CALDAIA

Enciclopedia Italiana (1930)

CALDAIA (dal lat. caldaria; fr. chaudière; sp. caldera; tedesco Kessel; ingl. boiler)

Bruno SETTI
Pietro Enrico BRUNELLI

Originariamente questo nome indicava il recipiente aperto, del quale l'uomo si serve per cuocere i cibi e per innumerevoli altri usi domestici e industriali. Nella caldaia aperta, conosciuta, quando è di piccola capacità, sotto il nome di pentola o marmitta, si compie, attraverso l'ebollizione, la vaporizzazione dell'acqua alla pressione atmosferica.

L'utilizzazione del vapore a pressione maggiore di quella ordinaria - prevista nell'eolipila di Erone di Alessandria, di Vitruvio e di Cardano; nelle b0mbe di Flumence Rivault (1600); nella turbina di Giovanni Branca (1629) - rimase allo stato di progetto fino a che nel 1681 col suo digestore Papin poté produrre vapor d'acqua a pressione maggiore di quella atmosferica. Egli ideò e costruì il suo apparecchio per cuocere le sostanze medicinali o alimentari a temperatura superiore a quella dell'acqua bollente. La pentola di Papin è stato il primo dei moderni autoclavi (v. pressione), ma quel robusto recipiente metallico, ermeticamente chiuso e munito di valvola di sicurezza a romano, può considerarsi la prima caldaia a vapore, che è appunto un recipiente chiuso, nel quale l'acqua si trasforma in vapore a pressione più o meno elevata.

Caldaia a vapore. - Il primo tentativo di applicazione industriale della caldaia a vapore fu fatto dal Savery per sollevamento d'acqua (1689) nelle miniere inglesi. Tuttavia, fino a che non venne la macchina di Watt la pressione del vapore non si spinse che lievemente sopra quella atmosferica. Per lungo tempo nel sec. XIX la tecnica delle caldaie a vapore si fissò sul tipo a bollitori, muniti da Watt di indicatori di livello e di manometro, mantenendosi le pressioni inferiori alle 4 atmosfere. Le numerose esplosioni di caldaie che si verificarono inspirarono l'invenzione delle caldaie dette inesplodibili, che sembrano aver avuto origine negli Stati Uniti d'America. L'introduzione delle caldaie a tubi d'acqua e i progressi delle costruzioni metalliche e della termodinamica applicata diedero più rapido sviluppo all'evoluzione delle caldaie a vapore, per cui si giunse a produrre e ad usare il vapore alla pressione di 10-12 ed eccezionalmente 16-18 atmosfere. In questi ultimi anni sono entrate nella pratica le alte e altissime pressioni da 50 a 100 atmosfere e ormai entrano nell'uso anche caldaie a 224 atmosfere (pressione critica). La caldaia a vapore costituisce oggi la parte essenziale di quel complesso sistema di apparecchi, che è il generatore di vapore, sistema nel quale l'energia termica posseduta dai combustibili viene trasformata in energia elastica del vapore d'acqua a pressione maggiore di quella atmosferica.

Si può dire che in un generatore di vapore sono riuniti due distinti circuiti: uno percorso dall'acqua e dal vapore; l'altro, potremmo dire in direzione contraria, percorso dal fuoco e dal fumo.

Lo schema della fig. 1 riunisce nel loro ordine gli apparecchi dei due circuiti. Nel primo affluisce l'acqua mandata da una pompa di alimentazione P; essa, dopo essere stata riscaldata nell'economizzatore E, entra nella caldaia C, dove viene trasformata in vapore; di qui il vapore passa nel surriscaldatore S, dove si riscalda ulteriormente prima di esser mandato negli appareechi utilizzatori. L'economizzatore può mancare e, quando si richiede soltanto vapore saturo, manca anche il surriscaldatore. Nel secondo circuito s'introduce il combustibile nel focolare F, dove si fa avvenire la combustione; i fumi, cioè i gas prodotti dalla combustione, percorrono dei condotti G, nei quali sono immersi la caldaia, il surriscaldatore, l'economizzatore, e vanno al camino T, il quale richiama l'aria necessaria alla combustione, e smaltisce il fumo.

Lo scambio di calore tra i prodotti della combustione e l'acqua e il vapore, avviene simultaneamente in tutt'e tre le forme conosciute di trasmissione del calore. L'acqua della caldaia assorbe una parte notevole del calore di combustione per irraggiamento attraverso a quella parte della superficie della caldaia, che è esposta al fuoco oppure alle murature incandescenti della camera di combustione. Dall'importanza dello scambio di calore per irradiazione deriva la moderna tendenza di elevare sempre di più la temperatura del forno. Il calore ricevuto dall'involucro della caldaia è trasmesso all'acqua per conduttività, così come avviene per il calore che cedono i prodotti della combustione lambendo le lamiere non esposte al fuoco. La corrente dei gas combusti verso il camino, dalla quale deriva la cessione del loro calore alle pareti più fredde della caldaia, e la stessa massa d'acqua in caldaia, che si muove per la variazione di densità dipendente dalle differenti temperature, compiono la trasmissione del calore per trasporto o convezione.

Per classificare le caldaie a vapore ci si può riferire alla mobilità o meno della caldaia (caldaie fisse, semifisse o locomobili), o al tipo di focolare (interno, esterno), o alla capacità, cioè al volume d'acqua contenuto, o all'uso cui è destinata la caldaia (caldaia terrestre, marina, da locomotiva, ecc). La classificazione riferita alla capacità comprende tutti i tipi di caldaie; essa è: a) caldaie a grande volume d'acqua o a grandi corpi: 100-250 litri per mq. di superficie riscaldata; b) caldaie a medio volume d'acqua o semitubolari: 50-100 l. per mq. di superficie riscaldata; c) caldaie a piccolo volume d'acqua o multitubolari 25-50 l. per mq. di superficie riscaldata. La grandezza di una caldaia, è definita dalla sua superficie di riscaldamento. La si misura in metri quadrati (nei paesi anglosassoni in piedi quadrati) ed è quella parte di superficie dell'involucro della caldaia che all'esterno è lambita dai prodotti della combustione e all'interno dall'acqua.

La produzione di vapore di una caldaia, o in altre parole la sua potenzialità, dipende dalla sua superficie di riscaldamento e stabilisce la quantità (kg.) d'acqua evaporata in un'ora e riportata a vapore normale. La stessa produzione di vapore, riferita al mq. di superficie riscaldata, ossia la produzione specifica di vapore, dipende dal tipo della caldaia, dalla minore o maggiore attività della circolazione interna, dalla relativa disposizione delle sue parti, dallo stato di pulitura delle superficie metalliche scambiantisi il calore, dalla temperatura di combustione, e dalla velocità dei gas caldi nel condotto del fumo (v. calore).

Il seguente specchietto riassume la produzione specifica media di vapore per i varî tipi di caldaie:

Naturalmente con il complemento degli economizzatori, dei preriscaldatori d'aria e del tiraggio forzato, la produzione specifica media raggiunge valori molto maggiori, che possono superare anche i 100 kg. di vapore per mq. ora. Sono pure numeri caratteristici di un generatore di vapore i rapporti tra la superficie del surriscaldatore, dell'economizzatore e della graticola, e la superficie riscaldata delle caldaie. La superficie totale del surriscaldatore è dal 20 al 50% della superficie riscaldata della caldaia. La superficie dell'economizzatore, invece, è compresa tra il 50 ed il 100% di quella della caldaia; è però frequente il caso in cui la superficie di quest'ultima sia minore della prima. La superficie della graticola, naturalmente per combustibili solidi, è 1/50 ÷ 1/70 di quella della caldaia se si devono bruciare carboni buoni (v. combustibili); ne è solo 1/25 ÷ 1/30 per combustibili poveri.

Il rendimento di un generatore di vapore è il rapporto fra la quantità di calore assorbita dall'acqua vaporizzata e la quantità di calore sviluppata dal combustibile bruciato. Esso è andato progressivamente aumentando (fino a superare l'85%) col perfezionamento degli apparecchi e con la sempre migliore applicazione industriale dei concetti termodinamici. Fra le perdite di calore che entrano nel computo del rendimento si comprendono: quelle per l'energia richiesta dai cosiddetti servizî, cioè dagli apparati di alimentazione, dai ventilatori per la tirata, e dai meccanismi dei focolari; quelle per il calore che irradia all'esterno l'insieme della caldaia e quelle non sopprimibili ma riducibili, dovute al calore che portano con loro il fumo caldo all'uscita dal camino, le ceneri, le scorie, e il combustibile incombusto che cadono caldi sotto il focolare.

