CASTELLANI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CASTELLANI

Gabriella Bordenache Battaglia
Maria Grazia Gajo
Giuseppe Monsagrati
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Famiglia di orafi, collezionisti, antiquari e ceramisti, vera e propria "dinastia" (attiva a Roma per oltre un secolo, dal 1814 al 1930), della quale fu "capostipite" Fortunato. Dei suoi tre figli maschi Alessandro e Augusto, noti anche per la loro vivace attività politica, collaborarono con lui e ne continuarono le attività di orafo, di antiquario e di collezionista; Guglielmo, invece, si dedicò alla ceramica. Alfredo e Torquato, figli rispettivamente di Augusto e di Alessandro, furono il primo orafo, il secondo ceramista.

Fortunato (Fortunato Pio), figlio di Pasquale di Simone e di Marianna (o Anna Maria) Santucci, di Giuseppe, nacque a Roma il 6 maggio 1794. Secondo la tradizione familiare, si sarebbe arruolato, giovanissimo, nell'esercito napoleonico. Nel 1814 aprì a Roma, al Corso, a palazzo Raggi, un laboratorio di orafo; nel 1815 prese la patente di maestro e nello stesso anno, il 26 novembre, sposò Carolina Baccani. Nel 1823 fu nominato tenente della guardia civica a Roma (Arch. di Stato di Roma, Fondo Castellani, cart. 2). nel 1848 era consigliere comunale.

Nel 1826, guidato da Domenico Lino Morichini dell'università di Roma e dall'abate Feliciano Scarpellini, direttore dell'Osservatorio capitolino, riuscì a mettere a punto un processo chimico per ottenere l'inalterabile colore chiaro dell'oro dei gioielli etruschi (che egli definì "giallone") e tenne un'applauditissima conferenza all'Accademia dei Lincei, di cui era membro. La sua relazione Ricerche chimico-tecnologiche sul colorimento del giallone delle manifatture d'oro, con alcun cenno sulle dorature dei bronzi venne pubblicata nel Giornale arcadico dell'ottobre 1826 (pp. 62-90). A questo periodo risale la sua amicizia con Michelangelo Caetani, che gli fu consigliere e collaboratore (era fra l'altro raffimato disegnatore) nella creazione di gioielli a imitazione di quelli antichi che allora venivano in luce dalle necropoli dell'Etruria e da Pompei ed Ercolano. E sarà il consiglio e il gusto sicuro del Caetani a indurre Fortunato a riprodurre alcuni di quei gioielli di scavo e a tentare l'imitazione delle tecniche - granulazione e filigrana - dei più antichi gioielli etruschi. È merito invece di Fortunato Pio aver scoperto a Sant'Angelo in Vado (Pesaro-Urbino) contadini presso i quali quelle tecniche continuavano ad essere adoperate nella lavorazione di gioielli popolari, e di aver affidato a donne del paese i lavori più delicati. Verso il 1840, col consiglio e l'aiuto del Caetani. Fortunato fondò a Roma una scuola per giovani orefici, per il ritorno allo stile e ai metodi di lavoro degli antichi. L'iniziativa è ricordata in un'iscrizione degli orafi e argentieri d'arte di Roma posta nel 1875 nella sagrestia di S. Eligio degli Orefici, sotto il busto di Fortunato Pio (L. Hütter, Iscrizioni di Roma dal 1871 al 1920, III, Roma 1962, p. 181).

Uomo molto religioso, seppure di sentimenti liberali, fu terziario dell'Ordine della Madonna delle Grazie a Porta Angelica (Arch. di Stato di Roma, Fondo Castellani, cart. 3). Nel 1853 si ritirò dagli affari e dalla direzione del laboratorio di oreficeria, che affidò ai figli Alessandro (per breve tempo, a causa delle sue agitate vicende politiche) e Augusto, pur continuando, a capo com'era di una famiglia patriarcale saldamente unita, a dare fermi consigli ed idee direttive. Nel 1854 il laboratorio di oreficeria fu trasferito a piazza Poli, n. 82.

Amico di Giov. Pietro Campana, nel 1855 lottò insieme con il figlio Augusto per salvare almeno la collezione di oreficeria del marchese e assicurarla all'Italia, mediante la costituzione di una società anonima per azioni. I suoi sforzi riuscirono vani; e da questo momento sorse nella famiglia la ferma volontà di formarsi una collezione propria.

Quando il volume degli affari, grazie al soggiorno di Alessandro a Parigi e al notevole spirito d'intraprendenza suo e di Augusto divenne favoloso, fu sempre Fortunato, ormai vecchio, a imporre alla famiglia che "parte degli utili superflui fosse dedicata all'acquisto di cimeli antichi, specialmente di oreficeria, per rimpiazzare nella nostra Roma quelli che il papa nel 1860 aveva venduto alla Francia" (dai Ricordi di Augusto).

Certo è che ai tempi di Fortunato la produzione doveva essere relativamente ridotta, dato che il laboratorio non era ancora organizzato come lo fu più tardi sotto la direzione di Augusto. Dai libri dei conti e da numerose note di pagamento della bottega appare che egli si serviva non solo di astucciai, ma anche di argentieri e bronzisti per presentare degnamente qualche gioiello o per gettare candelabri, vassoi, servizi da tavola. Anzi da due lettere del 1838 e del 1839 (Roma, Arch. Doria Pamphili 90.58.22) sisa che Fortunato si rivolgeva addirittura in Inghilterra, a una ditta di Birmingham, per avere i disegni "di gusto nuovo e ricco" nonché l'esecuzione di un lotto di argenterie da fornire al principe Doria: Fortunato si limitava a incassare la provvigione, più il rimborso spese.

Per l'unità di stile dei gioielli dei C. è difficile dire quali si possano attribuire con certezza alla mano o alla concezione di Fortunato. Di certo sappiamo opera sua soltanto pezzi in argento: una pace, placchetta d'argento lavorata a niello, di stile rinascimentale, con l'Adorazione dei Magi, eseguita nel 1840e offerta dal figlio Augusto alla chiesa romana di S. Eligio degli Orefici (Z. Giunta di Roccagiovine, Argenti romani..., catal., Roma 1970, pp. 28 s.;G. Zandri, in Tesori d'arte sacra di Roma e del Lazio, catal., Roma 1975, p. 151, n. 412); una collana in argento a pendenti con piccoli dischi a niello, conservata a Roma, presso una discendente dei C.; un servizio di posate in stile inglese (Giunta di Roccagiovine, cit., n. 122, tav. LXVI), diviso tra i discendenti, che gli è tradizionalmente attribuito, ma verosimilmente fu ordinato in Inghilterra come le argenterie per i principi Doria.

Morì a Roma il 1° genn. 1865. Per l'attività rivoluzionaria del figlio Alessandro, "fu portato all'avello fra gendarmi e sbirri, non permettendo la politica autorità che l'esanime spoglia del grande artista ricevesse quei pubblici onori che l'arte romana dell'oreficeria aveva richiesto rendere al suo fondatore" (Sartirana, II, 1870, p. 61).

Dal testamento a stampa del 2 ag. 1845e dagli annessi codicilli (15 sett. 1862, 21 dic. 1864)presso il notaio in Roma Fratocchi risulta che, dopo aver assicurato larghi mezzi di sussistenza a madre, moglie e alle cinque figlie femmine, Fortunato lasciò tutti i suoi beni immobili e la sua fortuna in ori, argenti, gioie, ecc., ai figli maschi con la clausola, aggiunta nel 1862, che Guglielmo, precedentemente interdetto per la sua eccessiva prodigalità, dovesse essere tutelato sino ai quarantacinque anni (nel '64aggiunse sino al cinquantacinque) dai fratelli Augusto e Alessandro. Fra gli esecutori testamentari è indicato Michelangelo Caetani.

Alessandro nacque a Roma da Fortunato e da Carolina Baccani il 2 febbr. 1823. Benché giovanissimo fosse rimasto privo della mano sinistra in un incidente di caccia, si dedicò con successo, insieme con il fratello minore Augusto, all'arte del padre, limitandosi però, per la sua menomazione, alla preparazione dei disegni. Ben presto allinteresse per il suo lavoro si aggiunse una spiccata passione per la politica: l'uno e l'altra lo accompagnarono di pari passo per tutto il corso della vita. Nel 1847, seguendo gli ideali repubblicani e democratici, fece parte del progressista Circolo popolare. Durante il periodo della Repubblica romana fu per breve tempo membro della commissione preposta alla scelta degli impiegati governativi. Dopo la restaurazione del governo pontificio, Alessandro fu arrestato insieme con il fratello Augusto (16 luglio 1849) e rilasciato dopo pochi giorni, anche per il "generoso" intervento del padre, le cui ingenti possibilità finanziarie erano ben note a Roma. Nonostante questo incidente. Alessandro continuò a restare in contatto con l'ambiente repubblicano che Mazzini, dall'esilio, manteneva attivo mediante l'Associazione nazionale italiana. Alessandro fu esattore dei contributi degli iscritti e capo di una delle sezioni romane. Nell'agosto del '53, in seguito alla scoperta di un progetto rivoluzionario organizzato da alcuni fuorusciti in collegamento con gli aderenti all'Associazione nazionale di Roma, egli fu tra i numerosi arrestati, insieme con Giuseppe Petroni, Cesare Mazzoni e altri. Le delazioni e i tradimenti permisero alla polizia di mettere le mani su tutti i presunti congiurati; Alessandro seguì solo in parte la sorte degli altri arrestati perché nel gennaio 1854 cominciò a dare segni di grave squilibrio mentale nelle carceri di S. Michele. È rimasto dubbio se l'infermità fosse simulata per sottrarsi alla giustizia pontificia, oppure corrispondesse alla realtà, come sostennero i familiari. Comunque Alessandro fu rinchiuso in manicomio fino al 1856, quando fu affidato alla responsabilità dei familiari, restando peraltro pendente nei suoi confronti l'accusa originaria.

Riprese lentamente l'attività nell'azienda familiare, sempre sotto il controllo della polizia che, alla fine del '59, riscontrando la sua guarigione, gli pose l'alternativa: consegnarsi per subire il procedimento giudiziario interrotto, o andare in esilio. Alessandro, pur riluttante, partì per Parigi nel giugno del '60, ove acquistò un appartamento in rue Talbot, e ai Champs Elysées aprì una succursale della ditta paterna, incrementando notevolmente gli affari della famiglia. Diventò personaggio noto nel bel mondo parigino, ebbe alcuni colloqui con Napoleone III, appassionato di arte antica e di gioielli, strinse amicizia con Rossini, facendosi apprezzare come conoscitore di musica e soprattutto come buon cantante. Il 20dic. 1860lesse all'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres una memoria (di sette pagine a stampa) e presentò un campionario di gioielli Castellani con tipi caratteristici di ogni scuola, dall'epoca greca fino al sec. XVI "pour faire ressortir la perfection de l'art antique". La stessa memoria lesse poi il 5 luglio 1861 all'Archaeological Institute di Londra, dove esibì ancora una volta un campionario di gioielli Castellani. Intorno a quegli anni raccolse i primi riconoscimenti ufficiali anche in Italia e nel 1861 partecipò alla I Esposizione industriale italiana di Firenze. Nel 1862 prese parte alla Esposizione internazionale di Londra, e qui iniziò quel commercio di oggetti d'arte che lo rese famoso in tutta Europa. A Londra rimase per qualche tempo anche per gli stretti contatti che aveva con il British ed il South Kensington (poi Victoria and Albert) Museum. Ma delle numerose amicizie che egli ebbe senz'altro in Inghilterra non esiste traccia né nella sua corrispondenza (ove si parla della vendita di questo o di quell'oggetto) né nei Ricordi del fratello Augusto.

