Catalisi per il disinquinamento

Enciclopedia del Novecento III Supplemento (2004)

Catalisi per il disinquinamento

Gabriele Centi
Siglinda Perathoner

sommario: 1. Introduzione e aspetti generali. 2. Depurazione delle emissioni da sorgenti mobili: a) catalizzatori per le emissioni da motori a benzina; b) sviluppi recenti nei catalizzatori per le emissioni da autoveicoli; c) controllo del particolato carbonioso. 3. Eliminazione di NOx da sorgenti fisse. 4. Combustione catalitica di composti organici volatili: a) alternative di processo; b) caratteristiche dei catalizzatori; c) applicazioni recenti. 5. Problematiche ambientali connesse all'uso di catalizzatori per il disinquinamento. □ Bibliografia.

1. Introduzione e aspetti generali

Il termine 'catalisi', introdotto nel 1836 da Jöns Jacob Berzelius e in seguito ridefinito da Wolfgang Ostwald nel 1895, indica l'effetto di modifica della velocità di una reazione chimica indotto dalla presenza di composti chimici ('catalizzatori') che si trovano in fase omogenea o eterogenea rispetto alla fase in cui ha luogo la reazione. Il catalizzatore determina dunque un aumento della velocità di scomparsa del reagente o anche, nel caso di reazioni complesse, una modifica della selettività del processo. Ciò avviene senza un apparente consumo del catalizzatore, che perciò può essere utilizzato in modo continuo nel ciclo di reazione, sebbene nel tempo si possa avere una variazione graduale dell'attività e/o della selettività a causa di processi di disattivazione.

La catalisi è stata al centro dello sviluppo dell'industria chimica e della raffinazione del petrolio nel XIX e nel XX secolo, ma solamente dopo l'introduzione su larga scala dei catalizzatori per il trattamento delle emissioni da autoveicoli (avvenuto, in Italia, all'inizio degli anni novanta) il concetto di catalisi si è diffuso al di fuori dell'ambito scientifico. L'utilizzo di catalizzatori per la depurazione delle emissioni provenienti dagli autoveicoli è stato il primo esempio di impiego commerciale su larga scala della catalisi per il disinquinamento. I catalizzatori e le tecnologie catalitiche sono stati impiegati anche in altri settori che hanno ampie ricadute commerciali, quali: l'eliminazione degli ossidi di azoto (NOx) emessi da sorgenti fisse; l'eliminazione di composti a base di zolfo da emissioni gassose; la conversione di gas a effetto serra; l'ossidazione totale di composti organici volatili. A queste applicazioni ne vanno aggiunte altre di sviluppo recente, ma in rapida espansione, quali: il trattamento di emissioni liquide; la conversione di rifiuti solidi (polimeri e altri); il miglioramento della qualità dell'aria in ambienti chiusi; la riduzione catalitica dell'ozono (v. Centi e altri, 2002).  Il termine 'catalizzatore' in questo contesto definisce l'effettivo elemento catalitico (generalmente, nel caso della catalisi per il disinquinamento, si tratta di ossidi misti, di materiali di tipo zeolitico o di metalli supportati), mentre il termine 'tecnologia catalitica' definisce l'insieme costituito dal catalizzatore, dal suo supporto strutturale (ad esempio, un supporto a struttura monolitica) e dal reattore. Questi ultimi due aspetti sono altrettanto importanti nel determinare il comportamento catalitico e, in particolare, hanno un ruolo fondamentale nel caso della catalisi per il disinquinamento (v. Cybulski e Moulijn, 1998).

La catalisi per il disinquinamento definisce quindi l'insieme delle applicazioni della catalisi finalizzate alla depurazione delle emissioni derivanti dalla produzione industriale, alla eliminazione di composti nocivi e/o inquinanti prodotti dai mezzi di trasporto, al miglioramento della qualità dell'aria o dell'acqua e alla riduzione dell'impatto ambientale dei rifiuti solidi. Essa è parte del settore della catalisi per la protezione dell'ambiente (environmental catalysis) che include, oltre ai campi di applicazione sopra indicati, le seguenti aree: a) nuovi processi catalitici per la riduzione dell'impatto ambientale e del rischio nella produzione chimica o non chimica (ad esempio, nuovi catalizzatori o processi catalitici che riducano o eliminino la formazione di sottoprodotti o di intermedi pericolosi, o che consentano una riduzione dell'uso di risorse energetiche o di materie prime); b) tecnologie catalitiche per una produzione a minor impatto ambientale di energia (ad esempio, tecnologie catalitiche per l'uso dell'energia solare, combustione catalitica, celle a combustibili); c) processi catalitici di conversione di materie prime rinnovabili (conversione di biomasse); d) produzione catalitica di combustibili puliti (idrogeno, benzine a basso tenore di zolfo e/o con minore tossicità); e) uso della catalisi nella decontaminazione di siti inquinati (falde acquifere e suolo); f) materiali catalitici per dispositivi innovativi di protezione ambientale (ad esempio, forni autopulenti nelle cucine; v. Armor, 1994; v. Centi e altri, 1995 e 2002; v. Ertl e altri, 1999; v. Janssen e van Santen, 1999).

La catalisi per il disinquinamento rappresenta un importante settore dell'economia industriale, poiché il mercato mondiale dei catalizzatori per il disinquinamento (circa un terzo del totale) ammonta a circa 3 miliardi di euro (anno 2000), concentrati principalmente nell'area delle tecnologie catalitiche per il trattamento delle emissioni da autoveicoli (NOx, CO e idrocarburi) e per la purificazione delle emissioni industriali (NOx, composti organici volatili, composti contenenti zolfo).

Nel rapporto White paper on catalysis and biocatalysis, pubblicato nel 1999 dal National Institute of Standards and Technology degli Stati Uniti, la catalisi per il disinquinamento viene inclusa tra le cinque principali aree della produzione industriale che permettono di combinare prospettive di sviluppo scientifico e tecnologico con ricadute positive in termini economici e ambientali.

La catalisi per il disinquinamento presenta caratteristiche specifiche che la differenziano dalla catalisi per processi chimici o di raffineria. In quest'ultimo caso i catalizzatori operano in condizioni definite di reazione, mentre i catalizzatori per il disinquinamento devono spesso operare in un ampio campo di condizioni sperimentali e con fluttuazioni nella composizione dell'alimentazione, essendo generalmente le condizioni di reazione definite dall'applicazione a monte. Per esempio, i catalizzatori utilizzati nel trattamento delle emissioni da autoveicoli devono essere efficienti in un esteso intervallo di temperature (da circa 150 °C fino a oltre 650 °C) e in presenza di marcate fluttuazioni nella composizione e nella portata delle emissioni, caratteristiche che dipendono dal regime di operazione del motore dell'autoveicolo. Ciò ha comportato la necessità di sviluppare tecnologie catalitiche particolarmente sofisticate per il trattamento di tali emissioni (v. cap. 2).

