CARRARA, Francesco da, il Vecchio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARRARA, Francesco da, il Vecchio

Benjamin G. Kohl

Nacque il 29 sett. 1325, probabilmente a Padova, primogenito di Giacomo (II) di Nicolò e di Lieta Forzatè. Poco si sa della sua fanciullezza: verosimilmente accompagnò il padre nell'esilio finché questi nel 1340 fu richiamato nella città natale su richiesta di Ubertino da Carrara. Al suo ritorno Giacomo sposò in seconde nozze Costanza da Polenta, da cui ebbe altri tre figli: Marsilio, Nicolò e Carlo Ubertino. Nel 1345, Giacomo succedette nella signoria di Padova e, per rafforzare i legami con le famiglie notabili della città, fece sposare il C. con Fina di Pataro Buzzacarini, imparentandosi così con un'influente famiglia di giuristi. Nei cinque anni che seguirono, il C. collaborò col padre e con lo zio Giacomino nel governo di Padova.

Il 19 dic. 1350 l'assassinio di Giacomo da parte di un parente a lui ostile portò il C. e suo zio Giacomino alla signoria. Eletti per acclamazione popolare la stessa notte dell'assassinio, i due Carraresi prestarono formale giuramento davanti al popolo di Padova il 22 dic. 1350, nel corso di una pubblica cerimonia. Così iniziò quel lungo governo del C. che doveva terminare solo trentotto anni più tardi con la sua abdicazione e con la sua cattura da parte di Gian Galeazzo Visconti.

Lo statuto dell'elezione, che fu più tardi compilato dal podestà in carica, il veneziano Marino Falier, stabiliva dettagliatamente i poteri e le prerogatiye di cui il C. avrebbe goduto. Deteneva soprattutto il "merum et mixtum imperium et iurisdictionem et liberam bayliam et potestatem in omnibus" (Lazzarini, Statuto, p. 289), ed aveva il diritto di nominare o destituire tutti i funzionari principali, Compresi i podestà, i capitani e i governatori, di abrogare e riformare gli statuti comunali, di imporre tasse e infine di amministrare le proprietà comunali. Furono queste le basi giuridiche della signoria del Carrara.

All'inizio del loro governo, i due signori mantennero la tradizionale politica padovana di rigoroso rispetto degli interessi di Venezia, Perciò il C. e suo zio si unirono a una lega, ispirata da Venezia, avversa a Giovanni Visconti, signore e arcivescovo di Milano, e a Francesco d'Este, suo candidato alla signoria di Ferrara. Nell'ottobre del 1354 accettò il comando dell'esercito di questa lega. Il mese seguente il C. e suo zio condussero l'esercito presso l'imperatore Carlo IV che si trovava a Bassano. In questa occasione il C. molto probabilmente ricevette il titolo di vicario imperiale, che già avevano ottenuto suo padre e gli altri signori Carraresi, e fu allora che Carlo IV gli concesse la dignità di cavaliere dell'Impero.

Ma la brillante carriera militare del C. destò ben presto la gelosia dello zio. Ad inasprire il contrasto furono anche le mogli Fina Buzzacarini e Margherita Gonzaga, che sollevarono il problema della successione. Per assicurarsi il potere, Giacomino progettò di assassinare il C. ed ingaggiò tale Zambono Dotti per compiere il delitto; ma il C. venne a conoscenza del complotto mentre, nell'estate del 1355, era al campo come comandante dell'esercito della lega. Prontamente ritornò a Padova, dove arrestò e gettò in carcere lo zio e fece ricercare, e infine giustiziare, il suo potenziale assassino.

L'anno seguente le truppe di Ludovico d'Ungheria invasero i possedimenti veneziani di terraferma, assediarono Treviso e cominciarono a devastare i vicini territori padovani. Il C. cercò aiuto e protezione da Venezia, ma questa volle imporre condizioni troppo dure. Perciò, per non restare isolato nel conflitto, il C. acconsentì a dare vettovaglie e appoggio alle forze ungheresi che assediavano la città di Treviso. Più tardi egli si alleò ancora più strettamente con Ludovico inviando truppe in appoggio agli Ungheresi che operavano nel Trevisano e nel Friuli; un contingente padovano partecipò persino alla campagna condotta contro la guarnigione veneziana di Zara. Ma a poco servirono quei due anni di guerra intermittente: nel trattato di pace firmato il 3 febbr. 1358, i confini tra Padova e Venezia non subirono modifiche, mentre il re d'Ungheria poté conservare i territori dalmati tolti a Venezia. Ma con il suo voltafaccia diplomatico il C. aveva suscitato l'inestinguibile inimicizia dei Veneziani. Gli rimase il sostegno di Ludovico che gli promise ufficialmente, con un diploma, in data 5 maggio 1358, aiuto contro Venezia e, più tardi, gli assicurò ancora una volta che sarebbe venuto "personaliter, vel subsidiis gentis nostros… [Franciscum] suasque terras, et loca, et subditos defensare" (Cortusi, col. 954).