Nel 1862 Alessandro dovette abbandonare Parigi (per una storia d'amore con una donna sposata, quella Henriette che diverrà più tardi sua seconda moglie), e si stabili a Napoli sotto veste di antiquario, di orafo e ceramista; egli fondò infatti una scuola di oreficeria, che fu diretta da G. Melillo, e incominciò ad occuparsi d'arte ceramica, indirizzandovi anche il figlio Torquato e chiamando nello studio al Chiatamone il miniatore di porcellane C. De Simone. Essendosi rifiutato di tornare nella città natale, nonostante Napoleone III gli avesse ottenuto la grazia, riprese a cospirare per la liberazione di Roma, sostenendo tenacemente la necessità di una rapida soluzione della questione romana. A questo scopo si mise al servizio delle forze che a mano a mano gli sembravano più facilmente destinate al successo. Agli inizi del '65, diventato uno degli esponenti più qualificati del nucleo di emigrati romani a Napoli, accettò di collaborare col Pianciani alla diffusione nel Sud della democratica Associazione dell'emigrazione politica romana. Nel '671 pero, constatata ormai la paralisi di questa organizzazione, Alessandro fu pronto ad aderire all'iniziativa di Montecchi che mirava sì a combattere il moderato e inerte Comitato romano, ma senza creare in alternativa un'associazione a carattere schiettamente democratico, in modo da poter utilizzare per la liberazione di Roma forze democratiche e moderate, filogovernative e rivoluzionarie. Egli fece parte quindi del Centro d'emigrazione romana, ma per breve tempo, perché proprio a Napoli l'elemento moderato rappresentato dal Comitato romano, sospettoso della forzata alleanza con individui notoriamente democratici, lo emarginò. Dopo la sfortunata campagna dell'Agro romano (ottobre-novembre 1867), che aveva contribuito a finanziare, Alessandro ritornò nelle file mazziniane dell'Alleanza repubblicana, diventando membro del Comitato centrale di Napoli, insieme con Nicotera, Asproni, Zuppetta e Pantano. Nel marzo '69 rischiò l'arresto nello sfortunato tentativo rivoluzionario che la polizia bloccò sul nascere a Napoli come a Milano e in altri centri del Nord. I numerosi arresti furono un duro colpo per i seguaci di Mazzini: nel maggio dei '70 anche Alessandro abbandonava il Comitato centrale che, dopo poco, si sciolse.

Alessandro tornò a Roma con le truppe regolari italiane e si adoperò perché la città non cadesse nelle mani degli elementi più retrivi del vecchio Circolo romano, riuscendo a far inserire nella Giunta provvisoria, concordata con i moderati e formata il 20 settembre stesso, Nino Costa e Mattia Montecchi: ma questa non fu riconosciuta dal Cadoma. Le file democratiche, riorganizzate nel Circolo popolare romano, in vista delle elezioni generali per la Camera proposero, tra i propri candidati, anche Alessandro che, però, rinunciò clamorosamente dichiarando, in una lettera datata 18 novembre e pubblicata il 20, proprio il giorno delle elezioni, sul giornale La Capitale, di non aver fiducia "nei principi politici che reggono oggi l'Italia".

Sempre nel '70 fece parte, insieme con Pietro e Francesco Vitelleschi, della Commissione per la tutela dei monumenti a Roma, che avrebbe voluto prendere possesso anche dei Musei Vaticani, ma ne fu impedita dal governo italiano. Presiedette poi, nel settembre '72, la commissione promotrice del comizio al Colosseo, che intendeva propugnare l'introduzione del suffragio universale: il programma che venne sostenuto dal quotidiano Il Suffragio universale (15 settembre-7 dic. 1872), cui collaborò anche Alessandro, fu osteggiato non solo dai moderati ma anche dai mazziniani, i quali ritenevano pregiudiziale all'estensione del diritto di voto l'elezione di una Costituente che desse all'Italia una costituzione veramente democratica. Si interessava contemporaneamente a elaborare un progetto, accolto con entusiasmo da Garibaldi, di deviazione del Tevere per risolvere il problema delle frequenti inondazioni e per riportare alla luce i reperti archeologici giacenti sul letto del fiume. Nel marzo '79 Alessandro fu eletto presidente dell'Associazione repubblicana dei diritti dell'uomo e il 21 aprile entrò, insieme con i più noti esponenti delle correnti democratiche, nell'associazione La Lega della democrazia, presieduta da Garibaldi. Dal gennaio dell'80 finanziò con Adriano Lemmi l'organo di propaganda dell'associazione, il quotidiano La Lega della democrazia, e vi scrisse articoli di archeologia. Fu commissario regio presso alcune esposizioni internazionali.

Colpito da sempre più gravi crisi di asma, Alessandro si spense il 9 giugno 1883 nella villa Vecchioni a Portici. Per sua volontà la salma fu portata a Roma con un convoglio "puramente civile" e, dopo esser stata cremata, venne tumulata in terra "libera, senza immagini e lampade" (p. 481 dei Ricordi di Augusto).

Dalla prima moglie Carolina Gentili ebbe il figlio Torquato; dagli Stati d'anime del 1883 della parrocchia di S. Vincenzo e Anastasio a Trevi (Roma, Arch. stor. del Vicariato, f. 140) risulta il suo secondo matrimonio con una Enrica (la Henriette conosciuta a Parigi), che ancora nel 1929 figura espositrice di ceramiche e vetri, evidentemente resti della collezione di Alessandro (cfr. Esposiz. parziale di industrie artistiche. Guida per il visitatore, Roma 1889, p. 23), la quale era stata venduta all'asta nel 1907.

Opere: Mémoire adressé à MM. les membres de l'Académie des Inscriptions et Belles Lettres sur la joaillerie chez les anciens, Paris, 20dic. 1860; A Memoir on the Art of Jewellery..., London 1861(anche in Archeological Journal, 1861, pp. 365-368); Antique Jewelry and its Revival, Philadelphia s. d. (forse 1876); Scavi nel Tevere, Roma 1878; Degli ori e dei gioielli nella Esposizione di Parigi del 1878, ibid. 1878.

M. G. Gajo

Augusto, figlio di Fortunato e di Carolina Baccani, nacque a Roma l'11 genn. 1829. Intrapresi gli studi classici, affiancò a questo tipo di istruzione l'apprendimento delle tecniche dell'arte paterna. Cresciuto nell'ossequio alla religione cattolica, dalla quale non si sarebbe mai distaccato, all'avvento di Pio IX fu preso da entusiasmo per le teorie giobertiane e vide anch'egli nella figura del papa il possibile artefice della rinascita della nazione. Nel 1847, grazie a un permesso speciale, con il quale fu possibile superare l'ostacolo rappresentato dalla minore età, si arruolò nella guardia civica, nella quale continuò a servire anche dopo la delusione provocata dall'allocuzione papale del 29 apr. 1848 e dopo l'instaurazione della Repubblica romana (9 febbr. 1849), i cui principi non volle mai accettare. Il rifiuto di carattere ideologico non gli impedì tuttavia di partecipare alla difesa di Roma nelle file dell'artiglieria, con la quale si distinse nel respingere l'assalto del 3 giugno e quindi nella difesa del Gianicolo.

Dopo l'ingresso dei Francesi, denunziato alla polizia del corpo d'occupazione per essere rimasto coinvolto con il fratello Alessandro in un tumulto scoppiato nel centro della città il 15 luglio 1849, Augusto rimase in carcere fino al 26, quando il padre ne ottenne la liberazione grazie agli appoggi di cui godeva e ad un notevole esborso di denaro. Da allora, abbandonata ogni forma di politica attiva, si dedicò alla conduzione del laboratorio, di cui nel 1851 gli venne affidata la direzione amministrativa.

Dopo un matrimonio che suscitò un certo scalpore nell'ambiente dei liberali romani - aveva sposato Anna Farina, figlia di Filippo, ministro delle Armi del governo pontificio -, Augusto fu costretto dalle vicende in cui fu coinvolto il fratello Alessandro ad occuparsi esclusivamente del laboratorio tra il 1853 e il 1858; un ridestarsi dell'interesse per la politica maturò in lui dopo che il fratello venne dimesso dal manicomio criminale, quando il contatto con gli esponenti più illuminati della borghesia romana e con alcuni diplomatici stranieri, come l'inglese Odo Russell, che quotidianamente convenivano nel suo studio, lo spinse a vedere in una forte monarchia nazionale quale quella sabauda il perno di un futuro riassetto della penisola: tutto ciò mentre invece il fratello si legava sempre più agli ideali repubblicani. Nell'ambito del moderato Comitato nazionale romano, Augusto non rivestì incarichi ufficiali; anche se, soprattutto negli anni successivi, la sua posizione doveva rivelarsi oltremodo utile nel mantenimento dei rapporti tra liberali locali ed esponenti della diplomazia straniera. D'altro canto, la prudenza con cui erano stabiliti questi contatti fece sì che egli non fosse mai preso di mira dalla polizia pontificia, la quale si interessò a lui solo quando gli vennero affidate alcune commissioni, come quella delle spade d'onore per Vittorio Emanuele II e Napoleone III (1859) o del dono per le nozze di Maria Pia di Savoia con Luigi I di Portogallo (1862), delle quali era trasparente il significato politico.

Una sua larvata opposizione al potere temporale, al quale, a suo parere, erano da attribuire le maggiori responsabilità per il malessere economico che affliggeva lo Stato e con il quale si scontrò più di una volta - come quando, per esempio, tentò invano di creare una società per azioni, che impedisse la vendita all'estero dei gioielli delle raccolte Campana -, caratterizzò anche gli anni immediatamente precedenti il 1870; contemporaneamente il timore che il crollo dello Stato pontificio fosse accompagnato da eccessi rivoluzionari gli faceva stendere nel gennaio 1866, con Paolo Costa e l'inglese William Cartwright, un progetto, poi respinto dal pontefice, per un prestito al Municipio di Roma, affinché questo, svincolato da ogni soggezione al governo, potesse divenire un organismo in grado di mantenere il controllo della situazione nell'ipotesi di un vuoto di potere.

