GEOGRAFICHE, CARTE

Enciclopedia Italiana (1932)

GEOGRAFICHE, CARTE

Giuseppe Caraci

Carta geografica in genere è la rappresentazione in piano di tutta o d'una parte della superficie terrestre, rappresentazione ottenuta per mezzo di punti, linee e simboli, che siano legati gli uni agli altri, e tutti insieme relativamente all'area rappresentata, da rapporti di postura, direzione e distanza determinati in modo quanto più possibile esatto. In senso stretto, tuttavia, si riserba il nome di geografiche a tutte quelle carte che non abbiano finito con l'assumere nell'uso, dati i loro speciali scopo e contenuto, un appellativo proprio, costituendo la scala - che è del resto anch'essa in funzione di quella specializzazione - il criterio discriminante più comune. Dove cioè il rapporto indicato dalla scala, ossia la frazione espressa in questo rapporto, si mantiene al disotto di un mezzo milionesimo, si parla di regola di carte geografiche, generali o particolari che siano; dove la scala è maggiore si hanno invece carte corografiche (da 1:150 mila a 1:500 o 1:600 mila), o topografiche (da 1:20 mila a 1:150 mila), o addirittura piani, piante o mappe, nelle quali si scende per lo più a scale prossime a 1:10 mila o 1:5 mila, attesa l'opportunità di conservare anche alle piccole particolarità del terreno lunghezze apprezzabili (1 m. alla scala di 1:5 mila = mm. 5).

Distinzioni come queste hanno naturalmente valore tutt'altro che assoluto: in sostanza derivano dall'impossibilità o dalla difficoltà di riunire, entro carte a piccola scala, più d'un certo numero di segni e di nomi, mentre questi crescono a mano a mano che si passa dai lineamenti complessivi di una regione a rappresentazioni più minute. Perciò le carte geografiche in quanto tali, si riferiscono molto spesso alla geografia generale, raffigurano cioè la distribuzione ologeica, o su larghi spazî, di uno o più fenomeni naturali nei loro limiti e nella loro intensità. Come carte particolari, invece, la loro compiutezza ed espressività si riduce di solito di tanto, di quanto diminuisce la scala e a ogni modo non può oltrepassare certi limiti, aumentando la generalizzazione e la semplificazione dei particolari inseriti nel disegno, a mano a mano che le scale si allontanano da quelle delle carte corografiche. Questo è ben visibile, p. es., nei comuni atlanti scolastici e negli stessi atlanti di consultazione, dove, per quanto riguarda i cosiddetti continenti e spesso anche singole sezioni di questi (cfr. in A. T. le tavole 11-14, 84-87, 105-108, 121-124, 162-165 e le tavole 66-67, 97-98, 127-128, 147, 155-156, 159, 166-167), si costruiscono ordinariamente due tipi di carte: l'uno volto a mettere in particolare evidenza le forme che potremmo dire naturali in senso stretto (linea di costa, rilievo, idrografia), l'altro quanto ha rapporto con l'attività dell'uomo, come i confini politici e amministrativi, i centri abitati, le vie di comunicazione, ecc. Si parla di carte fisiche nel primo caso, di politiche nel secondo; la specializzazione si accentua ancora, quando si esce dal campo della geografia particolare per entrare in quello della geografia generale. In questi ultimi tempi gli atlanti, anche non scolastici, tendono a far sempre più largo spazio a carte idrografiche, orografiche, geologiche, etnografiche (cfr. in A. T. le tavole 15-16 bis), demografiche, economiche, storiche, militari, ecc., delle quali si trovano esempî anche nelle pagine dell'Enciclopedia Italiana, oltre che nelle opere destinate all'illustrazione geografica di una o più parti della superficie terrestre.