Caldaie a grande volume d'acqua. - In esse sono comprese le semplici caldaie a focolare esterno ad unico corpo cilindrico orizzontale, tipo che tende a scomparire; e le caldaie, a focolare esterno o interno, costituite da un corpo cilindrico principale, collegato a mezzo di gambali con uno o più tubi bollitori, o attraversato da uno o due tubi focolari.

I tipi oggi più diffusi nei piccoli e medî impianti sono le caldaie Cornovaglia e Lancashire. La Cornovaglia (fig. 2) è costituita da un corpo cilindrico di diametro 1200-2000 mm. (mantello) nel quale l'acqua si trasforma in vapore; entro ad esso un altro anello cilindrico di diametro compreso tra 600 ed 800 mm. forma il tubo focolare. Questo è disposto eccentricamente al mantello per favorire la circolazione dell'acqua e anche per migliorare l'accessibilità dell'interno della caldaia.

I tubi focolari possono essere di forme diverse (fig. 3). La caldaia Galloway differisce dalla Cornovaglia solo in quanto il tubo focolare è attraversato da gambali conici all'esterno investiti dalla corrente ad alta temperatura dei prodotti della combustione e all'interno lambiti dall'acqua della quale favoriscono la circolazione. La caldaia Lancashire è una grande Cornovaglia di diametro 1800-2300 mm., nell'interno della quale sono posti non uno, ma due tubi focolari (fig. 4). Le caldaie Cornovaglia, Galloway, Lancashire e simili, sono chiuse in una camera di muratura, da cui sporgono solo il duomo e la facciata e in cui sono ricavati mediante diaframmi in muratura i condotti del fumo. La caldaia posa su pieducci (fig. 5), sopra un pavimento di mattoni collocato su una platea di calcestruzzo.

ll vapore prodotto in caldaia si raccoglie ordinariamente nel duomo di vapore (fig. 6), nel quale il vapore abbandona le bollicine d'acqua che esso trascina con sé nell'ebollizione. Sul duomo sono applicate le prese di vapore, le valvole di sicurezza e un'apertura ellittica, che serve a permettere l'entrata nell'interno della caldaia per la sua manutenzione (passo d'uomo). Il duomo può mancare e allora le prese di vapore, le valvole ed il passo d'uomo sono collocati direttamente sul fasciame.

Gli anelli del mantello delle caldaie sono sollecitati a pressione dall'interno verso l'esterno. Lo spessore delle lamiere di ferro o di acciaio dolce è determinato in base alle regole per lo spessore dei tubi, nelle quali si è introdotto un coefficiente per tener conto dell'indebolimento delle lamiere, dovuto ai fori dei chiodi, che uniscono tra loro i varî fogli di lamiera. I focolari interni sono invece sollecitati dalla pressione esterna. Lo spessore delle lamiere è perciò tanto più forte quanto maggiore è la distanza tra i rinforzi degli anelli. La varietà dei tipi di focolari è appunto derivata dalla ricerca di rinforzi che si prestassero a essere molto vicini e a non limitare eccessivamente l'elasticità necessaria al tubo focolare, per seguire le dilatazioni termiche.

S'incontrano anche caldaie doppie (fig. 7) formate da due caldaie a tubi di fiamma (Cornovaglia o Lancashire). La caldaia superiore può essere anche costruita con tubi da fumo.

Le caldaie a grandi corpi cilindrici si costruiscono fino a 60 mq. di superficie riscaldata, se con un solo tubo focolare, a 100÷140 mq. se con due focolari, 200÷250 mq. per le caldaie doppie. La pressione ordinariamente non supera le 14 atmosfere; il rendimento è basso (65÷75%). Per il loro grande volume d'acqua esse si prestano a sopperire a improvvise e forti richieste di vapore senza sensibile variazione della pressione interna.

Caldaie a medio volume d'acqua. - In questo gruppo sono comprese quelle caldaie nelle quali i prodotti della combustione vengono fatti passare attraverso a fasci di tubi metallici, immersi nella massa d'acqua da evaporare (caldaie a tubi di fumo). Questo tipo di caldaie (dette anche caldaie cilindriche o scozzesi), per la possibilità di escludere l'involucro esterno in muratura, è principalmente usato per le locomobili, le semi-fisse e le locomotive (v.) quale caldaia terrestre e quale caldaia marina.

Una caldaia verticale semifissa a tubi di fumo è illustrata nella fig. 8. Questo tipo di caldaie normalmente non supera i 10 mq. di superficie riscaldata. Nella caldaia di tipo Tosi a focolare ondulato (fig. 9), il fascio di tubi è collocato tra i fondi della caldaia, ed è percorso dal fumo nel secondo giro; perciò tale caldaia riceve anche il nome di caldaia a ritorno di fiamma. Il fascio tubolare sostituisce la parte del tubo focolare oltre la graticola nella caldaia semifissa Wolf (fig. 10), con fascio tubolare estraibile. Le caldaie semitubolari, benché abbiano il difetto di prestarsi male ad una buona pulitura interna, presentano però il vantaggio di occupare uno spazio assai minore di quello che non occupino le caldaie a grande volume d'acqua. Per il loro relativamente piccolo volume d'acqua si possono rapidamente riscaldare e mettere in esercizio. Non hanno per lo più grande superficie riscaldata, che ordinariamente non supera i 100-150 mq.; fanno eccezione le caldaie da locomotiva o marine che raggiungono anche i 300 mq. Lavorano a pressione di circa 15 atmosfere e hanno un rendimento aggirantesi sul 70%. Questo tipo di caldaia è spesso usato come caldaia a recupero di calore di altri impianti termici.

Caldaie a piccolo volume d'acqua. - Sono quelle, nelle quali l'acqua circola all'interno dei tubi, che sono lambiti dai gas caldi della combustione all'esterno (caldaie a tubi d'acqua).

La caldaia Field (fig. 11) ne rappresenta un piccolo esemplare, caratteristico per la forma dei tubi; nella costruzione corrente essa non supera i 10 mq. di superficie riscaldata.

La più caratteristica e più diffusa caldaia a tubi d'acqua può esser titenuta la Babcock e Wilcox (figg. 12, 13). Il fascio di tubi vaporizzatori, disposto con inclinazione di circa 15°, è limitato da collettori separati ondulati (caldaia a sezioni) in modo che la disposizione trasversale dei tubi, risulta a quinconce. Il corpo cilindrico superiore è simile a quello delle caldaie Cornovaglia; è unito ai collettori con brevi tratti di tubi rettilinei; il fascio di tubi è attraversato da diaframmi in muratura refrattaria, che guidano i prodotti della combustione in modo da costringerli a lambire più completamente ed uniformemente i tubi vaporizzatori delle zone a temperatura diversa e pressoché costante. Una corrente discendente d'acqua più fredda si forma nei collettori posteriori; da essi l'acqua, via via sempre più riscaldata, sale vaporizzandosi verso i collettori anteriori, e di qui raggiunge il corpo superiore ove si separa il vapore. La disposizione tipica della caldaia Babcock e Wilcox, subisce opportune modificazioni per adattaisi alle peculiari esigenze dei singoli impianti. Così, ad esempio, è molto diffusa la disposizione (tipo marino) delle parti illustrata con la fig. 14. Il corpo cilindrico superiore è disposto trasversalmente al fascio di tubi e una delle testate comunica con esso per mezzo di tubi pressoché orizzontali, disposti al disopra del surriscaldatore.

A queste caldaie, a seconda della grandezza, della destinazione e della disposizione si possono adattare focolari di tipi diversi.

La caldaia tipo Babcock e Wilcox ha raggiunto grandezze impensate. Non sono rari gl'impianti di caldaie che hanno la superficie riscaldata superiore ai 2000 mq. Nella centrale Cecil Plant di Pittsburg è installata una caldaia Babcock e Wilcox di 3040 mq e a Detroit delle caldaie di 4000 mq. Con la grandezza si è anche elevata la loro pressione di esercizio che non si ritiene più eccezionale se sulle 40 atmosfere. La produzione specifica di vapore, mentre normalmente si aggira sui 20÷30 kg. di vapore, può toccare senza pericolo i 40 kg. per mq. Il rendimento della sola caldaia si tiene intorno al 65%, ma col complesso dell'economizzatore e del surriscaldatore esso supera facilmente l'80%. Il tipo si adatta a sopportare altissime pressioni, naturalmente riducendo i diametri delle parti componenti per avvantaggiare la loro resistenza. E infatti dalle officine Babcock e Wilcox degli Stati Umiti, fin dal 1916, fu iniziata una serie di prove su caldaie a serpentino e su caldaie normali che assicurarono all'America la precedenza dell'impulso industriale dato alle alte pressioni.

