CARLO di Tocco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARLO di Tocco (K., , Ka., , Kar., , Karolus)

Giuliana D'Amelio

Glossatore civilista e longobardista, vissuto tra la seconda metà del XII e il principio del sec. XIII. L'appellativo di Tocco, paese del Beneventano (oggi Tocco Caudio), è presente, ma con valore toponomastico, in una carta del 12 sett. 1161, pubblicata nel 1920 dal Leicht, ed in quella simile del 12 maggio 1162 già nominata, ma non edita, nella opera secentesca del Toppi. Nessuna ragione sembra avere finora l'incertezza posta dal Toppi stesso che il castello di Tocco da cui prese nome C. fosse in realtà quello abruzzese, da cui trasse fama la famiglia di Acaia (Giustiniani III, p. 208). Ancora, la data e la fanzione esercitata nei due documenti da C., "magne rege Curie Iudice, et Assessore nostro", che assiste all'esame di testi e pubblica la sentenza, sembravano ostare al suo successivo soggiorno a Bologna come scolaro (e poi maestro) in diritto civile, di cui esisteva larga testimonianza. Il dubbio era stato proposto dal Savigny e dal Merkel sulla scorta del Sarti (Savigny, tr. ital. Bollati, II, p. 326 e n. 1), ripreso dal Leicht ed ora dall'Astuti secondo una presunta omonimia con il padre, anch'esso giurista (gl. ut supra, in Lomb.1, 5, 1). Per Savigny e Merkel, infatti, la data del 1162 del documento del Toppi dovrebbe riferirsi al padre o ad altro membro della famiglia "giacché non si attaglia questo tempo né con l'età dei… precettori e dello scolaro, ne con l'epoca in che sembra aver egli scritta la sua grand'opera", cioè l'apparato alla Lombarda datato tra il 1207 e il 1215. Non si poteva cioè immaginare che chi nel 1161 era già chiamato dal re a far parte dei familiares e dei giudici della Magna Curia potesse poi recarsi allo Studio bolognese come semplice scolaro: elementi ed ipotesi, di cui occorre dar conto solo perché frequentemente ripetuti dalla scarsissima letteratura biografica sul giurista beneventano.

Il primo dato accertato resta invece una permanenza "per multos annos" nella scuola legistica bolognese.

Qui ebbe a precettori, secondo le testimonianze dell'apparato sulla Lombarda, Piacentino ("Placentinus preceptor meus", gl. in rubr. de maleficiis et publicis criminibus, I, 1; "ut a Placentino audiui", gl. conventum in I, 2, 1; "et in hac opinione fuit Placentinus", gl. si quis manifestauerit, I, 22, 4; "audivi Placentinum preceptorem meum dicentem", gl. anteriori edicto, I, 23, 6; "Placentinus preceptor meus notavit in summa tituli de patribus qui filios distraxerunt", gl. si quicumque, I, 25, 68; e ancora gl. si quis fossatum, I, 27, 9, su cui cfr. Andrea d'Isernia nel commento ai Libri Feudorum, rubr. quae sint regalia § via publica, n. 3; gl. componat, I, 26, 12; gl. non est bonum, II, 1, 11, con citazione di Pillio nell'edizione, ma di Piacentino secondo il ms. Olomouc 210, f. 22rb, gl. fideiussores, II, 1, 1 [Cortese-D'Amelio, Prime testimonianze, p. 96];gl. sic in lege, II, 19, 1, Olomouc 210, f. 30ra; gl. deest, II, 41, 1; gl. licentiam habeant, II, 51, 11); Otto Papiense (gl. si quis fossatum, I, 27, 9; "Otto Papiensis cuius auditor extiti per multos annos", gl. revertatur, II, 4, 4; "Placentinus dicebat… et Otto papiensis eius auditor sequebatur", gl. deest, II, 41, 1; gl. licentiam habeat, II, 51, 11), e sopratutto Giovanni Bassiano ("Joannes cremonensis preceptor meus", gl. per furorem, I, 16, 2; gl. componat, I, 27, 12 dove l'edizione pone "ego autem audivi Iac. bu. dicentem"; gl. purificare, I, 32, 3; gl. morgincap, II, 4, 1 in Olomouc 210, f. 23ra). Sono anche ricordati nello stesso apparato, Irnerio (gl. refutatur, II, 5 1, 2) e Rogerio (se così deve essere interpretata la gl. adimpleant, II, 54, 7, in cuil'edizione cita l'opinione di "Rai. maximus iuris auctor [qui] ita glosauit"); e poi Cipriano ("audiui Cyprianum dicentem", gl. in rubr. de scandalis et compositionibus, I, 2; gl. siquando, I, 1, 4; gl. quia lex, II, 10, 3 in Olomouc 210, f. 25va e gl. nota in lege, II, 1, 6f. 22va); Pillio (gl. non est bonum, II, 1, 11, se si accoglie il testo dell'edizione e non quello del ms. Olomouc sopra riportato) e Azzone ("et notauit in summa de rerum diuisione § acquiritur", gl. per scriptum, II, 4, 1).