Fu questo l'inizio dell'alleanza tra il signore di Padova e il re d'Ungheria, che era destinata a durare per più di vent'anni. Tale amicizia risultò infatti presto fruttuosa per il C.: all'inizio del 1360 l'imperatore Carlo IV concesse il dominio delle città di Feltre, Belluno e Cividale a Ludovico, che nel novembre dello stesso anno le donò al Carrara. Tre anni più tardi il C. vi promulgò una serie di statuti per rafforzarvi il proprio dominio.

Negli anni successivi alla prima guerra contro Venezia vi furono notevoli cambiamenti nella situazione familiare del C.: Fina, da cui sino allora aveva avuto solamente figlie, nel 1359gli diede il primo maschio, Francesco Novello. In questo periodo gli atti notarili ci mostrano il C. impegnato ad amministrare le sue vaste proprietà e ad occuparsi dei feudi, delle decime e delle terre che aveva ereditato in comune (pro indiviso)con i suoi tre fratellastri minori, il più giovane dei quali Carlo Ubertino, che aveva appena intrapreso la carriera ecclesiastica, morì prematuramente nel 1362.

Le relazioni con Venezia, in questo periodo, non furono molto cordiali. In un trattato del 1358, il C. dovette riconoscere la supremazia della Serenissima rinnovando l'impegno di procurarsi il sale solo presso il monopolio veneziano a Chioggia. Allo stesso tempo, si preoccupò di difendere il suo territorio costruendo bastioni lungo la frontiera orientale. Nell'estate del 1362 la tensione tra Padova e Venezia aumentò ancora in conseguenza della fuga di due criminali nella zona padovana dell'isola di Sant'Ilario, dove i funzionari padovani rifiutarono di consegnarli alle autorità veneziane; il C., comunque, acconsentì a che questo problema giurisdizionale fosse composto di comune accordo nel luglio del 1363; l'isola fu divisa tra la Serenissima e il signore di Padova, ma a nessuna delle due parti era permesso di erigere fortificazioni.

Così, momentaneamente bloccato nei suoi tentativi di fortificare confini orientali, il C. iniziò a dar forma al suo grande disegno di crearsi uno Stato nell'Italia nord-orientale, progetto che lo mise in conflitto con le mire espansionistiche del duca d'Austria e conte di Stiria e Carinzia, Rodolfo d'Asburgo. Il quale, prima nell'anno 1362, alleandosi con i conti di Gorizia, e poi con l'appoggio di Venezia, tentò di promuovere nel Friuli ribellioni contro i vicari e i vassalli del patriarca di Aquileia, alleato del Carrara. Occupato nella disputa confinaria con Venezia, il C. non fu in grado di inviare rinforzi al patriarca fino all'autunno del 1363. Ma nella primavera dell'anno seguente le forze unite del signore di Padova e del patriarca riuscirono a sconfiggere l'esercito asburgico, e le ostilità ebbero termine in autunno. La primavera seguente, quando Rodolfo tentò di allearsi con il re d'Ungheria tramite il matrimonio di suo fratello, duca Alberto, con la nipote di questo, Elisabetta, il Comune di Firenze si oppose con missioni diplomatiche e con minacce di interventi militari. Come risultato, papa Urbano V proibì l'unione, e con la morte di Rodolfo, avvenuta nel luglio del 1365, finirono le minacce contro le frontiere settentrionali di Padova.

In questi anni, la cooperazione tra il signore guelfo di Padova e il Comune guelfo di Firenze divenne sempre più intensa. Nel 1366 il C. prestò alla Signoria fiorentina la notevole somma di 27.000 ducati per aiutarla nella guerra contro Pisa. Tenne inoltre informati i Fiorentini sul viaggio dell'imperatore Carlo IV a Roma nel corso della sua seconda discesa in Italia del 1367-68: compito assai facile visto che il C. accompagnò l'imperatore durante tutto il viaggio. Nel 1370, il C. prestò 10.000 ducati al Comune di Lucca, alleato di Firenze. Il leale appoggio del C. meritò un riconoscimento ufficiale da parte di Firenze; nel 1370 i Priori concessero al C., alla moglie Fina e ai loro eredi la cittadinanza fiorentina.