All'indomani della liberazione di Roma Augusto accettò l'invito rivoltogli da R. Cadorna, tramite A. Silvestrelli, di far parte della Giunta provvisoria di governo, all'interno della quale egli si batté per una linea che salvaguardasse le esigenze della popolazione romana, ne esprimesse fedelmente i sentimenti monarchici e unitari, e attenuasse i toni troppo accesamente anticlericali di una parte degli esponenti del liberalismo locale, pur senza transigere sulla necessità di una netta separazione tra Chiesa e Stato: questa affermazione di principi provocò acerbi contrasti con il fratello, attestato su posizioni più radicali. Compiuto il plebiscito (2 ott. 1870), Augusto fece parte della delegazione incaricata di consegnarne i risultati a Vittorio Emanuele II.

Sciolta la Giunta con l'istituzione della Luogotenenza, Augusto partecipò alla vita amministrativa e culturale della città, con l'incarico di direttore del Museo capitolino.

Dopo la scomparsa della moglie (1873) e l'insuccesso della sua candidatura nelle amministrative del 1875, anche l'attività commerciale attraversò un periodo di crisi che riuscì a superare grazie alle ordinazioni fattegli dalla casa regnante. Nell'82 accettò una candidatura per le elezioni politiche nelle file del gruppo della Costituzionale di Minghetti, ma l'esito fu negativo; un successo riportava invece l'anno seguente quando, pochi giorni dopo la morte del fratello, entrava come terzo eletto nel Consiglio comunale: vi rimase prima fino al 1890 e poi dal 1895 al 1907, senza tuttavia porsi eccessivamente in luce, portato com'era dal rigore del suo comportamento, ma anche dalla scarsa duttilità del suo liberalismo. ad estraniarsi da quelle che egli considerava contese personali per il potere.

Nominato cavaliere del lavoro nel 1903, Augusto non poté frenare negli ultimi anni della sua vita l'ulteriore decadenza della propria attività di orafo e fu costretto, per il contrarsi del volume degli affari, a limitare sempre più la produzione. Morì a Roma il 23 genn. 1914, nel suo palazzo in piazza Fontana di Trevi, e fu sepolto nella tomba di famiglia (una cappella rotonda in stile classico con antefisse antiche), che già nel 1865 aveva fatto costruire al Verano (Pincetto Vecchio, riquadro 12) e nella quale, secondo la sua idea iniziale, avrebbero dovuto essere seppelliti tutti i collaboratori (orafi, mosaicisti, gemmari, ecc.) del suo laboratorio.

Opere: Oltre ai Ricordi e agli Appunti, in Arch. di Stato di Roma, Fondo Castellani, cartt. 3 e 6: Notizie di fotografia; ibid., cart. 12: Manuale di fotografia sulla carta; Dell'oreficeria antica (discorso), Firenze 1862, dedic. "al mio carissimo Genitore"; Dell'oreficeria rispetto alla legislazione, Firenze 1863, dedicato "a mio padre, per il fausto anniversario del suo giorno natale"; Sull'incivilimento primitivo (memoria), Firenze 1864, rist. a Roma nel 1920, a cura di Alfredo (stessa dedica del volume precedente); Delle gemme, Firenze 1870(trad. in inglese da John Brogden col titolo Gems. Notes and Extracts, London 1872; Il marchio dei metalli preziosi (ricordi alle Camere di commercio italiane), Roma 1871; Dell'oreficeria italiana (discorso, che riproduce in parte il primo opuscolo Dell'oreficeria antica), Roma 1872, ristampato a Roma nel 1920dal figlio Alfredo, con aggiunte nel testo (è dedicato a "Michelangelo Caetani, caro e venerato Maestro"); L'arte nell'industria, in Monografia della Città di Roma e della Campagna Romana presentata all'Esposizione Universale di Parigi del 1878, Roma 1879, pp. 395-406; Ricordi per la storia dell'oreficeria, Fiuggi 1913, ripubblicata dal figlio Alfredo, Roma 1920.

Oltre a questi studi, che erano strettamente pertinenti al suo mestiere di orafo, Augusto ha pubblicato anche articoli nel Bullettino d. Commissione archeologica comunale, per presentare pezzi eccezionali dovuti ai suoi felici acquisti (il "bisellio" di Amiterno) oppure a fortunate scoperte nel suolo di Roma, che egli non solamente assicurò alle collezioni capitoline, ma restituì alla loro originaria preziosità con intelligente e paziente opera di restauro eseguita dal figlio Alfredo: Il bisellio capitolino, in Bull. della Commissione archeologica comunale, II (1874), pp. 22-32, tavv. II-IV; Due antiche forchette d'argento, ibid., pp. 116- 125, tav. IX; Di un carro sacro, ovvero di una tensa con rivestimento di bronzo e de' suoi rilievi, ibid., V (1877), pp. 119-134, tavv. XI-XV; La lettiga capitolina, ibid., IX (1881), pp. 214-224, tavv. XV-XVIII; Un antico pugnale recentemente scoperto, ibid., XIX (1891), pp. 237-239. tav. VIII; Delle scoperte avvenute nei disterri del nuovo Palazzo di Giustizia, ibid., XVII (1889), pp. 173-180, tav. VIII (corredo di una tomba di fanciulla, Crepereia Tryphaena, composto di squisiti gioielli di età romana, seconda metà II sec. d. C.), in collaborazione con R. Lanciani.

G. Monsagrati

Guglielmo, figlio di Fortunato e di Carolina Baccani, nacque a Roma il 19 genn. 1836; la sua attività di ceramista, in seguito alla dispersione dell'Archivio del Museo internazionale della ceramica di Faenza, è oggi difficile da ricostruire. Nel 1860 era a Parigi con Alessandro, come risulta da una lettera di questo (Arch. di Stato di Roma, Fondo Castellani, cartella 5).

Dal codicillo del 15 sett. 1862 al testamento del padre risulta che Guglielmo, già interdetto per la sua "facilità di spendere", dovesse essere affidato alla tutela dei fratelli. La notizia è riferita di sfuggita anche dal fratello Augusto nei suoi Ricordi (Arch. di Stato di Roma, Fondo Castellani, cart. 3), dove, forse per salvaguardare la reputazione dei C., di Guglielmo quasi non si parla: il suo nome ricompare soltanto in occasione della morte di Alessandro (1883) e in quella del suo tragico suicidio. Dai cataloghi delle mostre risulta che Guglielmo era commendatore, e che espose con successo - ottenendo particolari lodi per i suoi "lustri" di ispirazione orientale o ispanoaraba - a Roma, nel 1880 e di nuovo nel 1881, al Museo artistico industriale.

Alla mostra del 1881 ottenne la medaglia di bronzo, e il Corona (1885) nel commento ai materiali esposti dice che Guglielmo lavorava da solo dal 1879 e ne loda la tecnica. Come il padre e i fratelli si ispiravano a modelli antichi per l'oreficeria, Guglielmo vi si ispirava per la ceramica e ripeteva modelli di pezzi preziosi in collezioni private e musei. A detta del Corona (1885), nel 1883a Roma, e poi a Torino, Guglielmo aveva esposto un mobile formato da "placche di maiolica in vari stili", oltre a vasi e piatti; e il re aveva acquistato (prima del 1885, quindi) un vaso in stile siculo-moresco di esecuzione "incomparabile". Un vaso a due anse, imitazione di quello arabo-spagnolo rinvenuto a Mazzara ora nella Gall. naz. di Palermo (R. Delogu, La Gall. naz. ..., Roma 1957, p. 131, fig. 97), e una lunetta in stile bizantino con l'immagine della Madonna furono presentati, tra l'altro, alla VI Esposizione parziale d'industrie artistiche del 1889 a Roma (Guida per il visitatore, pp. 8, 23).

Guglielmo morì suicida il 2 giugno 1896 a Roma nella sua casa di via in Lucina, n. 10, dove, secondo i registri parrocchiali, abitava già da dieci anni con la moglie Ernesta Alibrandi (sposata in S. Maria del Popolo il 23 giugno 1863, testimone il fratello Augusto). Dal Libro dei morti di S. Lorenzo in Lucina risulta ancora che ebbe sepoltura religiosa perché considerato inalato per abuso di morfina: fu sepolto nella tomba Alibrandi avendo la famiglia preferito mantenere le distanze da lui sino alla fine.

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Torquato, figlio di Alessandro e di Carolina Gentili, fu battezzato il 29 nov. 1846 nella parrocchia di S. Maria in Via a Roma (i genitori abitavano in via del Corso, n. 173). Molto probabilmente seguì il padre in esilio a Parigi e poi a Napoli, dove Alessandro, oltre ad aprire una scuola di oreficeria, si era anche interessato al risorgere dell'arte ceramica (aveva una ricchissima collezione di pezzi antichi). Torquato, a detta del Bernabei che lo frequentò, cominciò a dedicarsi alla ceramica nel 1867, sotto la guida del miniaturista C. De Simone, che era stato chiamato nello studio al Chiatamone. Certo è però che il gusto di Torquato fu chiaramente influenzato dalla eclettica collezione del padre, come, dopo il ritorno a Roma, dall'opera dello zio Guglielmo.

Nel 1870 lo studio napoletano partecipò con successo all'Esposizione di Londra (Mosca, p. 140; Corona, 1880). Nello stesso anno, Torquato era di ritorno nella città natale nel palazzo di piazza Fontana di Trevi e usava, come anche lo zio Guglielmo, le fornaci di Trastevere. Il 7 novembre 1873 si sposò con Adele Moraschi Mastricola (dei suoi figli Olga risulta essersi dedicata alla ceramica: Minghetti). In seguito non si hanno più tracce di lui. Si sa, dagli archivi parrocchiali, che morì a Roma in via XX Settembre, n. 3, il 3 dic. 1931.

Nel poco attivo ambiente dei ceramisti romani a lui contemporaneo, Torquato entrò in contatto con Adriano Ferraresi. Nel 1878 partecipò all'Esposizione universale di Parigi ottenendo la medaglia d'argento: secondo il Corona (1880), pur imitando "con saggia ostinazione i vasi ed i piatti persiani", era l'unico a dimostrare "un ardimento e un ingegno promettitori di rapidi progressi". Insieme con lo zio Guglielmo il 20 marzo 1880partecipò all'esposizione di pittura su ceramica nel Museo artistico industriale (Il Museo artistico industriale... Relazione della commissione direttiva, Roma 1884, p. 39). L'anno dopo all'esposizione nello stesso museo ottenne la medaglia d'argento; ma il Corona (p. 220), ne sottolineava la mancanza di inventiva per la continua imitazione di modelli medievali. Sempre nel 1881 Torquato partecipò anche all'Esposizione industriale di Milano (Corona, 1885). E con lo stesso genere di ceramiche, imitazione di quelle dei secc. XV e XVI, prese parte nel 1889 alla VI Espos. parziale d'industrie artistiche a Roma (Guida per il visitatore, p. 7), dove l'artista era presente anche nelle vesti di collezionista di ceramiche e vetri antichi (p. 29).

