BURAGNA, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BURAGNA, Carlo

Lovanio Rossi

Nacque a Cagliari, ove fu battezzato il 24 dic. 1634, da Giovan Battista e da Maria Cavada.

Il B., che aveva iniziato nella Sardegna gli studi, dopo l'interruzione causata dalle vicende familiari, li riprese a Napoli nel 1648 seguendo il latino, il greco e soprattutto la matematica, la geometria e la filosofia. Strinse amicizia con i giovani più promettenti della città e dovette ascoltare i seguaci del metodo galileiano, che daranno poi vita all'Accademia degli Investiganti, ottenendo buoni risultati, fin da quegli anni, nelle conoscenze scientifiche.

A Catanzaro, dove il padre era uditore regio dal 1653, rimase tre anni, amato e stimato dalle persone più colte, tra cui il giureconsulto Carlo Susanna, il suo futuro biografo, dando forse principio alle sue esperienze poetiche; seguì quindi il padre, nominato avvocato fiscale a Cosenza. In questa città ritrovò l'amicizia e la comunanza di ideali di Pirro Schettini, già suo condiscepolo a Napoli, in un ambiente aperto e sensibile agli studi, del quale era nobile espressione l'Accademia cosentina. I due amici si scambiarono rime aliene dall'esempio del marinismo, anzi tendenzialmente contrastanti con esso.

Nuove accuse all'operato del padre ricondussero il B. a Napoli verso il 1660. Ivi, sotto la guida del Cornelio, che diffondeva gli insegnamenti del Borelli, e del Di Capua, e in relazione di lavoro col D'Andrea, il Muscettola, l'Acciano, il Caraccio, l'Amenta, il Donzelli, partecipò alla costituzione e alle riunioni presso il marchese Andrea Concublet, dell'Accademia degli Investiganti, affermando lo antiaristotelismo ed esigenze di rinnovamento per la cultura napoletana della seconda metà del sec. XVII.

Un altro trasferimento del padre (intorno al 1663) lo condusse a Lecce per quattro anni, dedicati forse all'insegnamento, che riprese ancora a Napoli per sostentare la famiglia, ormai tutta a suo carico. Non tralasciava tuttavia le adunanze degli Investiganti, né il sodalizio con i migliori ingegni partenopei e componeva opere, delle quali, purtroppo, non ci è giunto che il ricordo del biografo.

Ce ne rimangono solo due pagine - oltre alla prefazione al Parere di Leonardo da Capua -, inserite nella raccolta dei suoi versi, che costituivano la breve prefazione a un'edizione del De rerum natura e in cui si accenna al metodo sperimentale e si intravedono gli spunti di una concezione materialistica. Il Susanna ricorda inoltre un Commentario al Timeo di Platone, delle Note nei frammenti di Archimede e nelle sezioni coniche di Apollonio Pirgeo, un De musicis tonis et intervallis e un Trattato di filosofia, che forse era il lavoro di maggiore impegno (ne dava notizia in due lettere - Magliab. VIII, 270, 4 e 8 - anche G. C. Costantini al Magliabechi, riferendo però che di esso si era trovato soltanto uno zibaldone: "cosa molto ingegnosa e nuova"). La trascuratezza di chi ereditò le carte del B. e forse la loro eterodossia dovettero essere la causa della loro perdita.

Dopo la morte del padre (1670), il B., che lo aveva amorosamente curato per lunghi anni, fu costretto a ricorrere alla protezione dei potenti: si adattò al servizio del principe Francesco Maria Carafa, nel cui palazzo di Napoli si trasferì con la madre. Proprio per il Carafa apprestò l'edizione delle Poesie, l'unica sua opera pervenuta fino a noi.

È una stampa napoletana senza data (circa 1683) di poche copie, divenuta rarissima, dalla quale furono riprodotti sette sonetti in varie raccolte successive. Comprende sessantanove composizioni in lingua (sessantatré sonetti e sei canzoni) e versi latini (traduzioni dal Della Casa e distici), seguiti dalla biografia del B. del Susanna, l'unica fonte di una certa ampiezza, ma piuttosto laudativa che sicura. Nelle rime è notevole l'adesione ai modelli del Petrarca e cinquecenteschi (Bembo), oltre che a quelli classici (Orazio), non senza l'affiorare, talvolta, di qualche reminiscenza dantesca. La correttezza e la misura dell'espressione, che rarissime volte cedono alla temperie marinista, hanno modi di una certa originalità e qualche calore. Sono, insomma, una manifestazione ben caratterizzata e notevole, anche se, più che per propri valori di arte, per il contrapporsi al gusto corrente.

Altre vicende dolorose, come la morte dell'amico Schettini (1678) e la perdita della salute, pur sopportata con stoica fermezza, lo condussero prematuramente alla morte, avvenuta in Napoli il 3 dic. 1679, fra il compianto della città e degli amici, che lo vollero seppellire nella chiesa di S. Maria alla Rotonda.

Fu assai lodato dai contemporanei, e dagli scrittori che li ripeterono, come un antagonista della poesia barocca e un restauratore della regolarità tradizionale - certo con fondamento, poiché agiva in un centro culturale di grande risonanza ed esaltato come "dottissimo" dallo stesso Vico, per la partecipazione agli studi e agli interessi scientifici degli Investiganti. Non restano tuttavia della sua produzione documenti sufficienti per assegnargli una posizione di primario rilievo.

Bibl.: F. Mango, Antimarinismo, Palermo 1888 passim;Id., Ancora dell'antimarinismo, Palermo 1890, passim;V.Caravelli, Pirro Schettini e l'antimarinismo, in Atti della R. Accad. di archeol., lett. e belle arti di Napoli, XIV (1889-90), pp. 172-199; C. Bertani, Il maggior poeta sardo. C. B. e il petrarchismo del Seicento, Milano 1905 (recensione di A. Boselli, in Arch. stor. sardo, II[1906], pp. 104-109); N. Badaloni, Introduzione a G. B. Vico, Milano 1961, passim;E.Garin, Storia della filos. ital., Torino 1966, pp. 869.

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