Una caldaia a tubi sub-orizzontali a sezioni ondulate ad alta pressione di costruzione Steinmüller è illustrata nella fig. 15. Il fascio tubolare è suddiviso, nel senso dell'altezza, in fasci parziali. Il primo costituisce la parte detta da alcuni "del colpo di fuoco" per la sua esposizione all'irradiazione del focolare. Tra le suddivisioni del fascio di tubi si intercala talvolta il surriscaldatore. Vi sono due serbatoi superiori trasversali: uno dei serbatoi riceve e distribuisce l'acqua di alimentazione, mentre l'altro costituisce la camera di raccolta del vapore saturo. I due corpi cilindrici sono sospesi al solaio della camera muraria mediante collari e tiranti cosicché sono possibili i movimenti dovuti alle dilatazioni e contrazioni termiche. Naturalmente i serbatoi superiori sono riuniti mediante fasci di tubi per ottenere in essi la necessaria identica distribuzione della pressione e quindi la disposizione dell'acqua allo stesso livello nei due bollitori.

Allo scopo di rendere più rapida la circolazione dell'acqua e quindi di accelerare la produzione del vapore proporzionatamente alla sempre crescente temperatura nelle camere di combustione, si sono introdotte le caldaie a tubi d'acqua ripidi e verticali. La caldaia Stirling può essere ritenuta il prototipo delle prime. In essa il circuito dell'acqua in vaporizzazione appare in certo modo distinto da quello dell'acqua di alimentazione, ché questa percorre, prima d'inserirsi in quello, un circuito di riscaldamento. Si costruiscono ora caldaie Stirling a tre collettori (fig. 16) che, per il loro minor ingombro, vanno sostituendo il tipo originario a cinque collettori. I corpi cilindrici disposti parallelamente alla facciata della caldaia sono collegati per mezzo di fasci di tubi inclinati. L'alimentazione si fa nel collettore superiore posteriore, sopra il quale è disposto anche un bariletto per la raccolta del vapore saturo. I singoli fasci tubolari hanno sezione tale che risulti all'incirca costante la velocità di circolazione dell'acqua in tutti i punti del circuito; essi sono anche variamente inclinati, cosicché il fascio anteriore espone una maggiore superficie a ricevere il calore trasmesso per irraggiamento dal focolare e a essere investita dai prodotti della combustione a più alta temperatura. La sospensione di tutta la caldaia per mezzo dei corpi superiori lascia libere le dilatazioni. Queste caldaie si possono accoppiare per formare unità di grande superficie com'è, p. es., nelle centrali di Genevilliers e Saint-Ouen a Parigi dove sono installate unità di 2100 mq., e che, munite di griglie Riley, dànno un rendimento del 73%, senza economizzatore. Nelle Stirling a tre collettori la produzione di vapore può raggiungere, se con l'economizzatore, i 30-40 kg. per mq.-ora in marcia normale e anche i 60 kg. per mq.-ora in marcia spinta.

Alla fig. 17 è illustrata una grande caldaia a tubi sub-verticali, a carbone polverizzato, installata nel 1929 nella centrale dell'East River della New York Edison Company. L'economizzatore fa parte integrante della caldaia; il focolare è rivestito di uno schermo di tubi d'acqua ed 11 corpi cilindrici: la superficie riscaldata di questi è 5640 mq., quella dei tubi del focolare 680 mq.; può evaporare 570.000 kg. d'acqua in un'ora.

Una caldaia a tubi ripidi, di costruzione Tosi, è illustrata nelle figure 18 e 19; in esse è segnato anche l'economizzatore a tubi lisci di ghisa e il camino a tiraggio meccanico. I tubi curvati all'estremità e introdotti radialmente nei corpi della caldaia e fissati mediante mandrinatura, assicurano una buona dilatazione elastica.

La società E. Breda costruisce per l'Italia la caldaia Humboldt (fig. 20). Essa è l'unica che abbia i corpi cilindrici (due o più a seconda della grandezza della caldaia) disposti tra loro perpendicolarmente. Quello superiore è situato nel senso longitudinale del generatore, cioè secondo la direzione della circolazione dell'acqua, mentre quello inferiore è messo trasversalmente al focolare. Tale disposizione impedisce la variazione di livello, che si genera nei collettori per effetto della corrente ascendente nella parte anteriore e della corrente di ritomo nella parte posteriore della caldaia. La caldaia Humboldt richiede di essere accoppiata a buoni e grandi economizzatori. Ha buon rendimento proprio superiore al 75%, e forte intensità di vaporizzazione (in marcia normale kg. 30÷35 per mq.-ora).

Lo sviluppo delle caldaie a tubi sub-verticali è dovuto, come si è accennato, alla possibilità di raggiungere elevate temperature dei gas di combustione. Alimentate con acqua distillata, possono dare 4550 kg. di vapore per mq.-ora. Ciò corrisponde a una produzione assai rapida nei primi fasci esposti alle fiamme, pari quasi a 100 kg. per mq.-ora. Per la pronta vaporizzazione e anche per la non trascurabile massa d'acqua si possono superare le punte d'esercizio qualunque ne sia la durata, sempre che la loro importanza non superi la produzione della caldaia in marcia spinta per la quale s'intende una produzione, che può essere maggiore della normale dal 20 al 50% e anche più (in America si parla di produzioni del 400-500% della normale, perché quest'ultima si calcola con criterî diversi dagli europei). Il loro limitato ingombro, riferito all'intensa produzione, realizza la possibilità di grandi potenze unitarie.

Caldaie ad altissima pressione. - La tendenza ad aumentare la temperatura di vaporizzazione dell'acqua, ha portato con sé l'applicazione delle alte pressioni nei gruppi evaporatori. I tipi descritti, senza modificazioni fondamentali, sono stati copiati per molte caldaie ad altissima pressione e queste in qualche caso non si distinguono se non per i minori diametri degli elementi, tubi e collettori, e per il maggiore spessore delle lamiere.

A esempio di ciò s'illustra (fig. 21) una caldaia Steinmüller a tubi verticali per alta pressione. In essa non si notano che alcuni accorgimenti per facilitare la circolazione dell'acqua e per assicurare un certo volano d'acqua onde accrescere l'elasticità del gruppo. È da osservare più che tutto la costruzione dei corpi superiori in un unico pezzo forgiato con fondi emisferici. I corpi cilindrici forgiati sono assai costosi; essi possono rappresentare anche il quinto del prezzo globale d'un gruppo generatore; sicché per pressioni superiori a 35÷40 atmosfere la loro applicazione è impossibile.

I tipi di caldaia ad alta pressione sono scelti in relazione con la natura del carico cui devono sopperire e col quale varia anche la pressione più economica che, allo stato attuale della tecnica, va dalle 30 alle 80 atmosfere e anche più.

Così si hanno caldaie a tubi verticali e circolazione libera a più collettori (Hanomag, Schmidt); caldaie a tubi sub-orizzontali, a sezioni, con unico (Babcock e Wilcox) o con più collettori (Borsig); caldaie a tubi verticali a sezioni (Duquenne, Sulzer, Wood).

La separazione naturale del vapore dall'acqua avviene difficilmente al disopra delle 100÷110 atmosfere di pressione, perché la circolazione interna della corrente emulsionata acqua e vapore, come mostrano speciali esperienze della Babcock e Wilcox, diviene troppo lenta. Si rende di conseguenza necessaria sopra le 110 atmosfere la circolazione forzata per facilitare la separazione del vapore. Nelle principali soluzioni del problema della circolazione forzata s'impiegano dispositivi meccanici (caldaie Atmos e Becker); oppure si separano nel tempo la circolazione dell'acqua e del vapore (inviando periodicamente l'acqua calda in un recipiente di vapore ad altissima temperatura o anche sopra una superficie metallica calda si ottiene la vaporizzazione immediata); oppure si sostituisce all'acqua un fluido ausiliario (vapore saturo o surriscaldato) a circolazione rapida, che fa da supporto provvisorio del calore che poi cede al vapore ammesso alle macchine utilizzatrici.

