PUCCI, Camillo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PUCCI, Camillo

Francesco Franco

PUCCI, Camillo. – Nacque a Sarzana (La Spezia) il 16 agosto 1802, da Giuseppe Vincenzo e da Nicoletta Botti. Si trasferì quindi a Firenze, dove, nei primi anni Venti, frequentò l’Accademia di belle arti sotto la guida di Pietro Benvenuti. Nel capoluogo toscano studiò l’arte con particolare attenzione a Masaccio, Beato Angelico, Ghirlandaio e Andrea del Sarto (Pucci, 1847, p. 4).

Fra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta si stabilì a Roma (p. 6; Commone, 1999-2000, pp. 33, 786 s.). Nel 1831 realizzò il grande olio su tela Ritratto di Carlo Alberto di Savoia firmandosi «Cammillo [sic] Pucci» (proprietà della Galleria d’arte moderna di Genova attualmente esposto in comodato presso Palazzo Reale). Nel 1835 terminò il Martirio di s. Eutichiano (Sarzana, cattedrale, lato destro del presbiterio), di cui esistono due studi preparatori a olio (uno in collezione privata e un altro presso il Museo del Risorgimento di Torino; pp. 34-36, 366-384) dai quali si evince la chiara derivazione della tela dal Martirio del beato Signoretto Alliata del suo maestro Benvenuti.

L’opera, commissionatagli cinque anni prima (Sisti, 2010, p. 203), rivela l’influenza della pittura neoclassica di artisti come Jacques-Louis David, soprattutto per l’uso teatrale della luce, ma senza possedere l’equilibrio compositivo e la cura nella definizione delle architetture del maestro francese.

Nello stesso anno eseguì il piccolo olio su carta incollata su cartone Andrea Doria riceve la bandiera di combattimento, un bozzetto appartenuto a Maria Brignole Sale e donato al Comune di Genova nel 1889 (Genova, Galleria d’arte moderna; Giubilei, 2004, pp. 649, 886). Pucci si servì di questo studio per dipingere la tela coeva dal titolo omonimo, commissionata da Carlo Alberto di Savoia (Genova, palazzo Doria Spinola, sede della Prefettura, ufficio del prefetto; Olcese Spingardi, 1991, p. 977).

Nel 1837, grazie al marchese Carlo Emanuele Alfieri di Sostegno, intraprese un viaggio di istruzione a Parma, Milano e Venezia, per studiare e copiare le opere dei grandi maestri (Commone, 1999-2000, pp. 42 s., 798). Nel 1838 tornò a Roma per realizzare i cartoni degli affreschi per il santuario di Nostra Signora dell’Orto a Chiavari, approfondendo lo studio delle Stanze di Raffaello e della Cappella Sistina. Nel 1840 portò a termine le Storie della Vergine e i Profeti nella cappella dell’Annunciata, nel transetto sinistro del santuario (alcuni bozzetti preparatori si trovano in collezione privata; pp. 44-46, 426-464).

Nel 1842 realizzò Il beato Amedeo IX che con i figli distribuisce l’elemosina ai poveri e nel 1845 Manfredo marchese di Susa che ministra ai poverelli e pellegrini a mensa nel giovedì santo dell’anno 1021 (entrambi a Torino, Palazzo Reale, attualmente esposti rispettivamente nella galleria della Sindone e nella sala blu dell’appartamento dei principi di Piemonte), entrambi concepiti per celebrare la generosità della Casa sabauda nei confronti del popolo. Fra il 1842 e il 1845 dipinse Le stimmate di s. Francesco, collocato nella parrocchiale di Pollenzo, nel Cuneese, nel 1850 (pp. 470-474). Nel 1843 e nel 1845 partecipò rispettivamente alla II e alla IV Esposizione della Società promotrice di belle arti di Torino, come risulta dai cataloghi dell’epoca.

Nonostante prendesse parte a queste manifestazioni, nei suoi scritti fu estremamente critico con le società promotrici, colpevoli di fare lucro con quadri di genere, da lui definiti di «genere nullo» o «arte-mobilia», che venivano anteposti alle opere di maggiore qualità, operando una grande influenza sul gusto del pubblico (Pucci, 1847, pp. 61, 76-83).

Secondo la testimonianza del fratello, ebbe sempre un forte interesse per Giotto, Beato Angelico e Perugino, e proprio per questo si avvicinò al movimento dei puristi (Pucci, 1877, pp. 22 s.). Pucci condannava la pittura a «tocchi di colore» ed esaltava invece la capacità di portare la tela a una perfezione estrema in ogni particolare, affinché l’immagine avesse un grado di definizione analoga a quella del dagherrotipo (Pucci, 1847, pp. 27 s.).

In vari scritti si interessò anche dei problemi dell’educazione artistica nelle accademie, scagliandosi contro la corruzione nelle nomine dei professori, il nepotismo, il servilismo e la mancanza di selezione degli allievi meritevoli, spesso non istruiti o perfino analfabeti. I diplomati delle accademie, secondo le sue analisi non prive di fondamento, finivano con essere in sovrannumero rispetto alle possibilità lavorative effettive, cui lo Stato si disinteressava (pp. 6, 18-21, 29, 32, 50-52).

