CASTELLI, REGNO DI SICILIA, ARCHITETTURA

Federiciana (2005)

CASTELLI, REGNO DI SICILIA, ARCHITETTURA

MMaria Stella Calò Mariani

Al rientro dalla Germania, con le leggi emanate nella dieta di Capua (1220), Federico II affronta la riorganizzazione del sistema difensivo del Regno. Operazioni prioritarie sono la confisca e la distruzione dei castelli baronali edificati dopo la morte di Guglielmo II (1189) e, in molti casi, il riattamento di opere fortificate sorte su terre demaniali. Le notizie ci giungono rare e discontinue. Riccardo di San Germano riferisce che nel 1223 "in Gajeta, Neapoli, Aversa et Fogia, iussu Cesaris, castella firmantur" (1936-1938, p. 109). In tale contesto il palazzo di Foggia (che un'iscrizione data al 1223), adorno di marmi e statue, cornice di memorabili feste e cerimonie, costituisce un'eccezione.

Nel decennio successivo, rifondato il sistema legi-slativo (1231), consolidato il Regno, il gruppo novorum edificiorum segna una svolta decisiva nella vicenda dell'architettura federiciana. Come nelle forme ritualizzate delle apparizioni pubbliche, anche nelle forme durevoli dell'architettura i messaggi di forza e magnificenza, di protezione e terribilità s'intrecciano sino a fondersi. Se si allarga la prospettiva, l'organizzazione stessa del territorio si risolve in proiezione fisica del potere. Al suddito e allo straniero è possibile, comunque e ovunque, ravvisare la presenza del sovrano nei suoi domini, si tratti dello spazio della guerra (v. la rete delle opere difensive) o dello spazio della pace (residenze, masserie, maristalle e aratie, parchi e riviere, defensae). L'organizzazione dello spazio è dunque uno dei modi in cui si manifesta la 'onnipresenza' del sovrano (Calò Mariani, 1984, 1994; Federico II. Immagine, 1995). In un'altra sfera d'azione, a proposito dell'amministrazione della giustizia nel Regno, è lo stesso Federico II, nella sua qualità di iustitia animata, a parlare di una sorta di ubiquità della sua persona attraverso i magistrati: "[…] Et sic nos etiam, qui prohibente individuitate personae ubique presentialiter esse non possumus, ubique potentialiter adesse credamur" (Liber Augustalis, I). Nella politica territoriale di Federico II occupano un posto privilegiato le città, delle quali s'intende rintuzzare ogni velleità autonomistica. "In qualibet civitate, in qua dominium habuit, voluit habere imperator palatium aut castrum": l'osservazione è di fra Salimbene e può riassumere con efficacia le linee della politica federiciana nei confronti delle città (Bocchi, 1980). Come già in età normanna, palazzo e castello vengono imposti, o contrapposti, alla città come simbolo e strumento di dominio. Manfredi è molto esplicito al proposito: nel 1260, in visita a Castrogiovanni (oggi Enna), egli ordina di ricostruire il castrum raso al suolo dai cittadini "quod civitas ipsa nullo modo bene regi poterat sine castro" (Niccolò Jamsilla, 1868, p. 200).

Al sistema castrale attuato dagli Svevi nel Regno si è rivolta una secolare fioritura di studi. Di recente, una mole considerevole di contributi ‒ spesso paralleli a campagne di restauro e di scavi ‒ è confluita nei cataloghi delle mostre di Bari (1995), di Roma (1995), di Palermo (1995) e negli atti dei convegni di studio, susseguitisi in occasione delle celebrazioni dell'VIII centenario della nascita di Federico II (1194-1994). In questa sede, il riferimento più diretto conduce alle voci curate da C. Bozzoni (Architettura, Regno di Sicilia) e da H. Houben (Castelli, Regno di Sicilia, sistema dei). Da parte nostra, per non incorrere in rassegne ripetitive, si è scelto di porre l'accento su alcuni nodi culturali e di trattare monumenti di particolare pregnanza, con il proposito di interrogare il fenomeno alla luce della storia, al di là di ogni tentazione di segno evolutivo. L'allargamento della visione dall'architettura militare all'edilizia residenziale (v. Domus e Palatia) e ai contesti (v. Loca solaciorum) ha messo in risalto negli ultimi decenni oltre alla ricchezza delle soluzioni architettoniche e alla compresenza in alcuni edifici dell'una e dell'altra funzione, anche il rapporto con la natura.

