Pazzi, Camicione de'

Enciclopedia Dantesca (1970)

Pazzi, Camicione (Camiscion) de'

Giorgio Petrocchi

Uberto (o Alberto) Camicione de' P. di Valdarno (v.), ghibellini. Non abbiamo notizie dirette che lo riguardino; in un documento (cfr. Davidsohn, Forschungen 387-388) è ricordato un Betto " quondam Guccii Dom. Uberti Camiscioni ". Un suo nipote Betto (o Bettino) partecipò con D. al convegno di San Godenzo (Davidsohn, Storia III 319).

Pare che fosse responsabile dell'uccisione di un suo parente, di nome Ubertino (se non fu un membro della famiglia Ubertini; cfr. Del Lungo, D. Compagni e la sua Cronica, II, Firenze 1889, 29). Ed è infatti personaggio della Caina; il dannato (un ch'avea perduti ambo li orecchi / per la freddura, If XXXII 52-53) che spiega a D. chi siano le due ombre insieme congiunte e che cozzano il capo l'un con l'altra (Alessandro e Napoleone degli Alberti), e indica altri dannati, Mordret, Focaccia, Sassolo Mascheroni, subito dopo dichiarando il proprio nome, affinché D. non abbia a farne specifica richiesta (E perché non mi metti in più sermoni, sappi ch'i' fu' il Camiscion de' Pazzi, v. 68), consapevole dell'enormità del proprio delitto, e tuttavia fiducioso e quasi lieto che una colpa ancora più grave (commessa da Carlino de' Pazzi) servirà a rendere più lieve la sua: e aspetto Carlin che mi scagioni, poiché a Carlino sarà destinata una zona più profonda del Cocito, e cioè l'Antenora.

Il personaggio di Camicione, pur nella rapidità della propria comparsa sullo scenario ghiacciato del Cocito, si rileva per il tono aspro e insolente della sua parlata. Eccellente è la chiosa del Momigliano: " [Carlino] è, con Reginaldo degli Scrovegni (XVII 64-73), il maggior denunziatore dell'Inferno... Parla con un piglio sgarbato, spavaldo, testardo, uguale dal principio alla fine, con frasi asimmetriche come la sua faccia dalle orecchie mozze mulescamente puntata verso il ghiaccio, ora fluenti in versi rapidi, ora chiuse in versi troncati a mezzo o bizzarramente ossitoni, tutte suggerite dal cinismo bestiale di chi è oramai incallito nella miseria e nella malignità della propria condizione ".

Bibl. - C. Grabher, in Lett. dant. 619-620; G. Varanini, in Lect. Scaligera I 1145-1147; A. Pézard, in Letture dell'Inferno, Milano 1963, 308-342.