Durante tutto questo periodo le relazioni del C. con Venezia rimasero una fonte di potenziali conflitti. L'alleanza con l'Ungheria e la politica manifestamente espansionistica sollevarono i sospetti e le diffidenze del governo veneziano. Nell'agosto del 1369 il C. confermò tali sospetti ordinando ad alcuni dei suoi armati nel territorio di Feltre di rimuovere le pietre confinarie che dividevano il Feltrino dal Trevisano. L'anno seguente dette inizio a lavori a Camposampiero per deviare le acque che affluivano nel Trevisano. Nel 1371, infine, eresse bastioni a Portonovo, Castelcaro e in altre località sulla frontiera veneziana. Per rappresaglia Venezia ordinò che nessuna merce di provenienza padovana potesse essere introdotta nei suoi domini. Per l'intervento di alleati di Padova quali Firenze e l'Ungheria, nell'aprile 1372 venne nominata una commissione incaricata di arbitrare la questione delle frontiere. Ma quella stessa estate Venezia scoprì che il C. stava tramando l'uccisione di alcuni dei suoi avversari in seno alla nobiltà veneziana, cercando allo stesso tempo di persuadere i nobili scontenti a sostenere la sua causa. A quel punto la guerra divenne inevitabile. Con l'Ungheria e Genova come principali alleati, ma privato di alcuni altri aiuti, come quelli del patriarca di Aquileia e della famiglia d'Este, il C. cominciò la campagna militare nell'autunno 1372.

I primi mesi videro scorrerie veneziane nel Padovano e incursioni padovane nel Trevisano. L'arrivo di un forte contingente ungherese permise al C. di ottenere una notevole vittoria sulle forze veneziane in dicembre; ma il rientro dal Levante di truppe veneziane fece di nuovo segnare l'ago della bilancia a sfavore del C. all'inizio dell'anno seguente. Nel febbraio 1373 il C., per distogliere i duchi d'Austria dalla loro politica di neutralità, consegnò loro Belluno e Feltre. Ma verso luglio, con la perdita della fortezza di Borgoforte, la sua posizione divenne difficile. Il mese seguente il C. scoprì che un gruppo di nobili padovani, capeggiato dai suoi fratellastri Marsilio e Nicolò, tutti al soldo di Venezia, stava complottando per assassinarlo. Il C. riuscì all'ultimo momento a sventare la congiura e infine a far arrestare e giustiziare i cospiratori, eccetto Marsilio che fuggì a Venezia. Scosso dal tradimento e disperando della vittoria, accettò i duri termini della pace imposta da Venezia il 21 sett. 1373.

La clausola più umiliante era certamente quella che costringeva il giovane figlio del C., Francesco Novello, a riconoscere pubblicamente davanti al Senato e al doge di Venezia che tutta la responsabilità della guerra ricadeva su Padova. Altre clausole del trattato obbligavano il C. a pagare l'enorme indennità di 280.000 ducati, a distruggere le fortificazioni di frontiera, ad accordare privilegi fiscali e commerciali ai mercanti veneziani e ai sudditi della Repubblica che possedevano terreni in Padova e nel suo contado e a licenziare tutti i mercenari al suo servizio. Ma quella che senza dubbio per il C. fu la clausola più pesante fu l'obbligo di inviare al traditore Marsilio, rifugiatosi a Venezia, le rendite delle sue proprietà esenti da tasse. Non meraviglia quindi il fatto che in quel tempo il C. adottasse "Memor" come suo motto personale. Un cronista contemporaneo descrive il C. ossessionato dal desiderio di vendetta: "non dormiva de nocte, sempre pensando in che modo el possesse vendegare de Veniciani e meterghi pi destrucion" (La Ystoria de mesier Francesco Zovene, p. 194).

Fu questo un periodo poco felice anche per la vita familiare del Carrara. Sembra che dopo la nascita di Francesco Novello il C. abbia cominciato a trascurare la moglie. Dalle sue avventure extramatrimoniali ebbe numerosi figli illegittimi, il primo dei quali fu probabilmente Conte da Carrara, figlio di Giustina Maconia, che intraprese dapprima la carriera ecclesiastica e poi divenne condottiero. Nel 1370 gli nacque il figlio naturale Stefano, che in seguito, alla fine del Trecento, divenne vescovo di Padova. Altri figli illegittimi diventarono importanti capi militari al tempo di Francesco Novello. La morte di Fina nel 1378 pose finalmente fine a un legame penoso sia per il marito sia per la moglie.

Nonostante fosse implicato in numerosi conflitti con i suoi nemici esterni, il C. non trascurò il governo di Padova.