Nella caldaia Atmos, ideata dallo svedese Blomquist, la rotazione continua degli elementi vaporizzatori, assicura, in virtù della forza centrifuga che spinge l'acqua contro le pareti, la separazione del vapore al centro dei rotori. Questi rotori (fig. 22) sono tubi orizzontali del diametro di 200÷250 mm. messi in rotazione rapida nei tipi originali (300 giri al minuto) per mezzo di opportuni ingranaggi. Essi sono disposti nella camera di combustione in modo da ricevere la massima quantità di calore per irraggiamento. L'acqua viene immessa, riscaldata preventivamente fino alla temperatura di ebollizione, in quantità minore della capacità di ciascun tubo, ed è trascinata in rotazione da alette disposte nell'interno dei tubi. Sotto l'azione della forza centrifuga, l'acqua, per il suo peso specifico più elevato, si dispone in forma di anello contro la parete, mentre le bollicine di vapore si raccolgono nello spazio centrale e vanno agli apparecchi utilizzatori uscendo dall'estremità opposta a quella di entrata dell'acqua. Con l'aumentare della pressione la differenza fra il peso specifico dell'acqua e quello del vapore diminuisce, fino ad annullarsi alla pressione critica; per conseguenza diminuisce la velocità di separazione del vapore ed è necessario regolare la velocità di rotazione in relazione alla pressione impiegata. Il complicato dispositivo meccanico per assicurare e controllare il funzionamento regolare dei rotori, la loro dilatazione e la tenuta, è stato dalla Société Alsacienne de Constructions Mécaniques assai semplificato eliminando la spinta assiale dovuta alla differenza di pressione fra l'uscita del vapore e l'opposta entrata d'acqua col riunire queste nella stessa estremità dei rotori e riducendo la velocità di questi ultimi intorno ai 30 giri per minuto. Il rendimento di un'installazione nella fabbrica di cellulosa di Fors (Svezia) è risultato per tutto l'assieme, rotori, surriscaldatore, economizzatore, dell'80%. Si sono date cifre molto elevate di vaporizzazione (più di 300 kg. per mq.) che tuttavia non sembrano sufficienti a provare la superiorità della caldaia Atmos, sui tipi vecchi adattati a pressioni elevate, né l'applicazione di essa è uscita, all'infuori di qualche sporadico caso, dal campo sperimentale.

Mark Benson ha evitato la difficoltà della separazione del vapore sopprimendo l'ebollizione, riscaldando l'acqua alle condizioni di pressione e di temperatura critiche (224 atmosfere - 374°), cui segue un aumento di volume pari al triplo di quello iniziale e la trasformazione istantanea in vapore, senza ulteriore cambiamento di volume, ossia senza assorbimento di calore latente. La caldaia di tipo Siemens-Benson, è costituita da una serie di tubi lunghi 28 m., di piccolo diametro, nei quali è mandata l'acqua a pressione leggermente superiore a quella critica. L'acqua si riscalda progressivamente, circa nei 9/10 del suo percorso, fino a 374° aumentando al triplo il suo volume iniziale. Raggiunto lo stato critico, nell'ultimo decimo del percorso si ha un surriscaldamento a 390°-400°. La camera di combustione a disposizione cilindrica verticale è riscaldata a carbone polverizzato e i prodotti della combustione sono richiamati al camino attraverso i surriscaldatori (uno o due) e il preriscaldatore d'aria. Il vapore allo stato critico e surriscaldato a 400° non è direttamente utilizzabile, per l'immediata condensazione che si produrrebbe. Si fa espandere il vapore fino a 105 atmosfere senza sviluppare lavoro attraverso una valvola di riduzione; lo si surriscalda nuovamente a 450° circa prima di mandarlo alla turbina d'alta pressione. Di qui lo si ricupera a 14 atmosfere, si surriscalda una terza volta fino a 350° e infine si fa espandere fino alla pressione del condensatore. La caldaia Siemens-Benson (figure 23 e 24, ciclo alla fig. 25) può essere considerata un surriscaldatore ad altissima pressione. L'inventore si ripromette un rendimento globale del ciclo del 28-30%, ma non bisogna dimenticare la notevole energia che deve assorbire la pompa di alimentazione e la delicatezza e difficoltà del surriscaldamentd ad altissima pressione.

Nella caldaia Löffler (fig. 26) si riscalda, alla pressione d'impiego, il vapore surriscaldato in serpentine e lo si fa gorgogliare nell'acqua da vaporizzare, della quale provoca così la vaporizzazione. Il vapore saturo prodotto è mandato nel surriscaldatore e di qui parte va alle macchine e parte ritorna nel ciclo di vaporizzazione. L'avviamento si fa con vapore prodotto separatamente.

La caldaia Schmidt (fig. 27) è un doppio generatore ad alta pressione: uno a serpentino, in circuito chiuso, nel quale si produce del vapore saturo a 300°, che, cedendole il calore assorbito nel focolare, vaporizza, a pressione più bassa, l'acqua del secondo generatore che alimenta le macchine motrici. Fu applicata con successo anche alle locomotive.

Surriscaldatori. - Servono ad essiccare il vapore umido che esce dalla caldaia e a portarlo a temperatura superiore a quella di saturazione. Si fissa così una maggior quantità di calore per ogni kg. di vapore e quindi si riduce la quantità di fluido necessaria per una certa potenza. Con un alto surriscaldamento il rendimento delle motrici a vapore, per la ritardata apparizione dell'acqua di condensazione, è molto migliorato. I surriscaldatori possono essere indipendenti, cioè possedere un focolare proprio, o essere incorporati nella caldaia. I surriscaldatori indipendenti non sono ormai utilizzati che ove le caldaie non possono dare che vapore saturo o dove si debbano raggiungere altissimi surriscaldamenti (500°). I surriscaldatori formanti un unico insieme con le caldaie sono inseriti nel primo percorso del fumo. Essi sono costituiti da piccoli tubi d'acciaio dolce ripiegati a serpentino e raggruppati per mezzo di due collettori: uno collegato alla caldaia, l'altro alla condotta di vapore.

La circolazione relativa del fumo e del vapore (fig. 28) può essere: 1. a correnti del fumo e del vapore equiverse; 2. a correnti contrariverse; 3. a circolazione mista, cioè a correnti equiverse nel primo tratto e contrariverse nel secondo tratto. Con la circolazione a correnti equiverse i prodotti della combustione più caldi cedono calore al vapore saturo, che va aumentando via via di temperatura. La differenza di temperatura tra fumo e vapore e, quindi, lo scambio di calore va diminuendo verso il termine del surriscaldatore. Una buona trasmissione del calore è favorita con la circolazione a controcorrente, perché la differenza di temperatura si mantiene alta dal principio alla fine del surriscaldatore. Le alte temperature (800÷9000) portano a un rapido consumo dei tubi surriscaldatori. L'inconveniente è attenuato con la circolazione mista. Il fumo più caldo incontra il vapore prima saturo e poi a temperatura man mano più alta; nella seeonda parte incontra prima il vapore più surriscaldato e poi via via meno caldo. Questi surriscaldatori possono trovar posto all'uscita dei tubi focolari delle caldaie Cornovaglia e simili. Nelle caldaie a tubi d'acqua sono disposti orizzontalmente o verticalmente fra il primo e il secondo giro del fumo in ambiente a temperatura altissima, ma fuori del contatto delle fiamme.

Il grado di surriscaldamento dipende dalla lunghezza del surriscaldatore; il limite della temperatura di surriscaldamento, derivante dalla resistenza dei tubi, è allo stato attuale di 450÷460°. Le variazioni della temperatura di surriscaldamento, provenienti dall'irregolarità della richiesta, si regolano o strozzando il surriscaldatore o mescolando al vapore acqua o vapore saturo; a ciò provvedono regolatori automatici. Secondo il Turin un surriscaldatore, collocato circa a metà della superficie della caldaia dà un surriscaldamento fino a 250° se ha superficie uguale al 12-15% di quella della caldaia e fino a 300° se uguale al 20-25%.

Economizzatori e preriscaldatori dell'acqua di alimentazione. - Hanno lo scopo di preriscaldare il più possibile (anche fino alla temperatura di ebollizione) l'acqua di alimentazione utilizzando il calore dei prodotti della combustione uscenti dalla caldaia, raffreddando questi fino al di sotto di 200°.

