TIVARONI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2019)

TIVARONI, Carlo

Pietro Finelli

– Nacque a Zara (Dalmazia), allora sotto il dominio austriaco, il 4 novembre 1843 da Domenico, consigliere di corte d’appello di sentimenti liberal-patriottici, e da Cecilia Vergottini, originaria della città di Parenzo.

Andato in pensione il padre, la famiglia si traferì nel 1856 a Padova, dove i fratelli maggiori Giuseppe ed Enrico si laurearono in giurisprudenza, seguendo poi le orme paterne come magistrati.

Enrico sarebbe arrivato a presiedere la corte d’appello di Roma per poi concludere la sua carriera come procuratore generale presso la Corte di cassazione di Firenze ed essere nominato senatore nel 1913.

Nel 1859 Carlo venne espulso dall’Imperial regio liceo di Padova per aver diffuso un volantino manoscritto tra gli studenti, invitandoli a partecipare a una messa in suffragio di Felice Orsini alla basilica di S. Antonio. Dopo l’armistizio di Villafranca fuggì di casa per arruolarsi volontario nell’esercito sabaudo. Entrato come bersagliere nel 47° reggimento, nel dicembre del 1860 venne inviato a Napoli per le ultime fasi della guerra per il Mezzogiorno. Nel marzo 1861, in Abruzzo, partecipò alla presa di Civitella del Tronto e ad alcune azioni di repressione del brigantaggio.

Congedato nel giugno successivo, non potendo rientrare a Padova, si trasferì prima a Pavia e in seguito a Bologna dove si iscrisse a giurisprudenza, ma soprattutto perfezionò la sua educazione patriottica e politica maturando quella posizione ‘garibaldina’ – fatta di entusiasmo nazional-patriottico e di una sensibilità politica democratico-progressista sostanzialmente disinteressata alle questioni istituzionali – che lo avrebbe caratterizzato per tutta la vita.

Nel luglio del 1862, si recò clandestinamente a Padova per prendere contatti con i Comitati d’azione veneti in vista dell’organizzazione di bande armate. Fallito il tentativo, rientrò a Bologna per laurearsi e si trasferì quindi a Torino, dove trovò lavoro come uditore presso la direzione generale delle Gabelle al ministero delle Finanze.

Nel settembre del 1864 venne coinvolto nella cospirazione mazziniana per l’insurrezione del Veneto e del Trentino di cui avrebbe, anni dopo, lasciato una brillante descrizione nell’articolo Moti del Veneto nel 1864, pubblicato nel gennaio del 1887 sull’Antologia italiana. Nei suoi ricordi Tivaroni, arruolatosi nella banda guidata da Ergisto Bezzi, avrebbe fatto di questa esperienza una vera e propria ‘scuola di cospirazione’, ma in realtà la sua azione fu piuttosto limitata. Infatti, intercettata la banda dall’esercito regolare italiano, egli venne arrestato, ma riuscì a fuggire e a raggiungere Udine: il definitivo fallimento dei moti lo obbligò a rientrare a Torino.

Nel maggio del 1865 si trasferì a Milano, dove sarebbe rimasto fino al 1870, come ufficiale di prima classe e poi come vicesegretario comunale presso il Comune dei Corpi Santi. A Milano continuò anche la sua azione nelle fila della Sinistra democratica, iniziando la sua attività giornalistica, prima come collaboratore dell’Alleanza. Giornale politico letterario internazionale, fondato dall’esule e garibaldino ungherese Ignácz Helfy, intorno al quale gravitavano molti patrioti provenienti dai domini austriaci, poi come direttore per breve tempo del Volontario.

All’avvicinarsi della guerra con l’Austria nel 1866 Tivaroni venne individuato dai comitati veneti in esilio come referente per animare una rivolta in Friuli. Nonostante le condizioni sfavorevoli e la sostanziale apatia della maggioranza della popolazione, insieme al patriota trevigiano Carlo Vittorelli egli poté formare una banda armata e il 20 luglio lanciò un Proclama alle genti del Cadore. Occupata Belluno, i volontari guidati da Tivaroni e Vittorelli riuscirono a respingere i reparti austriaci nella battaglia di Treponti fino alla proclamazione dell’armistizio il 12 agosto.

A Belluno Tivaroni si legò in amicizia con Giuseppe Zanardelli, inviatovi come commissario governativo. Insignito della medaglia d’argento al valor militare, redasse insieme a Vittorelli una relazione dal titolo Sulle bande armate del Veneto (Milano 1866), le cui conclusioni rappresentarono una prima precisazione rispetto al generico garibaldinismo patriottico che aveva fino ad allora caratterizzato politicamente Tivaroni.