Già nel 1362 promulgò un nuovo codice statutario compilato per ordine suo da Giovanni Salgardi. Esso includeva molti statuti del periodo comunale relativi alla procedura e al diritto civile, ma limitava soprattutto le competenze del podestà e dei suoi ufficiali per rendere quelle cariche più rispondenti ai suoi desideri.

Per affermare la propria indipendenza da Venezia cominciò anche a battere moneta. Dagli atti notarili risulta che fece venire da Firenze dei monetari per coniare in argento la moneta da un soldo e altre più pregiate come il "carrarino" e i "carraresi", che portavano la sua effigie. La Zecca rappresentò del resto anche una fonte di reddito per il C., che per ogni marco d'argento trasformato in moneta prendeva una percentuale di circa il cinque per cento. Ma soprattutto il conio di monete padovane diede alla sua signoria nuovo prestigio e permise ai suoi sudditi di commerciare senza dover ricorrere alla monetazione di Venezia.

Allo stesso tempo egli cercò di promuovere l'industria della lana emettendo un decreto che concedevala cittadinanza e l'esenzione dalle tasse ai lanaioli e agli imprenditori che avessero desiderato stabilirsi nella città o nel suo circondario. Del resto il C. aveva cospicui interessi privati in questo settore. Era di sua proprietà il "fondaco dei panni", un magazzino che serviva da deposito per tutte le stoffe di lana prodotte nella città, che vi dovevano essere depositate e registrate prima di essere smerciate. In questo modo il C. poteva controllare i prezzi e mantenere il monopolio della loro distribuzione. Sembra anche che spesso stimolasse la produzione anticipando denaro ai lanari che compravano lana greggia e la distribuivano agli operai. Per assicurare la buona qualità delle lane, il C. si riservò il diritto di approvare tutti gli statuti dell'arte della lana e le innovazioni nei processi di lavorazione.

Inoltre durante il primo ventennio del suo governo il C. investì grosse somme di denaro presso banchieri e prestatori di denaro padovani. Per esempio, nel periodo tra il 1366 e il 1376, fece investimenti di oltre 140.000 lire di piccoli. Al tasso d'interesse, non insolito a quell'epoca, del venti per cento, i profitti di questi prestiti dovettero essere enormi, almeno 30.000 lire di piccoli all'anno. Investire il suo capitale liquido fu evidentemente una delle maggiori preoccupazioni del Carrara. Ma le principali fonti della sua ricchezza furono senza dubbio le grandi proprietà fondiarie che egli possedeva in ogni parte del Padovano e nel centro cittadino, nell'area circostante la reggia carrarese. Nel contado la maggior parte delle terre del C. erano situate a sud di Padova, nella zona di Pedevenda e nei Colli Euganei, ricchi di frutteti e di vigneti. In questo centro tradizionale della ricchezza e della potenza della sua famiglia il C. si impegnò a raggruppare i terreni in modo che potessero essere coltivati più efficacemente. Allo stesso tempo il C. possedeva beni lontani al nord del fiume Brenta, alcuni dei quali facevano parte della dote di Fina Buzzacarini; altri erano invece passati alla sua famiglia dopo lo sterminio dei Dente e dei Camposampiero. Tutte queste proprietà, oltre ai redditi provenienti dalle manifatture e dagli investimenti finanziari, resero il C. certamente l'uomo più ricco e più potente di Padova.

Ma le attività volte ad incrementare il suo patrimonio non gli impedirono di prepararsi alla guerra: stava per esplodere il conflitto tra Venezia e Genova per il possesso dell'isola di Tenedo, passato alla storia con il nome di guerra di Chioggia. Nell'aprile del 1378 il C. si unì in lega con il patriarca d'Aquileia, il re d'Ungheria e Genova. Quando la Serenissima seppe di questa alleanza, spedì immediatamente ambasciatori a Padova per scoprire le vere intenzioni del Carrara; avendo ricevuto una brusca risposta da parte del C., il governo di Venezia a sua volta rifiutò di ricevere un'ambasceria inviata per ammansirlo. Dopo questo scambio di affronti, la guerra scoppiò nel giugno 1378.