Il prototipo degli economizzatori è quello Green (fig. 29) introdotto in Inghilterra fin dal 1840. È un insieme di tubi di ghisa disposti verticalmente e riuniti in sezioni di 4, 6, 8, 10, 12, per mezzo di due tubi collettori trasversali, uno inferiore e uno superiore. Le singole sezioni sono collegate in basso da un tubo distributore dell'acqua fredda, cui sono fissati i collettori trasversali, e in alto da un tubo collettore dell'acqua calda, al quale fanno capo tutti i collettori superiori. Ogni tubo è munito di un raschiatore fatto salire e scendere lentamente per mezzo di catene e verricelli mossi da motore elettrico per impedire che la fuliggine aderisca alla parete esterna dei tubi, ciò che ridurrebbe notevolmente lo scambio di calore tra fumo e acqua. Nelle figure precedenti sono rappresentati anche economizzatori a tubi orizzontali, che si prestano a formare con la caldaia e il surriscaldatore gruppi compatti e relativamente poco ingombranti.

L'applicazione di soffiatori di fuliggine automatici a vapore o ad aria compressa ha permesso la diffusione degli economizzatori con tubi ad alette che esigono per la stessa superficie riscaldata uno spazio assai minore di quelli a tubi lisci (fig. 30). Questi ultimi si fanno anche in acciaio ed allora essi hanno un buon coefficiente di trasmissione del calore. Sono formati di tubi molto più sottili di quelli di ghisa e ripiegati in varie maniere cosicché a parità di ingombro, hanno superficie riscaldante maggiore di quelli a tubi di ghisa, ma resistono assai meno della ghisa alle corrosioni interne ed esterne. Possibilmente si usano solo per pressioni alte e con acqua preventivamente depurata e deaereata, che si fa circolare rapidamente per evitare depositi di impurità.

Un cospicuo avvicinamento al rendimento del ciclo di Carnot (v. termodinamica) è stato raggiunto nelle macchine termiche a vapore col preriscaldamento dell'acqua di alimentazione per mezzo del vapore di scarico di apparecchi ausiliarî (pompe d'alimentazione a vapare, eiettori a vapore) e, principalmente, di vapore espressamente prelevato (idea avuta per la prima volta da Stamwood nel 1890) dalla motrice di utilizzazione prima della totale espansione del vapore stesso. Lo scambio di calore fra il vapore e l'acqua può essere compiuto in riscaldatori a superficie o a miscuglio. Nei primi la circolazione a controcorrente dei due fluidi, separati da superficie metalliche, porta la temperatura dell'acqua vicina a quella del vapore e condensa quest'ultimo, sicché nel tubo di aspirazione della pompa di alimentazione viene unito all'acqua preriscaldata. Negli apparecchi a miscuglio l'acqua finemente suddivisa, viene a contatto direttamente col vapore e, condensandolo, si appropria del calore, che esso restituisce. Oppure si manda l'acqua, a pressione maggiore di quella in caldaia come nei riscaldatori a superficie, in un tubo di Venturi (v.), nel quale il vapore di prelevamento si mescola all'acqua, cedendo ad essa il suo calore. Poiché il vapore può essere prelevato dalle turbine (v.) in corrispondenza alle zone di bassa, media, alta pressione, si potrebbe portare l'acqua fino alla temperatura di saturazione relativa alla pressione in caldaia, se ciò praticamente non arrecasse inconvenienti, che consigliano di arrivare a temperature inferiori di circa 50°, e di lasciare, ove sia conveniente, agli economizzatori l'ulteriore preriscaldamento.

Preriscaldatori d'aria. - Diffondendosi sempre più estesamente il ricupero del vapore di scarico dalle motrici per preriscaldare l'acqua di alimentazione, diminuisce l'importanza dell'economizzatore che, se non viene eliminato, deve servire per minori scarti di temperatura. Il raffreddamento del fumo o meglio il recupero del calore dei gas combusti si completa o si fa esclusivamente riscaldando preventivamente l'aria che partecipa alla combustione. È ovvio che questo favorisce la tendenza attuale di raggiungere temperature di combustione sempre più elevate, il che porta a una migliore trasmissione del calore, a diminuire la proporzione di incombusto delle ceneri, alla possibilità di bruciare combustibili magri o umidi.

I preriscaldatori d'aria sono di due tipi: a superficie (a tubi lisci e ad alette o a lamiere piane) e a ricupero. Nei tipi a superficie l'aria passa in condotti le cui pareti sono, all'esterno, lambite dai prodotti della combustione. Le figure precedenti ne mostrano qualche applicazione, mentre la figura 31 rappresenta il preriscaldatore Roubaix a lamiere piane. Dei preriscaldatori a ricupero è esempio il Ljungström (fig. 32). In esso lo scambio di calore tra fumo ed aria avviene per mezzo di un corpo intermedio, costituito da un sistema di graticci di lamiere sottili, opportunamente ondulate, formante tanti piccoli canali. Tutto l'insieme ruota assai lentamente (2-3 giri al minuto) entro un involucro, che forma i condotti del fumo e dell'aria per la combustione. Il fumo attraversando i graticci di lamiera cede ad essi calore, e questi, per il moto di rotazione, son portati ad essere traversati dall'aria, abbandonando a quest'ultima il calore sottratto ai gas di combustione. Ai vantaggi conseguenti a una esaltazione della combustione il preriscaldatore di aria, come mezzo di ricupero del calore dei prodotti della combustione, aggiunge nei confronti coll'economizzatore, quello di esser molto meno costoso, pur permettendo di raffreddare il fumo fino a 150°.

Focolari. - Il focolare è lo spazio nel quale si fa avvenire la reazione tra l'ossigeno comburente e gli elementi bruciabili del combustibile: la reazione che sviluppa calore si compie nella camera di combustione vera e propria e in quella parte del percorso del fumo, nella quale la temperatura è sufficientemente alta. Il tipo e le dimensioni dei focolari, sono determinate dalla qualità di combustibile e dalla quantità oraria che se ne deve bruciare, molto più che dal tipo della caldaia, alla quale essi devono servire.

I combustibili solidi si possono bruciare su griglie fisse con caricamento a mano o su griglie mobili con caricamento a macchina. Le piccole caldaie sono munite di fornelli a griglie fisse con caricamento manuale a pala. La graticola o griglia è un insieme di sbarre di ghisa, dai costruttori foggiate in forme più o meno semplici, sulle quali vien disposto il carbone. Tra le sbarre resta libero lo spazio per il passaggio dell'aria per la combustione. Un tal fornello è completato dall'altare che limita l'estremità della graticola opposta alla portina frontale. Come si vede nelle figure precedenti, queste graticole si adattano tanto a focolari esterni al corpo della caldaia, quanto a focolari interni, collocati cioè entro ai tubi focolari.

Su una graticola ordinaria si possono bruciare, con tirata naturale, da 60 a 120 kg. di carbone per ora e per mq. di graticola rispettivamente con caldaie Cornovaglia o a tubi d'acqua. Se la tirata è meccanica si bruciano per metro quadrato quantità di carbme doppie e triple. A facilitare il caricamento, specie bruciando combustibili poveri, si sono adottate griglie inclinate con sbarre comuni (longitudinali) o a gradini, sulle quali il combustibile scende da una tramoggia, a mano mano che brucia, per effetto dell'inclinazione. Nei grandi generatori di vapore e in tutti gli impianti termici di una certa importanza si adottano focolari a caricamento automatico.

Molto diffuse in Europa sono le griglie a catena continua (figg. 33-35). Esse sono costituite da una catena senza fine (fig. 33) avvolta su due tamburi R, uno dei quali ruota in modo da far avanzare lentamente la catena nel senso delle frecce. Il carbone scende da una tramoggia T e la sua altezza nella griglia è regolata dall'altezza della persiana P. Le scorie dalla grata sono tolte da nasi N e riversate sopra la porta S, ribaltabile per lo scarico nel cinerario. Poiché il carbone, che scende dalla tramoggia, non si mescola sulla grata coi carboni ardenti, se ne assicura l'accensione disponendo sopra il primo tratto di griglia una voltina V di materiale refrattario, la quale irradiando il calore sul carbone, lo riscalda, ne provoca la distillazione e la trasformazione in coke fino a che nella parte libera se ne produce la vera combustione.

L'intensità e bontà della combustione sono regolate variando l'altezza del combustibile, il tiraggio e la velocità della griglia, che è variabile da 0,6 a 1,8 m. l'ora. Una buona griglia a catena è capace di bruciare circa 200 kg. per mq. di superficie. Queste griglie dànno buoni risultati purché si usino combustibili molto regolari per qualità e per pezzatura.