La relazione può inserirsi nell’ampia riflessione apertasi in Italia dopo il non esaltante svolgimento della terza guerra d’indipendenza. Essa sosteneva, da un lato, l’opportunità del superamento dei partiti tradizionali e, dall’altro, la necessità che le nuove generazioni si preparassero seriamente, attraverso lo studio, a diventare la nuova classe dirigente del Paese, riunendosi intorno alla bandiera della ‘libertà religiosa-politico-sociale’.

Al di là della pur evidente evoluzione culturale, l’azione di Tivaroni restò in quegli anni saldamente ancorata all’alveo del garibaldinismo rivoluzionario e patriottico. Così nel 1867 rispose prontamente all’appello di Giuseppe Garibaldi arruolandosi volontario, combattendo a Monterotondo e Mentana e seguendo poi il generale fino all’arresto di questi alla stazione di Figline.

L’anno successivo iniziò la collaborazione con il Gazzettino rosa e, lasciato quest’ultimo nel 1869, con la Gazzetta di Milano, legata anch’essa al mondo radicale, di cui sarebbe divenuto redattore capo. Nel 1870, in seguito alla morte del fratello Giuseppe, rientrò a Padova, dove si dedicò all’esercizio dell’avvocatura, ma soprattutto si impegnò a fondo nella politica locale, schierandosi nelle fila democratico-radicali.

I primi anni padovani furono caratterizzati dalla stretta collaborazione con Alberto Mario nello sforzo di organizzare le forze democratiche venete. Primo risultato di questa collaborazione fu la fondazione nel novembre del 1871 del giornale Il Bacchiglione. L’anno successivo Mario e Tivaroni furono tra gli ideatori della Lega democratica veneto-mantovana di cui vennero eletti rispettivamente presidente e vicepresidente. In occasione delle elezioni politiche del novembre del 1874 Tivaroni pubblicò l’opuscolo Le elezioni politiche del Veneto nel 1874, una sorta di manifesto della democrazia veneta, da cui traspariva la condivisione della posizione di Mario, ovvero di un radicalismo all’inglese che, pur non rinunciando all’aspirazione repubblicana, propugnasse la necessità di una serie di riforme politiche e sociali attuabili immediatamente.

Favorevole alla «rivoluzione parlamentare», Tivaroni si impegnò per consolidare l’alleanza tra Sinistra costituzionale ed estrema anche a livello locale. Nel giugno del 1876 fu eletto, all’interno di una lista progressista-radicale, in Consiglio comunale a Padova, dove sarebbe rimasto fino al 1886. Nell’agosto di quello stesso anno fu tra i promotori del Congresso dei progressisti veneti a Venezia con l’obiettivo di consolidare a livello regionale la rete organizzativa della Sinistra, favorendo la collaborazione tra costituzionali e radicali. A consacrare il suo ruolo politico all’interno dello schieramento progressista veneto vi fu in quello stesso anno l’elezione a presidente della Società padovana dei reduci delle patrie battaglie. Il legame con Mario lo proiettò anche sul piano nazionale, dove nel 1879 venne eletto nel comitato nazionale della Lega della democrazia. Nel frattempo, anche la vita privata di Tivaroni ebbe una svolta: il 22 maggio 1876 sposò la figlia di Antonio Keller, professore all’Università di Padova, Marianna, con la quale ebbe due figli, Jacopo (v. la voce in questo Dizionario), che sarebbe divenuto docente di scienza delle finanze all’Università di Genova, e Antonietta, che avrebbe sposato l’imprenditore zaratino Giovanni Luxardo, a testimonianza del persistere dei legami con la città natale.

In questi stessi anni Tivaroni intraprese il lavoro di risistemazione degli appunti sulla Rivoluzione francese, iniziati nel 1870-71, che avrebbe portato nel 1882 alla pubblicazione per i Fratelli Richiedei di Milano della Storia critica della Rivoluzione francese. Il massiccio volume di quasi mille pagine complessive presentava diversi motivi d’interesse anche visto in prospettiva dell’ancor più corposa Storia critica del Risorgimento italiano, di cui costituì, in un certo senso, la necessaria premessa, ma anche una sorta di prova generale. L’aggettivo «critica» riassumeva il positivismo ‘ingenuo’ di Tivaroni che intendeva proporre al lettore una sorta di ‘deposito’ storiografico in cui, con la maggiore imparzialità possibile, venissero esposte le diverse interpretazioni, ma soprattutto una ricchissima e dettagliatissima messe di eventi che avrebbero dovuto comporre per giustapposizione la lettura ‘autentica’ della Storia.