Tutte queste carte (anzi ogni tipo di carta) presuppongono, oltre i materiali su cui sono fondate, cioè le loro fonti dirette e indirette, la scelta di un modulo o scala, e di una proiezione, ossia di un sistema geometrico con cui si possa portare sul piano la superficie sferica o parte di essa, schema che consiste essenzialmente nel tracciato d'una rete (reticolo o maglia) di linee corrispondenti ai meridiani e ai paralleli (coordinate geografiche) necessarî per determinare con esattezza la posizione dei singoli punti della superficie rappresentata. È ovvio che nessuno di tali sistemi può evitare delle deformazioni, data l'impossibilità di sviluppare in piano la superficie del geoide; è del pari evidente che tali deformazioni risulteranno tanto minori, quanto minore è l'area da rappresentare e per contro maggiore la scala prescelta. Solo un globo potrebbe conservare lunghezze, angoli e aree con fedeltà matematica corrispondenti alla realtà, essere cioè in pari tempo equidistante, isogono ed equivalente. Nel caso delle carte geografiche qualunque accorgimento non può soddisfare in modo assoluto se non a una sola delle due ultime condizioni, l'isogonalità e l'equivalenza, rimanendo l'equidistanza chiusa entro limiti determinati e in determinate direzioni. Ne consegue che le deformazioni non sono di pari entità nell'ambito di una stessa carta (crescono di regola dal centro verso la periferia); perciò la scala varia in questa da parte a parte e talora così sensibilmente (proiezione di Mercator), che conviene indicarla più volte secondo le latitudini o le longitudini. La scelta d'una proiezione dipende non solo dal contenuto e dallo scopo della carta, ma prima di tutto dall'ampiezza della regione che si vuole rappresentare e dalla sua posizione rispetto alle coordinate geografiche.

Anche senza toccare qui delle carte propriamente topografiche e dei piani, per i quali la piccolezza dello spazio raffigurato consente quasi di identificare la superficie sferica con una superficie piana (proiezione naturale o poliedrica), o di carte che, pur trovando spesso posto negli atlanti, massime scolastici, non possono considerarsi di pieno diritto geografiche (p. es. le tavole celesti, per le quali del resto si preferisce di regola ricorrere a proiezioni prospettiche), si può dire che l'uso ha finito con l'eliminare, in pratica, un buon numero di proiezioni adoperate ab antiquo (p. es. la piana rettangolare di Marino, la piana quadrata, la pseudo-cilindrica a maglie trapezie, anche nella modificazione suggerita da Apiano, la conica semplice di Tolomeo, ecc.), o che trovano giustificazione in proprietà teoriche troppo speciali (per es. le cilindriche trasversali, le coniche oblique, alcune delle cosiddette proiezioni globulari e stellari), non compensate da quei requisiti fondamentali che si domandano, per lo meno più frequentemente, a una carta. S'intende da sé, p. es., che nella rappresentazione complessiva di tutta la superficie terrestre o di una gran parte di essa, sia data la preferenza a quelle proiezioni che meglio conservano la figura delle regioni rappresentate, o i loro rapporti relativi di superficie, e appunto per questo nei planisferi si ricorre più spesso alla cilindrica di Mercator, o alle pseudo-cilindriche di Mollweide o di Eckert, isogona la prima, equivalenti le altre due, e tutte e tre di costruzione assai facile. Equivalente è anche l'azimutale di Lambert, adoperata nella rappresentazione del globo in due emisferi (cfr. in A. T. le tavole 1-3), rappresentazione per la quale è frequente anche l'uso delle stereografiche, che sono al tempo stesso isogone, e perciò non meno adatte a rendere la corrispondenza con le figure sferiche. Quando invece s'abbia a comprendere nella carta un'area meno estesa, la latitudine media di questa può consigliare la scelta delle coniche o delle ortografiche: così, p. es., per i territorî europei è preferibile o la conica secante di Albers, o la pseudo-conica di Bonne, o la conica modificata di Delisle (quest'ultima figura in tutte le carte a grande scala dell'A. T.), isogona la prima, equivalente la seconda, equidistante la terza. I limiti relativamente modesti delle deformazioni cui si va incontro in questi casi stanno in rapporto col fatto che il piano di proiezione, corrispondente alla superficie laterale del cono tangente o secante, è tangente o secante sul parallelo centrale della carta, mentre poi, trattandosi di latitudini medie, il cono stesso risulta relativamente poco schiacciato. Per la stessa ragione si comprende subito il vantaggio di adoperare la pseudo-cilindrica di Sanson (detta anche di Flamsteed), che è equivalente, per regioni prossime all'Equatore, come è, p. es., per l'Africa e l'America Meridionale.