L'esperienza crociata. Anche analisi attente sui castelli crociati, alla ricerca di punti di contatto con l'architettura federiciana (Cadei, 2001, 2002), trascurano il fatto che nel Regno di Gerusalemme ‒ come nel Regno meridionale ‒ Federico II concepì un piano di costruzioni a carattere difensivo, pur se attuato solo parzialmente. Il viaggio in Oriente consentì all'imperatore la visione ravvicinata di castelli, dimore principesche, città fortificate, moschee (basti ripensare alle tappe del suo itinerario); ma soprattutto significò il contatto diretto con il mondo eterogeneo dei cantieri crociati, ove architetti, ingegneri franchi e orientali (greci o armeni), mano d'opera assunta in loco, cavalieri e pellegrini, a volte prigionieri, prestavano coralmente la loro opera. Fra tutti nella cerchia imperiale assunsero un ruolo importante gli Ordini cavallereschi (Cavalieri teutonici in primis) e milites ciprioti, gli uni e gli altri esperti di architettura militare.

Quando un'epidemia decimò l'esercito radunatosi a Brindisi nell'agosto del 1227 ‒ lo stesso imperatore, ammalatosi, fu costretto a rinviare la partenza ‒ la parte ancora efficiente dei crociati s'imbarcò per la Siria agli ordini del duca di Limburgo e di Ermanno di Salza. Durante la non breve attesa dell'imperatore, Limburgo impegnò i suoi uomini a fortificare Cesarea, Giaffa e Sidone mentre i Cavalieri teutonici edificavano il castello di Montfort, a nord-est di Acri (Filippo da Novara, 1994).

Dopo essere sbarcato ad Acri il 7 settembre del 1228, Federico infittì i rapporti diplomatici con il sultano d'Egitto. Illustre mediatore era l'emiro Fakhr al-Dīn. Ma, poiché si protraevano più del previsto le trattative, dopo settimane d'inazione, Federico "monte une operation militaire pour peser sur la décision du sultan: il entreprend de fortifier Jaffa" (Marshall, 1992, p. 140).

Si spostò dunque con l'esercito a Giaffa. Il fedelissimo Ermanno di Salza e i Cavalieri teutonici gli erano accanto. Riccardo di San Germano c'informa: "[…] cum adhuc esset in Siria imperator, hec in regnum de ipso fama pervenit: quod 15 Novembris primo preteriti Ioppen veniens cum christianorum exercitu, ad rehedificationem castri ipsius intendit, ut facilior fieret in Ierusalem processus". Approvvigionato copiosamente l'esercito grazie all'arrivo di navi da Acri, "tunc de communi omnium consilio cepta sunt edificia castri Ioppen in fossatis et muris erigendis" (1936-1938, pp. 158-159). Fu un'opera memorabile, solida e ben fatta, costruita con infaticabile lena: vi si lavorava incessanter tota die. Ne parla lo stesso imperatore nelle due lettere in arabo fiorito inviate, appena sbarcato in Puglia, all'amico Fakhr al-Dīn (Gabrieli, 1966, pp. 276-278).

Dell'impresa federiciana resta memoria in un frammento di lapide di marmo bianco (77x27x15 cm) sul quale si legge quanto resta di un'iscrizione celebrativa: "[Fridericus, Romanorum Imperator semp]er / augustus, Ie[rusalem rex] / [anno Domi]nice Incarnatio[nis] […]" (Corpus inscriptionum, 1974, p. 258). Soltanto una scheggia, purtroppo, ma l'accostamento dei due titoli non lascia dubbi.

Nell'accordo raggiunto con Malik al-Kāmil, concluso a Giaffa l'11 febbraio 1229, erano contemplati altri interventi: "Licebit autem ex facto imperatori et christianis rehedificare civitatem sanctam Iherusalem in muris et turribus, ca-strum Ioppen et castrum Cesaree, Montem Fortem et castrum novum, quod firmari hoc anno inceptum est in montanis" (Riccardo di San Germano, 1936-1938, pp. 158-159). Di recente (Krüger, 2000, pp. 31-46) è stata riferita a Federico II e agli anni di pace seguiti all'accordo di Giaffa la ristrutturazione del Cenacolo.