Un piatto, decorato con un profilo femminile, che dalla dedica risulta essere della moglie di Guglielmo, Emesta Alibrandi, e datato 18 apr. 1876(erroneamente sulla fronte è scritto 1826), è conservato al Museo di Roma in palazzo Braschi. Secondo il Minghetti nel Museo internazionale di Faenza erano conservati documenti che dopo la seconda guerra mondiale risultano essere andati dispersi: sono stati riacquistati alcuni pezzi in cui si spazia, come stile, dall'ispano-moresco al moderno.

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Alfredo, unico figlio maschio di Augusto e di Annetta Farina, nacque a Roma l'11 maggio 1856. Tra i C. orafi è il meno noto, pur avendo esercitato l'arte con lo stesso amore e la stessa perizia. Ma egli non tenne conferenze né scrisse opuscoli sull'arte della gioielleria, come già il nonno, il padre e lo zio; non scrisse i suoi personali ricordi; non coprì cariche pubbliche; e per di più visse, si può dire sino alla vecchiaia, all'ombra del padre. La moda dei gioielli Castellani era passata, ma Alfredo continuò a lavorare nel suo laboratorio di piazza Fontana di Trevi, fedele agli ideali di famiglia, vivendo del ricordo degli anni di celebrità dello studio e mostrando con orgoglio i sette volumi di firme dei visitatori (oggi nel Museo nazionale di Villa Giulia di Roma).

Il padre aveva avuto speciale cura della sua educazione artistica e lo aveva affidato giovanissimo al maestro di disegno Salvatore Zeri. Un fatto sembra aver influenzato fortemente il gusto di Alfredo: la scoperta, negli anni 1874, 1877, 1881 - quand'egli era agli inizi della sua attività di orefice -, di monumenti romani singolari quali il cosiddetto "bisellio" di Arniterno, la tensa e la lettiga capitolina, decorati a intarsio e ageminatura d'argento.

Tali monumenti, di legno e metallo, vennero portati ad Augusto sotto forma di pietosi frammenti; ed è merito di Augusto (consigliato e aiutato dai suoi amici archeologi) se essi entrarono a far parte delle collezioni capitoline in una forma ben definita (che, anche se discutibile e discussa oggi, era essenzialmente valida). Ora si sa che la delicata opera di restauro venne affidata ad Alfredo (lo si sa espressamente solo per la tensa - Bull. della Comm. arch. com., 1877, p. 121 - ma è logico postulare che Alfredo sia stato impegnato nel restauro di tutti e tre i pezzi), ed è certo che il finissimo lavoro di intarsio e di sbalzo del "bisellio" lo abbia talmente impressionato da indurlo a fame delle copie (ill. in Montani, 1928, p. 221). La cosa appare piuttosto sorprendente qualora si pensi da una parte all'enorme lavoro richiesto, dall'altra all'impossibilità d'inserire nell'arredamento del tempo oggetti così pesanti e inutili. Una copia di questi due pezzi è al Museum für Angewandte Kunst di Vienna e una a Roma nei magazzini dei Musei Capitolini. Il "bisellio" fu esposto a Vienna nel 1874e ancora a Parigi nel 1878 con copia della lettiga. Tutte e due le volte l'artista ottenne la medaglia d'argento.

Naturalmente Alfredo eseguì molti altri lavori nella tradizione della famiglia, come la famosa croce votiva in argento e mosaico (Montani, 1928, p. 215) e la rilegatura in avorio, oro, argento, pietre preziose e mosaico del grande messale da lui lasciato al tesoro del Vaticano ed esposta più volte nelle ultime mostre dei Castellani (ill. in Montani, 1928, p. 217, e in F. S. Orlando, Il Tesoro di S. Pietro, Milano 1958, p. 76, tavv. 96 e IV). Nel 1884, all'Esposizione nazionale di Torino furono apprezzati, per la loro novità, i lavori di intarsio in argento su ottone e su rame di Alfredo che ottenne per essi la medaglia d'argento (B. Pavoni, L'Esposiz. ..., Torino 1884, pp. 15 ss.).

Nel 1887 sposò Ersilia Narducci, donna di salute molto delicata, che non gli dette eredi. Come tutti i C. fu generoso mecenate: nel 1916, ad esempio, donò al Museo nazionale romano quattro frammenti di un finissimo cratere neoattico di assoluta rarità (R. Paribeni, in Boll. d'arte, X [1916], pp. 72 ss., figg. 5-7). Ma il suo principale e grandissimo merito è di aver donato allo Stato italiano l'intera collezione di vasi greci, etruschi, italioti, di bronzi, di avori, monete e gemme, di gioielli antichi e modemi, avuta in eredità dal padre: "interpretando il chiaro suo desiderio, decisi sin dal giorno dell'apertura del testamento di donare detta collezione, onde non potesse venire in alcun modo dispersa" (Arch. di Stato di Roma, Fondo Castellani, cart. 1).

La realizzazione di questa sua volontà fu tutt'altro che facile: da una parte la sorella Guendalina impugnò il testamento per avere la sua parte di tanta ricchezza, dall'altra lo Stato italiano, destinando la collezione a un museo di antichità come quello di Villa Giulia, non voleva prendere in consegna la parte moderna, cioè i gioielli Castellani. Per risolvere questi due grossi problemi, Alfredo lottò con tenacia per ben cinque anni: dapprima per ottenere una valutazione della coll. dei gioielli antichi, onde poter dare alla sorella e agli credi (Fabri, 1953) il 25% del valore totale (la stima di 600.000 lire, fatta per lo Stato da R. Paribeni, fu prima rifiutata e finalmente accettata da Guendalina nel 1918);poi per riuscire a convincere le autorità statali ad accettare la parte moderna (perché nessuno poteva disgiungere le due collezioni) per la somma di lire 150.000 non come pagamento (basti pensare all'immenso valore di perle, rubini e smeraldi, gemme e monete antiche che ornano i gioielli C.), ma "quale aiuto per poter proseguire la mia industria, in stasi per mancanza di forestieri". Infine lo Stato accettò la transazione con una bellissima motivazione di R. Paribeni e la collezione antica e moderna, nel 1919, entrò a far parte del Museo nazionale di Villa Giulia, sotto il nome di Augusto Castellani.

Fedele alla memoria del padre, Alfredo ebbe cura di ripubblicare, nel 1920, gli opuscoli di Augusto, forse esauriti, sull'"incivilimento primitivo" e sulla storia dell'oreficeria.

La gentilezza, la semplicità e la modestia, caratteristiche precipue dei C. (necrologio di L. Mariani per la morte di Augusto, in Bullettino comunale, 1914, pp. 235 s.), si ritrovavano in massimo grado in Alfredo, il quale chiuse degnamente, e in silenzio, la vicenda dei Castellani.

Il 20 luglio 1929 redasse testamento; rispettando la volontà dei C. di lasciare imperitura testimonianza dell'attività dei singoli membri della famiglia quali orafi e uomini di cultura legava: all'Archivio di Stato i manoscritti e le carte di famiglia; alla Biblioteca dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte i suoi libri, compresa la ricca miscellanea di opuscoli; al Museo artistico industriale tutti i calchi in gesso, i modelli in cera, in metallo, ecc., dei lavori eseguiti nello studio (le forme in gesso dovevano essere usate per ricavarne le cere da esporre al museo, e quindi essere distrutte). Al Museo artistico industriale venivano assegnati ancora "tutti i libri di disegni di oreficerie e gioiellerie e i disegni in fogli sciolti eseguiti da Michelangelo Caetani, da Alessandro Castellani, da Augusto Castellani e da Alfredo Castellani". Tutto il prezioso materiale legato al Museo artistico industriale è allo stato attuale introvabile (dopo l'inopinata e tuttora oscura divisione del Museo tra Stato e comune di Roma nel 1941). Per pagare le tasse di successione dei suoi numerosi lasciti Alfredo disponeva pure che fossero venduti all'asta tutti i gioielli Castellani che erano ancora in sua proprietà (catalogo 1930).

Morì a Roma l'8 genn. 1930.

Unici tra gli orafi di tutti i tempi, i C. hanno conservato e lasciato alle collezioni dello Stato una ricca esemplificazione di gioielli creati nel corso della loro lunga attività. Tali gioielli sono ora esposti nel Museo nazionale di Villa Giulia, vicino a quelli antichi - come già nel palazzo Castellani di via Poli (sino al 1869) e poi di piazza Fontana di Trevi - nella volontà di dimostrare sopra tangibili e, sicuri documenti la vecchia tradizione della Scuola degli orafi romani (dai Ricordi di Augusto).

Mancano, naturalmente, i pezzi grandi e famosi che possiamo considerare unici., proprio quelli che vengono sempre citati, come i calici e gli ostensori, le corone e le spade d'onore, gli elmi di parata (per esempio, quello per Umberto I, in Montani, 1928, p. 213), le preziose rilegature di libri, i doni di eccezionale complessità e ricchezza, quale la cista muliebre ottagona, scrigno di una favolosa parure offerta nel 1872 dai principi di Savoia alla principespa di Prussia (ill. in Sartirana, 1870). Mancano egualmente i pezzi fatti su precise ordinazioni, come sigilli con stemmi e iniziali (G. Rossini, Giovanni Colonna); doni offerti alla regina Margherita; spille singolari, come quella ideata per Napoleone III con moneta di Cesare, chiusa in coroncina civica con aquila in alto e tabula ansata iscritta in basso; la collana dell'ultimo senatore di Roma (1868-1870), Oggi ai Musei Capitolini; l'anello di Elizabeth Barrett e quello di suo marito Robert Browning, che li ricevettero in dono nel 1857 da Isa Blagden. L'anello di Elizabeth Barrett, donato al British Museum nel 1922 e recentemente (1969) rubato, è quello cui alludono i primi versi del poema del Browning The Ring and the Book (London 1868), dove si parla appunto della "Castellani's imitativecraft". L'anello di Robert Browning è conservato invece al Balliol College di Oxford. Il nome dei coniugi Browning è messo in evidenza nel primo volume (p. 74) con le firme dei visitatori dello studio dei C. nel gennaio 1860.

Due lettere di Elizabeth Barrett del gennaio e del 10 febbr. 1860 (la prima inedita, nel Fitzwilliam Museum di Cambridge; la seconda in The Letters of E. Barrett Browning, a cura di F. G. Kenyon, London 1898, p. 354) precisano che questa visita fu fatta per ammirare le spade d'onore disegnate da M. Caetani donate da 14.000, romani a Napoleone III e Vittorio Emanuele II (R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa, Roma 1907, II, p. 38). La spada di Vittorio Emanuele II (ill., Montani 1928, p. 216), con la croce di Savoia in alto, a mosaico, e, nella parte inferiore dell'elsa, un'iscrizione doppia su smalto azzurro: "Roma a Vittorio Emanuele II MDCCCLIX", da un lato, "Per l'indipendenza italiana", dall'altro, è attualmente conservata nell'Armeria reale di Torino, Inv. T 32 (cfr. A. Angelucci, Catalogo dell'Armeria reale di Torino, Torino 1890, p. 259).