La catalisi per il disinquinamento è stata un elemento decisivo nel miglioramento della qualità ambientale negli ultimi decenni; oltre al ruolo decisivo nella riduzione delle emissioni inquinanti associate al trasporto, va infatti ricordato che più dell'80% delle tecnologie di depurazione delle emissioni industriali è basato sull'impiego di catalizzatori solidi. Nell'ultimo decennio l'introduzione di nuove o migliorate tecnologie catalitiche per il disinquinamento, insieme a cambiamenti nei combustibili utilizzati, ha portato in Europa a una diminuzione effettiva del 58%, 33%, 24% e 10% nelle emissioni, rispettivamente, di ossidi di zolfo (SOx), monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx) e idrocarburi non metanici (v. European Environment Agency, 2002), nonostante l'aumento della produzione industriale e del parco autoveicoli.

Nei successivi capitoli saranno discussi più in dettaglio alcuni aspetti delle principali tecnologie catalitiche per il disinquinamento disponibili commercialmente su larga scala (per ulteriori approfondimenti e per la discussione degli altri settori di applicazione indicati, v. Armor, 1994; v. Centi e altri, 1995 e 2002; v. Ertl e altri, 1999; v. Janssen e van Santen, 1999).

2. Depurazione delle emissioni da sorgenti mobili

Due sono i principali tipi di motori a combustione interna utilizzati negli autoveicoli: i motori a benzina (ciclo Otto) e quelli diesel. Questi ultimi rappresentano circa il 30% dei motori per gli autoveicoli leggeri e la quasi totalità dei motori per i veicoli pesanti (autocarri, autobus, ecc.). Una differenza fondamentale tra motori a benzina e motori diesel è il metodo di introduzione dell'aria e del combustibile nei cilindri. Questo porta a differenze nella composizione delle emissioni e, in particolare, alla necessità di operare sempre in eccesso di aria nei motori diesel per limitare la formazione di particolato. In entrambi i tipi di motore le emissioni sono caratterizzate dalla presenza di composti nocivi alla salute (come NOx, CO e altri prodotti dell'ossidazione incompleta degli idrocarburi presenti nel combustibile), aventi in alcuni casi (ad esempio, molti composti appartenenti alla classe degli idrocarburi policiclici aromatici) effetto carcinogenico, oppure di composti che provocano inquinamento secondario (NOx e idrocarburi generano ozono e smog in seguito a reazioni fotochimiche nell'atmosfera; NO2 è ossidato ad acido nitrico che contribuisce all'acidificazione della pioggia).

Le prime norme sulle emissioni da autoveicoli sono state emanate negli anni settanta negli Stati Uniti d'America (Clean air act, del 1970) e in seguito introdotte in Europa, inizialmente in Germania e poi in tutti gli altri paesi europei, anche se in alcuni casi, come ad esempio in Italia, con notevole ritardo. Per rispettare queste normative, è risultato immediatamente evidente che per il trattamento delle emissioni era necessario introdurre l'uso di catalizzatori (indicati spesso con l'espressione 'marmitte catalitiche'). La prima normativa faceva riferimento essenzialmente alle emissioni di CO e idrocarburi (HC). Di conseguenza, la prima generazione di catalizzatori, basata su metalli nobili (Pt, Pd) supportati su allumina e utilizzati in forma di sfere del diametro di alcuni millimetri, permetteva solo di ossidare a CO2 questi inquinanti. In seguito la normativa ha previsto, oltre a limiti più bassi per le emissioni di CO e HC, anche la riduzione delle emissioni di NOx. Ciò ha condotto allo sviluppo di catalizzatori definiti 'a tre vie', in quanto capaci di determinare contemporaneamente l'ossidazione di CO e HC a CO2 e H2O e la riduzione di NOx a N2 . Progressivamente, la legislazione ha imposto limiti sempre più rigidi alle emissioni di questi inquinanti e un più lungo periodo di efficienza dei catalizzatori (oggi superiore a 100.000 km). Attualmente (2002) i catalizzatori a tre vie sono utilizzati solo su motori a benzina, mentre per i motori diesel la normativa non richiede l'adozione di dispositivi di trattamento delle emissioni (i limiti imposti possono essere raggiunti con modifiche al motore), dispositivi che saranno probabilmente resi obbligatori dalla normativa europea, indicata con la sigla EURO4, che entrerà in vigore nel 2005.

a) Catalizzatori per le emissioni da motori a benzina

La progressiva evoluzione della normativa sulle emissioni da autoveicoli ha portato a una parallela evoluzione delle caratteristiche dei catalizzatori utilizzati nel controllo delle emissioni da motori a benzina, le cui tappe salienti possono essere così riassunte: 1) introduzione, al fine di migliorare l'efficienza nella conversione di NOx, del rodio (Rh) come elemento attivo accanto al platino (Pt), il cui rapporto tipico nei catalizzatori attuali è compreso nell'intervallo 5 ÷ 20, mentre la quantità totale di metallo nobile per marmitta catalitica è attorno a 2 ÷ 3 grammi; 2) utilizzo di supporti strutturati di tipo monolitico  per ridurre le perdite di carico e la disattivazione e per migliorare l'efficienza (i monoliti sono costituiti da una serie di canali quadrati o a nido d'ape disposti orizzontalmente rispetto al flusso di gas esausti; sono generalmente di tipo ceramico, sebbene per applicazioni particolari si utilizzino anche monoliti metallici); sul supporto monolitico è posto un ulteriore supporto, generalmente a base di allumina (washcoat) per realizzare un'elevata dispersione della fase attiva (a base di metalli nobili) e per stabilizzare quest'ultima nelle condizioni di reazione; 3) introduzione dell'ossido di cerio (CeO2) per migliorare l'efficienza della rimozione combinata di NOx, CO e HC in presenza di oscillazioni nel rapporto aria/combustibile; 4) miglioramento della resistenza alla sinterizzazione (accrescimento delle dimensioni dei cristalliti in seguito a riscaldamento) dell'ossido di cerio e del metallo nobile e aumento della stabilità idrotermale del catalizzatore mediante il drogaggio dell'allumina (tipicamente con lantanio o bario) e la formazione di una soluzione solida tra CeO2 e ZrO2 (v. fig. 2). La stabilità in condizioni idrotermali è molto importante, in quanto la temperatura del catalizzatore può raggiungere valori superiori a 750 °C e il tenore di acqua nelle emissioni è generalmente pari a circa il 10% (la presenza di acqua accelera significativamente la velocità di sinterizzazione).