Quest'ultimo richiamo alla Summa Institutionum di Azzone vale tra l'altro a datare queste testimonianze, ed a confermare la composizione dell'opera longobardistica di C. in anni posteriori al 1208-1210 (Neumeyer, Notizen, pp. 250 s.), come già indicato dalla formula del libello accusatorio riportato dalla gl. si adulter, I, 32, 8 (" sed ita potest concipi libellus accusatorius: anno Mccvii mense augusti die v administratore publico existente tali bailo…").

Il soggiorno bolognese di C. tra la fine del XII sec. e i primissimi anni del '200, come indicano rispettivamente i nomi del Piacentino, di Giovanni Bassiano e di Azzone, è stato poi ampiamente confermato dal momento in cui si è cominciato a riconoscere l'importante parte che C. ha svolto nei commenti ai primi quattro libri del Codice riportatici dal ms. Lat. 4546 della Bibl. naz. di Parigi. Abbandonata l'attribuzione unitaria della sigla ricorrente nel codice (Roffredo per Savigny, Ugolino per Acher, ed esattamente Carlo di Tocco per Meijers), sia il Legendre che il Cortese hanno posto in luce il carattere eterogeneo della raccolta ed insieme l'organicità attribuitale dal suo evidente uso in una determinata scuola: "scuola che, allo stato attuale delle conoscenze, è arbitrario ricondurre al nome di un singolo maestro, ma… ricollegabile alla corrente che fa capo all'insegnamento di Giovanni Bassiano" (Cortese, La summula Placuit, p. 342). Qui dunque, quando dal II libro la sigla K. inizia a comparire frequentemente, sia il ricordo dei maestri sia le dottrine di C. trovano spazio e conferme.

Su Piacentino, il ms. parig. Lat.4546, f. 19rb in l. traditionibus (C. 2.3.20) ripete che C. ascoltò "p. dicentem y. talem reddidisse rationem", usando le stesse espressioni adoperate già nell'apparato sulla Lombarda.Le citazioni di Cipriano contenute nello stesso apparato sono confermate dal ms. parigino al f. 52va in l. corruptionem (C. 3.33.16), come già notò il Savigny, che si riferiva tuttavia a Roffredo. La citazione di Azzone (f. 51rb, in l. certum est, C.3.32.22, "secundum Azonem") non riguarda però la Summa che valse a datare l'apparato longobardistico, e sembra riportarci ad un periodo precedente al 1208, così come suggerisce in genere la scarsissima presenza di Azzone in tutto il corpo dei commenti parigini.

I due maggiori autori utilizzati da C. restano Otto da Pavia e Giovanni Bassiano. Gli accenni a quest'ultimo sono numerosi nel codice parigino (per es. "audiui jo.b. dicentem nullam esse…", f. 21ra, l. cum proponal, C. 2.4.17) e numerosi i richiami comparativi "jo.b. quod piecet K." (per es. ai ff. 27rb, 29vab, 38ra).

E così Otto Papiense in forme analoghe (per es. al f. 28ra: "Set audiui ottonem papiensem dicentem tunc id optime…").