Federico II e le 'artes mechanicae'. Circa l'interesse che Federico nutrì nei confronti dell'architettura non sussistono dubbi; basti riascoltare la testimonianza dell'arabo Ibn Wāṣil: "Il cadi Shams al-Dīn di felice memoria mi raccontò: quando l'imperatore re dei Franchi venne a Gerusalemme, gli stetti accanto come mi aveva ordinato il Sultano Malik al Kāmil, ed entrai con lui nel Sacro Recinto dove egli osservò i minori santuari. Entrai con lui nella Moschea al-Aqsa, di cui ammirò la costruzione, e così quella del Santuario della Santa Roccia. Giunto alla nicchia della preghiera, ammirò la bellezza del pulpito e ne salì i gradini fino al sommo; poi discese, mi prese per mano, e uscimmo verso al-Aqsa […]" (Gabrieli, 1966, p. 267).

È nota l'esperienza (o la curiosità) di Federico, artifex peritus, nei confronti delle artes mechanicae in generale (Calò Mariani, 1980). C'è anche chi attribuisce alla sua mano (Kantorowicz, 19783) l'illustrazione del primo manoscritto del trattato di falconeria o il disegno di architetture di forte carica simbolica, come il castello di Capua e Castel del Monte. Non se ne può avere certezza. Ma una indubitabile sensibilità nel campo figurativo affiora nel De arte venandi cum avibus quando egli analizza nel libro II la struttura corporea degli uccelli. La descrizione del girifalco costituisce un mirabile esempio di analisi formale: "Corpus eius descendat uniformiter in subtilius et acutius usque versus caudam, hanc formam dicunt geometre formam pyramidalem […]. Gorgia plena cibo est rotonda […]. Ungues macri, curvi et acuti […]". È immediato rapportarsi al Livrede portraiture di Villard de Honnecourt, a quelle immagini cioè che mostrano al loro interno l'ordito di cerchi, quadrati, triangoli, stelle. Tali griglie geometriche, riducibili per alcuni a mera pratica di rappresentazione, per altri significano la volontà di enucleare gli aspetti razionali delle cose. Per Assunto (1961, pp. 205-209), ad esempio, Villard identifica nella geometria l'essenza del visibile e la radice di ogni bellezza.

Puglia. I castelli delle città portuali. Nel 1233 ‒ la testimonianza è ancora di Riccardo di San Germano (1936-1938, p. 184) ‒ "castella in Trano, Baro, Neapoli et Brundisio jussu imperatoris firmantur". Si tratta di imponenti fortificazioni lambite dal mare, che soppiantano o riutilizzano in misura diversa preesistenze normanne, quando non vengono a completare strutture impiantate nel precedente decennio. Pur attraverso varianti e asimmetrie (le piante tendono al trapezio) esse adottano lo schema a quattro ali di-sposte attorno al cortile, munite di alte torri agli angoli e a metà delle cortine esterne. Anche il Castello Capuano di Napoli (andato distrutto), nella tersa veduta urbana della tavola Strozzi (Napoli, Museo di S. Martino) mostra un analogo impianto.

Modifiche e aggiunte si registrano già nei primi anni del regno di Carlo I. Ma, più di tali interventi, i castelli oggi recano il segno vistoso degli ammodernamenti e delle ristrutturazioni operate tra il XV e il XVI secolo.

A Trani un'iscrizione murata nel cortile indica il 1233 come anno di avvio dei lavori: "opus hoc hinc surgere cepit". Il cantiere è aperto ancora nella primavera del 1240, quando l'imperatore sollecita interventi alle coperture, per prevenire i danni della pioggia; e si chiude nel 1249 con la cinta esterna, progettata da un esperto di architettura militare, il cipriota "Philippus Chinardus", come si legge in una seconda iscrizione, incastonata sull'antica porta a mare. Come a Bari, l'ala residenziale, con vista sull'Adriatico, si affacciava verso il cortile con un loggiato poggiante su un porticato. Gli ornamenti residui ‒ mensole scolpite, bifore, cornici ‒ rivelano il perdurare della tradizione romanica. Anche nel castello barese la decorazione plastica del portale e dei capitelli distribuiti nell'androne e nel portico sul cortile (vi si leggono i nomi di "Melis de Stelliano", "Minerrus de Canusia", "Ismahel") rispecchia l'indirizzo di radice romanica, a lungo produttivo in Puglia accanto alle novità di segno gotico. Come a Trani, attorno alle quattro ali turrite girava una cinta esterna: la doppia cerchia concentrica di memoria crociata (si pensi al castello di Belvoir), che è verisimile collegare alla figura di "Philippus Chinardus", nel 1247 a Bari in veste di castellano.