Gli sviluppi più recenti in questo settore sono basati sull'impiego di sistemi multistrato porosi, ove il platino e il rodio sono disposti in strati differenti per ottimizzare il comportamento catalitico, e sullo spostamento di una parte del catalizzatore in prossimità del motore, in modo da migliorare l'efficienza di rimozione a basse temperature. Nei dispositivi tradizionali, infatti, la marmitta catalitica è, per motivi funzionali, posta a circa 1 ÷ 2 metri dal motore, e quindi, nelle partenze a freddo, occorrono alcuni minuti prima che la temperatura del catalizzatore raggiunga i valori necessari a ottenere un'elevata efficienza di rimozione degli inquinanti; spostando una parte del catalizzatore in prossimità del motore si diminuisce questo intervallo di tempo, ma in tal modo questa parte del catalizzatore può raggiungere temperature molto elevate (fino a 1.000 °C), rendendo necessario l'uso di catalizzatori particolarmente resistenti alla disattivazione. Una terza linea di sviluppo dei dispositivi catalitici consiste nella progettazione di catalizzatori a base di solo palladio, essendo tale elemento più abbondante del platino e del rodio.

Un parametro fondamentale che determina il comportamento dei catalizzatori a tre vie è la concentrazione di ossigeno nelle emissioni, collegato al rapporto aria/combustibile (v. fig. 3). In presenza di eccesso di aria rispetto al valore stechiometrico (rapporto aria/combustibile = 14,7) sono favorite le reazioni di ossidazione e quindi la conversione di HC e CO, ma sono sfavorite le reazioni di riduzione dell'NO. L'opposto avviene utilizzando miscele ricche, ovvero con difetto d'ossigeno rispetto al rapporto stechiometrico. Come evidenziato in fig. 3, il rapporto aria/combustibile influenza sia la concentrazione degli inquinanti nelle emissioni, sia l'efficienza della combustione e quindi il consumo di carburante. La massima efficienza nel consumo di combustibile si ottiene con miscele di alimentazione magre, cioè con un rapporto aria/combustibile nell'intervallo 18 ÷ 22, mentre per valori stechiometrici di tale rapporto i consumi di combustibile sono mediamente superiori del 10%. Tuttavia, valori stechiometrici del rapporto aria/combustibile sono necessari per mantenere superiore al 90% l'efficienza di conversione di NOx, CO e HC.

Negli attuali autoveicoli, il rapporto aria/combustibile è mantenuto attorno al valore stechiometrico mediante un sensore d'ossigeno (detto 'sonda lambda') che attraverso una centralina elettronica controlla il sistema d'iniezione del carburante e dell'aria nei cilindri del motore. A causa del tempo di risposta del sensore e del retrocontrollo del sistema di alimentazione del motore, però, si determinano fluttuazioni nel rapporto aria/combustibile che influenzano negativamente l'efficienza di conversione combinata di NOx, HC e CO. Un notevole miglioramento si è ottenuto nel corso degli anni novanta con l'addizione di ossido di cerio (CeO2) al supporto (v. Trovarelli, 2002). Durante variazioni transienti dell'alimentazione a condizioni ricche (difetto d'ossigeno), l'ossido di cerio si riduce liberando ossigeno che può essere utilizzato per l'ossidazione di CO e HC, mentre esso si riossida quando l'alimentazione passa a condizioni magre (v. fig. 4). L'ossido di cerio agisce quindi da elemento di accumulo d'ossigeno (OSC, Oxygen Storage Component), permettendo di compensare in regime transiente le variazioni del rapporto aria/combustibile e quindi di migliorare sensibilmente la conversione combinata di NOx, HC e CO. L'ossido di cerio ha anche altri effetti catalitici positivi, quali la promozione della reazione tra CO e H2O per dare H2 e CO2, e il miglioramento della resistenza alla sinterizzazione del metallo nobile. Più recentemente, un ulteriore miglioramento sia nell'effettivo controllo delle fluttuazioni nella composizione alla superficie del catalizzatore, sia del tempo di vita del catalizzatore si è ottenuto con l'utilizzo di soluzioni solide di ossido di cerio e di zirconio (una composizione tipica è Ce0,4Zr0,6O2). La presenza di questa soluzione solida determina un aumento dell'effetto OSC (v. fig. 4) e un miglioramento della resistenza alla sinterizzazione dell'ossido di cerio, con conseguente aumento del tempo di vita del catalizzatore, specie in presenza di elevate temperature di reazione.

b) Sviluppi recenti nei catalizzatori per le emissioni da autoveicoli

Gli attuali catalizzatori commerciali permettono di raggiungere efficienze di rimozione combinata di NOx, HC e CO maggiori del 90% per tempi di vita della marmitta superiori a 100.000 km di percorrenza. Tra le principali questioni aperte, sulle quali si concentrano gli sforzi della ricerca nel settore, vanno ricordate quella della rimozione degli inquinanti durante l'avvio a freddo e quella della rimozione degli ossidi di azoto NOx in presenza di ossigeno.

Le emissioni da autoveicoli sono misurate seguendo procedure standard (differenti per Europa, Stati Uniti e Giappone) che prevedono determinate sequenze di variazione della velocità del veicolo. Durante la prima parte di questo ciclo (che costituisce circa il 60 ÷ 70% dell'intera procedura) viene simulata la situazione del traffico cittadino. Alla temperatura delle emissioni tipica di questa fase (generalmente inferiore a 200 °C) l'efficienza del catalizzatore nella rimozione degli inquinanti è bassa, in particolare nei primi minuti del ciclo. I nuovi limiti sulle emissioni previsti per l'anno 2008 richiedono di migliorare l'efficienza di rimozione in questa fase del ciclo. Le soluzioni allo studio sono le seguenti: a) utilizzo di letti di materiali adsorbenti a base di zeoliti capaci di trattenere gli inquinanti (in particolare gli idrocarburi) in questa fase e desorbirli quando la temperatura del catalizzatore è sufficientemente elevata da consentire la loro conversione; b) riscaldamento esterno del catalizzatore mediante corrente elettrica; c) posizionamento di una parte del catalizzatore in una zona molto prossima all'uscita dei gas dal motore, in modo che si riducano le perdite di calore. La combustione di CO e idrocarburi in questo precatalizzatore porta a un aumento della temperatura dei gas esausti. Quest'ultima soluzione è la più promettente, ma poiché le temperature del catalizzatore possono raggiungere e superare i 1.000 °C durante le fasi di pieno carico del motore, è necessario sviluppare catalizzatori dotati di particolari proprietà di resistenza alla disattivazione. Attualmente gli studi sono centrati su un'ottimizzazione dei sistemi Pt/CexZr1-xO2/La-Al2O3.