Nel Veneto, la campagna militare contro Venezia consistette in un attacco combinato per mare e per terra diretto contro le difese della laguna. I Padovani, sotto il comando del C., si impegnarono principalmente nell'assedio della linea difensiva meridionale veneziana di Chioggia e in incursioni contro il Trevisano. Grande fu il successo degli alleati durante il primo anno di guerra: nell'agosto del 1379 l'occupazione di Chioggia da parte delle truppe padovane e genovesi spinse Venezia a mandare ambasciatori per negoziare un trattato di pace. Ma il C. non volle sentir parlare di pace; all'ambasciatore di Venezia disse: "Ritorna ala tua Signoria e digli che mai non aldiremo suo' anbasarie, se prima non faciemo inbrenare i cavagli ch'è sovra la regia di S. Marcho" (Gatari, p. 179). Quest'aspro e arrogante rifiuto servì solamente a rafforzare nei Veneziani la decisione di difendere la loro città a tutti i costi. Entro un anno. con il ritorno della flotta del Levante e la riassunzione del comando da parte di Vittor Pisani, le sorti della guerra si rovesciarono. Nel giugno 1380 la guarnigione genovese di Chioggia, che comprendeva anche alcune centinaia di soldati padovani, fu costretta alla capitolazione. Nonostante questo scacco, il C. continuò l'assedio di Treviso, così che, per evitare la caduta della città, Venezia, il 2 maggio 1381, preferì cederla al duca Leopoldo d'Austria.

Nel contempo vari tentativi erano stati fatti per concordare un accomodamento pacifico. Finalmente, attraverso la mediazione di Amedeo VI conte di Savoia, la pace fu conclusa a Torino, nell'agosto 1381. L'accordo si basò fondamentalmente su un compromesso: in terraferma, i confini dovevano tornare allo status ante bellum, i prigionieri dovevano essere scambiati, e i beni presi durante la guerra dovevano ritornare ai loro precedenti proprietari. Il C. riebbe alcuni diritti che aveva ceduto nella pace del 1373: i veneziani proprietari di terre nel Padovano ora dovevano pagare le tasse al governo di Padova, e la clausola che aveva permesso a Marsilio da Carrara di ricevere esenti da tasse i redditi delle sue proprietà fu abrogata. Al signore di Padova inoltre fu permesso di costruire fortificazioni sulle frontiere e di provvedere così alla difesa del suo Stato.

L'unica questione irrisolta rimase lo status di Treviso. Nell'anno che seguì la pace di Torino il C. raddoppiò i suoi sforzi per strappare la città al duca d'Austria: scarsamente sostenuti da Leopoldo, i Trevigiani erano sul punto di consegnarsi al C. quando, nel maggio del 1383, il duca arrivò finalmente con un grande corpo di spedizione. Ma tale intervento non salvò Treviso dalle mani del C.: ritenendo di non poter mantenere le sue posizioni, il duca infatti gli vendette Treviso, Ceneda, Feltre e Belluno per 100.000 ducati. Il 4 febbr. 1384 il C. ricevette le chiavi di Treviso da Leopoldo ed entrò sfarzosamente nel suo nuovo acquisto. Per assicurarsi il favore degli abitanti e incoraggiare la produzione manifatturiera, il C. offrì agli artigiani e ai mercanti di Treviso prestiti e, in certi casi, esenzioni tributarie. Inoltre inviò suoi ufficiali nella città per renderne gli statuti conformi alle leggi padovane e per controllarne il governo.

Confidando nella sua potenza e nell'aumento del suo prestigio, dovuto all'espansione dei suoi domini, il C. tornò al vecchio progetto di estendere il suo controllo al resto del nord-est d'Italia, e cioè al Friuli. Per prima cosa intervenne al fianco del patriarca di Aquileia, suo tradizionale alleato, per dominare la ribellione dei cittadini di Udine. La minaccia di un intervento armato spinse subito gli Udinesi, nel febbraio del 1385, a sottomettersi. Ma Venezia non poteva consentire alla creazione di un potente Stato sulla terraferma, e a cominciare da quell'anno strinse una serie di alleanze concludendo accordi con gli Udinesi (8 febbr. 1385) e Antonio Della Scala, signore di Verona (18 maggio 1385). Intanto, anche il C. stava cercando degli alleati e l'8 ag. 1385 entrò con Gian Galeazzo Visconti in una lega stretta apparentemente contro le compagnie di ventura, ma in realtà diretta contro la signoria scaligera. Più tardi in quell'anno il C. cominciò in Friuli una campagna mirante a conquistare le città più importanti della regione che tuttavia, dopo qualche iniziale successo, si arenò ben presto. L'anno seguente la guerra si spostò ad occidente e diventò sempre di più uno scontro diretto tra il C. e Antonio Della Scala. Alla fine di un'incerta battaglia combattuta il 25 giugno del 1386 alle Brentelle, davanti alle mura di Padova, i Veronesi furono infine sconfitti. Ma le ostilità non cessarono e ci volle un'altra clamorosa vittoria delle truppe carraresi, l'11 marzo 1387 presso Castagnaro, per mettere in ginocchio lo Scaligero. Essa però si dovette rivelare ben presto una vittoria di Pirro: Venezia, preoccupata per i successi riportati dal C., si adoperò per stringere una lega con il duca di Milano che fino ad allora aveva tenuto un atteggiamento neutrale in attesa dello sviluppo degli avvenimenti. Spaventato dalla prospettiva di trovarsi accerchiato da due avversari, uno più temibile dell'altro, il C. accettò di concludere un accordo con il Visconti (19 apr. 1387) che prevedeva la divisione dello Stato scaligero tra i due signori: Verona sarebbe toccata al signore di Milano, Vicenza al Carrara. Nel corso dell'ottobre il Visconti occupò sia Verona sia Vicenza, ma si rifiutò di consegnare quest'ultima al Carrara.

