RAMBALDI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RAMBALDI, Carlo

Paolo Parmiggiani

RAMBALDI, Carlo. – Nacque a Vigarano Mainarda (nei pressi di Ferrara) il 15 settembre 1925 da Valentino, meccanico, e da Maria Taionini, sarta. Fu chiamato Carlo con riferimento al Don Carlo di Giuseppe Verdi, analogamente al fratello Werther, il cui nome fu ispirato all’omonima opera di Jules Massenet.

Fin dalla puerizia dimostrò notevoli abilità nel disegno e nella realizzazione di oggetti, statuine, pupazzi di creta, presto integrate da rudimenti di meccanica appresi nell’officina paterna. Questo talento fu notato dal pittore vigaranese Luigi Cariani e da un’insegnante, ma non indusse i genitori a indirizzare il bambino a una professione artistica. A suscitare in lui l’interesse per il cinema e per la creazione di pupazzi animati fu la visione, nel 1935, del film King Kong (1933) di Willis O’ Brien. Fu così che il giovanissimo Rambaldi cominciò a dar forma a marionette articolate, con sembianze ispirate alle maschere della commedia dell’arte e alle fiabe più famose, messe in scena in un teatrino allestito sotto una tettoia della propria abitazione e destinato ai bambini del paese.

Nel 1939, dopo aver conseguito la licenza di scuola media, Rambaldi si iscrisse all’Istituto tecnico per geometri Vincenzo Monti di Ferrara, nel quale tardò a diplomarsi essendo in corso la seconda guerra mondiale. Nell’immediato dopoguerra si occupò presso l’ufficio tecnico del paese natale, ma l’impiego durò poco perché l’interesse per la pittura, per le avanguardie europee da Picasso a Morandi, e per il cinema d’animazione, da quello americano di Walt Disney a quello cecoslovacco di Jiri Trnka, lo spinse, contro la volontà dei genitori (soprattutto la madre), ad abbandonare il lavoro e a iscriversi all’Accademia di belle arti di Bologna.

Gli studi artistici migliorarono le sue doti, portandolo a sperimentare un proprio indirizzo formale, in cui confluivano cubismo, realismo, simbolismo, e che si espresse in alcuni dipinti realizzati, tra cui Famiglia (1950 circa) e Donne del Delta (1952 circa). La vocazione di Rambaldi, però, tendeva soprattutto alla scultura e alla modellazione applicate a opere semoventi, che tuttavia non gli valsero immediati riconoscimenti. La prima esperienza professionale in questa direzione risale al 1955, quando l’amico regista Antonio Sturla gli chiese di collaborare al documentario Pescatori di storioni, per il quale Rambaldi realizzò uno storione meccanico da utilizzare per descrivere le difficili fasi della cattura del pesce. Negli stessi anni conobbe Bruna Basso, che sposò il 24 aprile 1957 e dalla quale ebbe i figli Victor, Alessandro e Daniela.

Sul finire degli anni Cinquanta, le prime esperienze filmiche e la necessità di lavorare lo spinsero a stabilirsi a Roma, dove era fiorente l’industria cinematografica. Dopo un difficile inizio (condiviso con l’amico e collaboratore Silvano Chendi), l’opportunità di lavorare al film Sigfrido: la leggenda dei Nibelunghi (1957, regia di Giacomo Gentilomo), per il quale Rambaldi realizzò un drago meccanico lungo quindici metri e alto sei, gli aprì le porte delle produzioni cinematografiche italiane, che a quel tempo cercavano di realizzare effetti speciali a costi ridotti senza ricorrere ai dispendiosi tecnici del cinema straniero (soprattutto statunitense). Nei primi anni Sessanta, Rambaldi ricevette commesse per film di genere fantastico, mitologico, o a sfondo storico e religioso: per David e Golia (1959) di Richard Pottier e Ferdinando Baldi, un giubbetto di muscoli artificiali da far indossare a Golia; per La vendetta di Ercole (1960) di Vittorio Cottafavi, la figura meccanizzata di Cerbero, i costumi semimeccanici di un pipistrello gigantesco e del centauro Polimorfeo, il costume di un orso e serpenti finti; per Teseo contro il Minotauro (1961) di Silvio Amadio, il costume del Minotauro, dotato di volto e mani meccanici; per Barabbas (1961; Barabba) di Richard Fleischer, alcuni manichini elettromeccanici per la scena della crocifissione, un manichino meccanico con le sembianze di Silvana Mangano per la scena della lapidazione e altri manichini meccanici per scene con bestie feroci; per Perseo l’invincibile (1962) di Alberto De Martino, un’inconsueta e spettacolare Medusa alta tre metri, costituita da un grande occhio luminoso e da una struttura di tentacoli animati elettricamente; per il documentario Ti-kojo e il suo pescecane (1962) di Folco Quilici, uno squalo elettromeccanico mosso a elica e dotato di una vescica natatoria artificiale; per Marte dio della guerra (1962) di Marcello Baldi, una grande pianta carnivora meccanizzata.