A Brindisi il castello fu costruito ex novo sulla linea di costa, utilizzando "le pietre delli rovinati tempij, e delli teatri, e dell'acquedotti, che per tutto l'ambito della città vecchia, erano seminate […]" (Della Monaca, 1674, p. 384). Incluso fra i castra exempta, controllava uno dei porti più importanti del Mezzogiorno. In prossimità erano l'arsenale, la cittadella dei Cavalieri teutonici (che si può supporre non estranei al cantiere imperiale) e il palazzo già dell'ammiraglio Margarito, dov'era attiva la Zecca. Nella bella cattedrale romanica, nel 1225 fu celebrato il matrimonio di Federico con Iolanda di Brienne, giovanissima erede del Regno di Gerusalemme. Da qui presero il largo le navi crociate, nel 1227 e nel 1228. Rientrato nel 1229 dalla Terrasanta, scrivendo all'amico Fakhr al-Dīn, Federico definisce Brindisi "la ben guardata" (allo stesso modo qualifica Barletta) lasciando supporre che entrambe le città fossero munite del castrum (Gabrieli, 1966, pp. 276-278).

A Barletta l'imperatore risiede quando celebra la Pasqua del 1228 (26 marzo) e alla fine di aprile, nell'imminenza della crociata, vi aduna la Curia generale. Al primitivo impianto, oltre il fronte est del cortile, con le notissime bifore ornate dalle aquile imperiali, è plausibile riferire i resti della torre ritrovati nell'angolo di nord-est (Grisotti, 1995). Occorre ricordare che già nel XII sec. dall'ambito crociato si erano diffusi nell'architettura militare europea, insieme con particolari dispositivi di difesa, l'impianto regolare a quattro ali con torri angolari (descritto in più luoghi da Guglielmo di Tiro) e l'uso di mura concentriche. Il sistema di castelli voluti da Filippo Augusto ne offre la più alta testimonianza. Si può ben ritenere che esperienze simili fossero penetrate nel Regno meridionale, anche prima della crociata di Federico. Alla diffusione del modello architettonico del castrum, nella duplice prospettiva orientale ed europea, si è rivolto un denso filone di ricerche (Cadei, 2001, con bilancio critico).

Forme sperimentate nell'Oriente crociato riecheggiano nel castrumTermularum, il massiccio mastio con zoccolo piramidale che si erge sulla linea del porto di Termoli. Il rifacimento federiciano interessò il castello e la cinta muraria, a riparazione dei guasti causati nel 1240 dal saccheggio veneziano. Le operazioni di restauro (Marino, 1998) hanno rivelato una complessa stratificazione: al XII sec. è riferibile il torrione quadrangolare normanno, la cui base in età federiciana venne inglobata dall'imponente corpo troncopiramidale, con torri circolari poste a cavaliere degli angoli. Il più suggestivo confronto conduce in Terrasanta, dove nel Krak des Chevaliers le torri cilindriche a cavaliere sugli spigoli della svettante muratura a scarpa costituiscono una delle prove più alte della perizia dei costruttori crociati (La fabbrica dei castelli, 1997, p. 66).

Parallelamente prendeva forma un piano di potenziamento delle fortificazioni nelle altre regioni del Regno. Particolare attenzione fu rivolta alla linea di confine con lo Stato pontificio, dove sorsero Roccaguglielma, Atina, Rocca Ianula (Pistilli, 2000). Con le architetture statali si ponevano eccezionalmente in rapporto anche castelli di pertinenza feudale: il castello di Cancello (Matinale) edificato da Tommaso II d'Aquino (che sposò Margherita di Svevia, figlia naturale di Federico) e il castello di Caserta Vecchia, proprietà di Riccardo di Lauro (che nel 1246 prendeva in moglie Violante, altra figlia naturale dell'imperatore). Le contiguità con architetture sveve sono evidenti nello schema regolare quadrilatero con torri angolari, adottato a Cancello, e nel torrione circolare di Caserta Vecchia che rimanda alle torri della Porta di Capua (Santoro, 1995; Pistilli, 2000).

Castel del Monte ('castrum apud sanctam Mariam de Monte'). La visione del castello che da una collina delle Murge domina la vasta campagna tra Andria e Corato ha conservato inalterata nel tempo una forte carica di suggestione. Ma il paesaggio è cambiato. Nel Medioevo fauna e vegetazione vi abbondavano. Un documento della cancelleria angioina del 1278 fra le principali foreste del Regno ricorda, per la Terra di Bari, Bitonto e S. Maria del Monte. Ancora nel Seicento le tavole dell'Atlante delle Locazioni di Antonio e Nunzio Michele di Rovere (Foggia, Archivio di Stato) presentano la campagna circostante ammantata di boschi. Lambita dalla Via Traiana e dalla Via Appia, la zona fu abitata quasi senza soluzione di continuità.