A questo punto, con Venezia che aspettava il momento opportuno per la vendetta, la situazione del C. divenne difficile. Il richiamo, nel novembre 1387, di Filippo d'Alencon, che sin dal 1381 aveva amministrato il patriarcato d'Aquileia, lo privò del suo alleato in Friuli, e la decisione del governo fiorentino di rimanere neutrale e di non inviare aiuti militari determinò il suo completo isolamento. Gian Galeazzo Visconti, vista questa situazione, il 29 maggio 1388 concluse con Venezia un accordo che prevedeva la divisione dei domini carraresi tra i due Stati. Sperando di poter conservare almeno Padova al figlio, il 29 giugno il C. rinunciò alla signoria davanti a un Consiglio civico rappresentante il governo comunale, che trasferì prontamente la signoria a Francesco Novello. Dopo aver trasmesso al figlio anche i suoi beni mobili ed immobili il C. si ritirò a Treviso per attendere il suo destino.

Pochi aiuti dovevano venire dall'interno al regime carrarese. Le pesanti tasse e le rigorose esazioni ordinate dal C. per finanziare le sue guerre espansionistiche gli avevano alienato gran parte della popolazione padovana. Particolarmente detestabile per i cittadini padovani era stata l'avidità dimostrata nei riguardi dei loro patrimoni: il C. e i suoi familiari avevano obbligato molti cittadini sul letto di morte a cambiare i testamenti e a lasciare le loro proprietà al signore di Padova. Come mostrano testimonianze rese più tardi davanti ai vicari viscontei, era proprio con tali azioni che il C. si era alienato l'animo dei suoi sudditi. Per questi motivi non sorprende che Padova abbia resistito solo pochi mesi o che si verificassero insurrezioni spontanee contro gli ufficiali del C. appena le truppe milanesi e veneziane penetrarono nelle città soggette al dominio carrarese.

Padova si arrese al Visconti nel novembre del 1388, e il mese seguente, nell'imminenza della resa di Treviso ai Veneziani, il C. si consegnò agli ufficiali viscontei. Egli fu prima portato a Verona, e poi trasferito a Como. Dopo aver subito la prigionia in varie roccaforti lombarde, fu alla fine condotto nella fortezza di Monza, dove morì, probabilmente per cause naturali, il 6 ott. 1393.

Secondo un accordo stipulato tra Gian Galeazzo Visconti e Francesco Novello, il C. sarebbe dovuto tornare in patria nel 1392, ma la condizione non fu osservata se non dopo la morte: dopo un breve periodo di sepoltura a Monza, la salma del C. fu portata a Padova, dove fu sepolta con grande pompa nel battistero del duomo.

Nell'elogio funebre, il professore di diritto civile G. L. Lambertazzi elogiò la vita e il governo del C. e si soffermò, molto appropriatamente, sull'unica qualità che al C. sicuramente non era mai mancata nella vita: il coraggio.

Uno degli aspetti più positivi della biografia del C. sono certamente i rapporti con i principali letterati attivi a Padova al tempo della sua signoria. è famosa la sua amicizia con il Petrarca, che venne a Padova per la prima volta nell'anno 1349 e che si ritirò nel 1370 nella rustica solitudine di Arquà, nella casa costruita su un terreno donatogli dal Carrara. Il Petrarca gli rimase riconoscente e gli lasciò nel testamento, oltre alla sua famosa biblioteca, un dipinto di Giotto rappresentante la Vergine.Nel 1373 Petrarca gli indirizzò, a sua personale edificazione, una lettera che trattava dei doveri e delle responsabilità di un buon signore, e gli dedicò nello stesso anno anche il suo De viris illustribus.Del Petrarca sono anche i "titula" degli affreschi che adornano la sala dei giganti della reggia carrarese.