Che C. fosse stato non solo scolaro, ma anche maestro a Bologna si ricava infine dalle citazioni di altri manoscritti romanistici che riportano glosse al Digesto Nuovo (Metz, Biblioteca municipale, cod. 67 [bruciato nel 1944], al Digesto Inforziato (Bamberga, Staatsbibliothek, codice Jur.15), al Codice (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, cod. Clm. 22; Fulda, Hessische Landesbibliothek, cod. D. 4; Stoccarda, Württemberg. Landes-bibliothek, cod. Fol. 71; Parigi, Bibl. naz., cod. Lat.4536, con un comm. in C. 7.63.4 al f. 167 edito dal Pescatore, Kritische Studien, pp.112-116); resta comunque significativo l'esplicito accenno del ms. parigino 4546, f. 26rab: "et predecessores nostri ita exposuerunt… Ego autem non sic intelligo ut nostri maiores glosauerint… K.". Ed è ancora nello stesso ms. che troviamo la prova di identità tra il C. romanista ed il longobardista: il Meijers lo ha dimostrato indicando nel commento alla l. cum lex [et] iudices (C. 2.58.2, nel f. 39v) l'esposizione della teoria del valore del diritto personale dei soggetti viventi a legge longobarda ("théorie que on ne retrouve pas chez un autre glossateur", Etudes, III, pp.240 s.); e C. la ripete nell'apparato sulla Lombarda, gl. excludantur, II, 34, 11.

Dall'esterno, le maggiori testimonianze sul magistero bolognese e forse piacentino di C, ci sono date dal suo famoso, ma a quanto sembra unico discepolo, Roffredo di Benevento. Oltre alla testimonianza fornita da un passo del trattato de pugna di Roffredo (Savigny, ed. ital., II, p. 110) su cui pesa il dubbio di interpolazione proposto dal Patetta, le più antiche dimostrazioni del fatto che Roffredo udì C. si hanno in due luoghi: nei Libelli de iure civili dello stesso Roffredo e in un passo di Bartolo in D. 46.8.9. Nella rubr. de interdicto utrobi (pt.II, f. XXV, ed. Avignone 1500)-in cui il Kantorowicz (De pugna, p. 10e n. 12, in cui si avvale del sussidio del Kuttner) ha definitivamente verificato la presenza della sigla K - Roffredo pone C. come "regens" a Piacenza; ciò che fu inteso dal Savigny come riferimento al luogo in cui C. era professore, e che dette modo allo stesso Kantorowicz di porre addirittura a Piacenza un luogo di studi legali sia romanistici che longobardistici.

Questo nominato non è tuttavia l'unico passo di Roffredo in cui si faccia riferimento a C. (Savigny, II, p. 210; Meijers, p. 241 n. 110). Essi sono numerosissimi in tutta l'opera, e le tesi sostenute corrispondono fin dall'inizio a quelle del ms. parigino 4546. Si confronti, per es., nella rubr. utrum libellus possit mutari (pt. I, f. VII b, in fi.) la distinzione che Roffredo riporta al "domino et preceptori meo K.", con l'esatta citazione della tesi di C. che il soggetto "non potest esse instructus in actione mutata sicut in prima fuit" (codice parigino 4546, f. 16rab, in C. 2.1.3).

Malgrado la diffusione dell'opera di Roffredo, le citazioni di C. romanista sono limitate, sopratutto nell'Italia meridionale, dove più si diffuse l'opera longobardistica del beneventano. Nessuno dei manoscritti sopracitati contenenti glosse romanistiche sembra sia mai stato conosciuto, nelle scuole meridionali (cfr. Dolezalek, Verzeichnis, s.v.dei singoli manoscritti e dei luoghi di provenienza), mentre anche la permanenza del codice parigino 4546 nella biblioteca napoletana aragonese, posteriore al 1453 (T. De Marinis, La biblioteca napoletana dei re di Aragona, suppl. I, Verona 1969, p. 125), non appare notata dalla giurisprudenza locale. Quanto alla letteratura giuridica bolognese, alla citazione di Odofredo (Meijers, p. 240 n. 108) si è aggiunto finora solo un ricordo di Iacopo Bottrigari (D'Amelio, Indagini, p.104 n. 68). In questa situazione di così scarsa diffusione dell'opera romanistica di C., acquista un certo significato la glossa sulle Istituzioni del ms. di Roma, Bibl. Vallicelliana, D. 49, f 314v, siglata K.a.ro.lus, edita in Cortese-D'Amelio, Prime testimonianze, pp.85-86 n. 3) e quelle sul Digesto Vecchio contenuta nel ms. con additiones napoletane della Bibl. Ap. Vaticana, Arch. S. Pietro A. 31, f 158va, siglata K., in rubr. de condictione indebiti (D.12.6), dove il riferimento finale ("sicut ex improbitate nemo consequitur actionem, supra. de furtis. l. itaque [D. 47. 2.12]. K.") ci fa risalire in verità alle glosse sul Digesto Nuovo.