Nel 1963, Rambaldi stabilì la propria attività sulla circonvallazione Gianicolense a Roma, in un garage rispondente alle necessità di spazio imposte dal crescente lavoro. Il luogo fu attrezzato come un’officina meccanica e divenne presto noto come la fabbrica dei mostri. Quell’anno, l’artista collaborò a due importanti produzioni cinematografiche internazionali: Cleopatra di Joseph Mankiewicz, per cui realizzò vari ornamenti per i costumi e l’aspide per la scena del suicidio; The pink panther (La pantera rosa) di Blake Edwards, per la quale costruì un’armatura di gomma e lana di vetro simulante il metallo, utilizzata nella scena del ballo finale.

Il 1965 fu tra i più operosi per Rambaldi, che produsse materiali ed effetti speciali per una decina di film di vario genere e impegno: per Hercules and the princess of Troy (Ercole e la principessa di Troia) di Albert Band, un mostro marino lungo dodici metri, animato da motori collocati all’interno di una camera stagna; per il docufilm Africa addio di Gualtiero Jacopetti e Giorgio Prosperi, effetti raccapriccianti, quali l’evirazione di un indigeno e alcune teste mozzate; per The Bible, in the beginning (La Bibbia) di John Huston, vari elementi scenografici (tra cui un toro monumentale di finto bronzo e una statua di divinità pagana), un manichino per la scena della nascita di Adamo, una moltitudine di piccole figure umane per il Diluvio Universale e il modello dell’Arca di Noè (da un’idea di Mario Chiari); per Giulietta degli spiriti di Federico Fellini, tre cavalli scheletrici posti su una zattera; per James Tont operazione U.N.O. di Sergio Corbucci, un giradischi gigante; per Marcia nuziale di Marco Ferreri, manichini meccanizzati di uomini, donne e bambini; per Thrilling di Ettore Scola (episodio Il vittimista), delle strisce pedonali animate realizzate in materiale plastico e destinate ad avvolgere l’attore Nino Manfredi; per Terrore nello spazio di Mario Bava, modelli di giganteschi scheletri umanoidi; per Il boia scarlatto di Massimo Pupillo, vari make-up ed effetti speciali, tra cui un ragno meccanico.

A metà degli anni Sessanta, l’evoluzione dei generi cinematografici portò Rambaldi a ideare congegni sempre più complessi, di grandi dimensioni, e originali soluzioni per scene difficili da realizzare: per Modesty Blaise (1966; Modesty Blaise, la bellissima che uccide) di Joseph Losey, il manichino di Rossella Falk, alcune protesi di schiena asportabili e un pallone frenato a forma di gabbiano per alzare in cielo un’antenna; per Il grande colpo dei sette uomini d’oro (1966) di Marco Vicario, alcuni sottomarini elettrici, lunghi due metri e mezzo, di aspetto fortemente realistico; per La strega in amore (1966) di Damiano Damiani, effetti speciali di vario genere; per La sfinge d’oro (1967) di Luigi Scattini, un modello di sfinge splendente, simulante il cristallo, creata con lamina di plastica trasparente, riempita d’acqua e illuminata; per L’avventuriero (1967) di Terence Young, vari trucchi di scena; per Diabolik (1967) di Bava, il costume e la maschera del protagonista; per Don Giovanni in Sicilia (1968) di Alberto Lattuada, un manichino femminile meccanico; per Barbarella (1968) di Roger Vadim, il corpetto in plexiglass indossato da Jane Fonda, le ali dell’angelo Pygar, le bambole cannibali e animali bizzarri di vario genere.