Ma il contenuto delle carte, che in origine si limitava quasi soltanto ai contorni delle regioni, all'idrografia, ai confini degli stati, ai centri abitati e alle grandi linee di comunicazione, ampliandosi enormemente col progredire delle conoscenze e soprattutto con lo sviluppo scientifico delle discipline geografiche, richiese, già sulla fine del sec. XVIII, che anche le carte a piccola scala rappresentassero, secondo principî scientifici, l'andamento del rilievo tanto al disopra (altimetria), quanto al disotto (batimetria) del livello marino - detta terza dimensione - oggetti per i quali la cartografia precedente era ricorsa a sistemi empirici.

La necessità di studiare per scopi pratici (militari, costruzioni di strade e di ferrovie) e teorici, e di rappresentare perciò con esattezza l'andamento della plastica, fece sì che dapprima s'introducesse nella planimetria un certo numero di quote, e poi si tentasse di rendere con artifici via via più evidenti i dislivelli relativi fra quota e quota, ossia le pendenze, la cui conoscenza ha, per quegli scopi, un interesse anche maggiore che non possa attribuirsi alle altezze assolute. L'inclinazione del terreno si ritrasse dunque immaginando d'illuminare il rilievo con luce zenitale (J. G. Lehmann) o obliqua (di solito proveniente da NO.), e rappresentando con opportuna direzione, lunghezza e densità di tratteggio le parti in ombra, secondo il principio "tanto più fitto, quanto più ripido". Un reale progresso si ebbe quando a questo procedimento, che fu completato e più spesso sostituito dall'impiego del chiaroscuro, si venne preferendo quello di un certo numero di curve orizzontali equidistanti, che riunissero tutti i punti aventi un'altezza determinata (la linea di costa non è in fondo che il punto di partenza, ossia la base, di ogni rappresentazione altimetrica); sistema reso possibile e tanto più perfezionato, quando si ebbero e quante più si ebbero esatte misurazioni geodetiche. S'intende che, dovendosi generalizzare col diminuire delle scale, nelle carte propriamente geografiche queste curve di livello, o isoipse, si limitano a esprimere poco più che i caratteri generali del rilievo (secondo valori riferiti per lo più a numeri fissi e in rapporti semplici fra loro, come 100, 200, 500, 1000, 2000, ecc., m.), mentre ha prevalso il sistema di rappresentare la successione delle altezze mediante un diverso colore, o meglio ancora una diversa gradazione dello stesso colore (com'è appunto nelle tavole dell'A. T.). Questo procedimento cromoplastico, introdotto sulla fine del secolo scorso (von Hauslab), è da mettere in rapporto con l'abitudine, invalsa dal Sydow (1873) in poi, di rendere con determinate tinte superficiali (blu per il mare e per l'idrografia, verde per i bassopiani, marrone scuro per le altezze) l'immagine complessiva del terreno, tanto più necessaria quanto più ridotta è la scala della carta, procedimento che del resto serve ottimamente a ravvivare, in ogni tipo di carte, l'espressività, per sua natura non sempre immediata, delle semplici curve ipsometriche.