Ma se questo fu il limitato destino di C. romanista, ben diversa importanza acquista l'opera che egli compose nel secondo periodo della sua vita, cioè l'apparato o summa della Lombardia.Come già detto, numerose testimonianze (Neumeyer, Notizen, pp. 250 ss.) riportano al periodo 1208-1215 e collocano nel Regno di Sicilia la composizione di quest'opera. Si è già accennato anche alle testimonianze relative alla datazione e alla localizzazione reperibili internamente alle opere di Carlo. Vi si aggiunga ora un elemento nuovo, ma purtroppo non direttamente conclusivo, offerto da alcune pergamene, che confermerebbero la presenza di C. nel territorio beneventano tra il 1202 e il 1207 (breve richiamo in Cortese-D'Amelio, Prime testimonianze, p. 94 n. 32). Tra le pergamene Fusco, già appartenenti alla Società napoletana di storia patria ed ora acquistate dall'Archivio di Stato di Napoli (cfr. J. Mazzoleni, Le pergamene della Società napoletana di storia patria, I, Il fondo pergamenaceo del monastero di S. Maria della Grotta ed osservazioni sulle minuscole pregotiche dell'Italia meridionale, Napoli 1966 e, nella stessa collezione, la parte II dovuta a C. Salvati, Note di diplomatica sugli atti giudiziari, Napoli 1966), il più cospicuo dei fondi riguarda il monastero benedettino di S. Maria della Grotta o di Monte Drago "prope Toccum in diocesy Beneventana supra Vitulanum". Di fronte ad esso sorgeva il castello di Tocco, dove la presenza di un iudex fin dalla metà del sec. X proverebbe l'esistenza di una autonoma amministrazione. è appunto come iudex capuanus et toccensis che Karolus compare in tre pergamene del 1206 e del 1207 sui beni dell'abbazia: così nella perg. busta 3.AA.2 n. 23 del luglio 1206 in cui Carlo, insieme a Roberto ed a Guglielmo giudici, assiste ad una restituzione di 20 once d'oro beneventane da parte di Giovanni e Savarino, monaci della chiesa di S. Maria della Grotta, a Giovanni Franco de castello areole;così nella perg. busta 3.AA.2 n. 25 del 3 ott. 1206 in cui Carlo, giudice di Capua e di Tocco, assiste al pignoramento di un fondo sito in partibus vitolani da parte del milite Malgerio Postell contro Roberto, priore della chiesa di S. Maria della Grotta; così nella pergamena edita dalla Mazzoleni (pp. 25 e 27) in cui è lo stesso Carlo, giudice di Capua e ricordato poi nel 1209 come "magister Karolus", a donare al monastero una terra posta nel territorio di Tocco. All'ottobre 1202 ci riconduce invece una transazione, pubblicata dal Salvati (p. 34) dove appare ancora un "magister Karolus". Nulla indica, in verità, la coincidenza fra il giudice di Tocco ed il glossatore che negli stessi anni commentava la Lombarda, ma la ipotesi di lavoro non è forse da trascurare.

In questo periodo si pone comunque la composizione della somma della Lombarda, prima grande opera della giurisprudenza meridionale.

Essa ci è giunta in forma pressoché completa attraverso l'unica edizione datane nel 1537 da Giovanni Battista Nenna, sulla base di un manoscritto oggi perduto (su tutto ciò, Astuti, pp. 5-9). L'edizione, come del resto le numerose altre che ne seguirono in appendice al testo del Corpus iuris civilis fino al 1621, segue la divisione in tre libri comune alla Lombarda cassinese e alla volgata: il commento di C., invece, riguarda soltanto i primi due libri.

Che il manoscritto della Lombarda usato da C. si riferisse senz'altro al testo intero diviso in tre libri, appare chiaro non soltanto dalle citazioni interne delle singole glosse e dal confronto con i commentari trecenteschi di Biagio da Morcone; ma sopratutto da un elenco di libri, inviato nel 1345 da Guillaume de Rosières collector Sicilie al tesoriere pontificio Bertrand de Cosnac residente ad Avignone. Nel documento si citava un "quaternus summe Karoli super longobarda, qui incipit in nigro compositorum et finit in eodem ff. de questionibus l.…": si confermava in questo modo non soltanto l'intera paternità della summa di C., iniziante appunto con le parole "compositores" e con la gl. infiscentur citata nell'elenco, ma del proemio introduttivo dell'opera. Qui C. divide la materia della Lombarda in tre libri e li contrappone all'ordine seguito dal Codice giustinianeo ("in primo libro leges proprie ad delicta et ad eorum penam spectantes: secundo libro leges ad contractus pertinentes: tertio vero leges de episcopis et clericis et de ecclesiarum ordines loquentes"). Ma proprio sul terzo libro manca il commento. Il fatto che già Andrea Bonello pochi decenni dopo e poi Biagio da Morcone ricevessero l'opera in quella forma sembrerebbe escludere una perdita casuale ed orientarci invece verso una originaria incompiutezza.

