleo di laboriose comunità rurali che poi divennero la diocesi abbaziale.

La disciplina feudale, introdotta da Federico II, limitò quei poteri, benché l'abate Balsamo riuscisse a ottenere una certa deroga ai principî, sanciti più tardi nelle Constitutiones; con gli Angioini continuarono le spogliazioni, e i documenti di quell'archivio mostrano a meraviglia le mutate condizioni dei tempi, sì che fu facile ai sudditi vicini assalire e devastare la Badia nel sec. XIV - quando contava 150 abbazie suddite e più di 300 chiese.

Divenuti gli abati consiglieri reali, circondati di fasto e di lusso mondano, innalzato il cenobio a dignità vescovile (1394), questo decadde accogliendo i Commendatarî (1394-1497), che l'impoverirono di monaci e di sostanze (Angelotto de Fuscis, Scarampa, Giovanni D'Aragona, Carafa).

Sul declinare del sec. XV la famosa congregazione cavense era estinta. La Badia fu poi aggregata a quella di S. Giustina di Padova, fondata dal Barbo, e l'università di Cava pretese un Vescovato proprio, e l'ottenne da Leone X (1513) in seguito a nuove invasioni del monastero e minacce di rappresaglie. D'allora in poi gli abati si successero regolarmente, alcuni dei quali veramente illustri: il Sangrino, Manso, Venereo, De Blasi; altri degni di ricordo per saggezza amministrativa e per attività scientifica: Severino, Boccia, Ridolfi, Mazzacane. Rimontano al sec. XVI-XVII le costruzioni che tuttora si vedono, fatte per accogliere la gioventù studiosa, a cui, specialmente dopo la soppressione del 1860, si dedicano quei benedettini.

La celebre abbazia fu costruita, presso e dentro la grotta Arsicia, dal salernitano Alferio venuto nel 1010 da Cluny per riformare i monasteri del principato. Del primitivo edificio non restano che pochi avanzi presso il cosiddetto cimitero dei Longobardi; invece, nonostante i rifacimenti posteriori e soprattutto quelli della seconda metà del '700, quando fu ricostruita buona parte del convento e interamente la chiesa (la cui facciata è del 1772), rimangono ancora elementi cospicui dell'abbazia del sec. XI e del XII. Nella cripta sono buoni affreschi della fine del sec. XIV, ma poco resta del Giudizio universale dipinto da Andrea da Salerno, di cui è forse il S. Benedetto sull'altare di sinistra. Nel piccolo chiostro pittoresco, che ha ancora due lati originali sono raccolti sarcofaghi e mosaici romani, capitelli e frammenti di archivolti del sec. XII, bassorilievi quattrocenteschi.

All'epoca del maggior splendore dell'abbazia appartengono pure un paliotto d'altare del sec. XI, murato nella parete di fondo della chiesa, l'ambone, in parte malamente rifatto (1880), il candelabro, esemplari d'arte campana; ai secoli posteriori, bassorilievi ora nella cappella della Croce (sec. XIV), mattonelle maiolicate (sec. XV) della stessa cappella, portali marmorei e stalli intagliati (sec. XVI), statuette della scuola del Santacroce. Le opere eseguite nel '700 non hanno particolare interesse artistico. Nella modesta quadreria è notevole una tavola senese del sec. XV. Il piccolo museo ha una collezione numismatica completa e ordinata per le zecche longobarde e normanne di Salerno, un cofanetto d'avorio, opera tarda di artisti salernitani ispirata all'arte alessandrina, turiboli, maioliche abruzzesi, ecc. Storicamente importantissimi l'archivio, con migliaia di pergamene del sec. VIII al XIX, e la biblioteca, ricca di incunaboli e di manoscritti, anche miniati.

V. tav CLX.

Bibl.: Mss.: Chronicon Caven. sec. X-XIV; Ridolfi, Historia S. Mon. Cavensis; Ursini, Compendium hist. Caven.; De Blasi, Chronicon; Adinolfi, Storia della Cava, Salerno 1846; Pulverino, Descriz. Istor. della C., Napoli 1716; Casaburi, Notizie stor. top. sulla città di Marcina, Salerno 1829; G. A. Adinolfi, Storia della Cava, distinta in tre epoche, Salerno 1840; D. Salazaro, Guida del monumento di Cava dei Tirreni, Napoli 1872; G. Abignente, Gli statuti inediti di Cava dei Tirreni, Roma 1886; S. De Stefano, La Badia della SS. Trinità della Cava, Napoli 1903; Codex diplom. Cavensis, ed. da Morcaldi, Schiani, de Stefano, Gaetani d'Aragona, voll. 8, Milano 1873-83; P. Guillaume, Essai historique sur l'Abbaye de Cava, Cava dei Tirreni 1877; id., Vita di S. Alferio, Napoli 1878; id., Un monaco ed un principe nel sec. XI, Napoli 1879; id., La Congregaz. cluniancense in Italia, Napoli 1879; id., Le navi cavensi nel Mediterraneo durante il Medioevo; id., Guida dell'abbazia di Cava, Napoli 1880; M. Morcaldi, Una bolla di Urbano II, Napoli 1880; G. Senatore, L'antica Marcina, 1898; Vitae SS. PP. Cavensium (curantibus monachis Cav.), Napoli 1911; E. Martini, Il diritto feudale e l'abate di Cava nel sec. X, in Riv. stor. benedettina, 1908; id., Figure benedettine, ibid., 1908-09; id., Studi di storia amalfitana, in Arch. stor. salernitano, 1921; id., I monasteri Cav. nell'Irpinia, 1912; La feudalità monastica in Puglia, Martina Franca 1915; E. Bertaux, L'art dans l'Italie Méridionale, Parigi 1904.

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