BRANCACCIO, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BRANCACCIO, Carlo

Arnold Esch

Appartenente alla nobile famiglia napoletana, miles e conte di Campagna, non sono note la data di nascita e le prime vicende della sua vita. Imparentato con il papa Urbano VI, la madre del quale era una Brancaccio, fu sicuramente da questo chiamato in Curia. Come ambasciatore pontificio si recò nell'estate del 1386 a Lucca per trattare questioni relative allo scisma e in quella del 1387 alla corte di Pavia: con tutta probabilità la missione doveva vertere sul grosso prestito concesso da Gian Galeazzo Visconti alla Camera apostolica e sul "caritativum subsidium" imposto dal papa al clero lombardo. Nell'autunno del 1388 fu anche alla corte della regina Margherita di Napoli come ambasciatore pontificio.

Già da tempo Urbano VI gli aveva affidato incarichi di notevole responsabilità anche nel governo dello Stato della Chiesa: nel 1381 era rettore della provincia di Campagna e Marittima, nel 1387-88 risulta ricoprire la carica di "reformator" (commissario pontificio munito di poteri eccezionali) nella provincia del Patrimonio di S. Pietro e nel ducato di Spoleto per combattere la ribellione degli Orsini, nel 1389 era capitano generale delle truppe pontificie nel Patrimonio e nel ducato di Spoleto. In quello stesso anno riappare come rettore della Campagna e Marittima e in tale qualità fu catturato dai Conti, signori di Segni e Valmontone. I suoi poteri si estendevano anche alle "Terrae specialis commissionis", a nord della provincia di Campagna e Marittima, inclusa la cittadella di Narni, come è attestato da un rimborso spese del 1390 coperto con un prestito della banca dei Medici.

L'importanza delle funzioni esercitate dal B. crebbe nel corso del pontificato successivo: già imparentato anche con il papa Bonifacio IX (come "consanguineus noster" è qualificato dal pontefice in vari documenti: Arch. Segreto Vaticano, Reg. Vat., 315, ff. 15r, 179r, 236r), questi legami di parentela risultarono ulteriormente rafforzati dal matrimonio con Caterinella della potente famiglia dei Filomarino, alla quale apparteneva anche la madre di Bonifacio (Reg. Lat., 17, f. 167v). Il nuovo papa gli confermò la carica di rettore di Campagna e Marittima (fino al 1391), oltre a quella di rettore di Todi, che insieme a Narni e Spoleto costituiva il principale caposaldo nello Stato della Chiesa tenuto dai Napoletani venuti al seguito del pontefice.

Che egli godesse di tutta la piena fiducia del papa si può desumere anche dagli altri incarichi che gli vennero conferiti: nel 1392-93 fu vicario di Perugia, cioè il più alto funzionario civile della città nella quale risiedeva in quel momento il papa; nell'estate del 1393 seguì ad Assisi il pontefice fuggito da Perugia (ancora nel 1406 Innocenzo VII, successore di Bonifacio, solleciterà ai Perugini il pagamento dei suoi stipendi). Nominato vicario pontificio ad Assisi, in tale qualità fu incaricato nell'autunno del 1393, insieme al cardinale Pileo da Prata e a Giovannello Tomacelli, di trattare la liberazione del fratello del papa Andrea Tomacelli, trattenuto in prigionia da Gentile Varano di Camerino. Nel maggio del 1394 l'instaurazione della signoria di Biordo Michelotti ad Assisi costrinse il B. a una nuova fuga. Nell'ottobre dello stesso anno il B. fu designato per un'ambasceria, probabilmente non avvenuta, incaricata di presentare al re di Francia Carlo VI i progetti di Bonifacio IX per superare il grande scisma d'Occidente, dopo che era morto il papa avignonese Clemente VII.

Nel 1395 rappresentò il papa alle solenni cerimonie per l'investitura di Gian Galeazzo Visconti a duca di Milano. Successivamente si trattenne alla corte di Pavia come ambasciatore pontificio presso il Visconti, del quale si conquistò la piena fiducia. Questa posizione assunse particolare importanza quando la lega franco-fiorentina del 1396 provocò un avvicinamento tra il Visconti e il pontefice. Con l'occasione di un'ambasceria siciliana presso la corte di Pavia, egli sembra abbia appoggiato nel 1396 il partito filoromano che in Sicilia si opponeva al pretendente avignonese Martino. Nel maggio del 1396 sì recò per incarico di Bonifacio IX a Palermo con il compito di rafforzare gli avversari di Martino. Per conto del Visconti d'altro canto appoggiò (ma invano) presso il papa l'incoronazione imperiale a Pavia del re dei Romani Venceslao.

