Campo di concentramento

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

campo di concentramento

Stefano De Luca

Da prigione di guerra a luogo di sterminio

Utilizzati agli inizi del Novecento come prigioni di guerra per recludervi militari o civili dei paesi nemici, i campi di concentramento sono stati poi usati dai regimi totalitari per rinchiudervi coloro che, per ragioni razziali o politiche, erano considerati nemici da eliminare. In questa versione i campi di concentramento sono divenuti campi di lavoro, dove la disumanità del trattamento conduceva spesso alla morte, o campi di sterminio, dove si procedeva alla sistematica uccisione dei prigionieri

Dall'uso bellico a quello totalitario

La prima utilizzazione dei campi di concentramento per rinchiudervi civili risale alla guerra anglo-boera del 1900-02, quando gli Inglesi vi reclusero le famiglie dei guerriglieri al fine di domarne la resistenza. L'esempio fu seguito, durante la Prima guerra mondiale, dalla Germania e da altri Stati, allo scopo di controllare la popolazione civile sospetta. Anche gli Stati Uniti, dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbor, rinchiusero i Giapponesi residenti sul territorio americano in appositi campi.

Ben diverso è l'uso che ne avrebbero fatto i regimi totalitari di destra e di sinistra nel corso del secolo: questi utilizzarono, infatti, i campi di concentramento per imprigionare tutti i 'nemici' del regime ed eliminarli sistematicamente, tramite il lavoro forzato o ricorrendo a uccisioni di massa. Gli esempi più famosi di campi di lavoro e di sterminio sono i Lager nazisti e i gulag sovietici, dove sono morti milioni di persone, ma anche altri regimi totalitari ‒ come la Cina di Mao Zedong, la Cambogia di Pol Pot e il Cile di Augusto Pinochet ‒ hanno avuto il loro sistema concentrazionario.

I Lager nazisti

I nazisti (nazionalsocialismo) usarono i Lager (che in tedesco significa "campi") non appena giunsero al potere. Prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale ne esisteva già una cinquantina ‒ tra i quali Dachau e Buchenwald ‒ che ospitavano decine di migliaia di persone, tra oppositori politici e individui considerati asociali (omosessuali, tossicodipendenti, alcolizzati, criminali, portatori di handicap, malati di mente).

A partire dall'inizio della guerra, i Lager divennero lo strumento principale per l'internamento degli Ebrei. Ne vennero costruiti di nuovi, alcuni dei quali ‒ Auschwitz, Mauthausen, Treblinka ‒ sarebbero divenuti tragicamente noti. Gli Ebrei reclusi in essi venivano sottoposti al lavoro forzato e a inimmaginabili crudeltà, tra le quali esperimenti pseudoscientifici. Quando il regime prese la decisione di eliminare tutti gli Ebrei (la 'soluzione finale'), i Lager divennero vere e proprie 'fabbriche della morte', il cui compito era organizzare nel modo più efficiente l'uccisione e la sparizione di milioni di uomini, donne e bambini. Per uccidere venivano usate le camere a gas; per far sparire i cadaveri i forni crematori. In questo modo morirono 6 milioni di Ebrei.

I gulag sovietici

In Unione Sovietica i campi di lavoro accoglievano, verso la fine degli anni Trenta del Novecento, dai 10 ai 40 milioni di prigionieri. In questo caso la ragione non era razziale, ma politica: si trattava di tutti coloro che erano ritenuti ostili al regime comunista. Il suffisso lag ha lo stesso significato di Lager in tedesco, ma la parola Gulag è una sigla ‒ G(lavnoe) u(pravlenie) lag(herej), in russo "direzione generale dei campi" ‒ che indicava l'Ufficio centrale incaricato di controllare i numerosi campi di lavoro sparsi sull'immenso territorio sovietico (in particolare nella gelida Siberia).

Il campo della Kolyma sarebbe divenuto il simbolo di questo sistema concentrazionario, nel quale le condizioni di vita erano ai limiti della sopravvivenza: i prigionieri erano adibiti a lavori durissimi, in cave e miniere, nella costruzione di strade, ferrovie, aeroporti, fortificazioni e nella produzione di mattoni. L'esistenza dei campi di concentramento sovietici divenne di pubblico dominio soltanto negli anni Cinquanta: le atrocità commesse in essi divennero celebri grazie al resoconto che ne fece Aleksandr I. SolŠzenicyn, un famoso dissidente sovietico, nel libro intitolato Arcipelago Gulag (1973-75). Non disponiamo di dati esatti sulle persone morte nei gulag, ma sappiamo che il numero delle vittime è quantificabile in decine di milioni.

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