RAINALDI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RAINALDI, Carlo

Cristiano Marchegiani

RAINALDI, Carlo. – Nacque a Roma il 4 maggio 1611, da Girolamo, architetto papale e «del Popolo Romano» (Mandl, 1933, p. 578), e da Girolama Verovio (cfr. la voce Rainaldi Girolamo, in questo Dizionario). La guida paterna nel disegno e nella professione accompagnò Carlo nei suoi studi al Collegio Romano e alla Sapienza, fornendo solidi attributi intellettuali a un talento precocemente esibito in disegni «per giardini, per fonti, e per fuochi artificiali» (Pascoli, 1730, p. 306). Dalla famiglia materna acquisì e coltivò uno spiccato talento musicale, che permeò quello primario dell’architettura. Nel 1628, adolescente, elaborò una scenografia per lo spettacolo inaugurale del gran teatro farnesiano di Parma in occasione delle nozze ducali tra Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici, avendo Girolamo, architetto farnesiano, curato gli apparati in città (Delsere, 2012, pp. 31 s.). Intorno al 1633 si colloca la serie di Disegni di ospedali e lazzaretti fatti da Carlo Rainaldi architetto d’ordine del Sig. Cardinal Barberino in occasione della peste (Biblioteca Apostolica Vaticana [BAV], Barb. lat. 4411, 27 carte; Curcio - Manieri Elia, 1989).

All’epoca Carlo fu impegnato in opere ornamentali in Campidoglio (1627-33; Benedetti, 2001 [2002]); il 12 dicembre del 1634 fu designato coadiutore e successore del padre nelle opere capitoline (Benedetti, 2001 [2002], pp. 73, 76), comprendenti la costruzione del «Palazzo Nuovo» previsto dal piano michelangiolesco (1645-62; Güthlein, 2003a). A un anno dal rientro del padre da Parma nel 1644, chiamato da Innocenzo X per servirlo come architetto, nel 1645 Carlo si fece notare tra i progettisti invitati a presentare proposte che risolvessero i problemi statici causati alla facciata di S. Pietro dai campanili berniniani (McPhee, 2002, pp. 148, 159 s.); richiestegli quindi idee per la piazza, elaborò un impianto porticato nelle alternative forme di «quadro perfetto», «circolare, ovale» in lungo ed esagona, rimaste senza seguito per la morte del papa nel 1655 (Baldinucci, 1728, p. 488).

Nel 1644, con gli archi trionfali per il «Possesso» di Innocenzo X, aveva raccolto il testimone dal padre quale noto specialista di architettura effimera (Fagiolo Dell’Arco - Carandini, 1977, pp. 131-133). «Architetto del Popolo Romano» dal 1651, curò i pubblici allestimenti a ogni apertura di pontificato: nel 1655, nel 1667, nel 1669, verosimilmente nel 1676, e nel 1689 (ibid., pp. 163, 240 s., 265-268, 321-323); un impiego postumo toccò nel 1701 a un suo progetto ripreso da Carlo Fontana (Fagiolo Dell’Arco, 1997, II, pp. 6 s.).

Notevoli furono i due apparati approntati per l’anno santo 1650. Il «Teatro» delle Quarantore allestito in febbraio nella chiesa del Gesù rappresentò il rito di dedicazione del Tempio di Salomone: sequenza di campate risonante della luminosa fuga di doppie coppie di colonne in aggetto sui contropilastri. L’ideata «prospettiva», illustrata da una stampa, venne però ridotta poiché, notò il diarista Gigli, «non capì nella scena tutto il disegno» (Fagiolo Dell’Arco - Carandini, 1977, p. 138): inconveniente non isolato nei rapporti con i gesuiti (avviati nel 1647 con i lavori per la cappella votiva progettata gratis per il vestibolo del Collegio Romano). Incaricato di vari progetti nei due seguenti decenni, restarono inattuati quelli per la cappella di S. Ignazio per la chiesa omonima e, per il Gesù, i progetti per le cappelle di S. Luigi Gonzaga e della testata destra del transetto, mentre un’inibizione papale impedì il rifacimento interno della chiesa di S. Apollinare (1656-57; Bösel, 1986, pp. 231, 240).