La scelta dei gioielli Castellani dei Museo di Villa Giulia, che si può idealmente completare con quanto si trova nei grandi musei d'Europa e d'America o in proprietà privata, costituisce una guida sicura e precisa per quanto riguarda la tecnica e il gusto di questa dinastia di gioiellieri neoclassici. Nella raccolta l'unità di tecnica e di stile è tanto grande, nonostante l'evidente eclettismo nella scelta dei vari prototipi - dal periodo orientalizzante a quello rinascimentale e anche barocco - che sembra impossibile considerarla produzione di una bottega di orefici attiva per oltre un secolo (1814-1930). Ma in realtà il periodo creativo della bottega si può circoscrivere. in base ai dati di cui disponiamo, agli anni 1856-1880. Dopo questa data la produzione continuò, ma piurtosto stancamente, ripetendo più o meno gli stessi tipi, con impercettibili e anonime varianti, sino a una stasi quasi totale allorché ci si limitò a sfruttare il fondo esistente, accumulato in anni di successo e di febbrile attività.

È un fatto che sino al 1850 le imitazioni Castellani, eseguite sui leggiadri disegni di M. Caetani, ebbero poco smercio e vennero apprezzate solo da una limitata cerchia di archeologi e di intenditori d'arte. Il traffico maggiore restava sempre quello di brillanti, gemme e lavori inglesi, francesi e ginevrini. Solo dopo il 1851, quando Fortunato affidò i capitali e la direzione dell'officina al figlio Augusto, questi e il fratello Alessandro si proposero, seguendo anche in ciò i consigli del Caetani, di conquistare un più ampio mercato a un'oreficeria prettamente italiana, fondata sulla storia e sulla tradizione antica. Il restauro e la catalogazione della famosa collezione Campana, a cui si applicarono per cinque mesi (1859), permisero ai C. di perfezionare le loro osservazioni sulla tecnica della granulazione e della filigrana e di arrivare finalmente a una riproduzione quasi perfetta di esse.

Le agitate vicende politiche di Alessandro negli anni 1856-59 rallentarono questo processo di ripresa e questa volontà di affermazione su larga scala. Ma fu proprio l'esilio di Alessandro a Parigi, tanto paventato dalla famiglia (che sino allora era stata sempre unita), a segnare l'inizio del grande successo internazionale dei C.: in un piccolo appartamento dei Champs Elysées, al n. 85, si aprì una succursale di vendita, e i gioielli Castellani si imposero rapidamente non solo nella capitale francese, ma in tutta l'Europa. Intelligente e pratico, Alessandro si introdusse facilmente nel mondo della cultura parigina. Da Parigi la ditta Castellani prese parte nel 1861 alla prima Esposizione industriale di Firenze sotto il nome del vecchio Fortunato. Passato Alessandro in Inghilterra, i C. parteciparono, sempre sotto il nome di Fortunato, all'Esposizione internazionale di Londra del 1862; e stabilirono quegli stretti legami con gli ambienti culturali inglesi che portarono, fra l'altro, ad un incremento delle collezioni del British Museum, per il quale Alessandro acquistava pezzi di oreficeria antica rinvenuti in Italia.

Stabilitosi a Napoli, Alessandro vi svolse una frenetica attività di antiquario e creò una scuola di orafi che sarà affidata alla direzione di G. Melillo, mettendo a profitto la sua conoscenza di cose antiche, la sua arte di orafo e la sua intraprendenza di uomo d'affari. Per alcuni anni ci fu tra Alessandro e il fratello Augusto una società a fondo comune, per il commercio delle "anticaglie" (che Alessandro comprava a Napoli e riusciva a mandare a Roma), ma nel 1865, alla morte del padre, Alessandro preferì ritirare, come parte dell'eredità, la collezione di oreficerie antiche, che, la famiglia aveva messo insieme dal 1860. Da questo momento i due fratelli si accordarono perché Alessandro continuasse a esercitare l'attività di antiquario e Augusto quella di orefice, tenuto conto sia dell'infermità e degli interessi politici del primo, sia delle maggiori capacità del secondo di attendere al mestiere di orafo e di assumere la conduzione del laboratorio.

Continuarono i successi con l'esposizione di Parigi nel 1867 e con quella di Vienna del 1874. Fu questo il momento dei massimo successo dei gioielli Castellani, che divennero non soltanto uno dei più importanti articoli di esportazione, ma influenzarono altri artisti italiani, creando così una vera e propria scuola: tra essi meritano di essere menzionati Antonio e Carlo Giuliano, con i quali Alessandro non disdegnerà di collaborare. Questo momento coincide naturalmente con l'incontrastato successo dell'ultima ondata del revival neoclassico, quando Tiffany di New York esponeva le copie del tesoro di Kurion (Cipro), l'Austria quelle di gioielli greci e la Danimarca quelle di torques e fibule ricavate da originali dello Statens Museum for Kunst di Copenaghen.

Nel 1876 Alessandro espose da solo a Filadelfia i gioielli creati sotto la sua direzione a Napoli; e all'esposizione di Parigi del 1878 Augusto lamentava che i suoi pezzi fossero male esposti e che Alessandro, commissario dell'esposizione, vendesse i gioielli creati da G. Melillo, con l'ormai famoso monogramma Castellani, in una vetrina vicina alla sua. Augusto ottenne ancora una medaglia d'oro, e Alfredo una d'argento. Ultima esposizione importante fu quella Nazionale di Torino del 1884 quando già il Caetani e Alessandro erano morti (il primo nel 1882, il secondo l'anno successivo).

Naturalmente tra il 1875 e i primi degli anni '90 non erano mancate a Roma né vendite né importanti ordinazioni da parte di enti pubblici o della Real Casa. Così, la corona d'oro commissionata dal Comune di Roma nel 1878 - e generosamente donata da Augusto - per essere deposta ai piedi della salma di Vittorio Emanuele II (S. Negro, Nuovo album romano, Roma 1964, fot. 186); e quella offerta nel 1884 dagli Istituti di credito di Roma per la tomba di Vittorio Emanuele II; così, la corona d'oro (1888) che il ministro della R. Casa Rattazzi ordinò a nome del re Umberto per il feretro di Federico III di Prussia (Illustr. ital., 19 ag. 1888, p. 127); e due portaritratti d'oro per le nozze d'argento dei re d'Italia (1893). Però già nel 1896, per un dono di nozze al principe ereditario, offerto dalle dame dell'aristocrazia, non si fece appello all'opera dei C. e fu indetto un concorso tra gli orefici di Roma. Nei suoi Ricordi, a cominciare dal 1881 Augusto si lamentava del cattivo andamento degli affari e dell'assenza di visite celebri nel suo studio, già fervido centro di incontri e di fertili discussioni artistiche e politiche. Augusto attribuiva la crisi dello studio dei C. alla scarsa affluenza di forestieri senza minimamente sospettare che il gusto era cambiato e l'arte neoclassica irrimediabilmente tramontata. Nel 1890 infatti trionfava l'art nouveau, anticonformista e antitradizionale, che non si fondava su tecniche antiche né si richiamava a temi tradizionali, ma teneva conto soltanto delle possibilità decorative del materiale usato. Nel 1904 Augusto accusava la sua vecchiezza; ne è prova il fatto che ancora verso il 1910, cristallizzato nei suoi ideali, continuava ad ignorare i movimenti dell'arte moderna, persino l'esplosione dell'arte cubista.

Nel periodo compreso fra la morte di Augusto e quella di Alfredo è verosimile pensare che questi abbia fatto occasionali vendite dal ricco fondo esistente nella sua casa, ma è logico postulare che non abbia più creato cose nuove, in uno stile che non aveva più successo. Alla sua morte, tutti i gioielli che si trovavano nella sua casa (quasi il doppio della collezione oggi esposta a Villa Giulia) vennero venduti all'asta (catal., 1930).

Nell'attuale esposizione al Museo di Villa Giulia i gioielli Castellani sono presentati nell'ordine cronologico dei prototipi: greci ed etruschi, di epoca orientalizzante od arcaica, classici ed ellenistici, romani, tardoromani, bizantini e barbarici, medievali e cinquecenteschi; gioielli da considerarsi creazioni Castellani, anche se eseguiti con tecniche antiche. Quest'ordine non rispetta, naturalmente, l'iter della produzione. I C. traevano ispirazione per le loro opere principalmente dalle realizzazioni dell'arte etrusca, greca e romana, e il loro gusto era talmente fedele all'arte antica che Augusto trovava di "stile molto decadente" la pala d'oro di S. Marco a Venezia e addirittura "barbari" i famosi ori di Schliemann, esposti a Berlino nel 1890.

L'orgoglio dei C. era quello di copiare da originali "esistenti" e si deve riconoscere che, per quanto riguarda l'antichità etrusca, greca e romana, essi hanno avuto possibilità eccezionali rispetto ai moltissimi e spesso anonimi orafi, gemmari, argentieri del tempo: sia per aver avuto in mano i pezzi della favolosa collezione Campana sia per i consigli e per l'esperienza degli archeologi dell'Instituto di corrispondenza archeologica, che erano mediatori sagaci per l'acquisto di oggetti antichi - gioielli, bronzi, vasi, monete, statue - e non soltanto per i Castellani. La loro arte è eclettica come fonte di ispirazione e solo il mondo figurativo egiziano e orientale, allora in gran voga, sembra averli lasciati indifferenti. Alla più appassionata ricerca archeologica per impadronirsi della tecnica etrusca della filigrana e della granulazione - conclusa verso il 1860 - si univano invenzioni e accostamenti nuovi, come l'introduzione del mosaico nell'oreficeria e le iscrizioni in latino e in greco (ideate già nel 1852 da Michelangelo Caetani: vedi Augusto Castellani, L'arte nell'industria, p. 18) che, pur essendo elementi genericamente classici, davano vita a gioielli del tutto estranei al repertorio tipologico classico: motti latini o greci, anche se non sono estranei al mondo antico, rientrano piuttosto nel patrimonio romantico dell'era vittoriana. Lo stesso può dirsi per i mosaici, di ispirazione eterogenea: sia puramente classica - come la testa di Medusa, la civetta di Atena, ecc. - sia di stile romantico - come un cagnolino in riposo in un paesaggio verde - sia addirittura di gusto "moderno", come il ritratto di Dante, adottato nel Risorgimento quale simbolo della lotta per l'Unità d'Italia (Catalogue Christie's, 1972, tavv. 23, 405 408 s.). Nell'ambito delle creazioni realizzate dalla famiglia C., si può parlare di "copie" - e in senso molto lato - solo per i gioielli antichi. Le riproduzioni di certi ornamenti etruschi o italici della prima età del ferro, in bronzo o in metallo bianco, quali grosse fibule ad occhiali, châtelaines e pesanti pendagli di bronzo, sembrano piuttosto "esercitazioni archeologiche", fatte solo per amore di ritrovamenti molto antichi; ed è impossibile credere che quei pezzi massicci e neppure di materiale prezioso fossero stati destinati alle donne del tempo. Ma le imitazioni da originali di epoca arcaica, classica ed ellenistica, quali le collane d'oro a maglia con anforette, smalti, protomi divine o serie di gemme; i diademi a fiorellini smaltati o a nastro; gli orecchini a pendente da modelli etruschi, oppure di Ercolano e Pompei, o derivati da quelli sontuosissimi di Panticapeo; tutte le bratte e le borchie filigranate e granulate, sapientemente adattate a spille rotonde o quadrangolari, sono certo stati pezzi di largo smercio e di grande e incontrastato successo. È interessante osservare però che alcune di queste collane, fedeli copie di originali esistenti, sono trasformate in parures ottocentesche con l'aggiunta di braccialetti di foggia moderna e pendenti, spesso ornate da scarabei o gemme antiche, secondo i suggerimenti di Alessandro, che raccoglieva a Napoli notevoli quantità di scarabei e gemme (lettera ad Augusto del 22 nov. 1863). Nello stesso tempo monete antiche greche oppure romane, di epoca repubblicana o imperiale, di argento o di bronzo, e gemme e cammei, pure antichi, costituivano il nucleo di spille "moderne", il che conferisce ai gioielli Castellani una speciale fisionomia con la quale non potevano gareggiare altri orefici stranieri o italiani, formatisi rapidamente alla loro scuola.