Il problema della riduzione di NOx in presenza di ossigeno si pone per il fatto che facendo operare i motori a benzina in condizioni magre (v. fig. 3) si ha una riduzione del consumo di carburante a parità di prestazioni, il che rappresenta un risultato rilevante non solo dal punto di vista economico, ma anche perché consente di avvicinarsi agli obiettivi fissati dall'accordo di Kyoto sulla riduzione dei gas con effetto serra. Il tasso di anidride carbonica (CO2) prodotta dagli autoveicoli attualmente in commercio in Italia è di circa 160 g/km, e gli obiettivi fissati prevedono di arrivare a emissioni attorno a 120 ÷ 130 g/km per l'anno 2005. Tuttavia, la presenza di ossigeno (concentrazioni attorno al 5 ÷ 10%) nelle emissioni da autoveicoli a combustione magra non permette una riduzione efficiente degli NOx. Anche le emissioni da motori diesel presentano concentrazioni di ossigeno attorno al 10%, il che rende impossibile l'uso di catalizzatori a tre vie in questi motori.

Tre sono state le principali soluzioni studiate negli ultimi anni per risolvere il problema della riduzione degli NOx. La prima prevede di utilizzare come agenti riducenti per la riduzione selettiva degli NOx in presenza di ossigeno gli idrocarburi presenti nei vapori del serbatoio della benzina, addizionati ai gas esausti provenienti dal motore. Sebbene questa soluzione sia stata ampiamente studiata, non sono ancora stati individuati catalizzatori (o loro combinazioni) che presentino le necessarie caratteristiche di attività in un ampio intervallo di temperature (da circa 150 fino a 650 °C), in particolare a basse temperature, di ridotta formazione di protossido d'azoto (N2O), di resistenza alla disattivazione e di stabilità nel tempo, e che pertanto consentano di prevederne l'applicazione commerciale. I principali catalizzatori studiati per questa applicazione sono quelli a base di zeoliti contenenti metalli di transizione (Cu, Co, ecc.) e metalli nobili supportati.

La seconda soluzione prevede la riduzione selettiva degli NOx mediante addizione di ammoniaca come agente riducente. Questa soluzione, suggerita dall'esperienza sviluppata nella riduzione selettiva degli NOx con ammoniaca da sorgenti fisse (v. cap. 3), è basata su catalizzatori contenenti ossidi di vanadio e tungsteno supportati su ossido di titanio (o titania, TiO2); essa presenta le caratteristiche di attività e stabilità necessarie per lo sviluppo commerciale, ma richiede l'installazione di un serbatoio addizionale per il riducente e un adeguamento della rete distributiva. Notevoli rischi derivano poi dalla possibilità che, in condizioni di malfunzionamento, si formino prodotti tossici quali acido cianidrico (HCN), cianuri e ammine organiche, ecc., o che si verifichi una fuoriuscita parziale di ammoniaca non convertita (l'ammoniaca è a sua volta un prodotto tossico). Inoltre, il sistema è particolarmente complesso, prevedendo fino a 5 letti catalitici: infatti, per evitare lo stoccaggio e la distribuzione diretta dell'ammoniaca, si utilizzano composti alternativi, in particolare urea che genera localmente (ad esempio per idrolisi su un catalizzatore) l'ammoniaca necessaria per la riduzione degli NOx. Sono quindi necessari uno o due strati catalitici per generare il reagente ammoniaca (NH3) da urea, uno strato catalitico per convertire gli NOx con NH3 in presenza di O2, uno strato catalitico per ossidare il CO e l'HC residui e infine un ulteriore strato catalitico per abbattere l'ammoniaca residua. Si prevede quindi che questa soluzione possa essere adottata per autoveicoli diesel pesanti (autobus, autotreni, ecc.), ma risulta troppo complessa e di difficile adozione per le autovetture diesel.

La terza soluzione, elaborata recentemente da ricercatori della Toyota, prevede di ottenere la conversione di NOx mediante sistemi di accumulo-riduzione. Essa si basa su un diverso principio di funzionamento: il catalizzatore non opera in regime stazionario, essendo invece imposte variazioni cicliche nel rapporto aria/combustibile (v. fig. 5). Durante la fase con composizione magra dell'alimentazione, ovvero in presenza di eccesso di O2, l'NO è ossidato a NO2 dal metallo nobile e viene accumulato sulla superficie del catalizzatore in forma prevalentemente di nitrati superficiali formati per reazione con un secondo componente del catalizzatore (tipicamente ossido di bario o di altri metalli alcalini o alcalino-terrosi). In questa fase, che ha una durata di 1 ÷ 2 minuti, la conversione degli NOx è inizialmente completa, e diminuisce progressivamente con il saturarsi della capacità adsorbente del catalizzatore. Durante la fase con composizione ricca della miscela di reazione, gli NOx accumulati in tale forma sul catalizzatore vengono ridotti a N2 per reazione con CO, idrogeno e idrocarburi presenti nella miscela di reazione. La velocità di questo processo è di due ordini di grandezza superiore alla velocità di accumulo e quindi la durata di questa fase è tipicamente di 1 secondo o inferiore. Questa tecnologia può essere applicata a motori a combustione magra o diesel e permette di ottenere elevate conversioni di NOx (superiori all'80 ÷ 90%), anche dopo lunghi periodi di funzionamento. Il sistema richiede un sofisticato controllo dell'alimentazione, ma compatibile con gli attuali motori (ad esempio i diesel common rail). La variazione continua del rapporto aria/combustibile nella miscela di alimentazione non ha effetti rilevabili nella guida dell'autoveicolo. Questa tecnologia è quindi molto promettente, in particolare per veicoli diesel leggeri o per motori a benzina a combustione magra. L'inconveniente principale sta nella sua sensibilità alla disattivazione da zolfo. Per ovviare a questo problema sono in fase avanzata di studio varie soluzioni, quali lo sviluppo di catalizzatori più resistenti alla disattivazione da zolfo o rigenerabili più facilmente e la rigenerazione periodica in situ del catalizzatore (tipicamente a 600 ÷ 650 °C per periodi da 30 a 60 secondi). Inoltre, la tendenza attuale a diminuire il contenuto di zolfo nella benzina e nel gasolio (si prevede che entro l'anno 2010 si arriverà a tenori di zolfo attorno a 10 ppm) fa ritenere probabile che verranno messi a punto dispositivi di protezione di questo catalizzatore basati su adsorbenti rigenerabili di SOx.

c) Controllo del particolato carbonioso

Un ulteriore problema degli autoveicoli diesel è dato dal fatto che per adeguarsi alle normative previste per l'anno 2005 è necessario controllare le emissioni non solo di NOx, ma anche di particolato carbonioso. Occorre rilevare che nei motori diesel esiste una relazione inversa tra formazione di NOx e di particolato carbonioso. Di conseguenza, si potrebbe immaginare di utilizzare un dispositivo molto efficiente per l'eliminazione del particolato, operando così in condizioni in cui il motore genera quantità elevate di particolato, ma concentrazioni di NOx abbastanza basse da non richiedere dispositivi di abbattimento. In tal modo, sarebbe in teoria possibile rispettare i limiti previsti sia per gli NOx che per il particolato. Generalmente si ritiene però necessario l'uso combinato di un catalizzatore per la riduzione degli NOx e di un dispositivo per la riduzione del particolato carbonioso. Anche in questo caso ci sono tre possibili soluzioni per eliminare il particolato (escludendo l'eliminazione per semplice filtraggio che porterebbe a un rapido innalzamento delle perdite di carico per l'occlusione del filtro), alcune già in fase semi-commerciale.