Impressionarono in aprile gli apparati di piazza Navona per la festa della Resurrezione. La creazione emergeva come un immenso trionfo da tavola nella profonda platea cinta di un lineare pergolato di verzura, imperniata sull’appena eretto Obelisco agonale; lo riecheggiavano due collaterali guglie pirotecniche e gli obelischetti sommitali di due colossali edicole quadrifronti, cupolate a bulbo, contrapposte sul medesimo asse longitudinale, incornicianti con le aggettanti colonne libere le grandi statue di un Cristo risorto e dell’Immacolata (Fagiolo Dell’Arco - Carandini, 1977, pp. 140-145).

Altre memorabili creazioni furono la superba facciata posticcia con cui nel dicembre del 1655 il duca di Parma Ranuccio II volle trasformare palazzo Farnese per la trionfale accoglienza di Cristina di Svezia (ibid., pp. 165-168) e il Castrum doloris del 1665 in S. Maria Maggiore per le esequie di Filippo IV di Spagna (ibid., pp. 212 s.).

Il tema della cappella e dell’altare, nodo basilare dell’ordine nello spazio, impegnò l’architetto sin dagli esordi di un’opera esemplarmente vasta in ambito ecclesiale. Per la Consolazione di Todi, prima isolata notizia, gli fu pagato il disegno del capoaltare il 1° dicembre 1634 (Gualdi Sabatini, 1991, p. 158; l’attuale altare è tardobarocco). Concepito due anni dopo il progetto per l’edicola di schema dellaportiano dell’altare maggiore di S. Girolamo della Carità (Fasolo, 1961, pp. 425 s.), il ciborio dell’altare maggiore di S. Maria della Scala (1647-50) dominò come fulcro lo spazio concavo absidale con un’edicola colonnata ispirata agli eterodossi Tempietti di Montano. Il frontale movimento plastico e ritmico sarebbe stato ripreso da Rainaldi, in più rigido assetto, nella loggia a suggello dei lavori a palazzo Borghese (1671-80). Forti accenti di stipiti e sopraornato serrano, nella «struttura totalizzante» della chiesa di Gesù e Maria al Corso degli agostiniani scalzi (1670-85; Trevisani, 1971), la pala d’altare e le composizioni dei confessionali integrati ai sovrapposti monumenti Bolognetti (1680-82). Altare come chiesa in nuce: la centinata e spessa edicola marmorea del capoaltare della basilica di S. Lorenzo in Lucina dei chierici regolari minori (1669-79) – per i quali Rainaldi studiò una nuova facciata, irrealizzata, affine per concezione a quella di Campitelli, ed eresse il convento (1663-65; Metzger Habel, 1984) – esibì fasci di colonne ispirati al «canneto» della recente chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio a Trevi, compiuta alcuni anni prima da Martino Longhi il Giovane per il cardinale Giulio Mazzarino.

Analoga tensione dilata l’altare ligneo progettato nel 1679 o poco dopo per la chiesa dell’Angelo Custode di Ascoli Piceno, degli agostiniani scalzi, e comprime nella morsa di due colonne giganti addossate l’incompiuta facciata, iniziata nel 1684; per la locale chiesa del Carmine la facciata rettangolare a due ordini prevedeva «mezze colonne» in progressivo aggetto centrale, mutate per economia in lesene all’atto dell’esecuzione nel 1687 (Marchegiani, 1998-1999 [2002], pp. 157-161). Il dossale che nel 1681 Carlo realizzò per la piccola chiesa romana a pianta circolare dell’arciconfraternita dell’Angelo Custode, su incarico del vescovo di Rieti Giorgio Bolognetti (Pascoli, 1730, p. 309), accorda l’assetto strombato di doppie colonne alla curva absidale. Altri progetti del genere, fra attuati e irrealizzati, impegnarono l’architetto nella piena maturità (Delsere, 2012, pp. 24 s.).