La composizione della Summa di C. nel primo decennio del '200rivela un momento di profonda divergenza tra la esperienza scientifica settentrionale e quella meridionale. Nessun senso avrebbe avuto un tentativo del genere nella scuola bolognese, dove in effetti l'attenzione al diritto longobardo andava completamente spegnendosi. Le tracce statutarie e consuetudinarie che ne rimanevano restavano confinate ad opere vicine alla pratica, come in qualche questione di Omobono da Cremona (tra quelle contenute nel ms. Olomouc 70, su cui M. Boháček, pp. 384 ss.), nei Libelli civilistici di Roffredo (che, malgrado ne sia stato discepolo, non conosce l'opera longobardistica di C.), più tardi in qualche passo di Alberico da Rosciate. Si riflette così quell'attaccamento psicologico verso il diritto longobardo (M. Bellomo, Ricerche sui rapporti patrimoniali tra coniugi. Contributo alla storia della famiglia medievale, Milano 1961, cap. I) frequente nelle zone romanizzate.

Diverso il significato dell'opera di Carlo di Tocco. Dopo la scarsa produzione longobardistica precedente, ferma all'Expositio pavese ed a poche altre summulae, l'elaborazione e la fortuna successiva dell'apparato carolino alla Lombarda dipendono da un'organizzazione socio-giudiziaria e culturale favorevoli e funzionali all'esistenza di un regime giuridico dalle particolari caratteristiche feudali, come quello longobardo.

All'ambiente dei giudici e dei colti pratici del palatium beneventano sembrano avvicinarlo la citazione delle glosse di Persico (gl. non potest, Lomb.II, 21, 9) e degli usi beneventani (gl. vel ad tres, Lomb.II, 10; gl. aut ad curtem,Lomb.II, 11, 2;gl. sibi contentus, Lomb. II, 28, 1;gl. vadat, Lomb.II, 40, 3; gl. si quis focum, Lomb.I, 19, 2, in Olomouc 210, f. 12rb). Ma a dargli un respiro più ampio fanno fede le numerose glosse che fanno riferimento al Regno (gl. in presentia, Lomb.I, 1, 7; gl. siduo porcarii, Lomb.I, 7, 34; gl. si unus absconse, Lomb.I, 9, 3; gl. sine notitia, Lomb. I, 25, 1;gl. purificare, Lomb.I, 32, 3; gl. nec testis, Lomb.II, 51, 4; gl. licentiam habeant, Lomb. II, 51, 11).

Il fatto poi che si citino con dovizia nomi e dottrine di Piacentino, di Cipriano e di Giovanni Bassiano può far pensare ad un pubblico di uditori in parte già sensibili al richiamo dei maestri bolognesi. Questa ipotesi viene rafforzata oggi dal ritrovamento, nell'ambito di un ben noto manoscritto longobardistico - il già ricordato Olomouc 210-, di glosse di C. non siglate.

Vi si citano di nuovo Piacentino (ff. 22rb, 30ra), Cipriano (ff. 22va, 25va), Giovanni Bassiano (f. 23ra), e contemporaneamente si richiama l'ambiente meridionale con il già citato rinvio ad una consuetudine di Benevento (f. 12rb) e ad un dotario iure francorum regolato da una costituzione normanna, che offre anche la menzione della moneta tipica del Regno, il tarì (gl. nulli licentia, Lomb.II, 6, 1, f. 23vab).