Il C. fu amico anche di molti altri umanisti: il poeta e umanista istriano Nicoletto d'Alessio, autore di una storia in volgare della guerra di confine del 1372-73, funse da cancelliere con il compito di redigere la corrispondenza diplomatica. Nel triennio tra il 1379e il 1382 fece parte della corte carrarese il giovane Giovanni Conversini da Ravenna che ebbe, com'egli stesso riferisce, quotidiane conversazioni con il Carrara. Anche personalità come lo scienziato e medico Giovanni Dondi dall'Orologio ebbero frequenti contatti con il Carrara. Infine, il C.: continuò a patrocinare lo Studio padovano ad insegnare diritto civile chiamò, per esempio, il giurista Baldo degli Ubaldi, che gli dedicò in segno di gratitudine e rispetto i Commentaria supra Codicum.Ma non trascurò neanche le necessità degli studenti: nel 1362 fondò a Padova il primo collegio per studenti bisognosi e questa pratica fu poi continuata anche dagli altri membri della corte carrarese.

Fonti e Bibl.: I docum. notarili riguardanti gli interessi econ. e commerciali del C. rimangono, in grande parte, inediti. Essi si trovano nei registri 5-6, 31-37, 256-258 dell'Arch. notarile nell'Archivio di Stato di Padova. Fonti inedite si trovano anche a Padova nell'Archivio Papafava dei Carraresi, codici 23 ("formulario della cancelleria di Francesco il Vecchio da Carrara"), 35, 37, (atti notarili). Molti atti riguardanti il C. e i suoi familiari sono trascritti nel codice 582 della Bibl. del Seminario di Padova(Codice diplom. padovano, a cura di G. Gennaro, IX). Nella Bibl. del Museo civ. di Padova sono conservati molti docum. originali e copiati: nel cod. B. P.990 (Docum. Carraresi, II) passim e B. P.928 (Documenti per servire la storia dei Carraresi, a cura di G. B. Papafava, I-V), passim.Si veda anche nella stessa Bibl. il codice B. P.1237 (Codex Statutorum Carrariensis, 1362). Le fonti narrative pubblicate sono: G. et A. Cortusii Historia de novitatibus Paduae et Lombardiae, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XII, Mediolani 1728, coll. 933-954; G. e B. Gatari, Cronaca Carrarese, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVII, 1, a c. di A. Medin-G. Tolomei, ad Ind.;R. de Caresinis, Cronica, ibid., XII, 2, a c. di E. Pastorello, ad Ind.; Gesta magnifica domus Carrariensis, II, ibid., XVII, a cura di R. Cessi, pp. 55-151; N. d'Alessio, La storia della guerra per i confini (1372-73),La 'Ystoria de mesier Francesco Zovene', La guerra di Trivixo, ibid., XVII, 1, t. 3, a cura di R. Cessi, ad Indicem;Daniele di Chinazzo, Cronica de la guerra di Veniciani e Zenovesi, a cura di V. Lazzarini, in Mon. stor. della Deputazione di storia patria per le Venezie, n. s., XI (1958), ad Indicem.Le due lettere del Petrarca sono disponibili in edizioni critiche: Rerum senilium liber XIIII. Ad magnificum Franciscum de Carraria Padue Dominum. Epistola I, a cura di V. Ussani, Padova 1922; e Epistola II, a cura di V. Ussani, in Atti del R. Ist. veneto, LXXXIII(1923-24), pp. 295-301. Vedi inoltre:A. Gloria, Docum. ined. intorno al Petrarca con alcuni cenni della casa di lui in Arquà e della reggia dei da Carrara in Padova, Padova 1869, pp. 11-15; Id., Monumenti della Univers. di Padova (1318-1405), Padova 1888, I, pp. 20-44; II, passim;M. Roberti, Le corporaz. padovane d'arti e mestieri. Studio storico-giuridico con documenti e statuti inediti, in Mem. del R. Ist. veneto, XXVI, (1902), 8, passim; V. Crescini, Documenti padovani del periodo carrarese, in Atti del R. Ist. veneto, LXVI(1906-07), pp. 611-24; R. Cessi, Docum. inediti sulla zecca padovana dell'epoca carrarese, in Boll. del Museo civicodi Padova, IX (1906), pp. 109-114; Id., Nuovi docum. sulla zecca padovana dell'epoca carrarese, ibid., X (1907), pp. 145-51; Id., Le corporazioni dei mercanti di panni e della lana in Padova fino a tutto il secolo XIV, in Mem. del R. Ist. veneto di sc., lett. ed arti, XXVIII (1908), 2, passim;L. Rizzoli, Nuovi docum. sulla zecca padovana dell'epoca carrarese, in