Attiene, invece, al tema della facciata monumentale la formula michelangiolesca dell’intreccio fra ordini gigante e minore di colonne libere. Dopo i lavori per palazzo Pamphilj a piazza Navona (1644-50), nel 1652-53 i Rainaldi adottarono tale motivo nell’ideata facciata di S. Agnese in Agone: ambivalente messaggio capitolino e petriano di una macchinosa parafrasi michelangiolesca suggellata dalla cupola, tesa a fondere nella pianta a chrismon l’idea della cappella Sforza e dei progetti per la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini. Scartato dal papa il progetto e subentrato Francesco Borromini nel 1653, Carlo riuscì in seguito a estrometterlo e a completare l’opera, riformando in parte l’immagine della cupola borrominiana (1657-66).

Echi petriani informarono del resto la tarda opera di unitaria riforma della tribuna di S. Maria Maggiore, pur aderendo al formulario del prospetto della cappella Paolina di Flaminio Ponzio (1669-75). Vi risuona il leitmotiv della compressione di luci incolonnate fra gli ordini, accentuato dalle statue sulle due superiori balaustrate: orizzonte di marca berniniana che connotava anche la rielaborata facciata dei Ss. Apostoli (1674-75), chiesa dove Carlo, architetto di quei padri francescani sino al 1681, attuò ampi interventi (1666-75), obliterati dalle trasformazioni settecentesche (Finocchi-Ghersi, 1995).

Sotto il pontificato di Alessandro VII (1655-67), funestato dalla peste, Rainaldi studiò per lo spazio e per la struttura di alcune chiese votive una pregnante integrazione. Per le chiese gemelle di piazza del Popolo (S. Maria dei Miracoli, 1662-81, compiuta da Carlo Fontana, e S. Maria di Montesanto, terminata nel 1675 su un nuovo progetto «ovato» rivisto da Bernini) pensò nel 1661 a una cortoniana oblunga croce greca prima di optare per una «rotonda».

Per la chiesa del Suffragio (costruita negli anni 1662-69) e per quella di S. Maria in Campitelli (prima elaborazione: 1658-62; realizzazione definitiva: 1663-67, con coordinata piazza trasversale) Rainaldi sperimentò in un primo tempo un’aula ovale, che innovava i modelli cinquecenteschi (Roca De Amicis, 2012, pp. 9 s.). Nella piccola chiesa di via Giulia prevalse lo standard rettangolare, mentre in quella prossima al Campidoglio «l’andamento curvilineo dell’ellissi» fu trasposto in una sequenza di «vani quadrangolari di diversa ampiezza e profondità», per una drammatica convergenza sull’«oggetto di culto» (Argan, 1960, p. 79), non esente da «ambiguità dell’organismo» (Portoghesi, 199811, p. 280) eppure inedita nel suo magnetismo, compendiato nell’attrazione spaziale della profonda volumetria della facciata, di impressionante facies romana tardoimperiale.

L’opera ricerca una nuova logica iconografico-strutturale da tradurre dentro e fuori in coinvolgente immagine: dialettica fra movimentazione plastica e vigoroso accordo pittorico di trame luminose sugli intensi scuri di sfondi indefiniti, attuato dal recupero espressivo della colonna libera. Pregi barocchi che la critica neoclassica apprezzò, cogliendosi tuttora «una sorta di neocinquecentismo» (Portoghesi, 199811, p. 280), ma con sostanziali riserve: «Disegnava da pittore, riusciva bene nell’invenzione delle piante, era fecondo d’idee, e d’idee grandi, eseguiva prontamente, ed ornava con sodezza; ma poco corretto, poco semplice, specialmente nelle facciate delle chiese» ([Milizia], 1768, p. 355). Tradizionalmente associato alla triade dei grandi architetti del Barocco, lo si considera un epigono, benché di altissimo rango (Brandi, 1970, p. 168). Pur avendo «subito la limitazione del Wittkower» in chiave di «ascendenza manieristica», in verità «del tutto disciolta nella spazialità barocca dell’architettura, restando a livello di codice senza ingaggiare la struttura», capolavori di «drammatizzazione spaziale» quali S. Maria in Campitelli (Brandi, 1985, p. 212) – in cui si esprime «per la prima volta il principio barocco dell’arte come persuasione» (Argan, 1960, pp. 76 s., 85) – e la facciata di S. Andrea della Valle (1661-65) – il cui «spessore straordinario» mette in gioco una densa «internità» atta a penetrare e «spezzare il muro di fondo» (Brandi, 1970, p. 34) – restano «pietre miliari del grande barocco romano»: «come una felice declamazione» di uno «stile eroico del Seicento, accanto a quello epico del Bernini e quello lirico del Cortona» (Brandi, 1985, pp. 212, 215).