Sono di origine americana gli assai diffusi focolari Underfeed o a caricamento per disotto. In un tipo per focolare interno (fig. 36) il carbone scendendo dalla tramoggia è preso nelle spire di una coclea, che lo riversa sulle sbarre disposte secondo due piani inclinati verso i fianchi. Invece del propulsore a coclea si può avere un propulsore a stantuffo a moto alternativo.

Nelle moderne centrali term0elettriche vengono molto spesso adottati focolari inclinati con caricamento per disotto, per la possibilità che offrono di bruciare con ottimi rendimenti anche combustibili di pezzatura scadente, che costano assai meno delle pezzature scelte, noce, nocciola, pisello, non sempre trovabili nei nostri porti di approdo. Di questo tipo sono i focolari Riley e Taylor. Il primo (figura 37) è composto di parecchi elementi eguali, posti di fianco l'uno all'altro. Ciascun elemento costituisce una conca di carico a fondo fisso e a fiancate mobili. Le fiancate di due elementi vicini formano dei condotti per cui viene addotta l'aria necessaria alla combustione, che placche munite di ugelli e ricoprentisi in guisa da formare specie di gradinate distribuiscono nel carbone in combustione. L'assieme delle conche e delle fiancate costituisce la zona di grande combustione. A esse segue la zona finale di combustione formata da placche orizzontali (retrogriglie) facenti seguito agli ugelli. Infine c'è la zona di esaurimento e di scarico delle scorie comprendente gli scaricatori oscillanti, formati da piastre ricurve e rugose. Spesso il focolare è anche completato da rulli dentati frantumatori delle scorie (fig. 38). Dalle tramogge di carico poste sul fronte della caldaia il carbone cade in cilindri nei quali gli stantuffi propulsori mossi da un albero a manovelle, lo spingono all'interno del focolare, al disotto della zona d'immissione dell'aria. Riduttori opportuni consentono di variare la velocità, onde permettere, a seconda delle richieste di vapore, con sufficiente elasticità, entro un campo di variazione abbastanza largo, l'adduzione di quantità variabili di carbone. Questi focolari con carboni aventi una certa ricchezza di materie volatili (più del 14% per non accentuare il difetto della varietà dello spessore del carbone nei diversi punti della griglia, troppo alto nel davanti e piccolo nel retrogriglia, ciò che non è favorevole a una buona combustione) possono bruciare da 200 a 300 kg. di carbone per mq., dando nelle scorie una percentuale d'incombusto minore del 4%.

Principalmente negli impianti di caldaie ad altissima pressione è applicata la combustione dei carboni polverizzati. Questo sistema di combustione è vantaggioso per la possibilità di adattarsi a combustibili molto diversi e molto scadenti e per la rapidità e semplicità della regolazione. Si rendono però necessarie camere di combustione molto grandi per dar modo alle fiamme di svolgersi completamente senza colpire le pareti. Le alte temperature (1600°) che si raggiungono, hanno spinto a escludere i materiali refrattarî, rivestendo le pareti delle camere di combustione con tubi d'acqua che assumono il ruolo di tubi ad alta vaporizzazione (assicurano una produzione di vapore di 150 kg. per mq.-ora), per la loro esposizione all'irraggiamento. Di qui si è venuti alla costruzione di speciali generatori a tubi d'acqua nei quali tutta la superficie di evaporazione o la maggior parte di essa, è distribuita intorno alla camera di combustione, sicché il calore è ricevuto dai tubi vaporizzatori per radiazione stante l'esposizione diretta alle fiamme (fig. 39). I sistemi a carbone polverizzato sono con apparecchi individuali, cioè alimentanti direttamente una caldaia con uno o più bruciatori, oppure con apparecchi riuniti in una centrale di polverizzazione nella quale si prepara il carbone per più caldaie.

I primi non si adattano a grandi variazioni di marcia, però anche l'immagazzinamento nei silos delle centrali di polverizzazione non è scevro d'inconvenienti, specialmente se non è molto secco; l'umidità non deve superare il 5%. La polverizzazione del carbone, dopo una preventiva frantumazione ed essiccazione, si compie in molini polverizzatori a rulli, a mole, a sfere o ad anelli a seconda dei tipi: in media per la polverizzazione s'impiegano 15-20 kWh per tonnellata. Il carbone ridotto in polvere finissima è spinto ai bruciatori pneumaticamente (con ventilatore o compressore) o meccanicamente (con coclea). Gli apparecchi bruciatori hanno tutti lo scopo d'iniettare nella camera di combustione una miscela d'aria e di minutissima polvere di carbone, che bruci completamente nel percorso entro al focolare. Le ceneri, per evitarne la fusione, vengono per lo più raffreddate mediante schermi a tubi d'acqua disposti sul fondo delle camere di combustione al disopra delle tramogge di raccolta. Il bruciatore Lopulco (fig. 40) dà buoni risultati. Hanno acquistato molto favore i bruciatori a turbolenza nei quali viene impresso un movimento vorticoso alla miscela combustibile cacciata nella camera di combustione, ottenendosi così un più intimo contatto tra il carbone e l'aria comburente (vedine un esemplare, il Couch, nella fig. 41). Col polverino di carbone si raggiunge la combustione completa, si toccano alte percentuali di anidride carbonica (v. combustione), non si ha, o quasi, incombusto nelle ceneri e scorie. Il rendimento complessivo di un generatore a carbone polverizzato supera anche l'85%.

Non ha seguito l'estesa applicazione dei focolari meccanici l'estrazione meccanica delle ceneri e delle scorie, che si raccolgono nelle tramogge sotto alle griglie. Ad eliminare il costoso e disagevole lavoro dello scarico e trasporto manuale di questi residui della combustione si è ricorso a varî sistemi, la cui applicazione è divenuta necessaria per la vastità che vanno assumendo gl'impianti di produzione del vapore, e per lo sforzo di impiegare carboni ricchi di ceneri. All'elevazione del piano di posa dei generatori di vapore, con conseguente possibilità di scarico delle ceneri in vagonetti, si sono aggiunti dei dispositivi ad azione puramente meccanica (nastri trasportatori, norie, coclee), immersi o no in acqua per lo spegnimento; ma l'azione abrasiva ed ossidante delle scorie, la loro alta temperatura, il forte sollevamento di polvere e i vapori nocivi sviluppantisi sono inconvenienti gravi di questi sistemi. Non molto favore hanno incontrato, per la grande potenza assorbita, anche i sistemi pneumatici. Dopo una preventiva frantumazione, le scorie e le ceneri sono aspirate per mezzo di speciali pompe a vuoto o di ventilatori in un grande serbatoio ciclone, ove si depositano e vengono spente con iniezione d'acqua.

Quelli che sembrano avere incontrato il massimo favore sono i sistemi idraulici, nei quali si ottiene l'estinzione e la disaggregazione dei residui di combustione direttamente per immersione e, senza impiego di mano d'opera, il trasporto al luogo di scarico. La maggior parte di questi dispositivi comporta un canale, situato sotto alle tramogge del cenerario, che riceve a intermittenza o continuamente le ceneri e le scorie; queste sono asportate da una corrente d'acqua, mandatavi a intervalli di tempo o continuamente da una pompa. Il canale di scarico, quando non finisce in luogo aperto di deposito, termina in una fossa dove le scorie si sollevano e si caricano in veicoli o meccanicamente con norie o con pompe speciali munite di dispositivi di polverizzazione, che le mandano in cicloni, in cui si separano dall'acqua; questa si ricupera per decantazione.

Una certa analogia, riguardo alla forma di combustione col polverino di carbone, hanno i combustibili liquidi (nafta). Anche qui si inietta nella camera di combustione una nube di goccioline minutissime di nafta mescolate con l'aria comburente. Quanto più omogenea è l'aria carburata, tanto migliore ne risulta la combustione. Tutti i bruciatori hanno un ugello polverizzatore, dal quale la nafta affluisce in mezzo a un cono distributore d'aria.

