Porta, Carlo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Porta, Carlo

Dante Isella

Come ebbe a rilevare il Salvioni, la Commedia, a differenza dell'Orlando Furioso e della Gerusalemme liberata che vennero tradotti in dialetto a pochi decenni dalla loro comparsa, conobbe questo aspetto della sua fortuna soltanto all'inizio dell'Ottocento, ma lo conobbe " sotto il patrocinio del massimo fra i poeti dialettali nostri, il Porta, che appunto pel primo s'accinse alla prova di tradurre Dante in vernacolo ". E già questo conferisce all'iniziativa un suo valore particolare. Ma il ‛ travestimento ' di D. in milanese costituisce anche un punto fondamentale, come ben vide il Momigliano, nello sviluppo della poesia portiana: chiude infatti vittoriosamente il lungo tirocinio stilistico, collaudando la maturità di un'esperienza ormai prossima a una resa diretta, cioè fuori da ogni mediazione, della sua straordinaria novità etico-espressiva. Il modello, in conformità ai primissimi avvii, è ancora il Balestrieri, con la sua versione della Gerusalemme, del 1772; ma il Balestrieri aveva durato diciassette anni nel suo impegno di volgere il Tasso, il P. si limitò a qualche assaggio: giusto il necessario a provare le sue forze a confronto con un testo scelto proprio per il massimo grado di resistenza che opponeva.

I numerosi autografi mostrano come egli si sia misurato solo con i primi canti dell'Inferno, più particolarmente voltando, per intero, il canto I, e parzialmente i canti II (vv. 1-60), III (vv. 1-21, 25-30, 55-57, 58-60), IV (vv. 1-6, 10-12, 13-14), V (vv. 1-47, 46-54, 127-138), VII (vv. 1-99, 100-111), VIII (vv. 32-42), IX (vv. 1-6), XI (vv. 1-12). Solo nel frammento del canto VIII (che dunque si è portati a ritenere il più antico) il P. si attiene alla terzina, abbandonandola negli altri esercizi a favore dell'ottava, che gli consentiva di tradurre , generalmente (non senza, quindi, eccezioni al sistema), due terzine per volta, con una lieve dilatazione e, più spesso, con l'estrosa aggiunta, nel distico a rima baciata, di elementi estranei al testo di D.: quasi un margine di libertà che il traduttore ha voluto riservarsi.

Quanto alle date entro cui si colloca il travestimento portiano, allusioni alla cronaca del tempo (in accordo col carattere realistico-borghese del viraggio operato sul proprio autore) ci riportano agli anni 1803 (caduta di un angelo di pietra dalla facciata della chiesa di Sant'Angelo, ricordata nel canto VII: cfr. n. CXVIII 1; una variante del canto Il, cfr. n. CXV 9, è leggibile su un foglio dove figurano abbozzati versi per nozze Manin-Giovanelli, celebrate il 4 ottobre 1803, cfr. n. CCIX) e 1805 (installazione sui campanili del telegrafo Chappe, citato in una variante del canto V, strofe seconda: cfr. n. CXVII 1-5): anno, quest'ultimo, a cui ci conduce anche una lettera al poeta, del 16 aprile, in cui gli si elogia la versione di un canto di D. (probabilmente il I). Ma l'inizio del lavoro dev'essere fatto risalire un poco più addietro, forse già alla fine del 1801 o tutt'al più all'anno successivo; ed è probabile che il P. vi attendesse per qualche tempo ancora dopo il 1805, forse fino al 1807. La data assai alta dei primi travestimenti è confermata da certe caratteristiche arcaiche della lingua: tali i perfetti organici " Vens " (I 65), " se franchè " (I 93), " compars " (II 82), il participio di ‛ avere ' " biuu ", ecc., da intendersi come omaggi alla tradizione letteraria milanese piuttosto che come elementi ancora vivi nel dialetto parlato; le varianti fonetiche " piansg ", " sgiunsg ", " sgiò ", con -sg- in luogo di -g-, o le grafie del tipo " amoor ", " coor ", " ciaar " (più tardi " amor ", " côr ", " ciar ") o " avaravv ", " saravv " (con -vv in luogo di -v, come nei testi seriori), tratti che nelle trascrizioni autografe più tarde risultano in parte obliterati e così pure nelle edizioni a stampa. Nel quaderno dei suoi versi che il P. destinò al figlio (A), egli non trascrisse che il canto I, né più di questo concesse a Francesco Cherubini per l'editio princeps del 1817; il Grossi, invece, nella prima edizione postuma del '21 aggiunse, con qualche arrangiamento, frammenti dei canti II, III, V e VII. Il ponderoso lavoro portiano sull'Inferno, documentato dai moltissimi abbozzi a noi giunti, è ora noto attraverso l'edizione critica delle sue poesie (C.P., Poesie, a c. di D. Isella, Firenze 1956). Che il ‛ travestimento ' dantesco fosse dedicato dal P. all'amico pittore Giuseppe Bossi è tradizionalmente assunto sulla base dell'edizione, in una ristampa del 1827 dell'edizione Grossi, del n. CXXX; ma in un manoscritto gli stessi versi servono da indirizzo, sempre del solo primo canto, a un altro amico (Carlo Casiraghi).

La linea seguita nella versione è quella di una lettura del testo dantesco in chiave razionalistica, dove la raison degl'illuministi è sostituita dal buon senso ‛ borghese ' e da quel tanto di scetticismo che gli è proprio per tutto ciò che esorbita dai limiti di un'esperienza immediata. Così D. tende ad assomigliare a uno dei personaggi popolari tipici della poesia portiana, prefigurando (specie nel canto II, dove la sua ‛ viltà ' è tradotta senz'altro in pura viltà psicologica) il Giovannin Bongee delle prime e seconde Desgrazzi; e Francesca anticipa, specie nel linguaggio denso in cui confessa la sua passione sensuale, la Ninetta del Verzee.

Bibl. - C. Salvioni, La D.C., l'Orlando furioso e la Gerusalemme liberata nelle versioni e nei travestimenti dialettali a stampa (per nozze Maggini-Salvioni), Bellinzona 1902, 8-9; A. Momigliano, L'opera di C.P., Città di Castello 1909, 7 ss.

TAG

Francesco cherubini

Città di castello

Giuseppe bossi

Gerusalemme

Illuministi