Imprecisati «servigj» per cui fu «molto impiegato» dal giovane Carlo Emanuele II di Savoia e dallo zio di questi, cardinal Maurizio, finché sino al 1637 fu alla corte papale, gli valsero intorno al 1649 il cavalierato dei Ss. Maurizio e Lazzaro (Baldinucci, 1728, p. 490; Tabarrini, 2012, p. 303). Si è ipotizzato un suggerimento dell’architetto per la riforma della cappella torinese della Sindone, posta in opera da Bernardino Quadri e Carlo di Castellamonte nel 1657, allorché a Roma l’arciconfraternita del Ss. Sudario dei Piemontesi decise di ampliare la piccola chiesa nazionale, incaricandolo dei lavori; il «cavaliere don Carlo Rainaldi» curò successive trasformazioni, tra il 1659 e il 1667, e dal 1682 al 1687 (Tabarrini, 2012, p. 303), quando l’aula a rettangolo con accento biassiale fu ulteriormente dilatata da un’alta volta a botte e ornata dall’unificante logica di lesene e colonne ioniche addossate, in cui fu integrato lo stesso capoaltare.

Prestigiosi furono anche i rapporti con la Francia. Tramite l’agente romano abate Elpidio Benedetti, il cardinale Giulio Mazzarino chiese a Rainaldi nel 1660 il progetto (perduto e di incerta attuazione) del complesso di un «sontuoso tempio, con palazzo e biblioteca», da realizzare in via del Corso a Roma per il cognato Lorenzo Mancini e il fratello di questi cardinale Francesco Maria, estendendo la «casa Mancina» (Guerci, 2006, pp. 124 s.). Rainaldi partecipò, fra il 1664 e il 1665, alle proposte progettuali per l’ampliamento del palazzo reale del Louvre (Parigi, Louvre, Cabinet des Dessins, Recueil du Louvre, I, foll. 8-10), con una soluzione di neocinquecentesca magnificenza che non incontrò il gusto classicista della corte, benché sostenuta da aurei rapporti proporzionali e bilanciata con la «simmetria più rigorosa» dal puro quadrato di base (Portoghesi, 1959-1961 [1961]). Le armonie pitagoriche furono del resto un interesse profondo del raffinato musicista e compositore che dimostrò di essere Rainaldi, del quale restano diverse cantate profane e sacre (Marx, 1969) e la nomea di virtuoso nel suonare «squisitamente il cimbalo, l’organo, l’arpa doppia, la lira, la rosidra, con maniere rare e soavi» (Passeri, 1772, p. 223).

In tema di architettura civile Rainaldi progettò, fra l’altro, la propria casa in via del Babuino (1661), guardando a modelli genovesi divulgati da Rubens (Varagnoli, 1998 [1999]). Vi si trasferì dopo aver risieduto presso il duca Paolo Giordano II Orsini, da cui fu stipendiato (già al servizio dei Farnese, Carlo operò dagli anni Sessanta come architetto di casa Borghese, anche nel feudo di Monte Porzio Catone). Sposatosi nel 1642 con la nobile romana Margherita Maffei, dama della consorte del duca, Carlo era passato dalla casa paterna al palazzo di Monte Giordano, dove risiedette con la moglie, senza prole, sino alla morte, nel 1661, della principessa Aragona Appiani ormai vedova (Eimer, 1970-1971, pp. 124 s.; Tabarrini, 2012, pp. 302 s.). Visse more nobilium, tenendo «cavalli in istalla, servidori in sala, carrozze nelle rimesse, e tutti insieme componevano un nobile, e ben inteso treno» (Pascoli, 1730, pp. 311 s.).