L'apparecchiatura per la combustione della nafta, pur riducendosi in ogni caso essenzialmente a un ugello polverizzatore dal quale, in mezzo a un cono distributore d'aria, effluisce la nafta, varia secondo che la polverizzazione si fa mediante vapore o aria sotto pressione o semplicemente comprimendo il combustibile. La polverizzazione a vapore si compie facendo investire da un getto di vapore a 3÷4 atmosfere la nafta uscente da un ugello per effetto del proprio peso: così avviene nel polverizzatore Koerting, della figura 42. Nei lanciatori ad aria compressa il vapore è sostituito dall'aria. I polverizzatori meccanici sono i più diffusi. In essi la nafta, compressa con una pompa a 10÷15 atmosfere, per effluire deve percorrere opportuni canali a spirale, e assume così una certa forza centrifuga che ne provoca, all'uscita, la polverizzazione. (V. i polverizzatori meccanici Koerting e Meiani alle figg. 43 e 44). La caldaia di cui si dà il disegno nella figura 24 è munita di focolare a nafta a polverizzazione meccanica.

L'utilizzazione della camera di combustione è fissata dalla quantità di nafta bruciata per mc. di focolare. Questa quantità varia tra limiti assai estesi e arriva anche a massimi di 140 kg. per metro cubo, con tirata meccanica e con marcia forzata.

I combustibili gassosi si bruciano nelle caldaie con bruciatori costruiti sul medesimo concetto dei comuni becchi da gas. Si fanno arrivare al piede di un tubo il gas combustibile sotto lieve pressione e l'aria comburente e si fa bruciare la miscela all'altra estremità del tubo. I focolari a gas si applicano in quegl'impianti, nei quali si debba utilizzare del gas povero o dei gas naturali; in essi si accresce l'irraggiamento rendendo incandescenti tralicci di muratura refrattaria, che si dispongono nei focolari contro le fiamme, o facendo avvenire la combustione senza fiamma sulla superficie di speciali sostanze refrattarie. In caldaie utilizzanti con quest'ultimo sistema i gas naturali delle sorgenti termali di Salsomaggiore si sono avuti rendimenti dell'87%.

La scelta di una caldaia e del suo focolare dipende dall'uso al quale è destinato il vapore, dalla qualità dell'acqua di alimentazione, dal combustibile a disposizione, dal personale tecnico che è possibile procurare, dal peso massimo d'acqua da vaporizzare per ora, dall'importanza e dalla durata delle punte, e dal cosiddetto coefficiente di utilizzazione (rapporto fra l'energia prodotta e quella che a pieno carico si sarebbe prodotta in un dato tempo). Con pressioni superiori a 10-12 atmosfere sono preferibili le caldaie a tubi d'acqua, che si prestano a soddisfare intense richieste di vapore (punte), purché di breve durata. Con richieste di vapore molto irregolari si adattano le caldaie con grande massa d'acqua perché questa funge, entro certi limiti, da volano di regolazione. Ai difetti dei generatori a piccola massa d'acqua e a rapida vaporizzazione si può porre riparo con l'installazione di accumulatori di calore a vapore o ad acqua calda, inventati da Rateau. Si tratta di recipienti chiusi, riempiti parzialmente d'acqua, nella quale si condensa il vapore prodotto in eccesso nei periodi di minor richiesta. Così la temperatura dell'acqua va elevandosi e corrispondentemente cresce la tensione del suo vapore. Nei periodi di forte consumo, abbassandosi la tensione del vapore, l'acqua ritorna a vaporizzarsi restituendo il calore immagazzinato e sopperendo così alla maggior richiesta di vapore. Uno dei più noti e diffusi accumulatori di vapore è il Ruths il cui recipiente cilindrico può avere fino a 5 m. di diametro e 80 m. di lunghezza. L'accumulatore di calore assorbe per proprio conto tutte le fluttuazioni di pressione, inerenti all'indole particolare dell'industria, e permette così ai generatori di funzionare a carico normale e costante, al quale corrisponde il massimo rendimento e la loro migliore conservazione. Le applicazioni, nelle quali l'accumulatore risulta utile, sono svariatissime: produzione di energia motrice, servizî di riscaldamento; accoppiamento dei due servizî suddetti; accumulazione sotto forma termica di energia elettrica di supero mediante caldaie elettriche.

Tiraggio. - Perché il carbone bruci, è necessaria un'adeguata quantità di ossigeno (v. combustibili) e, perciò, si rinnova l'aria nel focolare della caldaia, facendola circolare attraverso la massa del carbone per effetto di una differenza di pressione. Questa differenza di pressione si crea utilizzando la differenza di peso specifico fra l'aria calda e la fredda: si ha allora il tiraggio (o tirata) naturale; oppure per mezzo di ventilatori o di eiettori: si ha allora il tiraggio artificiale.

a) Tiraggio naturale. - Si ottiene col camino (v.), che è un condotto (in muratura, oppure in lamiera di ferro) il quale, guidando la corrente di fumo e proteggendola dall'aria fredda, determina una depressione nell'interno del focolare, per effetto della quale una corrente di aria fredda vi affluisce dall'esterno. Poiché il camino deve poter evacuare tutto il fumo che si produce nel focolare, le sue dimensioni devono essere in proporzione col peso del carbone che si vuole bruciare nella unità di tempo.

b) Tiraggio artificiale. - Nei focolari meccanici sono necessarî tiraggi elevatissimi, per le grandi quantità di carbone che vi si bruciano, per le forti resistenze incontrate dall'aria e dal fumo nel passaggio attraverso gli alti strati di carbone e nei lunghi percorsi attraverso i tubi dei generatori. Siccome questi tiraggi non si possono raggiungere convenientemente coi camini a tirata naturale, si adotta il tiraggio artificiale, il quale può essere:

1. soffiato: che si ottiene chiudendo ermeticamente il ceneraio e soffiando sotto la griglia per mezzo di un ventilatore o di un eiettore, tutta l'aria necessaria alla combustione: il ventilatore fa superare all'aria la resistenza della graticola e dello strato di combustibile e lascia poi che l'evacuazione dei prodotti della combustione sia attivata dal tiraggio naturale del camino;

2. aspirato: aspirando dalla caldaia con un ventilatore tutto il fumo prodotto nella combustione;

3. indotto: che si ottiene aspirando una sola parte del fumo attraverso un ventilatore il quale, impressale una notevole velocità, la inietta nel camino; tale corrente di fumo trascina anche la parte di esso non passata per il ventilatore. Invece del fumo come fluido eiettore si usa anche un getto d'aria o di vapore sotto pressione;

4. misto: aspirato e soffiato, che è una combinazione di ambedue le precedenti ed ha lo scopo di proporzionare la quantità d'aria sotto la griglia allo spessore del letto di combustibile, che nelle griglie meccaniche varia dal principio alla fine.

La fig. 45 illustra schematicamente il camino a tiraggio naturale, soffiato, aspirato e indotto.

Accessori. - Per sorvegliare la marcia di un generatore di vapore occorre corredarlo di opportuni apparecchi accessorî quali: 1. gli indicatori di livello: sistema di rubinetti e di tubi di vetro, che permette di seguire le variazioni di livello dell'acqua in caldaia. Il regolamento italiano prescrive l'applicazione di due indicatori di livello; 2. le valvole di sicurezza che scaricano nell'atmosfera il vapore quando la sua pressione superi quella d'esercizio della caldaia; 3. il manometro, che segna la pressione nell'interno della caldaia; 4. il termometro per accertare le variazioni di temperatura del vapore nel surriscaldatore; inoltre, varî altri strumenti atti a controllare e a governare l'andamento della combustione.

Distinti dalla caldaia, ma essenziali per il suo funzionamento, sono gli apparecchi per l'alimentazione e la preparazione dell'acqua da evaporare. L'alimentazione si fa mediante pompe (l'alimentazione con iniettori serve in generale di riserva); per i piccoli impianti esse sono ordinariamente a stantuffo mosse a vapore (cavallino), ma per quelli d'una certa entità si sono adottati gruppi nei quali si ha una pompa centrifuga con un certo numero di giranti, accoppiata direttamente con un motore elettrico o con una turbinetta a vapore. La pressione di mandata delle pompe deve essere capace di superare la pressione in caldaia e le resistenze delle tubazioni, degli economizzatori, valvole, ecc.

Nelle caldaie a media e ad alta pressione si deve, per la sicurezza, usare acqua preventivamente distillata e deaereata. A ciò provvedono, oltre ai depuratori, che con processi chimici ne riducono quasi a zero la durezza (v. acqua, I, p. 354), speciali apparecchi evaporatori e degassatori. Un esempio di quelli è l'evaporatore Odero-Spampani (fig. 46); in esso il calore per la distillazione è fornito da vapore (può essere ricuperato quello di scarico delle turbopompe) mediante una batteria di tubi a serpentina. Il vapore, scaricato dalle serpentine, passa in un successivo riscaldatore, nel quale cede ulteriormente calore all'acqua da evaporare. I degassatori sono cassoni nei quali l'acqua, prima di arrivare al tubo di aspirazione delle pompe, passa attraverso a strati di materiali metallici molto ossidabili, che assorbono l'ossigeno sciolto nell'acqua.