I progressi raggiunti negli ultimi tempi dalla tecnica tipografica e riproduttiva in genere hanno consentito un uso sempre più largo dei colori e aumentato il numero e la varietà dei simboli, coi quali si può indicare in una carta una tal somma di oggetti, da arieggiare, in certo senso, la stessa infinita complessità della natura. Numero e varietà che si debbono intendere, com'è della toponomastica, sempre in rapporto con lo scopo e la scala delle singole carte, il cui valore artistico ed espressivo è danneggiato, non accresciuto, dall'eccessivo affollamento dei particolari: perciò il loro uso nelle carte geografiche è limitato dalla tiadizione a quanto di essenziale contrassegna il rilievo, l'idrografia, l'insediamento umano e le forme di attività dei popoli, specie nei loro rapporti reciproci (cfr. nel verso delle tavole dell'A. T. l'indicazione della terminologia generica, delle abbreviazioni e segnì convenzionali).

Presso i vecchi cartografi chi ordinava, vagliava e preparava il contenuto di una carta era in pari tempo disegnatore, incisore, stampatore e non di rado anche editore. Ma col grande progresso delle dottrine geografiche e il sempre maggiore perfezionamento dei progressi tecnici riproduttivi, la divisione del lavoro si è andata anche in questo campo affermando in modo via via più deciso, sì che l'attività scientifica del cartografo si scompagna ormai dalla preparazione materiale delle carte. D'altronde la cernita delle fonti utilizzabili, il loro razionale ordinamento e coordinamento, l'integrazione, l'uso e la distribuzione dei dati rappresentano oggi tal mole di lavoro, che richiedono da soli l'intervento di uno specialista. Il disegnatore che si metta al lavoro sotto la guida d'un cartografo provetto, una volta preparata la maglia delle coordinate secondo la proiezione prescelta, traccia - di regola - innanzi tutto l'idrografia della regione da rappresentare (coste, fiumi, laghi), e rimpolpa poi a poco a poco questo scheletro con gli elementi riferentisi alle località abitate, alle vie di comunicazione, alle quote, alla toponomastica, ecc., particolare attenzione dovendo essere posta a quanto riguarda l'orografia, che è lavoro per il quale si richiede non solo sagace interpretazione, ma anche fine senso critico, tanto maggiore quanto più si generalizza per necessità di scala. Una volta compiuto così il disegno su carta, questo viene riveduto, corretto, aggiornato dal cartografo e da questo passa nelle mani dell'incisore. L'incisione, un tempo eseguita anche su legno, viene oggi compiuta per lo più su lastre di pietra litografica: l'incisore vi riporta a rovescio il disegno per mezzo del bulino, dopo di che una lunga e complicata serie di operazioni fisico-chimiche prepara le pietre originali. Da queste si esegue la stampa delle singole carte o direttamente, o, più spesso, mediante il cosiddetto "trasporto" su zinco, che consente l'uso delle rotative e di conseguenza abbrevia sensibilmente il periodo necessario per la tiratura con macchine litografiche piane. L'incisione può essere fatta del pari su rame, ciò che consente un lavoro artisticamente più fine e di maggior durata per la tiratura, ma molto più costoso (oltre che per alcune carte topografiche, questo procedimento fu usato, almeno parzialmente, in alcuni atlanti, in quello dello Stieler, p. es., per l'orografia). Per la stampa d'una carta a più colori è necessario preparare tante lastre, o, come si dice, tanti zinchi, quanti sono i colori; negli ultimi tempi però vennero introdotte le macchine rotative bicolori, come per l'A. T.

Nonostante l'enorme numero di carte che furono prodotte in ogni tempo e, si può dire, in ogni luogo, la rappresentazione cartografica del nostro pianeta è ben lontana dal potersi considerare compiuta e, quel che più importa, uniforme. Uniforme non è - e non potrebbe essere - neppure nei grandi atlanti di consultazione, dove pur le scale si mantengono entro limiti modesti, per l'opportunità di conservare una gradazione di scala in rapporto con l'evoluzione politica, sociale ed economica dei diversi stati e dei diversi territorî di uno stesso stato; tuttavia non è da credere che gli elementi di cui si dispone consentano la rappresentazione della superficie terrestre a una scala unica abbastanza grande. O quanto meno l'elaborazione di questi dati a un tal fine non fu ancora condotta a termine: la grande impresa di una carta della terra al milionesimo, che dovrebbe colmare tale lacuna, fu proposta poco più di un quarantennio fa (1891) e realmente iniziata solo in sui primi del nostro secolo (1909). Del totale di 1920 fogli di cui sarà composta la carta, si può considerare compiuto e reso noto a tutt'oggi circa 1/7 (260 fogli), ma, mentre l'Europa vi figura quasi al completo (un'ottantina di fogli), la stessa America Settentrionale è rappresentata da piccole porzioni (40 fogli), e ancora meno l'Australia (5 fogli).