Morto nel 1658 Domenico Castelli, che esercitò «un proprio diritto di successione a Girolamo Rainaldi» (Ferraris, 1991, p. 429), Carlo prese effettivo possesso del ruolo di «architetto del Senato e Popolo Romano», di «misuratore della Camera» e di successore del Castelli come «architetto della Sacra Congregazione del Tevere», rilasciando licenze sino al 1677 (Segarra Lagunes, 2004, p. 393), mentre dal 1657 era architetto della Presidenza degli acquedotti urbani (Ferraris, 1991, p. 429). Ascritto fra i Virtuosi al Pantheon nel 1641, principe dell’Accademia di S. Luca nel 1673, l’anno seguente Carlo collaborò al corso di architettura di Gregorio Tomassini, rivedendo le lezioni insieme a Mattia de Rossi, con il quale condivise nel 1675 il ruolo di «stimatore d’architetture», istituito nel suo principato (Antinori, 2013-2014, pp. 172, 181).

Morì a Roma l’8 febbraio 1691 e fu sepolto nella chiesa delle Stimmate (Pascoli, 1730, p. 312).

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma (ASR), Congregazione delle acque, b. 247, fascicoli 1, 2, 3, licenze del 25 settembre 1661, dell’8 marzo 1664, del 24 marzo 1672, del 12 agosto 1675, del 15 gennaio 1677; ASR, Trenta notai capitolini, Ufficio 23°, vol. 263, 23 luglio 1661, cc. 186r-190r; ASR, Corporazioni religiose, Corporazioni religiose maschili, Congregazione dei teatini in S. Andrea della Valle, b. 2161, Amministrazione e contabilità dal 1586 al 1666, fol. 159, Giustificazioni e conti della chiesa e del convento; Agostiniani scalzi, bb. 175 (fasc. 286), 191 (fasc. 259), 235 (fascc. 557-559); Roma, Archivio di S. Maria in Vallicella, C.I.8, Libro dei Decreti, 462, p. 326, 25 febbraio 1667 (nomina ad architetto degli oratoriani); Roma, Archivio del convento dei Ss. Apostoli, Libro dei consigli 1666-1697, ad ind.; Roma, Archivio storico dell’Accademia di S. Luca, Congregazioni, 42a, cc. 64, 84v, 86v, 43, cc. 65v, 95v, 200v, 219v, 230r, 44, c. 59v, 45, c. 1v, 46, c. 2v; Biblioteca del Museo di Roma, Gabinetto comunale delle Stampe, 158 (arco trionfale eretto davanti agli Orti farnesiani dal duca di Parma per il passaggio di Alessandro VIII, 1689); Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV), Barb. lat. 4411, 27 carte; BAV, Chigi lat., P.VII.3, fol. 27; P.VII.13, cc. 26r-27r; Berlino, Kunstbibliothek, HdZ 1144 (decorazione effimera della facciata di palazzo Farnese a Roma, 1655); Parigi, Louvre, Cabinet des Dessins, Recueil du Louvre, I, foll. 8-10 (progetto per il palazzo del Louvre: due piante e prospetto); Vienna, Grafische Sammlung Albertina, Az. Rom 50 (progetto per la facciata di S. Agnese in piazza Navona, 1653, in collaborazione con il padre Girolamo).