Pure interessanti e notevolmente belle sono le imitazioni di gioielli romani: spille e anelli a serpente, orecchini multicolori, collane a più fili d'oro ornati da cilindretti di plasma di smeraldo o da granati, bei pendenti di pietre preziose e semipreziose copiati in massima parte da pezzi della stessa collezione C., dagli esemplari migliori venduti da Alessandro al British Museum o da pezzi scelti della collezione Campana a Parigi.

Sempre ispirati all'arte romana sono i tagliacarte, gli spilli per cravatta o gli spilloni per ornare i capelli desinenti a caduceo, a testa d'ariete, a busto divino, a mano muliebre con pomo d'oro.

Meno unitarie sono le copie e rielaborazioni tardoantiche, bizantine, barbariche, medievali,e del Cinquecento che, secondo le convinzioni dei C., segnava la fine dell'arte e del gusto nell'oreficeria. Le fonti d'ispirazione, per questa parte, non sono così ricche e unitarie come per l'arte antica: esse si devono a sollecitazioni diverse e occasionali, come la visita del tesoro di S. Marco a Venezia o la conoscenza di un bel quadro rinascimentale: utilissimo a questo riguardo è un volumetto edito a Londra, presso Davy and Sons, senza data di pubblicazione, forse apparso tra il 1860-62, che sembra un piccolo catalogo di vendita dei gioielli Castellani, raggruppati per stile: greco, etrusco, romano, paleocristiano e bizantino, medievale e dei Cinquecento. È l'unico scritto dei C. - forse curato da Alessandro - nel quale siano indicate le disparate fonti figurative di gioielli paleocristiani, medievali o rinascimentali, facilmente riconoscibili tra quelli conservati a Villa Giulia: motivi in oro e mosaico derivati dalle catacombe di Roma (la colomba o l'agnello); l'angelo di S. Matteo o il Cristo dalla chiesa di S. Clemente; la Vergine di S. Maria in Trastevere o l'agnello di Dio in trono dei SS. Cosma e Damiano a Roma; il monogramma di Costantino con A e Ω, il simbolo cristiano del pesce con il monogramma ΙΧΘΥΕ; per il Rinascimento quadri del Perugino e del Garofalo. L'uso di derivare ispirazione da gioielli riprodotti in quadri celebri doveva essere abbastanza frequente e dichiarato se, in una lettera del 23 nov. 1870, un certo Tchikatcheff domanda alla ditta "dov'è il quadro o ritratto dal quale avete preso il modello della grande collana con perle a me venduta".

Per finire bisogna ricordare le vere e proprie creazioni dei C., sempre in un gusto classicistico ma libero, che non rimase insensibile, in alcuni casi, a modelli di deciso gusto barocco, nonostante le ripetute dichiarazioni sulla decadenza totale dell'arte orafa dopo Benvenuto Cellini e il Rinascimento in genere.

Certo è che quest'arte eclettica ha un'innegabile unità, quasi un rigore di stile, una severa costruzione di forme geometriche: una successione di tondi o di tondi alternati a quadrati, a rombi, a elementi a 8; petali triangolari inseriti sui lati di un quadrato; quadrangoli o triangoli con i lati convessi; quadrati e rombi intorno a un quadrato centrale; croci semplici o inserite in tondi; croci greche e latine, spesso con i bracci desinenti a cuore o a foglia. Il rigore della costruzione era così grande che, spesso, un gioiello era scomponibile in più elementi, ciascuno dei quali conservava la sua funzionalità. Il tutto era allietato e arricchito da fondi gramilati, smaltati, da un numero stragrande di pietre preziose colorate, specialmente rubini, smeraldi, zaffiri e topazi insieme con perle di varia grandezza e di vario colore, alcune bellissime, a goccia, grigie, altre scaramazze, non meno affascinanti. Per fedeltà all'arte antica hanno volutamente eliminato i brillanti, in un momento in cui i mercati d'Europa ne erano letteralmente invasi.

Sarebbe interessante poter enucleare, nella serie di gioielli attualmente disponibili, la parte dei vari membri della famiglia, nonché di Michelangelo Caetani: debbono essere esistite preferenze per determinate forme, per certi momenti della storia dell'arte scelti a modello, per certi materiali. E questo sarebbe possibile se si ritrovasse la ricca documentazione lasciata da Alfredo al Museo artistico industriale ed ora irreperibile.

Non si ha nessuna informazione sull'organizzazione del laboratorio che al momento dei grandi successi poté produrre i numerosissimi gioielli diffusi in tutto il mondo e tutti di alta qualità artistica. Dopo la riorganizzazione di Augusto c'erano sedici lavoranti; è pensabile fossero specialisti nelle diverse tecniche dell'oreficeria: lavoro di gemme e cammei, mosaico a finissime tessere, cesello, smalto, conio di medaglie. Augusto li nomina brevemente nelle sue memorie solo quando vengono a morire, vecchissimi, dopo almeno mezzo secolo di lavoro. Solo di due artigiani, Luigi Podio e Giuseppe Cresciati, indica la specializzazione: il primo, morto nel 1888, era mosaicista "capo del mio studio di speciale mosaico dal 1851"; il secondo, morto nel 1892, era "eccellente cesellatore". Di alcuni gemmari invece si hanno le firme su cammei e gemme: Cerbara, Berini, Raffaele Marini, Morelli, Pistrucci. Il fatto che alcune belle gemme - per esempio un grosso smeraldo oggi a Villa Giulia, con testa efebica da originale greco - portino il monogramma dei C. prova che anche Augusto (o Alfredo) prendeva parte attiva al lavoro comune.

Antiquari e collezionisti furono fra i C. solo Alessandro ed Augusto, ottimi intenditori entrambi, di ineccepibile onestà. Le loro collezioni di gioielli sono prive di falsi o di pezzi di dubbia autenticità e si può solo discutere di qualche restauro o degli azzardati accostamenti di pezzi in molte collane.

Caduta (F. Zevi, Un documento inedito sulla fibula di Manios, in Prospettiva, 1976, n. 5, p. 52)l'ipotesi di A. E. Gordon (1975)secondo la quale Augusto sarebbe potuto essere l'autore della fibula prenestina di Manios, vale la pena di ribadire che erano caratteristici dei C. e il rispetto per i gioielli antichi e l'orgoglio per le proprie creazioni che venivano puntualmente siglate.

Quasi tutti i gioielli Castellani sono infatti contraddistinti dalle due forme del monogramma "CC" con le due lettere intrecciate fra loro, semplice o elaborato, cioè incluso in un rombo ornato da palmette. Questi monogrammi furono definiti nel catalogo di vendita del 1884(Parigi) "marca di fabbrica". In base alla documentazione oggi in nostro possesso si può affermare che Fortunato non marcò mai i suoi prodotti, d'altronde numericamente limitati. Un unico esempio di monogramma "ACC" a lettere intrecciate è stato pubblicato da S. Bury (1975, fig. 52)e si riferisce chiaramente ad Alessandro: esso potrebbe essere spiegato con l'accordo tra Augusto e Alessandro secondo il quale il primo doveva essere l'orafo e il secondo l'antiquario della famiglia. Nella sua qualità di mercante d'arte Alessandro vendeva certo anche i gioielli Castellani allora molto in voga. E non è illogico postulare che, oltre ai pezzi inviatigli dal fratello, egli abbia fatto eseguire e venduto qualche variante su disegno suo; non è quindi da escludere che nella grande massa dì materiale inedito venga in futuro identificato qualche altro monogramma di Alessandro.

Quanto alle raccolte di Alessandro e di Augusto, è forse superfluo sottolineare che gli oggetti, come in tutte le collezioni dell'Ottocento, erano scelti per la bellezza, la rarità o la curiosità stessa del collezionista, e non per il recupero di dati topografici e storici. Anche i complessi provenienti da scavi regolari od occasionali erano acquistati senza il minimo interesse per l'associazione del materiale; esempio tipico di ciò è il ricco corredo di suppellettile d'argento, avorio e bronzo di una tomba di Palestrina - messo in luce nell'anno 1861 - che venne acquistato integralmente da Augusto nel 1866 e da lui stesso poi smembrato: donò infatti una scelta dei vasellame (cinque pezzi) ai Musei Capitolini che egli allora dirigeva, passò una collana d'argento e d'ambra nonché un gruppetto d'avorio di due leoni avvinghiati al fratello Alessandro che li vendette al British Museum, e conservò il resto per la sua collezione, passato con questa a Villa Giulia nel 1919 (il corredo ricostituito - ma senza i due pezzi del British - è oggi esposto al Museo di Villa Giulia: Nuove scoperte e acquisizioni nell'Etruria meridionale, Roma 1975, pp. 77-82, tavv. 20-22).

Dei due fratelli, Alessandro ebbe interessi vastissimi e diversi, come il marchese Campana, Stroganoff, Tyskiewicz: spaziò dall'antico - gemme, monete, ori, bronzi, vasi greci e italioti, marmi - ad opere medievali e rinascimentali, dagli smalti di Limoges alla grande pittura di scuola italiana; e delle epoche più recenti collezionò di tutto: arazzi, tappeti, stoffe, mobili, vetri di Venezia, ceramiche persiane o porcellane di Cina. Instancabile "commerciante di anticaglie", come si diceva allora, formò e vendette parecchie collezioni.