La prima soluzione prevede di aggiungere al gasolio degli additivi (composti organici di cerio o di ferro) capaci di portare alla formazione di nanoparticelle di ossido di cerio o ferro durante il processo di combustione. Queste particelle agiscono successivamente da catalizzatori per la combustione del particolato. Il particolato è separato dai gas esausti per passaggio attraverso un filtro di tipo ceramico monolitico, analogo a quello dei catalizzatori a tre vie (v. fig. 2), ma in cui alternativamente ogni canale parallelo è chiuso a una delle due estremità. Il flusso di gas deve quindi passare attraverso la parete che separa un canale dall'altro e che, essendo porosa, trattiene il particolato e le particelle di ossido di cerio o ferro. La presenza di tali particelle molto fini determina la combustione del particolato carbonioso quando la temperatura del filtro è superiore a circa 350 °C. Si ha quindi una rigenerazione continua del filtro. Questa soluzione è stata già adottata su alcuni veicoli commerciali, ma esistono forti dubbi sia in merito all'effetto ambientale delle nanoparticelle di ossidi di metalli di transizione (una parte non viene trattenuta dal filtro e viene immessa nell'ambiente), sia alle conseguenze che la generazione di particelle solide con possibili effetti abrasivi può avere sul motore.

La seconda soluzione prevede la rigenerazione continua del filtro tramite ossidazione del particolato carbonioso con NO2. Il particolato carbonioso è trattenuto da un filtro con flusso a parete analogo a quello descritto sopra e, a temperature superiori a circa 250 ÷ 300 °C, viene ossidato con continuità (in modo da evitare un aumento eccessivo della perdita di carico del filtro) da NO2 generato per ossidazione dell'NO presente nei gas esausti su uno strato di catalizzatore anteposto al filtro. Il metodo si basa sul fatto che l'NO2 ha un potere ossidante superiore all'O2, ma presenta uno svantaggio: il primo strato di catalizzatore (quello per ossidare l'NO a NO2) è sensibile alla disattivazione da zolfo. Questa soluzione è applicata a veicoli pesanti, specialmente in Germania e Svezia.

La terza soluzione si basa sulla rigenerazione continua catalitica. Il particolato carbonioso è trattenuto da un filtro analogo a quelli descritti in precedenza o con struttura simile a una spugna. Il catalizzatore (a base di sali di vanadio, ferro, rame, potassio) viene depositato sulle pareti del filtro; a temperature attorno a 300 ÷ 350 °C, esso diventa pseudo-liquido, e ciò permette un miglior contatto tra le particelle carboniose e il catalizzatore con aumento dell'efficienza di rigenerazione continua. Tuttavia, per questi catalizzatori è necessario un ulteriore abbassamento della temperatura di operazione.

Occorre infine rilevare che il particolato è costituito da un nucleo carbonioso, che può contenere anche composti inorganici, e da uno strato esterno costituito da vari composti organici pesanti adsorbiti. Quest'ultima frazione, denominata 'frazione organica solubile', è più facilmente ossidabile. Catalizzatori a base di metalli nobili supportati su monoliti sono efficaci nell'ossidazione di questa frazione del particolato, che è la più dannosa dal punto di vista chimico-tossicologico. Tuttavia, le particelle residue che passano attraverso questo dispositivo catalitico hanno spesso dimensioni inferiori a 10 µm (appartengono, cioè, alla frazione granulometrica denominata PM10) e quindi passano attraverso le vie respiratore, causando notevoli danni alla salute.

(Per un approfondimento dell'argomento trattato in questo capitolo, v. Heck e Farrauto, 1995 e 1997; v. Fritz e Pitchon, 1997; v. Ertl e altri, 1999, cap. 1; v. Janssen e van Santen, 1999, cap. 12).

3. Eliminazione di NOx da sorgenti fisse

Una delle principali sorgenti di NOx deriva dalla produzione di energia nelle centrali a combustibili, in quanto l'utilizzo di aria come comburente e le alte temperature di fiamma portano all'ossidazione dell'azoto attraverso un meccanismo radicalico proposto originalmente da Yakov B. Zel′dovich. Nel loro insieme, gli ossidi d'azoto sono indicati generalmente con il simbolo NOx, ma in questi processi il prodotto principale è il monossido di azoto, NO, in quanto gli ossidi superiori (NO2, in particolare) non sono stabili ad alte temperature. A basse temperature è invece favorito l'equilibrio verso la formazione di NO2 e quest'ultimo è quello normalmente monitorato, ad esempio in ambito urbano. Le emissioni di NOx (assieme a quelle di SOx) sono tra le principali cause della formazione delle cosiddette 'piogge acide', che provocano notevoli danni all'ecosistema. Inoltre gli NOx partecipano ai cicli fotochimici responsabili della formazione dello smog. Per queste ragioni, a partire dagli anni settanta sono state sviluppate, inizialmente in Giappone e poi in Germania, tecnologie catalitiche che permettessero l'abbattimento degli NOx a livelli più compatibili con l'ambiente. Oggi queste tecnologie sono ampiamente diffuse anche in Italia, in quanto i limiti imposti dalla legge (variabili in funzione della potenza della centrale, ma comunque attorno a 500 ppm) richiedono spesso la loro adozione. Oltre all'impiego nelle centrali per la produzione di energia, la tecnologia è utilizzata nel trattamento delle emissioni da forni industriali, inceneritori per biomasse e rifiuti, turbine a gas.