G. De Rossi, Insignium Romae templorum prospectus exteriores interioresque…, Roma 1684, tav. 27 n.n. (chiese di piazza del Popolo); G.G. De Rossi, Disegni di vari altari e cappelle nelle chiese di Roma…, Roma s.d. [ma circa 1688], tav. 48; D. De Rossi, Studio d’architettura civile, I, Sopra gli ornamenti di porte e finestre tratti da alcune fabbriche insigni di Roma..., Roma 1702, tavv. 140 s.; Id., Studio d’architettura civile, II, Sopra varj ornamenti di cappelle, e diversi sepolcri tratti da più chiese di Roma..., Roma 1711, tav. 54; Id., Studio d’architettura civile, III, Sopra varie chiese, cappelle di Roma…, Roma 1721, tavv. 14, 16, 33 s., 38; F. Baldinucci, Cav. C. R., in Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua. Secolo V dal 1610 al 1670, Firenze 1728, pp. 485-491; L. Pascoli, Di C. R., in Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni, Roma 1730, pp. 306-315; [F. Milizia], Le vite de’ più celebri architetti d’ogni nazione e d’ogni tempo…, Roma 1768, pp. 353-356; G.B. Passeri, Vite de’ pittori, scultori ed architetti che ànno lavorato in Roma, morti dal 1641 al 1673, Roma 1772, p. 222 s.; E. Hempel, C. R. Ein Beitrag zur Geschichte des römischen Barocks, München 1919; Id., C. R., Roma 1921; J. Mandl, R., C., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, Leipzig 1933, pp. 578 s.; R. Wittkower, C. R. and the Roman Architecture of the full Baroque, in The Art Bulletin, XIX (1937), pp. 242-313; R. Wittkower, Art and architecture in Italy 1600 to 1750, Harmondsworth 1958 (trad. it. Torino 1972, pp. 233-239); P. Portoghesi, Gli architetti italiani per il Louvre, in Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura, s. 6-8, 1959-1961 [1961], n. 31-48, pp. 243-268; G.C. Argan, S. Maria in Campitelli, in Commentari, XI (1960), pp. 74-86; F. Fasolo, L’opera di Hieronimo e C. R., Roma 1961; K. Noehles, recensione a F. Fasolo, L’opera di Hieronimo e C. R., in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XXV (1962), pp. 166-177; H.J. Marx, C. R. «Architetto del popolo romano» come compositore, in Rivista italiana di musicologia, IV (1969), pp. 48-76; C. Brandi, La prima architettura barocca. Pietro da Cortona, Borromini, Bernini, Bari 1970, pp. 32-36, 168; G. Eimer, La fabbrica di S. Agnese in Navona. Römische Architekten, Bauherren und Handwerker im Zeitalter des Nepotismus, I-II, Stockholm 1970-1971, passim; F. Trevisani, C. R. nella chiesa di Gesù e Maria al Corso, in Storia dell’Arte, XI (1971), pp. 163-171; H. Hager, La crisi statica della cupola di Santa Maria in Vallicella in Roma e i rimedi proposti da Carlo Fontana, C. R. e Mattia de Rossi, in Commentari, XXIV (1973), pp. 300-318; M. Fagiolo Dell’Arco - S. Carandini, L’effimero barocco. Strutture della festa nella Roma del ’600, I, Catalogo, Roma 1977, passim; F. Battistelli, Un’opera scomparsa di C. R.. La chiesa di S. Ignazio, in Fano, XV (1980), pp. 95-102; D. Metzger Habel, C. Rainaldi’s Façade project for S. Lorenzo in Lucina, in Journal of the Society of architectural historians, XLIII (1984), pp. 65-70; C. Brandi, Disegno dell’architettura italiana, Torino 1985, pp. 211-215; C.C. Kelly, A lost work of C. R. recovered: the Altar of S. Antonio di Padova in Ss. Apostoli in Rome, in Architettura. Storia e documenti, I (1985), 2, pp. 51-64; R. Bösel, Jesuitenarchitektur in Italien 1540-1773, I, Die Baudenkmäler der Römischen und der Neapolitanischen Ordensprovinz, Wien 1986, pp. 42, 55, 120, 170, 177 s., 200, 209, 231, 235, 