DEL BALZO, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DEL BALZO, Carlo

Maria Paola Saci

Nato a San Martino Valle Caudina (Avellino) il 31 marzo 1853, da Francesco e da Marianna Finelli, studiò a Napoli nel collegio di S. Carlo, tenuto dai padri scolopi, poi all'istituto Martinelli; in seguito si perfezionò in lingue classiche.

Nel 1878 si laureò in legge all'università di Roma e iniziò ad esercitare la professione di avvocato. Discusse alcune cause, ma i suoi veri interessi lo condussero al giornalismo. Cominciò a collaborare con alcune riviste napoletane, quali L'Alcione, Mergellina e Crisalidi, inviando resoconti e impressioni di viaggio.

Nello stesso 1878 il D. si recò a Parigi, mentre si svolgeva l'Esposizione internazionale, e partecipò al congresso letterario ad essa legato; in questa sede si fece promotore di una Società letteraria internazionale, il cui progetto ricevette grandi consensi, tanto che si procedette subito alla fondazione della Società, di cui il D. divenne segretario. Ricoprirà questa carica per tredici anni e, in segno di stima, il governo francese lo nominerà poi "officier d'Académie".

Dall'Esposizione il D. inviò numerose corrispondenze ai giornali Roma capitale e Diritto, in cui si rivelò acuto osservatore dei costumi sociali e della vita quotidiana della capitale francese: questi appunti di viaggio verranno raccolti in volume col titolo Parigi e i parigini (Milano 1884).

L'esperienza del contatto con il vivace ambiente intellettuale parigino impresse un marchio nella sua formazione e nella sua attività futura: la cultura francese rappresentò per lui un punto di riferimento e un polo d'attrazione costanti.

Tornato in Italia fondò la Rivista nuova di scienze, lettere ed arti (Napoli 1879-1881), con l'intenzione di raccogliere intorno ad essa letterati e giornalisti di tendenza realista e verista per dare voce e diffusione a questi movimenti culturali. Il D. chiese la collaborazione di molti intellettuali per lo più del Meridione: G. Verga, L. Capuana, M. Serao, O. Ossani, V. Bersezio, G. Arcoleo, A. De Gubernatis, F. Verdinois, per citare solo i più noti, e tra gli stranieri, Max Nordau, J. Lermina, E. W. Foulques.

Rimasta in vita meno di tre anni, la Rivista nuova presenta un notevole interesse: vi si trovano alcuni articoli molto significativi, nei quali il D. insisteva sull'importanza del realismo in letteratura. Tra i più interessanti: la recensione a Giacinta di L. Capuana (30 giugno 1879), quella alla Nana di E. Navarro (15 agosto), che gli fornì lo spunto per invitare gli scrittori italiani a descrivere la vita della provincia, e, nel giugno ancora, il resoconto della conferenza di De Sanctis sull'Assommoir di Zola, nel quale sottolineava l'idea chiave del connubio reale-ideale. Sulla Rivista nuova vennero pubblicate per la prima volta anche due opere di Verga: La lupa e Cos'è il re; e, all'uscita di Vita dei campi (1880) e de I Malavoglia (1881), il D. scrisse due critiche entusiaste. Tra lo scrittore siciliano e il D. si era creato, in quegli anni, un rapporto di reciproca stima e affetto, del quale fa testimonianza un carteggio non folto ma cordiale, ancora in parte inedito. Il Verga teneva in gran conto i giudizi del D. e, in una lettera del 20 nov. 1889, affermava di preferirlo, come scrittore, al giovane D'Annunzio.

Chiusa la rivista, il D. si dedicò ad attività politiche e sociali, alle quali era strettamente connesso il capitolo di maggior impegno letterario della sua vita. Egli iniziò, infatti, a comporre i romanzi che formeranno il cielo intitolato I deviati. Studi di costume contemporaneo, con il quale egli voleva dare all'Italia qualcosa di simile alla Comédie humaine del Balzac. Ma, in realtà, il modello più prossimo per il D. è da ricercarsi, forse, nel ciclo dei Vinti progettato dal Verga. Fedele alla poetica del verismo, il D. intendeva descrivere fatti e misfatti del proprio tempo con obiettività fotografica. A questo programma ostava la sua vena di moralista e il suo stesso impegno politico nella Sinistra radicale, che lo inducevano a prendere apertamente posizione attraverso i suoi personaggi.

Il primo romanzo di questo ciclo fu Le sorelle Damala (Milano 1886), nel quale il D. analizzava "i deviati" dell'amore; con Gente di chiesa (Torino 1897) entrava nel mondo dei religiosi e dei loro problemi sessuali; con Dottori in medicina (Napoli 1892) prendeva di mira l'ignoranza e la malafede della casta dei medici. L'intreccio e le notazioni sociali divengono però molto più interessanti, anche a distanza di anni, quando il D. penetra negli ambienti e nelle situazioni che meglio gli sono noti: il mondo della politica "romana" e quello giornalistico, come avviene con Le ostriche (Milano 1901). In esso il D. imbocca la strada del "romanzo politico", un genere che avrà vita breve in Italia, ostacolato da avvenimenti storici che lo renderanno ben presto impraticabile, e che solo negli anni a cavallo del '900 trova dei cultori in M. Serao, E. Socci o nel Fogazzaro di Daniele Cortis.