Nel 1968 Rambaldi contribuì alla realizzazione dello sceneggiato televisivo L’Odissea, coprodotto dalla RAI e diretto da Franco Rossi, con la partecipazione di Piero Schivazappa e Bava. In stretta collaborazione con Bava, creò gli effetti per l’episodio di Polifemo, realizzando il trucco del volto e la mano gigante articolata – in tutte le falangi – del ciclope, così come i manichini dei personaggi da lui divorati.

Nel 1969 a Rambaldi fu richiesto di sviluppare un modello meccanizzato di Pinocchio per Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini, per il quale concepì una speciale tecnica di animazione a distanza, ossia un’imbracatura attaccata agli arti del manovratore, che consentiva il movimento sincronizzato del pupazzo sulla base dei movimenti degli animatori. L’aspetto del pupazzo era ispirato alle illustrazioni di Enrico Mazzanti e Carlo Chiostri. Il progetto, che prevedeva diversi modelli di Pinocchio realizzati sulla base delle azioni specifiche che doveva effettuare, fu ritenuto troppo costoso dalla RAI; per tale motivo la produzione lo scartò a favore di un altro, per molti aspetti ricalcato sulle idee di Rambaldi.

Tra la fine del 1969 e il 1970, a seguito della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, a Rambaldi fu commissionato un manichino articolato che riproducesse le caratteristiche fisiche del defunto, allo scopo di simularne gli ultimi momenti di vita durante l’interrogatorio (con particolare riferimento alla possibilità che fosse stato spinto da una finestra della Questura di Milano).

Nel medesimo giro d’anni seguirono: Faustina (1968) di Luigi Magni, per l’effetto speciale di una mummia che si polverizza all’apertura del sarcofago; Vivi o preferibilmente morti (1969) di Duccio Tessari, per la scena del deragliamento del treno; Scacco alla regina (1969) di Pasquale Festa Campanile, per un cavallo elettromeccanico a grandezza naturale; Femina ridens (1969) di Piero Schivazappa, per vari effetti speciali e per il make-up dei personaggi; Candy (1969; Candy e il suo pazzo mondo) di Christian Marquand, per alcune bambole articolate; Ondata di calore (1970) di Nelo Risi, per un fantoccio gonfiabile dal volto dell’attrice protagonista Jean Seberg; Città violenta (1970) di Sergio Sollima, per una vedova nera meccanica.

Nel 1971 Rambaldi ricevette nuove commissioni nell’ambito televisivo e documentaristico: lo sceneggiato La vita di Leonardo da Vinci di Renato Castellani, per cui realizzò le ali immaginate da Leonardo, alle quali applicò un meccanismo elettronico per dotarle di movimento; il film-documentario Oceano di Folco Quilici, con finti scheletri di marinai e coralli giganti. Nei primi anni Settanta collaborò anche a film di genere thriller e horror: Quattro mosche di velluto grigio (1971) di Dario Argento, per lo strumento che consente di leggere la retina dell’occhio; Una lucertola con la pelle di donna (1971) di Lucio Fulci, per pipistrelli elettrici e quattro cani finti vivisezionati (dato il forte realismo, Rambaldi e il regista dovettero dimostrare in tribunale, a seguito della denuncia di un’associazione animalista, che erano effetti speciali); Reazione a catena (1971) di Bava, per effetti speciali, soprattutto di omicidi cruenti; Non si sevizia un paperino (1972) di Fulci, per il manichino e l’effetto speciale del prete che precipita da una rupe; Barbablu (1972) di Edward Dmytryk e Luciano Sacripanti, per i manichini delle mogli di Barbablu; L’Anticristo (1974) di Alberto De Martino, per la testa artificiale di Carla Gravina; L’Ossessa (1974) di Mario Gariazzo, per un crocifisso semovente che brucia; La polizia chiede aiuto (1974) di Massimo Dallamano, per vari manichini meccanici; Casa d’appuntamento (1972) di Ferdinando Merighi, Frankenstein ’80 (1972) di Mario Mancini, Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea (1972) di Riccardo Freda, La notte dei diavoli (1972) di Giorgio Ferroni, La mano che nutre la morte (1974) di Yilmaz Duru e Sergio Garrone, Le amanti del mostro (1974) di Sergio Garrone, per vari effetti speciali a carattere orrifico.