Al di là delle dichiarazioni di principio, la Storia critica della Rivoluzione francese esprimeva, in realtà, una precisa opzione politica e culturale che rispecchiava gli ambienti radical-legalitari di cui Tivaroni era parte attiva e consapevole. Per Tivaroni, così come per Giosue Carducci o Mario, la Rivoluzione francese, sulla scorta della lettura proposta da Edgard Quinet, era stata ed era allo stesso tempo uno degli episodi della lotta continua tra il dispotismo e la libertà e un modello – negativo – da cui trarre spunto per la concreta situazione politica italiana. Implicito ma trasparente era il paragone tra i girondini e quel gruppo che andava dalla Sinistra costituzionale avanzata all’estrema sinistra ‘moderata’, che cercava di dare corpo a uno Stato democratico e progressista, al di là delle divisioni sulla questione istituzionale.

Il sovrapporsi di impegno culturale ed engagement politico trovò conferma nella decisione di Tivaroni di candidarsi alla Camera dei deputati, prima nelle elezioni suppletive del gennaio del 1882 nel collegio di Belluno e poi alle consultazioni generali dell’ottobre di nuovo a Belluno e a Padova. Se in quest’ultima città non riuscì a essere eletto raccogliendo poco più di un terzo dei suffragi totali (2582 voti), a Belluno Tivaroni, sostenuto da una lista progressista-radicale, risultò primo degli eletti con 3547 voti. L’esperienza parlamentare di Tivaroni, schieratosi tra i radicali costituzionali dell’estrema sinistra, non durò tuttavia a lungo: alle elezioni del 1886 non fu riconfermato e sorte non migliore gli toccò nel 1892. La fine delle ambizioni politiche spinse Tivaroni a portare a termine il progetto di una Storia critica del Risorgimento italiano la cui uscita era stata annunciata sin dal 1882 e che apparve in quattro volumi tra il 1888 e il 1897 (Torino-Napoli-Roma, Roux e Frassati).

L’opera presentava lo stesso approccio ‘critico’ e positivista della precedente, presentandosi come compilazione storiografica e minuziosa raccolta di eventi. Ma ancor più che nella Storia critica della Rivoluzione francese era ben evidente l’ossatura ideologica e culturale che stava dietro la pretesa di oggettività dell’autore. Se infatti all’opera di Tivaroni è stato unanimemente riconosciuto il merito di aver superato la ‘storiografia di tendenza’ iniziando «la formazione del ‘blocco’ storico risorgimentale, cioè quella visione unitaria del Risorgimento che si sforzava di rendere a ciascuno la debita giustizia: a Giuseppe Mazzini come alla casa Savoia, a Garibaldi come a Cavour» (Maturi, 1962, p. 354), tuttavia ‘l’ecumenismo risorgimentale’ di Tivaroni era tutt’altro che neutro. Al contrario, quello da lui proposto era un Risorgimento esplicitamente rivoluzionario, che affondava le sue radici nella Rivoluzione francese e nel periodo napoleonico e i cui veri eroi erano i democratici: Mazzini, che fin dal 1831 profetizzò l’Unità italiana, ma soprattutto Garibaldi, autentica incarnazione dello spirito del popolo italiano. Lo stesso conte Camillo Benso di Cavour era riabilitato attraverso una lettura ‘girondina’ della sua azione. E se al centro di tutta l’epopea risorgimentale si trovava il ‘gran re’ Vittorio Emanuele II, questa scelta era strettamente funzionale a una «legittimazione rivoluzionaria della casa regnante» (Lanaro, 2011, p. 32), in una logica che vedeva la monarchia nazionale e costituzionale come il risultato di un patto sinallagmatico tra il popolo e il re che nessuno dei due contraenti poteva violare pena la caduta dell’intero edificio. Si tratta di una lettura che era in chiara sintonia con le posizioni di Francesco Crispi, il cui progetto di ‘monarchia popolare’ Tivaroni – così come Carducci – condivideva, in particolare dopo che la morte di Agostino Bertani e quella di Mario lo avevano privato dei suoi referenti politici naturali.

Il laborioso lavoro di scrittura della Storia critica del Risorgimento italiano, e prima ancora l’impegno politico, avevano portato Tivaroni a trascurare la propria attività professionale con pesanti ricadute anche sulle condizioni economiche familiari, cui venne in soccorso nel 1893 Ferdinando Martini, ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo Giolitti, affidandogli l’incarico di provveditore agli studi di Rovigo, sede che dopo qualche anno sarebbe stata sostituita con quella di Padova.