Come quota parte dell'eredità, in seguito alla morte del padre, Alessandro volle la collezione di gioielli antichi che la famiglia aveva cominciato a raccogliere dopo la vendita della collezione Campana. Non si hanno notizie sull'entità della collezione Castellani a quell'epoca né sulla sua composizione. Ma è logico postulare che, arricchita di altre acquisizioni fatte durante il soggiorno napoletano di Alessandro, essa abbia costituito il principale nucleo del lotto di millecinquecento pezzi antichi venduti al British Museum nel 1872.

Della più recente raccolta formata da Alessandro e venduta all'asta a Parigi nel 1884, subito dopo la sua morte, resta un bel catalogo illustrato che costituisce il miglior documento per la molteplicità degli interessi del collezionista e per le sue vaste conoscenze di antiquario.

Augusto collezionò invece per conservarecollezionista raffinato.1 essenzialmente archeologo (basti ricordare la ricca serie di orecchini etruschi e italo-greci del VI-III sec. a. C.), sconfinò in altre epoche solo per la gioielleria - specialmente anelli, orecchini - con il preciso scopo di avere modelli per l'arte sua. Comprò persino un piccolo lotto di gioielli moderni di arte popolare dell'Italia meridionale trovati nelle mani di briganti della provincia di Frosinone, fucilati nel 1861 con giudizio sommario da un distaccamento militare del corpo francese di stanza nello Stato pontificio; nonché una piccola raccolta di ori precolombiani - oggi esposti a Villa Giulia - riunita a Bogotà, nella Colombia, dal delegato pontificio monsignor Barrili. La vendita al Kunsthist. Museum di Vienna di ben 250 vasi antichi - tra cui la famosa hydria di Busiride - per la somma di 3.000 scudi fu per Augusto un fatto isolato. In una lettera del 22 ag. 1874 Augusto dichiara di essersi ritirato dal commercio antiquario per non far concorrenza al fratello Alessandro, e aggiunge: "compro solo qualche bell'oggetto a prezzi minimi per aumentare la mia raccolta che deve restare a Roma". Dal 1866 cominciò a donare al Museo Capitolino e al Museo artistico industriale di Roma pezzi scelti e rari, con vero spirito di mecenate. Sul filo delle sue amicizie fece importanti donazioni anche ad altre città quali ad esempio Reggio Emilia (Gabinetto archeologico: vedi, in Arch. di Stato di Roma, Fondo Castellani, cart. 7, la lettera di ringraziamento di Gaetano Chierici del 23 febbr. 1864 per un lotto di ventuno vasi a figure nere). Alla sua morte lasciò la sua personale collezione di vasi greci, italioti ed etruschi, di bronzi, di avori, gioielli e monete al figlio Alfredo che, ultimo discendente, donò tutto allo Stato italiano. Fra l'altro, Augusto e Alessandro furono i fondatori del Museo artistico industriale di Roma (Il Museo artistico industriale e le scuole d'arte applicate all'industria. Relazione della commissione direttiva, Roma 1884, passim; per il "manifesto" del Museo firmato, fra gli altri, da Augusto, vedi V. Golzio, Il R. Museo artistico industriale di Roma, Firenze 1942, pp. 69-71).

I grandi e incontrastati successi ottenuti dai C. nelle esposizioni internazionali di Parigi, Vienna e Londra han fatto sì che i gioielli siano stati acquistati a gara non solo da privati, ma anche dalle sezioni di arte moderna dei principali musei d'Europa: in Inghilterra, dal Victoria and Albert Museum di Londra, e dal City Museum and Art Gallery di Birmingham; in Austria, dal Museum für angewandte Kunst di Vienna; in Francia, dal Musée des arts décoratifs di Parigi (una sola parure, ma l'unica, in stile egittizzante, ill. in Encicl. univ. dell'arte, X, tav. 88 A); in Germania, dallo Schmuckmuseum di Pforzheim; negli U.S.A., dal Metropolitan Museum e dal Cooper-Hervitt Museum of Design di New York. Per il momento è impossibile fare un elenco preciso di questi pezzi perché si tratta generalmente di materiale inedito, come è pure impossibile dire quanti pezzi siano ancora in proprietà privata. Un'importante vendita di gioielli Castellani è stata fatta a Ginevra nel 1972. A Roma vari gioielli si trovano ancora presso i più noti orefici; nei Musei Capitolini, strettamente legati al nome di Augusto C. per la sua lunga attività di direttore onorario e per la sua liberalità, sono conservate (ma non esposte) tre collane delle quali una - creata per l'ultimo senatore di Roma - è di singolare importanza non solo quale opera sicuramente datata (1868-1870), ma quale documento storico della città alla vigilia del compimento dell'Unità d'Italia; nondimeno la scelta più ricca che se ne abbia resta quella di Roma esposta al Museo nazionale di Villa Giulia.

G. Bordenache Battaglia

Fonti e Bibl.: L'Archivio di Stato di Roma custodisce un Fondo Castellani, costituito da tredici grandi cartelle che comprendono, oltre ai manoscritti e articoli di Augusto, una raccolta di bandi, editti ed opuscoli concernenti la profess. dell'orafo dal Settecento alla fine dell'Ottocento, un centinaio di lettere direttegli da personaggi molto noti - tra gli altri Gregorovius, Q. Sella, M. Caetani, l'abate S. Pappalettere - e due copie (cartelle 3 e 6) di un manoscritto di 1461 pagine che, diviso in due parti, una di Ricordi e l'altra di Appunti, costituisce l'autobiogr. di Augusto ed è utile fonte, tra l'altro, per la ricostruzione della storia dell'azienda dei Castellani. I Ricordi terminano col 1879, e gli Appunti, sorta di diario quasi giornaliero, coprono il periodo 1880-1912.

In particolare, per la biografia di Fortunato Pio si veda: Roma, Arch. stor. del Vicariato, S. Andrea della Valle, Battesimi, 7 maggio 1794; SS. Vincenzo e Anastasio a Trevi, Matr., 1815, f. 39; S. Maria in Via, Stati d'anime, 103 (1822), f. 49; SS. Vincenzo e Anastasio a Trevi, Matr., 9, f. 129; Arch. di Stato di Roma, Fondo Castellani, cart. 5: ms. di Fortunato Pio, Osservazioni intorno l'unità monet. ed alle cause che hanno prodotto la deficienza della moneta nello Stato Pontif.;atti relat. ai beni dei Castellani, soprattutto a quelli di Fortunato; ibid., cart. 11: Memoria sull'arte di dorare il bronzo per mezzo dell'amalgama d'oro e mercurio (manoscritto senza data né firma, forse opera di Fortunato); ibid., cart. 13: conteggi di Fortunato e note di pagamento a suoi collaboratori esterni - astucciai, argentieri, incisori, ecc. - databili tutti nel 1847 quando il suo "laboratorio" non era verosimilmente ancora organizzato. Per dati generici, si veda inoltre [E. Caetani], Alcuni ricordi di M. Caetani..., Milano 1904, p. 33; G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, I, 1, Roma 1956, p. 260; A. E. Gordon, The inscribed fibula praenestina, Berkeley 1975, Append., pp. 65-75, con notizie dettagliate, anche se in alcuni punti confuse o errate; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 143 s.

Per la biogr. di Alessandro si veda: Necrol., in Times, 13 giugno 1883; Archivio di Stato di Roma, Fondo Castellani, cartt. 1 e 5 (lettere scritte alla famiglia dal suo esilio di Parigi); cart. 13 (lettere scritte da Napoli nel 1863 sui suoi fortunati acquisti, sulle sue vendite, sugli scambi di pezzi con altri collezionisti); Roma, Arch. Caetani: tredici lettere di Michelangelo Caetani ad Alessandro a Parigi (1860-62); Arch. di Stato di Roma, Fondo Pianciani, busta 10, fasc. 59; Roma, Tribunale della Sacra Consulta, Processi politici, buste 311-315; Ediz. naz. degli scritti editi e inediti di G. Mazzini, XXV, XXVII, LVI, LVII, ad Indices;E. Pantano, Memorie, Bologna 1933, pp. 299 s., 384 s.; Londra, British Mus., Arch., carteggio acquisti museo; Exposition Universelle, Catal. général, I partie, Paris 1867, p. 210; Catalogue des objets d'art... dépendant de la succession Alessandro C. ..., Paris 1884, pp. VIII-XIV; G. Bovio, Discorso comm. per A. Mario ed Alessandro C., Napoli 1883; R. Giovagnoli, Ciceruacchio e Don Pirlone, Roma 1894, pp. 157 s.; R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa..., Roma 1907, I, pp. 164 s.; E. Montecchi, M. Montecchi nel Risorg. ital., Roma 1932, pp. 185, 217 s., 278 s.; M. Lizzani, Tra i fogli di una strenna pagana, in Strenna dei romanisti, XV (1954), pp. 66-114; A. Caracciolo, Roma capitale dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale, Roma 1956, p. 87; C. Pavone, Alcuni aspetti dei primi mesi di governo ital. a Roma e nel Lazio, in Arch. stor. ital., CXV (1957), p. 309; CXVI (1958), p. 379; Id., Le prime elezioni a Roma e nel Lazio dopo il XX settembre, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, LXXXV-LXXXVI (1962-63), pp. 386, 423 s.; F. Bartoccini, La "Roma dei Romani", Roma1971, pp. 444 s., 460 s., 484, 491; Lettere di M. Caetani..., a cura di F. Bartoccini, Roma1974, ad Indicem; Diz. del Risorgimento nazionale, II, ad vocem;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 142.

Per la biografia di Augusto, oltre ai citati Ricordi ed Appunti si vedano, sempre nell'Arch. di Stato di Roma, nel Fondo Castellani (cart. 2) i suoi Ricordi di viaggio (1878-1885; 1886-1904; 1911-1914) e cart. 5: Castellani Cav. Augusto, Roma1877 (Gall. biogr. d'Italia), con un ritratto di Augusto giovane e l'elenco delle cariche sino a quella data. Si veda inoltre: Arch. di Stato di Roma, Miscell. di carte politiche e riservate, b. 155, fasc. 3645 (denunzia riguardante i fatti del 15 luglio1849); R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa..., cit., I, pp. 39, 91, 131, 159, 165; II, pp. 35 s., 232, 289, 296, 324, 360, 362, 473; P. Campello, Ricordi di più che cinquant'anni, Roma 1910, pp. 79, 118, 159; U. Pesci, Come siamo entrati in Roma, Milano 1911, pp. 206, 2 15, 263; C. Montani, Augusto C. orafo romano, in Capitolium, IV (1928), pp. 209-222; P. Fabri, Il march. Campana..., in Strenna dei roman., XV (1954), pp. 181-185; Id., Dai Ricordi di Augusto C., ibid., XVII (1956), pp. 185-187; A. Caracciolo. Roma capitale..., cit., pp. 142, 1995; C. Pavone, Alcuni aspetti..., cit., in Arch. stor. ital., CXV (1957), pp. 304, 309, 312 s., 317, 318, 334 s.; CXVI (1958), pp. 357, 363, 371, 375; O. Majolo Molinari, La stampa period. romana dell'Ottocento, Roma1963, 1, p. 173; II, pp. 667, 932; F. Bartoccini, La "Roma dei Romani", cit., ad Indicem; Diz. del Risorg. naz., II, ad vocem;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 142 s.