Come a Lucera, Foggia, Siracusa, anche a Castel del Monte Federico raccolse reperti antichi: un rilievo raffigurante un corteo è ancora incastonato in una delle pareti del cortile (v. Antico, reimpiego e imitazione dell'). Della 'collezione' dell'imperatore forse fecero parte le due colonne vitinee che Roberto d'Angiò ordinò di trasportare nel 1317 in S. Chiara a Napoli, togliendole dal sito (esse erano "nulli aedificio adherentes") ove sorgeva il castello.

Del monastero intitolato a S. Maria sembra scomparsa ogni traccia, se si escludono alcuni frammenti di capitelli e colonnine (ormai dispersi) riferibili al XII secolo. Alla chiesa, già abbandonata dalla comunità monastica, potrebbe far riferimento un ordine emesso da Carlo I (1270) che assegna 8 once "cappellanis et castellanis castrorum Sancte Marie de Monte, Sancti Angeli et Sancte Agathes […] pro ornamento cappellarum eorundem castrorum" (I registri della Cancelleria, VI, 1954, p. 360; Calò Mariani, Archeologia, 1992).

Il mandato da Gubbio del 29 gennaio 1240 (Historia diplomatica, V, p. 697) con cui Federico incalzava il giustiziere di Capitanata, Riccardo di Montefuscolo, ad apprestare i materiali (actractum) necessari per la costruzione del castello "apud sanctam Mariam de Monte" viene generalmente inteso come l'avvio dell'opera (da Bertaux, 1897, a Cadei, 1995). Più verosimilmente esso documenta la decisione di accelerare i lavori ("instanter […] sine mora […] sollicitudini tue committimus") in vista della chiusura del cantiere. La stessa cosa era avvenuta a Capua: il 17 novembre 1239 Federico ordinava che si provvedesse alla fornitura dei marmi per completare il rivestimento del magnifico castello sul ponte del Volturno. In un momento di crisi, che vedeva l'imperatore costretto a chiudere numerosi cantieri della Sicilia (lettera del 17 novembre del 1239 a Riccardo da Lentini), a confiscare i tesori della Chiesa e a indebitarsi per acquistare un oggetto di altissimo pregio ("magnam scutellam de onichio"), mal si collocherebbe l'avvio di un'impresa tanto onerosa (Calò Mariani, 1994; Licinio, 2001). A favore della nostra ipotesi concorre l'inclusione del castrum nello Statutumde reparatione castrorum (v.), databile, com'è noto, tra il 1241 e il 1246. Segni materiali di un'affrettata conclusione dei lavori sono emersi dall'analisi puntuale condotta da Schirmer (2000) sulle strutture. Un ulteriore indizio vedremmo nella scultura abbozzata (ritrovata nel 1938) raffigurante un busto giovanile ‒ forse un falconiere ‒ di cui resta memoria in una rara fotografia (Shearer, 1943, p. CV, fig. 166).

La costruzione è concepita come un prisma ottagono con torri angolari anch'esse ottagonali. Capolavoro assoluto nella produzione edilizia federiciana, si pone come sintesi della cultura dell'imperatore: vi confluiscono l'interesse per il mondo classico, l'amore per la natura, le relazioni con l'ambito cistercense e con il gotico franco-renano, la familiarità con le conoscenze tecniche e i prodotti della civiltà islamica, e ancora la spiccata predilezione per la tersità geometrica delle forme, specchio dell'ordine dell'universo. L'edificio si fonda sul rigore della figura geometrica e sulla simmetria: l'idea perfetta, concepita (o fatta propria) dall'augusto committente, tradotta in uno schizzo (o in un modello), fu affidata ai magistri responsabili del cantiere. Il rilievo fotogrammetrico eseguito dall'équipe di Schirmer e gli studi che lo hanno accompagnato (Schirmer, 2000), hanno consentito di gettar luce sull'andamento dei lavori; l'esame delle strutture ha rivelato incertezze esecutive e asimmetrie, corrette in corso d'opera.

