RIGHETTI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RIGHETTI, Carlo

Gabriele Scalessa

RIGHETTI, Carlo (Cletto Arrighi). – Nacque a Milano il 27 novembre 1828 da Giuseppe e da Annamaria Cassina.

La sua casa natale era stata luogo di frequentazione da parte di Alessandro Verri, Vincenzo Monti e Ugo Foscolo, cui si aggiunsero in seguito Tommaso Grossi ed Ermes Visconti.

Nel 1848 partecipò alle Cinque giornate ed entrò tra i dragoni lombardi. Prese quindi parte alla prima guerra d’indipendenza da ufficiale; dopo la battaglia di Novara (1849) diede le sue dimissioni e rientrò a Milano, dove studiò legge per conto proprio, laureandosi a Pavia.

Gli anni Cinquanta segnarono l’avvicinamento alla letteratura. Nel 1856 fondò il periodico satirico L’uomo di pietra, dal nome di una ‘statua parlante’ di Milano, scrivendovi almeno fino all’anno successivo articoli umoristici di costume con lo pseudonimo Cletto Arrighi (anagramma di nome e cognome), che mantenne e con cui è conosciuto.

Il suo primo romanzo, Gli ultimi coriandoli (Milano 1857), apparve mutilo per la censura e con dedica («audace», come la definì) ad Alessandro Manzoni.

Fittiziamente attribuita a Costanzo Castelsanto, protagonista e amico dell’autore, l’opera affrontava il problema del registro espressivo, presentandosi come romanzo ‘contemporaneo’ (non ‘storico’), dunque versato e incline alla mimèsi del ‘colore locale’ senza per questo optare per la scelta del dialetto schietto. Nell’opera era anche il suo primo uso del termine scapigliatura, di ascendenza letteraria e colta (già attestato fra Cinque e Seicento presso Girolamo Leopardi, Michelangelo Buonarroti il Giovane e Alessandro Tassoni).

Il tributo alla moda del romanzo storico (al Guerrazzi della Battaglia di Benevento in particolare) si avverte nella seconda opera narrativa, La giornata di Tagliacozzo (Milano 1858; ma rielaborato e ripubblicato con il titolo Il diavolo rosso nel 1863), ambientato all’epoca dello scontro fra le truppe di Corradino e quelle di Carlo d’Angiò nel 1268, edito per i tipi di Francesco Sanvito con assicurazione e su richiesta dell’editore che l’opera fosse stata composta prima di aver letto il saggio manzoniano di condanna del romanzo storico.

Nel 1859, allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza, tornò a combattere come soldato semplice nell’esercito piemontese a Tronzano. Si congedò dall’esercito nel 1860, anno al quale risale la fondazione della rivista Cronaca grigia.

Di impostazione laica, ebbe il merito di occuparsi non solo di letteratura, ma anche di costume e alcuni argomenti di carattere scientifico, e fu redatta in buona parte, se non interamente, dallo stesso Arrighi. Voce della nuova letteratura che si andava diffondendo in epoca postrisorgimentale, Cronaca grigia presentò e valorizzò autori come Carlo Dossi (che ad Arrighi dedicò la Vita di Alberto Pisani), uscendo in maniera irregolare sino al 1882.

Il romanzo più noto di Arrighi, La Scapigliatura e il 6 Febbrajo (Un dramma in famiglia), fu edito in duplice stampa nel 1862, presso la tipografia di Giuseppe Redaelli e presso Sanvito. Alcuni passi e capitoli erano stati anticipati sull’Almanacco del Pungolo nel 1857 e sulla Cronaca grigia del 13 aprile 1861.

L’opera definiva, con il personaggio di Emilio Digliani, l’idealtipo del giovane ‘scapigliato’, prodotto tardivo dell’ideologia risorgimentale e presente in ogni città, tombeur de femmes e giocatore, diviso fra confuse aspirazioni idealistico-patriottiche e contrasti con la gretta realtà, sullo sfondo storico della rivolta antiaustriaca che si consumò tragicamente a Milano, in poche ore, il 6 febbraio 1853. Una riedizione del romanzo vide la luce con qualche ritocco quasi vent’anni dopo: La Scapigliatura. Romanzo sociale contemporaneo (Roma 1880).