Il principio di funzionamento delle tecnologie di abbattimento di NOx da sorgenti fisse si basa sulla riduzione selettiva degli NOx mediante ammoniaca (NH3) in presenza di ossigeno e di un catalizzatore basato su ossidi di vanadio e tungsteno supportati su ossido di titanio (TiO2, nella forma cristallina anatasio) a bassa area superficiale. La fase attiva è presente in forma di monostrato di ossido di vanadio o tungsteno depositato su TiO2. Tipicamente, la quantità della fase attiva costituisce qualche punto della percentuale in peso dell'intero catalizzatore. Il rapporto vanadio/tungsteno varia in funzione delle caratteristiche dell'alimentazione, in quanto un aspetto critico è il controllo della velocità della reazione parallela di ossidazione dell'SO2 (anidride solforosa) presente normalmente nelle emissioni. L'ossidazione di SO2 a SO3 (anidride solforica) porta alla formazione di solfato di ammonio, che tende a depositarsi a valle dell'impianto di abbattimento (in particolare, sugli scambiatori di calore) provocando malfunzionamenti. Per migliorare la resistenza alla disattivazione, in alcuni casi si utilizzano ossidi di molibdeno invece che di tungsteno, un ossido misto di titanio e silicio (TiO2-SiO2) invece del solo TiO2 (l'ossido di silicio agisce da promotore strutturale per migliorare la resistenza alla sinterizzazione e ottimizzare la porosità), oppure si effettua il drogaggio dell'ossido di titanio con acido fosforico o acido solforico, i quali ritardano la trasformazione di TiO2 dalla forma cristallina anatasio a quella rutilo (questa trasformazione è una delle cause della disattivazione). Tuttavia, occorre notare che generalmente il tempo di vita di questi catalizzatori è superiore a 10 anni, quindi molto più lungo di quello tipico di molti catalizzatori industriali. La tecnologia è spesso indicata con l'acronimo SCR (Selective Catalytic Reduction).

La temperatura di operazione dei catalizzatori sopra indicati è di norma attorno a 300 ÷ 350 °C. La conversione di NOx ha un massimo in questo campo di temperature, poiché a temperature inferiori l'attività del catalizzatore non è sufficiente (occorre considerare che questi impianti di abbattimento di NOx debbono trattare volumi molto elevati di effluenti e le velocità lineari dei gas esausti sono attorno a 5 ÷ 10 m/s), mentre a temperature superiori diventa significativa la reazione parallela di ossidazione dell'ammoniaca, che diminuisce la disponibilità del riducente. Per applicazioni particolari, ad esempio per piccole turbine a gas naturale, è necessario operare a temperature inferiori. In questo caso, sono utilizzati catalizzatori contenenti quantità di vanadio più elevate oppure basati su metalli nobili supportati, i quali mostrano il massimo di attività attorno a 200 ÷ 250 °C. Invece, nel caso di applicazioni che richiedono temperature di operazione più elevate (alcune applicazioni per combustione di rifiuti) sono utilizzate zeoliti contenenti metalli di transizione.

Il catalizzatore è generalmente posto su supporti monolitici analoghi a quelli discussi nel cap. 2, ma di dimensioni maggiori (i moduli tipici hanno dimensioni 150 × 150 × 300 ÷ 1.000 mm), assemblati a formare 3 strati successivi. Un quarto strato di catalizzatore è previsto, ad esempio, nel caso di trattamento delle emissioni da impianti di incenerimento dei rifiuti, per eliminare mediante ossidazione diossine e altri composti tossici. La composizione del catalizzatore in questo strato è analoga a quella degli altri tre, ma il contenuto di vanadio è maggiore per aumentare il potere ossidante. L'utilizzo di catalizzatori in forma monolitica è necessario per limitare sia le perdite di carico che la disattivazione per deposito di veleni e/o particolato e per attrito meccanico, date le alte velocità lineari del gas. I monoliti sono generalmente di tipo ceramico (mullite o cordierite) con struttura a canali paralleli. Il numero delle celle può variare da 50 × 50 a 20 × 20 (per dimensioni totali di 150 × 150 mm) a seconda del contenuto di polveri nel gas da trattare e della posizione dell'impianto. Monoliti con densità di celle maggiore permettono di ottenere efficienze più elevate, ma possono essere utilizzati solo quando il contenuto di polveri del gas è molto basso, in quanto tendono a occludersi assai facilmente. Generalmente l'impianto per l'abbattimento catalitico di NOx (SCR) può essere collocato in tre posizioni differenti nell'impianto generale di trattamento delle emissioni da centrali per la produzione di energia elettrica. La configurazione illustrata in fig. 7A (definita 'a elevate polveri') ha il vantaggio che la temperatura del gas immesso nell'SCR è prossima a quella ottimale per il funzionamento del catalizzatore. Quest'ultimo, peraltro, operando in presenza di un elevato contenuto di polveri, deve avere bassa attività nella reazione parallela di ossidazione di SO2. Inoltre, è richiesto l'uso di ventole per eliminare l'accumulo di polveri nel primo strato catalitico. La configurazione mostrata in fig. 7B (definita 'a basse polveri') richiede che per la rimozione delle polveri venga utilizzato un precipitatore elettrostatico capace di operare a elevate temperature (mentre nella situazione di fig. 7A è possibile utilizzare sistemi meno costosi), ma il suo tempo di vita, essendo il contenuto di polveri più basso, è maggiore e inoltre il monolita può avere una più alta densità di celle. La situazione di fig. 7C, infine, è da preferirsi solamente quando occorra aggiungere l'impianto SCR a un impianto esistente, a causa dei costi elevati per riscaldare i fumi in uscita dall'impianto di desolforazione. In Italia si utilizzano generalmente combustibili a basso tenore di zolfo e quindi spesso l'impianto di desolforazione è assente (v. fig. 7D).

Le conversioni di NOx ottenibili con l'impianto SCR sono tipicamente superiori all'80%. Conversioni maggiori sono possibili, ma causano un aumento della quantità di ammoniaca che passa inalterata attraverso lo strato di catalizzatore. Questa deve essere mantenuta a valori molto bassi (sotto 5 ÷ 10 ppm). Quindi, nel caso siano necessari valori di conversione degli NOx superiori al 90 ÷ 95%, risulta necessario installare uno strato addizionale di catalizzatore (generalmente a base di metalli di transizione, ad esempio Cu, supportati su ossidi o zeoliti) per l'ossidazione selettiva a N2 dell'ammoniaca che non ha reagito.

L'impianto SCR per l'abbattimento degli NOx è anche utilizzato per la conversione degli NOx residui negli impianti di sintesi dell'acido nitrico. A differenza delle emissioni da impianti di combustione, in questo caso le emissioni contengono NO e NO2, oltre a quantità significative di N2O, ed è pertanto preferibile utilizzare catalizzatori differenti da quelli a base di ossido di vanadio supportato su titania, quali ossidi di rame e di nichel supportati su allumina o zeoliti scambiate con rame e lantanio. Queste ultime permettono anche la parziale decomposizione di N2O a N2 e O2. Sebbene le emissioni di N2O non siano ancora sottoposte a regolazione in Europa, si prevede che lo saranno nel prossimo futuro, trattandosi di un gas a notevole effetto serra (circa 300 volte maggiore della CO2).