La necessità di uniformare quanto più è possibile le scale procede dal desiderio di fornire, nelle carte, quell'elemento comparativo senza il quale la rappresentazione della superficie terrestre perde buona parte della sua evidenza. I grandi atlanti di consultazione cercano di ottenere questo risultato, adottando in genere il minor numero possibile di scale e tali che stiano fra loro in un rapporto semplice (come, p. es., di 20, 15, 10, 8, 5, 3, 1 milioni). Di più, si è generalizzato l'uso di rappresentare alla stessa scala i territorî che hanno o si suppone abbiano in complesso lo stesso ordine di grandezza, ossia identica o simile importanza geografica. Con questa opportunità è da porre in rapporto l'abitudine, divenuta ormai generale, di disegnare a scale eguali o poco diverse (cfr. in A. T. le tavole 11-14, 84-87, 105-108, 121-124, 162-165) i continenti, vere carte d'insieme cui è facile riportare, per eventuali confronti, le tavole consacrate ai singoli territori che li compongono.

Bibl.: Per molti degli argomenti qui accennati, cfr. anche le voci atlante; cartografia; nautiche, carte; topografia; topografiche; carte; per quanto riguarda l'uso delle proiezioni, cfr. M. Eckert, Neue Entwürfe für Erdkarten, in Peterm. Mitteil., 1906, pp. 106-18; id., Die geographische Brauchbarkeit einiger Porjektionen, in Geogr. Zeitschr., XVI (1910), pp. 441-514; L. Desfossez, Les cartes géographiques et leurs projections usuelles, Parigi 1910; A. Berget, Les carts du monde et la carte internationale au millionième, in Revue de Géogr., VIII (1914), fasc. 2°. Sulla rappresentazione del terreno, oltre i trattati generali di cartografia, sono da vedere V.R. Streffleur, Allgemeine Terrainlehre, Vienna 1878; id., Die Oberflächengestaltung und die Darstellungsweisen des Terrains, Vienna 1878; C. Vogel, Terraindarstellung auf Landkarten mittelst Schraffen, in Peterm. Mitteil. 1893, pp. 143-65; C. von Steeb, Terraindarstellung mit schiefer Beleuchtung, in Mitteil. k. k. militärgeogr. Instit. Wien, XVI (1906); K. Peucker, Schraffenplastik und Farbenplastik, Vienna 1898; R. Perret, La représentation du rocher sur les cartes topographiques, in Ann. de Géogr., XXXIV (1925), pp. 301-12, e soprattutto H. Ginzel, Über Terraindarstellung auf Landkarten, in Mitteil. geogr. Gesellsch. Wien, LXVI (1923), pp. 81-98.

La carta al milione ha tutta una letteratura, che s'inizia dalla proposta che A. Penck fece nel 1891 al V Congresso internazionale di geografia a Berna; cfr. Verhandl. des VII intern. Geogr. Kongr. zu Berlin, I (1901), pp. 209-20. Le risoluzioni prese al riguado dalla Commissione internazionale, riunita per la prima volta a Londra nel 1909, furono più volte modificate; la Commissione stessa pubblica ogni anno un rapporto sullo stato dei lavori, edito a Southampton dal Central Bureau of Ordnance Survey; cfr. E. von d. Osten, Der Stand der internat. Weltkarte 1 : 1.000.000 auf Grund des Jahresb. des Zentralbüros vom Jahre 1927, in Peterm. Mitteil., LXXIV (1928), pp. 172-74.