Trasferendosi continuamente da Pavia a Roma e viceversa (nel dicembre del 1396 risulta a Roma, nell'aprile-settembre del 1397 a Pavia, quindi di nuovo a Roma passando per Pisa, nel maggio del 1398 fu a Pavia testimone della tregua conclusa tra il Visconti e Venezia), il B. restò, senza grandi interruzioni documentabili, il fiduciario delle due corti, fra le quali i rapporti divenivano tuttavia sempre più tesi, dopo che Gian Galeazzo ottenne nel 1400 la signoria di Perugia e Assisi e conquistò nel 1402 Bologna. Riuscì a conservare questa posizione anche dopo la morte di Gian Galeazzo, come provano le somme considerevoli prelevate per il suo mantenimento (Reg. Vat., 314, f. 309r; 315, ff. 179r, 236r; 317, ff. 274r, 313v; 320, f. 40r). Particolare rilievo assume in questo contesto il salvacondotto illimitato che gli fu rilasciato nell'aprile del 1402, "cum sepenumero de Longbardie partibus pro nostris et ecclesie Romane et aliis negociis ad almam urbem te venire ac ire et redire contingat" (Reg. Vat., 317, f. 314r). In Curia era considerato un ardente fautore dei Visconti, capace di influenzare il papa anche con il ricorso a notizie manipolate, come avvenne in occasione del contrasto che oppose Gian Galeazzo al re dei Romani Roberto del Palatinato. Bonifacio IX gli rinnovò il salvacondotto anche dopo la morte del duca (il B. seguì il funerale portando la salma) accreditandolo presso la duchessa vedova e la reggenza, ancora nel giugno del 1403, al momento dunque delle trattative segrete che avrebbero portato a quella pace separata di Caledio, che assicurò per un certo tempo l'esistenza dello Stato visconteo, con non poco disappunto di Firenze, ma nell'interesse del papa.

Nel corso del conclave dell'ottobre 1404, che portò all'elezione di Innocenzo VII, risulta come testimone nella capitulazione elettorale, e in seguito sembra essere rimasto al servizio della Curia. Durante l'ultima drammatica fase delle trattative per preparare un incontro tra Gregorio XII e Benedetto XIII, nell'aprile del 1408, si recò, come ambasciatore dei cardinali di obbedienza romana, da Lucca a Portovenere, per tentare di convincere l'altra parte ad accettare la sede di Pisa o di Livorno proposta da Gregorio XII. Dopo il fallimento di questa missione al quale contribuì l'irrigidimento di Gregorio XII, il B. abbandonò la Curia, come fecero i cardinali della famiglia Brancaccio devoti all'una o all'altra obbedienza. Il 13 giugno 1408 era già a Pisa, dove si riunivano i cardinali ribelli a Gregorio XII provenienti da Lucca. Il 9 maggio 1409 giurò come testimone al concilio di Pisa, ma non sembra che abbia rilasciato una deposizione. Alessandro V, il papa del concilio di Pisa, nell'agosto del 1409 gli concesse una pensione, eccezionalmente alta, di 1.200 fiorini annui per i meriti acquisiti nella conclusione dello scisma (Reg. lat. 136, f. 121v). Di lui non si ha più alcuna notizia.

Anche se fino ad ora la sua attività non è stata valutata adeguatamente, il B. fu certamente fra i più influenti diplomatici di obbedienza romana durante il grande scisma di Occidente. Il fatto che fu incaricato delle trattative con gli antipapi 1394 e nel 1408, è da ricondurre circostanza decisiva che i cardinali della sua famiglia si dividevano fra le due obbedienze: il cardinale Niccolò Brancaccio risiedeva in Avignone, il cardinale Rinaldo Brancaccio invece a Roma; tutti e due però concordavano nel desiderio di comporre lo scisma.

Fonti eBibl.: J. D. Mansi Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XXVI, Venetiis 1784, col. 1210; Regesti del R. Archivio di Stato di Lucca, II, Carteggio degli Anziani, a cura di L. Fumi, II, Lucca 1903, nn. 1320 s., 1378, 1577, 1715 s., 1855, 2156; G. degli Azzi Vitelleschi, Le relazioni tra la repubblica di Firenze e l'Umbria nel sec. XIV, in Boll.d. Deputaz. umbra di storia patria, X (1904), App., nn. 708-710, 737; Regesta Chartarum,Regesta delle pergamene dell'Archivio Caetani, a cura di G. Caetani, III, Sancasciano Val di Pesa 1928, p. 84; Acta Concilii Pisani, a cura di J. Vincke, in Römische Quartalschrift..., XLVI(1938), p. 147; J. Vincke, Briefe zum Pisaner Konzil, Bonn 1940, p. 58; Schriftstücke zum Pisaner Konzil, a cura di J. Vincke, Bonn 1942, pp. 83, 87; G. V. Boselli, Delle storie piacentine..., II, Piacenza 1804, p. 81; G. Lagumina, Enrico di Chiaramonte in Palermo dal 1393 al 1397, in Arch. stor. siciliano, XVI (1891), p. 304; G. Romano, I Visconti e la Sicilia, in Arch. stor. lomb., s. 3, V (1896), p. 32; M. Souchon, Die Papstwahlen in der Zeit des grossen Schismas, I, Braunschweig 1898, p. 284; N. Valois, La France et le grand schisme d'Occident, III, Paris 1901, p. 38; A. Cutolo, Re Ladislao d'Angiò-Durazzo, II, Milano 1936, p. 153; D. M. Bueno de Mesquita, Giangaleazzo Visconti Duke of Milan, Cambridge 1941, pp. 66, 182, 188; J. Favier, Les finances pontificales à l'époque du grand schisme d'Occident, Paris 1966, pp. 325, 444, 449; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, ad Indicem;A.Esch, Das Papsttum unter der Herrschaft der Neapolitaner: die führende Gruppe Neapolitaner Familien an der Kurie während des Schismas, in Festschrift für H. Heimpel (in corso di stampa).

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