Le glosse di C. corrispondentì all'edizione del Nenna del 1537 sono: gl. in l. si puella, Lomb.II, 2, 5, f. 23ra, corrispondente alla gl. exquirerant alla stessa legge; gl. in l. qui uiduam, Lomb.II, 6, 3, f 23vb, corrispondente alla gl. absolute in l. ut mulieres, Lomb.II, 7, 2;la gl. legem nella sunnominata legge, corrispondente alla stessa gl. absolute, Lomb.II, 7, 2; gl. suaserit in l. adueniente, Lomb.II, 8, 9 (8), f. 24vb, in parte corrispondente alla gl. solidoscentum alla stessa legge; gl. in rubr. qualiter mundualdus amittat mundium, Lomb.II, 11, f. 25va, corrispondente alla edizione; gl. in l. si quis longobardus sorores, Lomb.II, 14, 22 (231, f. 28ra, corrispondente all'edizione. In quest'ultima glossa è citato il longobardista Bar., già nominato da C. in altre glosse (Astuti, L'apparato, p. 20 e n. 21). L'identificazione di questo ignoto giurista ha dato molto da fare alla letteratura: qui si può solo aggiungere che la sigla del ms. olomucense potrebbe anche leggersi "Berar." o addirittura "Kar.", ma che si tratta comunque di un longobardista.

A queste glosse si aggiungeranno le due glosse longobardistiche siglate del ms. vallicelliano D. 49delle Istituzioni (f 319va, inc. "set quetitur si actor laudatus", corrispondente alla gl. revertantur, Lomb.II, 35, 1; allo stesso foglio la gl. queritur quomodo fideiussor, soloin parte riprodotta dal Nenna nella gl. abstulerit, Lomb. II, 21, 15). Al f. 314v viè ancora la già ricordata glossa romanistica sulle eccezioni (su tutto ciò, Cortese-D'Amelio, Prime testimonianze…).

In ambedue i manoscritti, dunque, elemento romano ed elemento longobardo si alternano. Anzi, una citazione di Giovanni Bassiano del ms. longobardistico di Olomouc sembra rinviarci al C. romanista dei commenti al Codice (Olomouc 210, f. 23ra, si menziona una distinzione di Giovanni che ritroveremo negli stessi termini nel ms. parigino Lat.4546, f. 26ra, C. 2.6.3).

In ogni caso la connessione tra il glossatore romanista e quello longobardista è sempre più stretta. Essa ricorda in qualche modo un processo analogo già verificatosi nella scuola bolognese verso la fine del XII sec., quando intorno ai nomi di Pillio e di altri anonimi autori che scrivevano sulle connessioni fra diritto longobardo e diritto civile si era formata una piccola letteratura raggruppata tra l'altro nel ms. vaticano Chig. E. VII.218. Mentre questi scritti civilistici tendono però alla riduzione del testo longobardistico, mentre cioè nella letteratura bolognese il testo legislativo andava sempre più contraendosi in una serie di questioni ed opposizioni relative al contrasto con il diritto civile, nell'opera di C. avveniva il processo opposto. Recepiti gli insegnamenti dei longobardisti settentrionali, C. ne trasforma e ne amplia le dottrine, dando loro un'impronta meridionale e romanizzata. Più che il primo libro, prende qui corpo il secondo libro della Lombarda, con le teoriche sugli sponsali, sulla famiglia ed il suo ordinamento, sui contratti, sulla prescrizione, sui feudi (cfr. la gl. laboraverit, Lomb.I, 1, 6, sul sacramentum fidelitatis, la gl. voluerit, Lomb.II, 18, 3, sugli status personali, la gl. de aliorum, Lomb.II, 34, 8, sulla giurisdizione feudale).

Anche la fortuna dell'opera longobardistica di C. seguì la posizione del diritto longobardo nel particolarismo giuridico del Regno di Sicilia. Pur nelle inevitabili tendenze a sottolineare il carattere rustico legato alla storia della feudalità longobarda, il fiorire di studi longobardistici che ebbe luogo fra il '200 e il '300 nel Mezzogiorno continentale partì dall'uso dell'apparato di Carlo. La storiografia giuridica ha messo in luce gli aspetti più rilevanti del rapporto del diritto longobardo con il feudalesimo meridionale. Resta però da dimostrare il collegamento fra il commento di C. e il suo lungo processo di applicazione nella prassi e nella dottrina del Regno, fino a divenire la "glossa ordinaria" della Lombarda.In effetti, un così stretto legame cominciò a svilupparsi solo a metà del '300: prima di allora la tradizione preferì rivolgersi all'opera di C. chiamandola ed adoperandola come una summa.Così ci è testimoniato da Andrea Bonello, le cui "differentiae" appaiono come poco più che un indice ragionato dell'apparato di C.; da Marino da Caramanico, che denominò l'opera di C. ora summa, ora commentum;da Bartolomeo da Capua e da Pietro di Monteforte in glosse romanistiche o nei commenti alla legislazione regia; infine, come s'è già visto, nell'indice inviato nel 1345 dal collettore di Sicilia alla Tesoreria pontificia. L'uso di questa prima terminologia contribuì anche all'equivoco del Genzmer, che immaginò l'esistenza di una summa de successionibus di C. sulla base di una citazione di Andrea Bonello, che rinviava, in realtà, all'opera intera, tit. de successionibus.Più tardi, i virulenti attacchi di molti dei dottori meridionali contro la fex longobardorum e la loro irrationabilis lex non riuscirono a nascondere l'autorevolezza ormai attribuita alla glossa di C., la cui funzione dogmatica venne perciò ribadita in tutta la letteratura meridionale, da Andrea di Isernia sino alla fine del '600.