Contemporaneamente, Rambaldi venne coinvolto in film di intrattenimento, tra la commedia e il genere avventuroso: Ci risiamo, vero Provvidenza? (1973) di De Martino, per una mongolfiera e alcuni manichini all’interno del suo cesto; La via dei babbuini (1974) di Luigi Magni, per un coccodrillo elettromeccanico a grandezza naturale; Zanna bianca alla riscossa (1974) di Tonino Ricci, per vari effetti ottici; Ultime grida dalla savana (1974) di Antonio Climati e Mario Morra, per un manichino sbranato da leoni; Baby sitter. Un maledetto pasticcio (1975) di René Clement, per un manichino elettromeccanico; Cipolla Colt (1975) di Enzo Castellari, per un braccio meccanico estensibile, una mano meccanica articolabile e un corvo elettrico; Orzowei, il figlio della savana (1975) di Yves Allegret, per un leopardo elettromeccanico e un boa gigante. Negli stessi anni l’esperienza di Rambaldi fu richiesta anche in film d’autore: Ludwig (1972) di Luchino Visconti, nella scena della lanterna magica che proietta nuvole e i quarti di luna sul soffitto di una stanza; I racconti di Canterbury (1973) di Pier Paolo Pasolini, per il diavolo meccanizzato del finale; La grande abbuffata (1973) di Marco Ferreri, per le teste artificiali dalle sembianze di Marcello Mastroianni e Ugo Tognazzi nella scena del vomito continuo; Pane e cioccolata (1973) di Franco Brusati, per l’arancia autosbucciante; La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone (1974) di Pupi Avati, per un albero di fico di dimensioni gigantesche; Il fiore delle mille e una notte (1974) di Pasolini, per gli amanti carbonizzati da un fulmine.

Il 1975 fu per Rambaldi l’ultimo anno di attività italiana: per Profondo rosso di Argento realizzò un pupazzetto elettromeccanico, un finto corpo mummificato, il corpo artificiale di Gabriele Lavia, il manichino dalle sembianze di Macha Méril e il volto artificiale di Clara Calamai per la scena della decapitazione; per Salon Kitty di Tinto Brass, un manichino di donna gravida; per Il secondo tragico Fantozzi di Luciano Salce, la celebre ‘nuvola dell’impiegato’; vari effetti speciali per Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete e Il mostro è in tavola barone Frankenstein di Paul Morrisey e Antonio Margheriti (per i quali, nel 1973, aveva già lavorato in Andy Wharol’s Frankenstein); per L’ultima donna di Marco Ferreri, l’autoevirazione del protagonista intepretato da Gérard Depardieu.

Alcuni giorni dopo la fine delle riprese dell’Ultima donna Rambaldi fu ingaggiato per King Kong (1976) di John Guillermin, prodotto da Dino De Laurentiis. Nel settembre del 1975 si trasferì a Hollywood per iniziare i lavori sul personaggio artificiale di King Kong, da ultimare in pochi mesi. Dopo avere attentamente studiato dal vivo un gorilla dello zoo di San Diego, Rambaldi sviluppò un costume con sette diverse teste meccanizzate da fare indossare al truccatore Rick Baker, due gigantesche braccia meccaniche con dita articolate, una versione animatronica del gorilla alta quindici metri, e alcuni pupazzi in miniatura della protagonista interpretata da Jessica Lange. Per tali effetti speciali Rambaldi vinse il primo Oscar della propria carriera, consegnatogli il 28 marzo 1977.

Negli stessi mesi in cui era al lavoro per il gorilla gigante, De Laurentiis commissionò a Rambaldi il bufalo elettromeccanico a dimensione naturale per il film White Buffalo (1977; Sfida a White Buffalo), diretto da John Lee Thompson. A esso seguì Close encounters of the third kind (1977; Incontri ravvicinati del terzo tipo) di Steven Spielberg, per il quale realizzò l’alieno Puck nella scena finale. Il successo del film favorì ulteriormente la carriera hollywoodiana di Rambaldi, tanto da indurlo a liquidare l’attività romana e a trasferirsi a Los Angeles con la famiglia.