Federico scelse con cura gli operatori cercandoli tra i più esperti e aggiornati costruttori, ingegneri, scultori, intarsiatori. La presenza dei Cistercensi si riconosce non soltanto nell'adozione della tecnica costruttiva 'modulare', nella scansione delle pareti, ma anche nella decorazione dei capitelli: dai peducci a foglie d'acqua lanceolate negli stanzini al pianterreno, alle foglie nervate e ai turgidi crochets delle finestre sul cortile. I più diretti rinvii portano a Ripalta sul Fortore (Calò Mariani, 1984, 1992) e a Fossanova (Enlart, 1894).

Lo straordinario corredo scultoreo apre prospettive di respiro europeo (Federico II. Immagine, 1995). Alla plastica di Reims e della Sainte-Chapelle conducono le piante ispirate al vero di natura che adornano chiavi di volta e capitelli. La lezione altissima del gotico franco-renano si coglie nelle chiavi di volta figurate, nelle teste-mensola della terza torre, nel frammento di testa laureata ora nella Pinacoteca Provinciale di Bari. Il rapporto con l'antico, che nelle sculture di Capua risponde a un chiaro intento ideologico (Bologna, 1969, 1989), a Castel del Monte e a Lagopesole si flette in un linguaggio di fresca accezione gotica. È questo il clima fervido e innovatore nel quale matura l'esperienza giovanile di "Nicola de Apulia" (Testi Cristiani, 1987).

I rimandi all'antico (nel disegno del portale, nell'uso del- l'opus reticulatum) sono risaputi. Di recente è stato proposto il rinvio a Servio (commentatore medievale di Virgilio) per interpretare due chiavi di volta figurate: il notissimo volto di Sileno con orecchie d'asino e corona di pampini, nella settima sala del pianterreno, e il dio Silvano, nella sala ottava del primo piano, quella volta ad oriente, posta in asse con il trionfale ingresso. Sileno "è il solo che riesca ad attingere la suprema sapienza quando, nell'Ecloga VI di Virgilio inizia il canto cosmogonico dove […] rivela l'origine del mondo secondo le intuizioni degli epicurei"; il vecchio Silvano è "in Georg. II 490-94, il segno di quella vita lontana dagli affanni e dalle invidie dell'aula […] introdotta dall'altissimo: Felix qui potuit rerum cognoscere causas […]" (Villa, 1997, pp. 336-338). È lo stesso verso che si legge nel cartiglio del Virgilio raffigurato nel Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli (opera familiare a Federico, sin dall'infanzia). L'ideale di sapienza vagheggiato e perseguito tenacemente dall'imperatore ‒ vir inquisitor et sapientiae amator ‒ tradotto nella pietra, troverebbe la più consona espressione nelle nobili forme attinte dall'antico.

A questo punto appare non casuale il fatto che entrambe le sale con soggetti classici facciano parte del gruppo di ambienti di maggior prestigio ‒ che si può pensare destinati all'imperatore ‒ collegati con nessi verticali e orizzontali, secondo modi consueti nell'architettura residenziale islamica (D. Sack, in Federico II. Immagine, 1995, p. 300).

Come in genere nelle architetture federiciane, alla geometria dei volumi s'intona il taglio terso della pietra (Catania è un'eccezione). A Castel del Monte un ruolo importante giocava il colore, affidato all'accostamento di materiali diversi (l'arenaria, la breccia corallina, il marmo bianco) e ai rivestimenti in mosaico. Del pavimento policromo intessuto di marmi resta un lacerto nella sala ottava del pianterreno. Al primo piano "intarsi di pietre mischie antiche" erano stati notati entro il campo delle finestre da Avena (1902). Da qui proviene una tesserina raccolta da Haseloff un secolo fa, al tempo del suo viaggio in Puglia (oggi custodita da Leopoldo Bibbò, Foggia): ha forma trapezia (base 3 cm, altezza 1,02 cm) ed è ritagliata da una mattonella (spessore 1 cm) coperta da vetrina colorata in blu oltremare.

Ciò segnala l'adozione di una tecnica musiva diffusa nel Mediterraneo islamico e nel Mezzogiorno notata in opere dell'area amalfitana: ad esempio nello sfavillante rivestimento policromo dei pulpiti ravellesi (Peduto, 1991). L'indagine archeometrica (Ida Catalano) ha individuato nel pigmento usato a Castel del Monte la presenza del lapislazzuli, come in alcune ceramiche provenienti dal sito di Castelfiorentino (Laganara Fabiano-Curri-Traini, 1999).