Fonti e Bibl.: Bamberga, Staatsbibliothek, cod. Jur.15 (glosse al Digestum Infortiatum);Fulda, Hessische Landesbibl., cod. D. 4 (glosse al Codex);Metz, Biblioteca munic. (ms. bruciato nel 1944, glosse al Digestum Novum);Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, cod. Clm 22 (glosse al Codex);Parigi, Bibl. naz., Lat.4536 (glosse al Codex);Ibid., Lat.4546 (commento al Codex, ms., appartenuto a Pietro Pomayrolis, chierico di Béziers, scolaro a Tolosa alla fine del sec. XIV, poi a Napoli nei mss. del "la galiacza" della biblioteca dei re d'Aragona dopo il 1453); Roma, Bibl. Vallicelliana, D. 49, f. 314v (distinzione sulle eccez., ms. delle Institutiones);Stoccarda, Württemb. Landesbibl., Jur.fol. 71 (glosse al Codex);Bibl. Ap. Vaticana, Arch. S. Pietro, A. 31, f. 158va (glossa al Codex);Olomouc, Statnf Archiv, C.O. 210 (glosse alla Lombarda, non siglate); Roma, Bibl. Vallic., D. 49, f 319va (due glosse alla Lombarda siglate); Leges Longobardorum cum argutissimis glosis D. Caroli de Tocco sicculi: multis marginalibus postillis decorate addita fuere insuper ineasdem leges luculentissima commentaria domini Andree de Barulo, nec non annotationes clarissimi i.u. interpretis Nicolai Doctii, Venetiis, per Dominicum Lilium et fratres, impensis vero dni Melchioris Sessa, MDXXXVII (a pp. II-V l'introduzione del curatore G. B. Nenna ai lettori ed a Nicolò Bohier, 19 ott. 1536); Rofredi Beneventani Summula de pugna, a c. di F. Patetta, in Bibliotheca iuridica Medii Aevi, II, Bononiae 1892, pp. 75 ss.; Id., Libelli iuris civilis, a cura di D. Anselmi, Avenione 1500, passim;Biagio da Morcone, De differentiis inter ius Longob. et ius Romanorum tractatus, a cura di G. Abignente, Napoli 1912, passim;T.Diplovatatius, Liber de claris iurisconsultis, a cura di F. Schultz-H. Kantorowicz-G. Rabotti, in Studia Gratiana, X (1968), pp. 75 s.; F. De' Pietri, Dell'historia napolitana libri duo, Napoli 1634, II, pp. 193 s.; N. Toppi, De origine onmium tribunalium civitatis Neapolis existentium libri quatuor, Neapoli 1655 [-1666], I, lib. 3, cap. 10, p. 99 (avanza il dubbio che Carlo di Tocco possa esser originario sia d'Abruzzo che di Benevento, o della famiglia di Tocco); L. Giustiniani, Mem. istor. degli scrittori legali del Regno di Napoli, III, Napoli 1788, pp. 207-210; J. Merkel, Die Gesch. des Langobardenrechts, Berlin 1850, p. 41; F. C. von Savigny, Gesch. des römischen Rechts im Mittelalter, V, Heidelberg 1850, pp. 174-183; Id., Storia del dir. romano nel Medioevo, trad. it. a cura di E. Bollati, Torino 1854, II, pp. 325-329; M. Sarti-M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, Bononiae 1888-1896, I, pp. 98-100; F. Ehrle, Historia bibliothecae Roman. pontificum, I, Romae 1890, p. 764; H. Denifle, Archiv für Litteratur- und Kirchengesch. des Mittelalters, VI, 1892, p. 461; G. 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