(Per un approfondimento dell'argomento trattato in questo capitolo, v. Heck e Farrauto, 1995; v. Topsoe, 1997; v. Ertl e altri, 1999, cap. 2; v. Janssen e van Santen, 1999, cap. 13; v. Forzatti, 2001).

4. Combustione catalitica di composti organici volatili

I composti organici volatili rappresentano una importante e molto ampia classe di inquinanti dell'aria che include tutti quei composti organici con tensione di vapore superiore a 1 Torr (0,133 kPa) a temperatura ambiente, anche se ovviamente le caratteristiche di tossicità e pericolosità (e quindi i relativi limiti di legge sulle emissioni) possono essere molto differenti. Composti organici volatili sono emessi in numerose attività umane (trasporto, processi industriali, uso di prodotti contenenti solventi - ad esempio verniciatura, lavaggio chimico, ecc. -, evaporazione di combustibili, smaltimento rifiuti, agricoltura, ecc.), ma occorre distinguere tra contaminazioni localizzate e contaminazioni diffuse, ovvero tra quelle per le quali, rispettivamente, è o non è possibile individuare una sorgente specifica delle emissioni a cui applicare una tecnologia di trattamento. La combustione catalitica, cioè il processo di ossidazione completa dei composti organici inquinanti a formare CO2 e H2O mediante catalizzatori solidi (in genere metalli di transizione o metalli nobili supportati su ossidi quali silice e allumina), è normalmente utilizzata nel primo caso, ma si va diffondendo anche per il controllo della contaminazione diffusa (in questo caso le concentrazioni di sostanze organiche volatili sono di alcuni ordini di grandezza inferiori a quelle rilevabili nelle contaminazioni localizzate, ed è quindi necessario prevederne la concentrazione, ad esempio tramite adsorbimento, prima di inviarle a un impianto di conversione, ad esempio per ossidazione catalitica). Un esempio di tale applicazione è rappresentato dal miglioramento della qualità dell'aria in ambienti chiusi attraverso la combustione di sostanze quali formaldeide e composti aromatici. Questo metodo, inizialmente adottato negli Stati Uniti, è ora in rapida diffusione in Europa e Italia, e può essere utilizzato anche per migliorare la qualità dell'aria nelle gallerie stradali attraverso l'ossidazione completa di idrocarburi e CO.

Alcuni esempi di applicazione di processi di combustione catalitica per il controllo delle emissioni di composti organici volatili sono riassunti in tab. II; la lista potrebbe essere molto più estesa, ma essa già evidenzia come l'applicazione dei processi di combustione catalitica copra l'intero campo delle attività produttive per il controllo delle emissioni nocive e degli odori. Grande è la variabilità anche in termini di dimensioni degli impianti, da sistemi miniaturizzati portatili per la combustione di sostanze nocive in ambienti chiusi (che operano generalmente in maniera discontinua e sono basati sull'utilizzo di adsorbenti rigenerati periodicamente per combustione catalitica delle sostanze desorbite) a tecnologie capaci di trattare migliaia di metri cubi l'ora (nel caso di processi industriali). Occorre ricordare, inoltre, che la combustione catalitica è utilizzata anche per eliminare le sostanze organiche volatili presenti come contaminanti in acque superficiali, sostanze che vengono previamente desorbite mediante un flusso d'aria.

a) Alternative di processo

Gli impianti di combustione catalitica generalmente consistono di un filtro per rimuovere eventuale particolato, di un catalizzatore, di solito in forma monolitica (per ridurre le perdite di carico), di un bruciatore per riscaldare i gas alla temperatura necessaria a ottenere la combustione catalitica completa, di uno o più scambiatori di calore per il recupero termico e di apparecchiature ausiliarie e di controllo. La temperatura di esercizio dipende dalla composizione della miscela e generalmente è superiore a 250 ÷ 350 °C. È molto importante che la temperatura sia sufficientemente alta da consentire l'eliminazione completa di tutti i sottoprodotti, anche se presenti in tracce, poiché spesso questi possono essere più tossici dei prodotti di partenza. Nella fig. 8A è riportato uno schema semplificato dell'apparecchiatura compatta utilizzata, ad esempio, per la rimozione dei solventi presenti nelle emissioni da impianti di verniciatura. Gli schemi riportati nella fig. 8, B e C, illustrano invece due possibili configurazioni per impianti di dimensioni maggiori, concepite in modo da migliorare l'efficienza di recupero energetico e ridurre i costi. Lo schema riportato nella fig. 8B per il processo di combustione catalitica recuperativo è sostanzialmente analogo a quello della fig. 8A. Condizioni di operazione autotermiche, tali cioè da non richiedere l'aggiunta di energia dall'esterno, sono possibili quando la concentrazione minima di sostanze combustibili nell'alimentazione è superiore a 35 ÷ 50 kcal/Nm3, corrispondenti a 3,5 ÷ 5 g/Nm3 toluene (Nm3 indica il normal metro cubo). La soluzione presentata in fig. 8C per il processo di combustione catalitica rigenerativo permette invece operazioni autotermiche (e quindi con riduzione dei costi energetici) già per concentrazioni di sostanze combustibili attorno a 8 ÷ 12 kcal/Nm3 (corrispondenti a 0,8 ÷ 1,2 g/Nm3 toluene). Tuttavia, essa deve funzionare in maniera ciclica, con aumento dei costi e della complessità di gestione dell'impianto: si opera con tre reattori in sequenza, e i gas in uscita dal primo reattore sono utilizzati per il preriscaldamento dello strato inerte degli altri reattori. Nel caso di basse concentrazioni di composti organici volatili sono utilizzate anche tecnologie nelle quali il catalizzatore, in forma di monolita cilindrico ruotante, è alternativamente esposto al flusso di gas a temperatura ambiente (in questa fase il catalizzatore rimuove per adsorbimento i composti organici volatili) e a un flusso d'aria preriscaldata (in questa fase avvengono il desorbimento e la combustione delle sostanze adsorbite). Questa soluzione permette vantaggi economici nel caso di piccole applicazioni, poiché evita il riscaldamento di elevati volumi di effluenti. Il costo energetico è uno dei principali elementi che incidono sulla valutazione economica del processo di combustione catalitica.

b) Caratteristiche dei catalizzatori

Negli impianti di combustione catalitica di composti organici volatili sono utilizzate principalmente due classi di catalizzatori: catalizzatori a base di metalli nobili supportati (Pt e/o Pd - tipicamente 0,3 ÷ 1,0 % in peso - supportati su Al2O3, eventualmente stabilizzato con La o Ba, ZrO2, oppure la zeolite beta e la ZSM-5) che sono attivi a basse temperature di reazione, resistenti alla disattivazione da parte dei composti chimici (con alcune eccezioni) e facilmente rigenerabili, e catalizzatori a base di metalli di transizione (ossidi di Cr, Cu, Mn, Co, Ce e loro combinazione, supportati su allumina, silice o zeoliti, oppure composti quali perovskiti). Eccetto che per alcuni specifici composti chimici (ad esempio l'acetato di etile), ove il forte chemisorbimento porta a inibizione dell'attività, i catalizzatori della prima classe presentano attività superiore rispetto a quelli della seconda. Sebbene il costo di questi ultimi sia inferiore, la ridotta attività porta a maggiori costi d'impianto e di esercizio.