240; M. Cigola, Un’opera poco nota di C. R.: il Casino e il Giardino di Delizie di Donna Olimpia Pamphili a Ripagrande, in Alma Roma, XXVIII (1987), pp. 3-18; G. Curcio - M. Manieri Elia, Architettura e città. I modelli e la prassi, Roma-Bari 1989 (I ed., Roma-Bari, 1982), pp. 215-246; K. Güthlein, Zwei unbekannte Zeichnungen zur Planungs- und Baugeschichte der römischen Pestkirche Santa Maria in Campitelli, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XXVI (1990), pp. 185-255; P. Ferraris, R. C., in In Urbe architectus. Modelli, disegni, misure. La professione dell’architetto a Roma 1680-1750 (catal., 1991-1992), a cura di B. Contardi - G. Curcio, Roma 1991, pp. 429 s.; F. Gualdi Sabatini, L’altare maggiore, la decorazione scultorea, la decorazione pittorica, le argenterie, le lapidi e gli arredi, in Il tempio della Consolazione a Todi, a cura di A. Bruschi, Cinisello Balsamo 1991, pp. 157-179 (in partic. pp. 158-160); L. Pascoli, Di C. R., a cura di A. Menichella, in Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni, Perugia 1992, pp. 413-417 (con note alle pp. 417-428); L. Finocchi-Ghersi, Il cardinal Brancati, C. R. e i lavori ai Santi Apostoli a Roma, in Memor fui dierum antiquorum. Studi in memoria di Luigi De Biasio, Udine 1995, pp. 361-374; M. Fagiolo Dell’Arco, Corpus delle feste a Roma, I, La festa barocca, Roma 1997, pp. 349-352, 372-376; Corpus delle feste a Roma, II, Il Settecento e l’Ottocento, a cura di M. Fagiolo Dell’Arco, Roma 1997, pp. 6 s., 202; C. Varagnoli, La casa di C. R., in Palladio, n.s., XI (1998 [1999]), 22, pp. 61-80; P. Portoghesi, Roma barocca, Roma-Bari 199811, pp. 275-294, 547 s., 602 s.; C. Marchegiani, Temi del Barocco nell’architettura fra Seicento e Settecento ad Ascoli, in Memorie. Accademia Marchigiana di Scienze, Lettere ed Arti, XXXVII (1998-1999 [2002]), pp. 151-194; S. Benedetti, Inediti giovanili di C. R., in Palladio, XXVIII (2001 [2002]), pp. 59-76; S. McPhee, Bernini and the Bell towers. Architecture and politics at the Vatican, New Haven 2002, pp.148, 159 s.; K. Güthlein, Il Campidoglio nel Seicento. Il «Palazzo Nuovo» o «Museo Capitolino», in Storia dell’architettura italiana. Il Seicento, a cura di A. Scotti Tosini, 2003a, pp. 210-225; Id., C. e Girolamo R. architetti romani, ibid., 2003b, pp. 226-237; M.M. Segarra Lagunes, Il Tevere e Roma. Storia di una simbiosi, Roma 2004, pp. 205, 222-229, 320 s., 393; M. Guerci, Le Palais Mancini à Rome: d’une idée de Jules Mazarin au Palais du Duc de Nevers, in Mazarin: les lettres et les arts, a cura di I. de Conihout - P. Michel, Saint-Rémy-en-l’Eau 2006, pp. 122-134; M. Meleo, C. R. e il cantiere architettonico della facciata di S. Andrea della Valle, in Storia dell’Arte, 2011, vol. 129, n. 29, pp. 78-110, 149-161; Architetture di C. R. nel quarto centenario della nascita, a cura di S. Benedetti, Roma 2012; A. Roca De Amicis, Tradizione e discontinuità: un avvicinamento all’architettura di C. R., ibid., pp. 9-12; I. Delsere, La vicenda biografica di C. R., ibid., pp. 17-46; M. Tabarrini, C. R. e i Savoia a Roma: la chiesa del Santo Sudario, ibid., pp. 296-321; A. Antinori, Riflessi di edifici parigini in residenze romane del tardo Seicento: i palazzi Muti Papazzurri alla Pilotta e Mancini, in Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura, n.s., 2013-2014, n. 60-62, pp. 169-182.

TAG

Biblioteca apostolica vaticana

Carlo emanuele ii di savoia

Martino longhi il giovane

Carlo di castellamonte

Margherita de’ medici