Righetti si dedicò, quindi, alla stesura di un romanzo di appendice, La contessa della Guastalla, apparso a puntate in La politica nel 1863, mentre sulla Cronaca grigia comparvero I misteri della Compagnia delle Indie, sempre a puntate, nel 1864. Scrisse opere di memorialistica e storiche attinte a sue esperienze: Memorie di un soldato lombardo (Milano 1863) e Memorie di un ex-repubblicano (Milano 1865). Sono, questi, anche gli anni dell’infatuazione per il teatro con la pubblicazione di La diplomazia (Milano 1863) in italiano, in tre atti e in versi martelliani a rima baciata.

Interessatosi di politica, criticò i deputati in Parlamento in una serie di biografie polemiche, poi raccolte nel voluminoso I 450 deputati del presente e i deputati dell’avvenire (Milano 1864). Nel 1867 fu eletto egli stesso deputato per il Collegio di Guastalla (legislatura X), manifestando posizioni vicine alla Sinistra. Ma l’esperienza in Parlamento durò poco: l’atteggiamento intransigente e contestatore gli procurò diverse antipatie, spingendolo poi a ritirarsi per lo scandalo della Regia cointeressata dei tabacchi.

Sposatosi nel 1872, rimase vedovo qualche anno più tardi.

Nel 1876 assunse per incarico del prefetto di Milano la direzione del giornale L’Unione, che abbandonò poco tempo dopo. Frattanto, nel 1870 aveva fondato (per lo più a sue spese) il Teatro Milanese, con sede in corso Vittorio Emanuele 15 (lo stabile venne demolito nel 1902), e ne aveva assunto la direzione.

Redasse pièces in dialetto lombardo, convinto che fosse la lingua più adatta alle scene, fra cui commedie: El barchett de Boffalora (suo maggior successo, 1870), Dal tecc a la cantina, El 18 marz 1848, La gent de servizi e Nodar e perucchee (1876), Amor e affari, El prestit de Barlassina, On matrimoni per procura e On minister in erba (1877), La forza d’attrazion (1884); farse, come El cappell d’on cappellon (1876); qualche vaudeville, come On milanes in mar (1876); e alcuni drammi: On dì de Natal, Teresa, ossia divorzi o duell (1876) e La sciora di cameli (da Alexandre Dumas, 1884).

Nella riflessione-saggio Facciamo un teatro nazionale (Milano 1874), auspicava un teatro su base nazional-popolare e una serie di soluzioni per rinverdire il genere in Italia, suggerendo di affidarsi a compagnie non girovaghe, favorire autori di merito, riproporre (e riscrivere in dialetto) capolavori della tradizione drammatica italiana ed estera, puntare su generi ‘minori’ come farse e commedie argute, abolire il sistema degli abbonamenti. Dopo l’iniziale successo del Teatro Milanese, sempre più dedito a una vita ‘scapigliata’, all’alcol e al gioco, fu sostituito nella direzione da Edoardo Ferravilla nel 1876.

La maggiore adesione alla realtà dell’esperienza scenica favorì il suo accostamento a tematiche sociali, già affrontate dal naturalismo francese, di cui sono testimonianza I quattro amori di Claudia e Nanà a Milano. Il primo, romanzo ‘contemporaneo’, edito in appendice a L’Unione nel 1876-1877, riuniva le vicende sentimentali di più personaggi, fra cui il pittore ‘scapigliato’ Steno Marazzi e la ragazza del titolo. Il secondo, edito ancora nel capoluogo lombardo presso Ambrosoli nel 1880, immaginava che l’eroina di Émile Zola da Parigi si fosse trasferita a Milano, cosicché la descrizione delle sue azioni divenisse pretesto per una rappresentazione realistica della vita popolare della città.

I debiti naturalistici, coniugati al gusto per l’effetto feuilletonistico e il colpo di scena, non superavano del tutto, però, l’insegnamento manzoniano: i romanzi, caratterizzati sì da una maggiore aderenza alla realtà (con l’uso di numerosi dialoghi soprattutto nel secondo), non rinunciavano tuttavia alle digressioni di un narratore ancora piuttosto presente (specialmente nel primo), che non esitava a esprimere giudizi e a chiamare in causa i lettori.