Sono state via via proposte interpretazioni simboliche (Götze, 1984), connessioni con edifici legati all'idea imperiale ‒ Aquisgrana ‒ o con l'Oriente islamico ‒ Gerusalemme (Cardini, 2000). Ciò non esclude, a nostro parere, che il pianificatore dell'opera assumesse dal labirintico repertorio degli islamics patterns il motivo base del poligono stellare generatore, scaturito dalla speculazione geometrica e carico di significati cosmologici (Calò Mariani, 1984; Götze, 1984).

Il motivo base dell'organismo architettonico, l'ottagono stellare, si dilatava coinvolgendo e recingendo lo spazio circostante. Tutt'altro che indifeso, Castel del Monte fondeva mirabilmente le caratteristiche del palatium e del castrum. Nel corso dell'ultimo secolo, dall'ipotesi di una triplice o singola cerchia di mura si è passati alla negazione assoluta e convinta di qualsivoglia sistema difensivo esterno. Tuttavia della presenza intorno al castello di un primo anello difensivo si è trovato un non labile sostegno nel limpido racconto dell'evasione di un prigioniero ("ascendens murum claustri") avvenuta nella prima metà del Trecento. L'azione, descritta nella cronaca del notaio Domenico da Gravina, si svolge "in claustro seu ballio castri" (1903-1909, p. 112): dunque nella vasta corte, chiusa nella cinta difensiva, dove trovavano spazio costruzioni di servizio, cisterne, uomini e animali (Calò Mariani, Utilità e diletto, 1992; Licinio, 2001, pp. 72, 100).

A un recinto più ampio, includente forse il parco, allude a nostro parere il documento del 1289, con cui Carlo II consente di "equitare cum uno mulo extra castrum per circuitum" a un prigioniero d'alto rango, Enrico di Castiglia, fratello di re Alfonso il Savio (I registri della Cancelleria, XXXII, 1982, p. 131). Verrebbe così a delinearsi un organismo composto secondo figure concentriche. Un assetto che trova nobili precedenti in architetture crociate d'Oltremare e in opere fortificate pressoché coeve dell'Alsazia.

Sicilia: i castelli di nuova fondazione. A munire la costa orientale della Sicilia, negli anni Trenta sorgono ex novo i castelli di Catania, Augusta, Siracusa, che spiccano per la tersa geometria dell'impianto quadrilatero con torri (Federico e la Sicilia, 1995).

Le lettere imperiali (novembre 1239, marzo 1240) inviate a Riccardo da Lentini, praepositus novorum edificiorum, per la costruzione del castrum di Catania provano la diretta ingerenza di Federico nella pianificazione e nelle fasi esecutive delle architetture di stato.

Il prestigio formale e l'eleganza profusa indicano in Castel Maniace la duplice funzione difensiva e residenziale, cui doveva aggiungersi una esplicita intenzione ostentatoria. Al clima culturale della corte ben si intona l'interpretazione simbolica (Maurici, 1997) che nelle ventiquattro campate disposte intorno alla crociera centrale vede la traduzione monumentale del teatrum imperialis palacii di Palermo, miniato su una pagina del Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli (Berna, Burgerbibliothek, ms. 120 II, c. 142r).

L'edificio si impone per la nitida regolarità dell'impianto: un quadrato (il cui lato misura 41 m) e quattro torri angolari di forma cilindrica. Tracce evidenti rivelano che il progetto iniziale prevedeva la elevazione di un piano superiore. Inconsueta nella produzione architettonica federiciana appare la soluzione planimetrica: in luogo delle quattro ali simmetricamente disposte intorno al cortile nel pianterreno si sviluppa un unico vasto ambiente, scandito da venticinque campate con volte a crociera costolonata, sorrette da pilastri cilindrici. Ne risulta una spazialità dilatata e solenne, di alta suggestione, che per un verso ha suggerito consonanze con l'organizzazione spaziale di una moschea, per l'altro è stata vista come la traduzione amplificata di una sala capitolare cistercense (Agnello, 1935; Maurici, 1997).

Caratteri architettonici e modalità costruttive accomunano in effetti il castello e l'abbazia cistercense del Murgo, la cui basilica incompiuta è tuttora visibile tra gli aranceti dell'entroterra. Nel paramento murario di calcare biondo, ben squadrato e messo in opera con perizia, ricorrono i marchi dei medesimi lapicidi.