La trama delle Ostriche è fornita dallo scandalo della Banca romana, in cui furono coinvolti, negli anni 1889-91, uomini politici e giornalisti. Al centro del romanzo sono le figure di Paolo Barnaba e di Leonida, nei quali i contemporanei non trovarono difficoltà a riconoscere rispettivamente F. Crispi e F. Cavallotti. Nel dissidio che oppone i due personaggi il D. si schiera apertamente dalla parte del secondo, chiamato a impersonare la causa dell'onestà morale e politica contro un Barnaba che inventa nemici sociali e intraprende guerre coloniali per distogliere l'attenzione degli Italiani dallo spettacolo della corruzione della classe politica. Nel romanzo figurano tutti i temi dell'impegno politico del D.: l'anticolonialismo, l'opposizione al presidente del Consiglio, che aveva spento nel sangue il movimento dei Fasci siciliani, la "questione morale" contro quelli che egli chiama i "meridionali affaristici", che alimentano la miseria del Sud attraverso il clientelismo e la corruttela.

La stessa tematica fa da sfondo a Soldati della penna (Milano 1908), di cui è protagonista l'onorevole Santelmo, deputato e giornalista, implicato nel medesimo scandalo.

Anche qui la realtà dei fatti storici è appena velata: il vero nome del personaggio cui il D. alludeva era infatti Rocco De Zerbi, la cui morte improvvisa durante l'inchiesta fece sospettare un suicidio. In questo romanzo il D. mostra una certa difficoltà a legare organicamente la fedeltà al "vero" dei fatti storici con gli intrecci fantastici - a volte troppo complicati - che vi crea intorno; anche il linguaggio è appesantito dai cascami tardoromantici e dall'abuso di francesismi. I suoi romanzi si raccomandano ugualmente alla nostra attenzione, come documenti di un'epoca, per l'acutezza e l'onestà con le quali sono osservati e descritti uomini e ambienti dell'Italia di fine secolo.

Il D., frattanto, militante nelle file del partito radicale e sostenitore all'interno della estrema Sinistra delle posizioni di Cavallotti, era stato eletto deputato nei collegi di Mirabella Eclano e di Jesi per le legislature XX e XXI (1897-1900 e 1900-1904). Come deputato, L. D'Ambra lo definì "il più grande interruttore al cospetto di Dio", ma "privo di fascini oratori". La sua azione alla Camera fu tutta a favore del suffragio universale tanto per le elezioni politiche quanto per le amministrative, e ostile al colonialismo. Di questa sua attività sono testimonianza le raccolte dei Discorsi commemorativi (Napoli 1899), pronunciati nei circoli popolari di mezza Italia in occasione del primo anniversario della morte di F. Cavallotti, ucciso in duello il 5 marzo 1898; i Discorsi popolari (Napoli 1903) e Le clientele locali (ibid. 1904). In campo letterario sono ancora da segnalare i volumi che raccolgono Poesie di mille autori intorno a Dante Alighieri (Roma 1889-1909) e i due volumi intitolati L'Italia nella letteratura francese (Torino-Roma 1905-1908), che documentano il suo costante interesse e simpatia per la vita culturale francese. Collaboratore della Nuova Antologia nei suoi ultimi anni, si spense a San Martino Valle Caudina il 25 apr. 1908.

Oltre alle opere già citate, si possono ricordare: Quartieri bassi, Napoli 1880; Roma, Milano 1882; Napoli e i napoletani, ibid. 1885; Mia madre, Roma 1887; Eredità illegittime, Milano 1889; Lettere a mia moglie, Roma 1903; Il piacere supremo, Milano 1904; L'ultima dea, in La Nuova Antologia, 16 ott. 1904, pp. 529 ss.; 1° nov. 1904, pp. 23 ss.; 16 nov. 1904, pp. 227 ss.; 1° dic. 1904, pp. 440 ss.; 16 dic. 1904, pp. 616 ss.; Gente nuova, Torino 1906; Sotto la toga, in Appendice a La Tribuna, Roma 1907.

Fonti e Bibl.: Bibl. prov. S. e G. Capone, Avellino, Manoscritti Del Balzo, a cura di M. Della Sala, Avellino 1974; A. De Gubernatis, Piccolo dizion. biografico, Firenze 1879, pp. 309 s.;G. Mazzoni, Rassegne letter., Roma 1887, pp. 260-64; L. D'Ambra, Le opere e gli uomini, Roma 1904, pp. 354-59; Il Parlamento italiano nel cinquantenario dello statuto, Roma 1908, p. 218; G. Lipparini, Cercando la grazia, Bologna 1906, pp. 491-95;Nemi, C. D., in Nuova Antologia, 1° luglio 1908, pp. 167 ss.; L. Russo, I narratori, Roma 1923, pp. 106 s.; G . Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, pp. 1050, 1322; V. Della Sala, Ottocentisti meridionali, Napoli 1935, pp. 118-21 e ad Indicem; B. Croce, La letter. della Nuova Italia, VI, Bari 1940, pp. 177-79; S. Pescatori, G. Verga: lettere ined. a C. D., in La Ruota, XVIII (1940), 6, pp. 227-46;G. C. Terzuoli, La vita parlamentare ital. nella letter. narrativa, in Belfagor, XI (1956), 6, pp. 654 ss.; M. Pomilio, La fortuna del Verga, II, Napoli 1963, pp. 88 ss.; A. Palermo, La letter. 1860-1930, in Storia di Napoli, X, Napoli 1964, pp. 548 s.; R. Bigazzi, I colori del vero, Pisa 1969, ad Indicem; C. A. Madrignani, Il secondo Ottocento, I, Bari 1975, ad Indicem.

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