Per la biografia di Guglielmo e Torquato si veda: Roma, Arch. stor. del Vicariato, S. Maria in Via, Battesimi, II, ff. 37, 119; Cresime, XIX, f. 118 (10 luglio 1858: Torquato); Matrimoni, 7 nov. 1873 (Torquato); SS. Vincenzo e Anastasio, a Trevi, Stati d'anime, 1857-1885, passim; Morti, XI, f. 305 (Torquato); S. Lorenzo in Lucina, Matrimoni 1863, p. 3 (Guglielmo); Stati d'anime 1893-95, f. 236 (Guglielmo); Morti, XXI, f. 183 (Guglielmo); La ceramica a Parigi nel 1878, G. Corona, L'Italia ceramica, Roma1880, pp. 49, 64, 87 (per Torquato);F. Bernabei, Dell'arte ceramica in Roma..., Roma1881, pp. 14 s. (unica fonte per gli inizi di Torquato);G. Corona, La ceramica, Milano1885, ad Indicem; VI Esposiz. parziale d'industrie artistiche, Ceramica... Guida per il visitatore, Roma 1889, pp. 7, 8, 22, 23, 29, 94; O. von Falke, Majolika, Berlin 1896, p. 178; L. Mosca, Napoli e l'arte della ceramica, Napoli 1963, p. 140; A. Minghetti, Ceramisti, Milano 1939, pp. 109 s.; O. Kurz, Falsi e falsari, Venezia 1961, p. 276, figg. 212 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 144.

Per la biografia di Alfredo si veda:Roma, Archivio stor. dei Vicariato, SS. Vincenzo e Anastasio a Trevi, Battesimi, XI, f. 119; Arch. di Stato di Roma, Fondo Castellani, cart. 2 (carteggio tra Alfredo e lo Stato italiano, rappresentato da numerosi archeologi, specialmente R. Paribeni); cart. 10 (registro di vendita di gioielli Castellani al tempo di Alfredo, nel quale appaiono persino i nomi degli acquirenti, nonché il prezzo); Roma, Arch. notarile distrettuale, repert. 9799 (testamento olografo). Per qualche ricordo di Alfredo si veda ancora: P. Mingazzini, Vasi della collez. Castellani, I-II, Roma 1930-71, introd.

G. Bordenache Battaglia M. G. Gajo - G. Monsagrati

Rendiconti delle principali esposizioni e primi echi ufficiali delle oreficerie Castellani, in G. A. Sala, Notes and sketches. The Paris Exhibition, London 1868 (pp. 43 s.: uno straordinario diadema d'oro fu comprato per 1.000 ghinee dal conte diDudley); F. Dall'Ongaro, L'arte italiana a Parigi nell'Esposizione del 1867, Firenze 1869, pp. 103 ss.; A. Sartirana, Oreficerie della fabbrica C., in L'Arte in Italia, 1870, pp. 60-62 (ripr. a disegno del calice d'oro offerto a Pio IX per il suo giubileo, eseguito da Augusto nel 1868; della cista ottagona di bronzo dorato con inserzione di quadretti in mosaico, destinata a contenere i ricchi doni per la principessa di Prussia, opera di Augusto, su disegno di M. Caetani; della lampada votiva dedicata al Santo Sepolcro dal duca d'Aosta); Reports of the London Internat. Exh. of 1872, London 1872, p. 26; J. Falke, in Zeitschrift für bild. Kunst, IX (1874), pp. 180 s. (rendic. sulla Esposiz. internaz. di Vienna del 1873 e sul successo dei C., senza illustrazioni); C. von Lützow, Kunst und Kunstgewerbe auf der Wiener Weltausstellung, Leipzig 1875, p. 233 (sulla stessa esposiz. del 1873); J. H. Pollen's, Ancient and Modern Gold and Silver Smiths' Work in the South Kensington Museum, London 1878, pp. XXXIII, XLIII, LXXV; Esposiz. di BB. AA. in Roma 1883 (catal.), Roma 1883, pp. 155, 157, 164 (Guglielmo, Torquato e Alfredo); B. Pavoni, Esposizione nazionale di Torino, Torino 1884, pp. 15 s. e passim;U. Ojetti, L'arte nell'esposizione di Milano, Milano 1906, pp. 136, 142, 178 (i C. sono citati soltanto come orefici "archeologici" definitivamente tramontati, in confronto alle brillanti creazioni dell'art nouveau o liberty).

Per l'arte e l'attività dei C., si veda fra l'altro: H. Vever, La bijouterie franç. au XIXe siècle, II, Le Second Empire, Paris 1908, pp. 150-58; G. Lehnert, Illustrierte Geschichte des Kunstgewerbes, Berlin 1909, II, pp. 459, 497 s., ill. 367; C. Montani, Augusto C., orafo romano, in Capitolitim, IV (1928), pp. 209-222 (con ritratti di Fortunato e di Augusto e la riproduzione di molti pezzi, quasi tutti irreperibili); A. Jandolo, Le memorie di un antiquario, Milano 1938, pp. 13, 34-36, 76, 469 (ricordi di Alessandro); P. Fabri, Arte orafa romana, in L'Araldo, orafo orologiaio, III (1953), 7-9, pp. 10-12 (ripr. della ricca Parure offerta alla principessa di Prussia); D. Varè, Ghosts of the Spanish steps, London 1955, pp. 86 ss.; A. Lipinsky, Il Tesoro di S. Pietro, Roma 1950, pp. 79 s.; F. S. Orlando, Il Tesoro di S. Pietro, Milano 1958, pp. 76, 80 s., tavv. 96, 114, IV (riproduzione della rilegatura del messale di Alfredo, e della lampada votiva per Vittorio Emanuele II); C. Bulgari, Argentieri..., cit., I, 1, pp. 260 s. (a p. 254, tavola a colori con riproduzione di una collana appartenente alla parure della principessa di Prussia e di un elaborato tagliacarte); P. Hinks, Nineteenth Century jewellery, London 1975, pp. 75, 91 s., 105, ill. 62, 64a; S. Negro, La seconda Roma, 1850-1870, Vicenza 1966, pp. 353 s., n. 28; E. Bradford, English Victorian iewellery, Norwich 1967, pp. 20, 42-50 passim, 85 (ill. di un braccialetto formato da una serie di piccoli medaglioni ovali in mosaico fiorentino); Ch. Gere, Victorian jewellery design, London 1972, pp. 113, 120-126, 257 s., figg. 44-46, 49, 52a-b, 53-54 (ripr. di lettere di M. Caetani ad Alessandro con il disegno di un braccialetto e di una spilla), 54b; H. Nadelhofer, C. and Giuliano in the context of their Time, in Christie's Review of the Season, 1973, London-New York 1974, pp. 206-210 Ch. Gere, European and American jewellery, London 1975, pp. 40-43; Sh. Bury, Aless. C. and the revival of granulation, in The Burlington Magazine, CXVII (1975), pp. 664-668; G. Munn, The Giuliano family, in The Connoisseur, CXC(1975), 765, pp. 156-165 passim;Ch. Gere, Victorian jewellery, ibid.., CXCII(1976), 772, p. 147, ill. 5 (braccialetto con scarabei in quarzo).

Cataloghi delle collez. Castellani: Collezione di gioielli antichi di varie epoche appartenenti ad Alessandro C. di Roma, Napoli s. d. (probabilmente pubbl. da Alessandro durante l'esilio a Napoli, tra il 1862 e il 1870); Arch . di Stato di Roma, Fondo Castellani, cart. 9; Specimens of Greek, Etruscan, Roman Medioeval and Cinquecento Jewels from existing originals by signor Castellani of Rome, London, Davy and Sons, s. d. (forse da mettersi in rapporto col catalogo precedente, verosimilmente pubbl. da Alessandro, quand'era a Parigi); Cat. d'objets d'art et de curiositd antiques et de la Renaissance, tapisseries, composant la coll. de M. C., Paris, Hotel Drouot, 1866; Italian Jewellery... collected by Signor C. and purchased ... for the South Kensington Museum, London 1868; Londra, British Museum, Collezione di gioielli antichi di varie epoche (elenco parte a stampa, parte manoscritto autografo di Alessandro, dei 1501 pezzi venduti nel 1872-7 3, con numerosi schizzi); Special Catalogue of the Collection of Antiquities exhibited by Signor C. of Rome. In Rooms U. V. N. Memorial Hall..., Philadelphia 1876 (è una eloquente testimonianza su Alessandro collezionista); Catal. de faiences italiennes: siculo arabes, de Luca della Robbia, Cafaggiolo, Gubbio, Deruta, Castel Durante, Faenza, Urbino, Roma, Castelli, collect. Alessandro C., Paris, Hotel Drouot, 1878 (340 pezzi); Collection Alessandro C. Objets d'art antiques, du Moyen-Age et de la Renaissance, Paris, Hotel Drouot, 1884 (importante e completa documentazione di Alessandro collezionista); Catalogo della pregevole raccolta di oggetti d'arte, del Medioevo e dei tempi moderni... di Enrichetta C. e di altro... collezionista, Roma 1907; Catalogo degli oggetti in oro, gemme, cammei appartenuti al defunto comm. Alfredo C., Roma, P. e P. Santamaria, 15-18 dic. 1930 (catal. di soli gioielli, di singolare interesse: il materiale è parallelo e, nello stesso tempo, complementare a quello esposto al Museo nazionale di Villa Giulia); C. Pietrangeli, La Collez. Castellani, in Bull. dei Musei com. di Roma, IX (1962), pp. 36-39 (sulla coll. di Augusto per quanto riguarda la parte confluita nei Musei Capitolini, per le ripetute donazioni, e per lo smembramento del Museo artistico industriale); P. Mingazzini, Catalogo dei vasi della Coll. Augusto C., I-II, Roma 1930 - 1971; Bijóux de Fortunato C. (1793-1865), Carlo Giuliano et leurs fils, propriété d'une Instit. améric., Genève, Christie, Manson and Woods, 15 nov. 1972; G. Bordenache Battaglia, Bronzi C. ..., in Nuove scoperte e acquisizioni nell'Etruria meridionale, Roma 1975, pp. 83-91, tavole 23-26 (viene presentato e illustrato un piccolo gruppo di ciste prenestine e di specchi).

G. Bordenache Battaglia

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