Si impegnò assiduamente per liberalizzare l’insegnamento nelle scuole, cercando di eliminare gli adempimenti burocratici, che riteneva inutilmente costosi per l’amministrazione e dannosi per la didattica. Si batté per ottenere che i docenti potessero svolgere programmi differenti da quelli imposti per legge. Asseriva la necessità dell’insegnamento sperimentale di principi di geometria e matematica applicati alle arti, oltre che dello studio di materie quali ornato, architettura e figura (Pucci, 1877, pp. 21-29). Nei suoi scritti polemici augurava quindi la «morte alle accademie», per come erano strutturate nell’Italia della metà dell’Ottocento, auspicandone la soppressione in favore dell’istituzione di commissioni pubbliche, dirette dagli artisti migliori, che affidassero direttamente gli incarichi lavorativi ai più meritevoli (Pucci, 1847, pp. 46, 57-60).

Pucci criticava anche i restauri affidati alla supervisione dei direttori delle accademie, colpevoli di far usare ai restauratori vernici pesanti che, legandosi con la pittura originale sottostante, provocavano con il tempo cadute di colore in capolavori a tempera quali, per esempio, la Deposizione e il Giudizio universale di Beato Angelico (all’epoca nell’Accademia di Firenze; pp. 23 s.).

Anche sulla scorta degli studi di Leopoldo Cicognara, criticava l’uso di restaurare a secco gli affreschi e la procedura tecnica del loro ‘strappo’ dai muri delle chiese, spesso con lo scopo di venderli all’estero (Mazzocca, 1996, pp. 276-282).

Fra il 1847 e il 1848 soggiornò a Firenze (Pucci, 1847, pp. 4-6; Mazzocca, 1996, pp. 274 s.). Dopo il 1848 non riuscì più a ottenere importanti commissioni e si dedicò maggiormente alla vita privata. Nel 1851 terminò la Madonna con il Bambino (Castelnuovo di Magra, chiesa di S. Maria Maddalena, altare della famiglia Pucci, quarto a sinistra; Sisti, 2010, p. 209 n. 20). Nello stesso anno sposò Daria, figlia dell’incisore Amedeo Lavy.

Nel 1856 prese parte alla XV Esposizione della Società promotrice di belle arti di Torino, nel 1858 all’VIII Esposizione della Società promotrice di belle arti di Genova e nel 1859 di nuovo alla XVIII edizione della Promotrice torinese, come risulta dai cataloghi dell’epoca.

Nel 1862 fu nominato cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Nel 1863 divenne padre di Roberto Luigi (Spreti, 1932, 2002, p. 532) e due anni dopo, nel 1865, subì la perdita della moglie.

Ricoprì vari incarichi istituzionali a Sarzana: nel 1865 fu tra i fondatori della Cassa di risparmio di Sarzana e l’anno seguente fondò la Società agraria, di cui fu anche presidente. Nel 1869 venne nominato cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.

Morì a Sarzana il 16 aprile 1869.

Dopo i funerali solenni la salma fu trasferita nel cimitero Monumentale di Torino, dove Pucci venne sepolto nella tomba di famiglia dei Lavy, accanto alla moglie Daria (Pucci, 1877, pp. 34-38).

Fonti e Bibl.: C. Pucci, Lettere di C. P. pittore sulle Accademie di Belle Arti in Italia dedicate al Signore March. Roberto Tapparelli d’Azeglio, Firenze 1847; S. Pucci, Notizie biografiche intorno al Cav. C. P. pittore, Sarzana 1877; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, Bologna 2002, p. 532.

O. Grosso, Mostra dei pittori liguri dell’Ottocento, Genova 1938, p. 39; P. Barocchi, Testimonianze e polemiche figurative in Italia. L’Ottocento. Dal bello ideale al preraffaelismo, Messina-Firenze 1972, pp. 199-202; F. Sborgi, L’Ottocento: ritardi di un’esperienza, in La pittura a Genova e in Liguria, II, Dal Seicento al primo Novecento, a cura di C. Bozzo Dufour, Genova 1987, pp. 391 s., 399, 421 e ad ind.; M.F. Giubilei, Federigo Alizeri critico militante…, in Federigo Alizeri (Genova, 1817-1882). Un conoscitore in Liguria tra ricerca erudita, promozione artistica e istituzioni civiche. Atti del Convegno 1985, Genova 1988, pp. 127-131; G. Beringheli, Dizionario degli artisti liguri…, Genova 1991, pp. 253 s.; C. Olcese Spingardi, P. C., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Milano 1991, p. 977; F. Mazzocca, Due testimonianze sul restauro in margine alla cultura dell’Antologia, in Ad Alessandro Conti (1946-1994), a cura di F. Caglioti - M. Fileti Mazza - U. Parrini, Pisa 1996, pp. 269-282 (con bibliografia); M. Commone, L’opera di C. P., tesi di laurea, Università degli studi di Genova, a.a. 1999-2000 (relatore prof. F. Sborgi; con bibliografia e documentazione); M.F. Giubilei, Galleria d’arte moderna di Genova. Repertorio generale delle opere, II, Firenze 2004, pp. 649, 886; B. Sisti, P., Belletti, Bontemps, in La cattedrale di Sarzana, a cura di P. Donati - G. Rossini, Venezia 2010, pp. 203-209 (con bibliografia nelle note).

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