L'ingresso, rivolto verso l'entroterra, è monumentale e fastoso. Al sommo domina ancora l'aquila sveva, ai lati restano invece vuote le mensole dove erano esposti due arieti bronzei ellenistici, uno dei quali, di straordinaria vitalità naturalistica, si conserva nel Museo Archeologico di Palermo.

All'interno, dalla selva di pilastri cilindrici e semipilastri fioriscono rigogliosi capitelli a crochets; a volte ai motivi vegetali, sottilmente variati, si accompagnano elementi figurati minuti ed eleganti. Ai notati rapporti con la sfera cistercense si intrecciano conoscenze di marca oltremontana e caratteri comuni con il corredo scultoreo di Lucera e Castel del Monte.

La realtà dei cantieri statali. Federico aveva costituito un gruppo di esperti (praepositi castrorum) che operavano a suo diretto contatto, secondo direttive e metodi omogenei: in questa cerchia veniva pianificato il territorio ed erano concepiti, confrontati e di-scussi i modelli architettonici che vediamo diffusi in tutto il Regno. Nella stessa sede erano pianificati anche gli interventi di restauro.

All'interno dei cantieri passava il riflesso della vivace e composita temperie culturale propria della corte federiciana: magistri meridionali di tradizione romanica, ingegneri e architetti militari di estrazione crociata, monaci e cavalieri, artefici saraceni lasciarono la loro impronta accanto a magistri di formazione gotica europea. Già negli anni Venti, al linguaggio tardoromanico delle maestranze reclutate in loco ‒ fra le quali emerge la figura di Bartolomeo, protomagister del palazzo imperiale di Foggia ‒ si affiancano i nuovi apporti di un gotico moderato, di accezione cistercense. Per attuare il disegno di un ordine visibile, Federico si valse dell'opera di pianificatori ed esperti avvezzi ad organizzare lo spazio, a concepire modelli di vita urbana e agreste, a trasferire nell'architettura la razionalità e l'armonia delle forme geometriche. Dalle abbazie cistercensi del Regno "accepit conversos […] quos instituit magistros gregum, armentorum et diversarum actionum", oltre che "ad construenda castra et domicilia" (Ignoti monachi, 1888, p. 38). Nelle fattorie e nei cantieri statali la loro opera si protrasse per tutto il decennio successivo (Haseloff, 1920; Calò Mariani, Archeologia, 1992).

Anche l'Ordine teutonico diede un contributo significativo nel campo dell'architettura militare, saldando con quella occidentale (germanica in particolare) l'esperienza maturata nell'Oriente latino. In questa direzione di rapporti sono da porre i milites ciprioti, esperti di tecnica e di architettura militare, che giunsero in Puglia nel 1233 esuli dalla loro isola e spogliati dei loro feudi. Federico li accolse compensandoli con terre, in Basilicata e in Terra di Bari (Bertaux, 1897). Nelle loro fila era "Philippus Chinardus", che abbiamo incontrato a Trani.

A Palo del Colle una fitta iscrizione incisa su una lastra raffigurante s. Giorgio parla del fortissimo castello (in seguito soppiantato dal palazzo feudale) eseguito da "Americus ciprensis". Giorgio Vasari attribuisce all'architetto fiorentino Fuzio il castello di caccia di Gravina.

Senza nome restano i magistri di altissima cultura franco-renana la cui opera è riconoscibile tra Castel del Monte, Lagopesole, Siracusa. Nel vitale intreccio che andiamo abbozzando forse non andrebbe esclusa la penetrazione nella cerchia federiciana di un gotico di accezione francescana.

Fra Salimbene passando in rassegna i fatti disdicevoli nella condotta dello scomunicato (1239) fra Elia da Cortona, scrive: "Decimus defectus fratris Helye fuit quia, postquam fuit absolutus a generali officio, nec humiliter nec patentier se habuit, sed imperatori Friderico a Gregorio papa nono excommunicato totaliter adhesit, equitando cum ipso et cum eo morando […] semper in imperatoris exercitu morabatur, dando imperatori consilium et favorem" (1966, p. 234).

Che Federico si valesse della competenza del frate non soltanto sul piano diplomatico, ma anche nel campo dell'architettura, ci viene detto dal minorita fra Mariano: "[…] Helias de Cortona frater minor, in ipsa arte [architecturae] famosus, […] extruxit ac arces plurimas et fortilicia per regnum Siciliae ab rogatu Frederici imperatoris, postquam ei adhesit" (Fra Mariano, 1906, p. 116).

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