Obbedendo a moduli più consoni al romanzo d’appendice, pubblicò La Mano nera, ambientato a Siviglia nel 1870-71, storia dell’italiano Arnaldo, affiliato alla società segreta del titolo, che propugnava la guerra anarchica ai ricchi. Al romanzo, che uscì per i tipi di Guigoni (Milano 1883), seguì Un suicidio misterioso nello stesso anno (Milano), a partire da un fatto di cronaca, e La canaglia felice. Romanzo milanese, presso lo Stabilimento tipografico italiano (Roma 1885), storia della popolana Bigietta che, divisa fra l’amore di due uomini, si sistema alla fine con un terzo, Carlo Rey, fintosi operaio, ma discendente di una famiglia nobile. La rappresentazione della realtà sociale delle ‘canaglie’ che vivono entro il tessuto urbano rivelava ancora un adattamento della poetica naturalista, ed era perseguita anche tramite l’utilizzo di voci dialettali (con tanto di spiegazione, come nel caso del locch milanese).

La ricerca del ‘colore locale’ (stavolta della Roma papalina) riaffiorò nell’intricato romanzo Estremi aneliti, ambientato nella campagna romana nel 1868-70, che uscì per i tipi di Sonzogno (Milano 1888). Nello stesso anno collaborò all’opera collettiva Il ventre di Milano. Fisiologia della capitale morale, con evidente rinvio a Zola, che si occupava di descrivere la vita nei sobborghi del capoluogo lombardo. Dell’anno successivo è il romanzo di ambientazione africana Il fàscino di Dogali (Milano 1889), nato come rielaborazione delle memorie di Mohamed Ben Alid.

Gli spogli linguistici condotti a Milano e nei suoi dintorni confluirono nella compilazione di un fortunato Dizionario milanese-italiano con repertorio italiano-milanese, che fu premiato nel concorso governativo del 1890-93 e in seguito pubblicato nei Manuali Hoepli (Milano 1896) con numerose ristampe.

Seguì Sublimi certezze (Milano 1891), romanzo filosofico di impostazione cristiana, che riabilitava il libero arbitrio (negato dal coevo determinismo positivista) e disconosceva il darwinismo e il materialismo, risentendo degli interessi spiritistici (riletti alla luce del Vangelo, come nelle dottrine d’Oltralpe) che Arrighi stava coltivando in quegli anni.

Caduto in miseria per la vita dissoluta, si era dato già dagli anni Ottanta alla stesura di opuscoli erotici a firma Neo Cirillo, gli ultimi dei quali furono Gli amori delle donne e La verginità delle donne (entrambi Milano 1891).

Nel 1895 pubblicò un libello anticipatore di una «parafrasi a contrapposti» (come la definì) dei Promessi sposi, con il titolo Gli sposi non promessi (Milano), annunciata per il febbraio successivo. Tuttavia l’opera non vide mai la luce e sancì il suo allontanamento dalla letteratura.

Si trattava di una riscrittura parziale e parodica del capolavoro manzoniano, che, ambientata nell’Ottocento, sostituiva la peste con l’azione nefanda dei ministeri e la discesa dei Lanzichenecchi con l’invasione di commessi tedeschi nelle banche italiane. In essa anche i personaggi subivano una forte revisione (Renzo era un contrabbandiere, Don Abbondio un tombeur de femmes).

Accettò un lavoro come impiegato presso l’Archivio di Stato di Milano, allora diretto da Cesare Cantù, che aveva criticato nei 450 deputati. Nel 1902, con una ritrattazione formale al cardinale Andrea Carlo Ferrari, rinnegò tutto ciò che di anticristiano contenevano le sue opere.

Isolato e povero, morì a Milano il 3 novembre 1906.

Fonti e Bibl.: A. De Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, ad vocem; R. Barbiera, C. A., in L’illustrazione italiana, 11 novembre 1906; G. Casati, Dizionario degli scrittori d’Italia, I, Milano 1925, p. 57; G. Catalano, Capitoli per una lettura dell’Arrighi, in Sigma, V (1968), 18, pp. 25-91; G. Farinelli, Note biobibliografiche, in C. Arrighi, La Scapigliatura, Milano 1978, pp. 71-97; L. Della Bianca, C. A. romanziere scapigliato, in Otto/ Novecento, XIII (1989), 3-4, pp. 155-205; G. Acerboni, C. A. e il Teatro Milanese, Roma 1998; C. Arrighi La Scapigliatura e il sei febbraio, a cura di C. Riccardi, Milano 2012; G. Farinelli, Manzonismo e antimanzonismo in C. A., in Visitare la letteratura, a cura di G. Lo Castro et al., Pisa 2014, pp. 343-352.

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