In quegli anni Tivaroni si dedicò soprattutto a un’attività per così dire di ‘contorno’ rispetto alla stesura della Storia critica del Risorgimento italiano, realizzando scritti storici minori, tra cui un interessante saggio su Garibaldi e la dottrina della dittatura, comparso nel 1897 sulla Rivista storica del Risorgimento italiano, e discorsi commemorativi, in cui la dimensione pedagogica ed educativa del suo approccio ‘critico’ alla storia del Risorgimento emergeva con chiarezza.

Nel febbraio del 1901 Tivaroni venne nominato prefetto a Teramo. Il richiamo all’impegno politico da parte di Zanardelli, favorito probabilmente anche dalla vicinanza a quest’ultimo del fratello di Tivaroni, Enrico, si giustificava non solo con la vecchia collaborazione che risaliva al 1866, ma anche con la ricerca di personale che potesse concretamente attuare quella politica di ‘libertà nell’ordine’ che voleva essere la linea di condotta del governo Zanardelli-Giolitti. Emblematico di tale posizione e della sua condivisione da parte di Tivaroni fu un articolo su Anarchia e difesa sociale, con cui il neonominato prefetto iniziò la sua collaborazione con la Nuova Antologia nell’ottobre del 1901. L’articolo infatti non si limitava a condannare la violenza politica e a sostenere il diritto all’autodifesa dello Stato contro i suoi aggressori, ma cercava di individuare il sottile confine tra la libertà di pensiero – da tutelare – e l’istigazione a delinquere – da reprimere – per garantire allo stesso tempo il mantenimento dell’ordine e la difesa dello Stato di diritto.

Nel 1903 Tivaroni venne destinato alla nuova sede di Verona, ma una grave forma di tisi tracheale lo costrinse a lunghi periodi di congedo per curarsi. Durante uno di questi periodi, mentre si trovava al Lido di Venezia ebbe un drastico peggioramento delle condizioni di salute che lo portò alla morte il 6 luglio 1906.

Fonti e Bibl.: Non si è conservato un archivio personale di Carlo Tivaroni. Documentazione sulla sua attività è rinvenibile a Roma presso l’Archivio centrale dello Stato (Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale dell’Istruzione superiore, Stati di servizio del personale; Ministero dell’Interno, Direzione generale del personale), l’Archivio storico della Camera dei deputati, l’Archivio dell’Istituto nazionale per la storia del Risorgimento (Carte Francesco Crispi e Fondo Aurelio Saffi), nonché presso il Museo del Risorgimento di Milano (Carte Bertani), l’Archivio dell’Istituto veneto di scienze lettere e arti di Venezia (Archivio Luigi Luzzatti) e l’Archivio di Casa Carducci di Bologna.

Una breve voce è stata redatta da E. Michel per il Dizionario del Risorgimento nazionale, a cura di M. Rosi, IV, Milano 1937, s.v., ma il profilo biografico più completo è quello di M. Perlini, C. T., garibaldino e primo storico del Risorgimento italiano, in Atti e memorie della Società dalmata di storia patria, V (1966) pp. 383-472, che riporta in appendice un’ampia bibliografia degli scritti di Tivaroni. Ampie notizie sull’azione politica di Tivaroni sia durante il periodo risorgimentale sia nei decenni postunitari sono rinvenibili in ll Veneto tra Risorgimento e unificazione. Partecipazione volontaria (1848-1866) e rappresentanza parlamentare: deputati e senatori veneti (1866-1900), a cura di P. De Marchi, Venezia 2011, ad ind.; Camera dei Deputati, Portale storico, https://storia.camera. it/deputato/carlo-tivaroni-18431104#nav. Su Tivaroni storico, oltre alle classiche pagine dedicategli da W. Maturi in Intepretazioni del Risorgimento, Torino 1962, s.v., e a quelle di A. Galante Garrone, C. T.: come divenne storico del Risorgimento, in Rivista storica italiana, LXXIX (1967), 2, pp. 313-354, si vedano i più recenti: P. Finelli, Mazzini nella storiografia italiana dell’età liberale, in Bollettino della Domus Mazziniana, XXXIX (1993), 2, pp. 135-151; A. De Francesco, Mito e storiografia della «grande rivoluzione». La Rivoluzione francese nella cultura politica italiana del ’900, Napoli 2006, ad ind.; S. Lanaro, Retorica e politica. Alle origini dell’Italia contemporanea, Roma 2011, ad indicem.

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