Un caso particolare è dato dalla combustione di idrocarburi clorurati, quali tricloroetilene (C2HCl3), tetracloroetano (C2H2Cl4) e cloruro di metilene (CH2Cl2), ampiamente utilizzati in processi di pulizia chimica e sgrassaggio di superfici. In questo caso si ha la formazione di HCl come prodotto di ossidazione ed è quindi necessario usare materiali speciali per il reattore ed eliminare per adsorbimento in acqua l'HCl formatosi. Inoltre, occorre addizionare vapor d'acqua all'alimentazione per evitare l'ossidazione dell'HCl a Cl2. Poiché in tali condizioni i catalizzatori a base di metalli nobili si disattivano rapidamente, vengono utilizzati catalizzatori a base di ossidi di cromo, rame e manganese supportati, oppure a base di metalli nobili su supporti alternativi (ad esempio Pt/V2O5/TiO2).

c) Applicazioni recenti.

Recentemente, l'applicazione delle tecnologie catalitiche per l'abbattimento di composti organici volatili è stata estesa ad ambiti non industriali. Ad esempio, sono stati sviluppati catalizzatori per la combustione di CO e idrocarburi parzialmente ossidati nelle emissioni da stufe a legna, per l'abbattimento di composti organici volatili e di particelle di grasso nelle emissioni da ristoranti fast food (catalizzatori a base di Pt e Pd supportati su allumina e depositati su monoliti metallici a bassa densità di celle) e per l'eliminazione dei cattivi odori nei frigoriferi e nei bagni. Questi ultimi sono causati da metilammine, che vengono ossidate a temperatura prossima a quella ambiente mediante catalizzatori a base di nanoparticelle di oro supportate su titania. In questa classe di applicazioni rientrano anche i catalizzatori di foto-ossidazione a base di titania utilizzati in forma di mattonelle per l'eliminazione di odori e batteri in ospedali e luoghi pubblici.

(Per un approfondimento dell'argomento trattato in questo capitolo, v. Menon e altri, 1998; v. Ertl e altri, 1999, cap. 3; v. Dolidovich e altri, 1999; v. Janssen e van Santen, 1999, cap. 8).

5. Problematiche ambientali connesse all'uso di catalizzatori per il disinquinamento

Sebbene le tecnologie catalitiche siano state fondamentali per la riduzione dell'inquinamento (in particolare quello associato al traffico), il loro utilizzo può determinare a sua volta un impatto negativo sull'ambiente.

Un problema discusso ampiamente negli anni novanta riguarda le emissioni di metalli nobili da catalizzatori impiegati per il trattamento degli scarichi da autoveicoli. È stato infatti riportato che in prossimità di strade a traffico intenso si riscontra la presenza di consistenti quantità di metalli nobili (platino, rodio e palladio) emessi sotto forma di particelle di dimensioni nanometriche di metallo elementare o di ossidi in seguito a frantumazione (per vibrazione o abrasione) del supporto dei monoliti. Gli studi indicano tuttavia che tali emissioni - i cui valori sono inizialmente di circa 50 ÷ 100 ng/km - tendono progressivamente a ridursi con il tempo di utilizzo dei catalizzatori (sono circa un decimo dopo 30.000 km). In Germania, ad esempio, le emissioni totali ammontavano nel 1997 a circa 10 ÷ 15 kg, ma sono in progressiva diminuzione grazie al miglioramento tecnologico dei catalizzatori utilizzati. Peraltro, sempre in Germania, le emissioni di Pt associate a effluenti da ospedali (complessi di Pt sono ampiamente utilizzati come antitumorali) sono state nello stesso anno circa 25 ÷ 30 kg, e la quantità di Pt totale presente nei fanghi da trattamento di scarichi urbani ammontava a circa 100 ÷ 400 kg. Secondo le conclusioni di uno studio finanziato dalla Comunità Europea su questo problema (v. European Commission, 2001) non esiste quindi una relazione definita tra emissioni di metalli preziosi dai catalizzatori di autoveicoli e potenziali problemi per l'ambiente e la salute umana.

Un secondo problema nell'utilizzo di catalizzatori per il trattamento delle emissioni da autoveicoli è associato al fatto che durante la partenza a freddo, quando la temperatura dei catalizzatori è insufficiente a effettuare una conversione totale delle sostanze organiche presenti nelle emissioni, si può avere la formazione di prodotti di ossidazione parziale (ad esempio aldeidi) che possono causare problemi alla salute e inquinamento (smog fotochimico). Lo stesso problema si presenta quando il deterioramento progressivo dei catalizzatori diminuisce significatamente la loro efficienza. Gli studi al riguardo (v. Wagner e Wyszynski, 1996) hanno evidenziato che effettivamente si ha emissione di aldeidi (in particolare formaldeide) in catalizzatori malfunzionanti, ma i tipi più recenti di catalizzatori e un controllo periodico del loro stato di efficienza rendono trascurabile il problema. Lo sviluppo di catalizzatori più efficienti nella fase di partenza a freddo (v. cap. 2, §b) migliorerà ulteriormente la situazione.

Un altro problema ambientale è posto dallo smaltimento dei catalizzatori esausti. Anche in questo caso il problema si presenta principalmente nel caso dei catalizzatori per il trattamento delle emissioni da autoveicoli, che hanno un volume maggiore e sono ampiamente diffusi sul territorio. Il decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, attuativo degli artt. 31 e 33 del d. lgs. 22/97 (noto come legge Ronchi), prevede il riciclo delle marmitte catalitiche esauste e il recupero dei metalli preziosi. Nonostante alcuni ritardi nell'attuazione di tale provvedimento, specie in alcune regioni, la situazione è quindi in progressivo miglioramento.

In conclusione, il rapporto benefici/costi della catalisi per il disinquinamento è certo largamente positivo, e sebbene anche essa, come quasi tutte le nuove tecnologie, possa dar luogo a un negativo impatto ambientale secondario, questo risulta essere in progressiva diminuzione a seguito della continua innovazione tecnologica nel settore.

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