Nuovo Arch. ven., n. s., XXXIV(1917), pp. 55-74; T. E. Mommsen, Italien. Analekten, zur Reichsgeschichte des 14. Jahrhunderts, 1310-1378, Stuttgart1952, ad Indicem;G. B. Verci, Storia della Marca trivigiana e veronese, Venezia 1784-90, XIII-XVII, passim;F. S. Dondi dall'Orologio, Dissertaz. ottava sopra l'Istoria ecclesiastica padovana, Padova1815, pp. 116, 125-28, 230 s., 255-57; G. Cittadella, Storia della dominaz. carrarese in Padova, I-II, Padova1842, passim;A. Gloria, Intorno ai podestà di Padova durante la dominaz. carrarese, in Arti e mem. della R. Accademia di Padova, VII(1858-59), pp. 185-260; Id., Sulle epistole della Repubblica di Padova e dei principi da Carrara raffrontate con quelle di altri Comuni e principi italiani, Padova1859; Id., Intorno ai diplomi dei principi da Carrara, Padova 1859;G. Cappelletti, Storia di Padova dalla sua origine sino al presente, Padova1874, I, pp. 283-322; A. Zardo, Il Petrarca e i Carraresi, Milano1887, pp. 83-95, 294-305; V. Lazzarini, Aneddoti di storia carrarese, in Nuovo Arch. ven., III(1892), pp. 475-90; Id., Storie vecchie e nuove intorno a F. il Vecchio da C., ibid., X (1895), pp. 325-63; G. Cogo, Il patriarcato d'Aquileia e le aspirazioni dei Carraresi al possesso del Friuli (1381-1389),ibid., XVI (1898), pp. 223-320; B. Cessi, Un trattato di pace tra Carraresi e Estensi (1354),ibid., n.s., VII(1904), 1, pp. 401-17; R. Cessi, Prigionieri illustri durante la guerra fra Scaligeri e Carraresi, in Atti della R. Acc. d. sc. di Torino, XI, (1904-05), pp. 976-94; Id., Un processo carrarese del 1389, in Mem. stor. cividalesi, II(1906), pp. 33-45; Id., Il malgoverno di F. il V. signore di Padova, in Atti del R. Ist. veneto , LXVI(1906-07), 2, pp. 737-48; G. Collino, La preparaz. della guerra veneto-viscontea contro i Carraresi nelle relazioni diplomatiche di Firenze e di Bologna col conte di Virtù, in Archivio storico lombardo, XXXIV(1907), 2, pp. 105-59; V. Lazzarini, La seconda ambasceria di Francesco Petrarca a Venezia, in Miscellanea di studi in onore di Guido Mazzoni, Firenze 1907, I, pp. 173-83; H. Brown, The Carraresi, in Studies in the history of Venice, New York 1907, I, pp. 122-30; E. Pastorello, Nuove ricerche sulla storia di Padova e dei principi di Carrara al tempo di Gian Galeazzo Visconti, Padova 1908, pp. 1336, 131-78; A. Medin, I ritratti autentici di F. il V. e di Francesco Novello da Carrara, in Boll. del Museo civico di Padova, XI(1908), pp. 100-04; G. Collino, La guerra veneto-viscontea contro i Carraresi (1388), in Arch. stor. lomb., XXXVI (1909), 1, pp. 5-58, 315-86; R. Cessi, Venezia e la prima caduta dei Carraresi, in Nuovo Arch. ven., n.s., XVII (1909), pp. 311-37; V. 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Sambin, La guerra del 1372-73tra Venezia e Padova, in Arch. ven., s.s, XXXVIII-XLI (1946-47), pp. 1-76; F. Seneca, L'intervento veneto-carrarese nella crisi friulana (1384-1389), in Studi di storia padovana e veneta, Misc. di studi e memorie d. Deputazione di storia patria per le Venezie, VIII(1952), 2, ad Indicem;T.E. Mommsen, Petrarch and the decoration of the Sala Virorum Illustrium in Padua, in The Art Bull., XXXIV (1952), pp. 95-116; Id., Petrarch's Testament, Ithaca, N.Y. 1957, pp. 78-81; P. Sambin, Statuti padovani inediti, II, Il conferimento della signoria a Francesco II da Carrara (1388), in Atti e mem. della Accad.… Padova, classe di scienze morali, lettere ed arti, LXXIII (1960-61), pp. 69-93; G. A. Brucker, Florentine politics and society, 1343-1378, Princeton, N.J. 1962, pp. 225 s., 284 s.; V. Lazzarini, Marino Faliero, Firenze 1962, pp. 46, 231 ss.; B. G. Kohl, The Signoria of F. il V. da C. in Padua, 1350-1388, tesi dottorale, univ. Johns Hopkins (Baltimora) a. acc. 1967-68; A. Simioni, Storia di Padova, Padova 1969, ad Indicem;B. G. Kohl, Government and society in Renaissance Padua, in Journal of Medieval and Renaiss. Studies, II(1972), pp. 205-21.

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