Negli anni successivi lavorò a: Nightwing (1978; Le ali della notte) di Arthur Hiller, per un gruppo di pipistrelli elettromeccanici; Alien (1979) di Ridley Scott, per la testa meccanizzata del mostro ideato da Hans Ruedi Giger (per la quale vinse il secondo Oscar, consegnatogli il 14 aprile 1980); The hand (1980; La mano) di Oliver Stone, con quattro mani elettromeccaniche a dimensione naturale. Nel 1980 Rambaldi si trasferì con la propria famiglia a Encino. Nel 1981 lavorò a Possession di Andrzej Zulawski, per la realizzazione di un mostro informe.

Il 1982 fu l’anno del maggior successo di Rambaldi, E. T. the extraterrestrial (E. T. l’extraterrestre) di Steven Spielberg, per il quale progettò e realizzò il protagonista del film. Le sembianze di E. T. furono in parte suggerite da Spielberg (soprattutto per l’idea di un personaggio ‘bambino-vecchio’) e in parte ideate da Rambaldi stesso, che per il volto trasse spunto dal proprio gatto himalayano, ricorrendo al contempo ai tipi umani già ideati nel dipinto Donne del Delta. Per E. T. Rambaldi sviluppò quattro modelli – in lattice schiumato – dell’alieno: uno elettronico, uno meccatronico, uno meccanico, e un costume indossato da una coppia di nani e da un bambino senza gambe; inoltre creò una testa meccanizzata, animata a distanza da otto operatori. Per E. T. Rambaldi vinse il terzo Oscar, che gli fu conferito l’11 aprile 1983.

Negli anni successivi, Rambaldi lavorò a: Conan the destroyer (1983; Conan il distruttore) di Richard Fleischer, per il mostro meccanizzato Dagoth; Dune (1984) di David Lynch, per i vermi giganti di Arrakis e per il Navigatore; Cat’s eye (1984; L’occhio del gatto) di Lewis Teaugue, per il folletto malefico; Silver Bullet (1985; Unico indizio la luna piena) di Daniel Attias, per il licantropo meccanizzato; King Kong 2 (1986) di John Guillermin per le figure meccanizzate di King Kong, Lady Kong e Baby Kong; Cameron’s closet (1988) di Armand Mastroianni per la creazione del demone.

Negli ultimi anni di attività Rambaldi fu coinvolto in Rex (1993) di Haruki Kadokawa e nei film diretti da suo figlio Victor: Furia primitiva (1988), per alcune maschere meccanizzate; Il bersaglio (1994), per armi futuristiche; e il film di animazione Yorhad, un amico dallo spazio (2005, codirezione di Camillo Teti), per la creazione dei personaggi extraterrestri.

Nel 2001 Rambaldi e sua moglie rientrarono stabilmente in Italia, trasferendosi a Lamezia Terme, vicino alla figlia Daniela. L’ultimo progetto cui Rambaldi mise mano fu l’opera teatrale La Divina Commedia di Maurizio Colombi, con la creazione di costumi e maschere mitologiche (in collaborazione con Sergio Stivaletti).

Morì il 10 agosto 2012 a Lamezia Terme.

Tra i maggiori artefici di effetti speciali della storia del cinema, nella propria carriera Rambaldi si dedicò soprattutto alla creazione di personaggi artificiali animati meccanicamente o elettromeccanicamente, contribuendo in modo determinante allo sviluppo della tecnica ‘animatronica’. Convinto assertore degli effetti speciali ‘dal vero’, negli ultimi anni Rambaldi non indirizzò la propria attività verso le nuove tecniche digitali.

Fonti e Bibl.: C. R. e gli effetti speciali, a cura di L. Pellizzari, San Marino 1987; R. Argenti, Prospettive aliene: C. R. e la fantascienza, Piombino 2011; V. Rambaldi, C. R.: una vita straordinaria, Soveria Mannelli 2013; C. Rambaldi, Il mio Pinocchio: 95 dipinti per il racconto di Carlo Collodi, Soveria Mannelli 2015.

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