Caldaie a riscaldamento elettrico. - In queste come sorgente di calore si usa l'energia elettrica. Esse, pur avendo un elevato rendimento (93-97%), non si possono usare che dove si disponga di energia a molto buon mercato; tenuto conto del rendimento, è necessario che il prezzo del kWh. sia minore di 1/6 del prezzo del kg. di carbone, poiché, l'equivalente termico del kWh. essendo 860 calorie, il calore che può sviluppare un kg. di carbone è 6÷9 volte maggiore del calore dato dal kWh. Quest'ultimo può produrre circa kg. 1,25 di vapore, mentre un kg. di carbone o di nafta ne può fornire 8÷12 kg.

La trasformazione dell'energia elettrica in calore si ottiene facendo passare la corrente per corpi che hanno alta resistenza ohmica, nei quali l'effetto Joule è molto sensibile. Nelle piccole caldaie si usano resistenze di metallo chiuse in tubi bollitori isolati, che vengono immerse nell'acqua. In questi tipi si prestano sia la corrente continua sia l'alternata. Per caldaie di potenza cospicua e per correnti con tensioni superiori a 500 volta, fa da resistenza la stessa acqua da vaporizzare, nella quale si fa passare la corrente elettrica per mezzo di opportuni elettrodi. In questo caso non si può usare la corrente continua perché provoca l'elettrolisi dell'acqua. I tipi di caldaie ad elettrodi, entrate nell'uso pratico, sono parecchi: essi si distinguono specialmente per il modo di regolare la corrente e quindi la produzione di vapore della caldaia. Per la regolazione s'innalza e si abbassa il livello dell'acqua nelle caldaie ad elettrodi fissi, come la Revel e la Mascarini (fig. 47); in altre, come la Sulzer, si modifica con schermi isolanti il percorso della corrente tra gli elettrodi opposti, rimanendo così variata la resistenza opposta alla corrente. In altre si approfitta dei due sistemi insieme.

Caldaie a mercurio. - Allo scopo di migliorare il rendimento delle macchine termiche, che è proporzionale al dislivello fra le temperature massima (sorgente calda) e minima (sorgente fredda) del fluido in ciclo, si sono studiati dei cicli a due o più fluidi. Fra essi un certo interesse ha destato il sistema vapore di mercurio-vapore d'acqua realizzato da Emmet in America nell'anno 1914; con esso si possono raggiungere elevate temperature di surriscaldamento senza oltrepassare le 18 atmosfere. Per la vaporizzazione del mercurio si sono fatte speciali caldaie con tubi a sezione esagonale, disposti a nido d'ape, sospesi sul focolare a nafta. Il vapore di mercurio si produce a 2,5 atmosfere e 435°, indi si surriscalda in un comune surriscaldatore a serpentino posto fra il primo ed il secondo giro del fumo, e si manda in una turbina a mercurio. Il condensatore di questa funziona come evaporatore dell'acqua, che, preriscaldata in un economizzatore, viene trasformata in vapore a 14 atmosfere. Il vapore d'acqua si fa espandere, dopo surriscaldamento in una turbina a vapore ordinaria. Benché il sistema sia soddisfacente per i buoni rendimenti ottenuti, presenta difficoltà pratiche di realizzazione superiori a quelle delle alte pressioni.

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Caldaie marine.

Negli apparati motori marini a vapore s'impiegano ancora due generi di caldaie: con tubi percorsi dai prodotti della combustione, o con tubi lambiti esternamente dai prodotti stessi. Le prime (salvo casi eccezionalissimi) del tipo a ritorno di fiamma comunemente chiamate caldaie cilindriche o caldaie scozzesi, le altre appartenenti a tipi diversi di caldaie a tubi d'acqua.

Nella storia delle caldaie marine a periodi di radicali trasformazioni si alternano lunghi intervalli di relativa uniformità. La penultima di queste crisi, degl'inizî del nostro secolo, aveva condotto all'assetto che è durato sin quasi ad oggi; uso delle caldaie cilindriche nella marina mercantile (salvo qualche eccezione per apparati motori di potenze elevatissime); uso esclusivo delle caldaie a tubi d'acqua per il naviglio militare con caratteristiche generali press'a poco uniformi, ma con varietà di forme adatte ai diversi tipi di navi. L'ultima crisi si va svolgendo ora, in relazione coi nuovi criterî sulle macchine motrici e con gli sforzi che si fanno per adattare alle esigenze e alle difficoltà delle applicazioni marine i nuovi metodi e i perfezionamenti che è assai più agevole introdurre negli impianti fissi. Le difficoltà da vincere sono essenzialmente di ordine tecnico ed esecutivo, onde le conclusioni dipenderanno dall'esperienza; mentre su qualche punto l'elemento decisivo è di carattere economico, e le basi per la sua valutazione sono tali da poter largamente mutare coi luoghi e col tempo. Per il momento la situazione è abbastanza complessa: mentre da un lato si continuano a costruire caldaie cilindriche con pressioni intorno a 15 atmosfere e anche meno, con le caldaie a tubi d'acqua si è facilmente oltrepassato il limite di 20 atmosfere, che era sembrato a lungo insuperabile; le pressioni di 25 atmosfere sono diventate di impiego comune e si sono raggiunti anche valori da 35 a 40.

È ancora comunissimo il caricamento del carbone a mano, ma già si sono diffuse le applicazioni del caricamento meccanico, si è iniziato l'impiego del carbone polverizzato. D'altro canto alcuni tipi di navi sono definitivamente acquisiti al combustibile liquido.

Va aumentando il numero di bastimenti mercantili che si forniscono con caldaie a tubi d'acqua a preferenza di quelle cilindriche, specie in vista dell'adozione di pressioni elevate. Si vanno pure rivedendo impianti misti con caldaie a tubi d'acqua e con caldaie cilindriche, le prime ad alta pressione, le seconde a bassa pressione per gli apparecchi ausiliarî, in modo da poter escludere ogni contaminazione dell'acqua d'alimentazione per le caldaie principali. Può convenire allora chiedere alle caldaie cilindriche anche l'acqua dolce di supplemento, ciò che si fa talvolta mandando da esse vapore alle turbine principali in un punto adatto dell'espansione, in guisa da impiegare economicamente questo vapore per ricavarne non solamente l'acqua dolce, ma anche lavoro.

Quanto a più radicali trasformazioni nei metodi di produrre il vapore (per esempio sistemi Lofrier, Benson, ecc.), non si è ancora arrivati, per ciò che riguarda gl'impianti marini, al punto delle effettive applicazioni.

Le caldaie scozzesi (figg. 1 a 4) constano di un grande involucro cilindrico a fondi piani che può raggiungere o superare di qualche poco i 5 m. di diametro (per es. 5,30); anche a pressioni moderate questi diametri importano l'impiego di spessori considerevoli degl'involucri (45 mm.) con diametri di chiodi in proporzione. Nella parte inferiore vi sono usualmente tre o quattro forni (per le navi, due o anche uno in impianti di piccolissima importanza) che possono essere di lamiera liscia per le basse pressioni (fino a 11 kg. per cmq.) e sono sempre ondulati (Fox, Morison, Deighton) per le pressioni superiori. La graticola divide il volume interno del forno in camera di combustione e cenerario. Il limitato volume dei forni non permette la combustione completa nel loro interno, onde a ciascuno di essi invariabilmente fa seguito (dopo l'altare che è un muretto di mattoni refrattarî) una cassa a fuoco di forma press'a poco parallelepipeda, rastremata spesso verso l'alto per creare spazî in cui sia facile lo sviluppo e il cammino delle bolle di vapore, separata dal fondo delle caldaie, e dalle pareti delle casse a fuoco adiacenti, da lame d'acqua che, sottraendo il calore alla parete, garantiscono il suo mantenimento a una temperatura di poco superiore a quella dell'acqua e del vapore contenuti in caldaie. La parete anteriore della cassa a fuoco e la parete anteriore della caldaia fanno da piastre tubolari e in esse sono inseriti i tubi che vengono attraversati dai prodotti della combustione, i quali poi da condotti di struttura leggiera, comeché non soggetti a differenze di pressione sensibili, e di forme più o meno complesse secondo il cammino da percorrere (condotti del fumo), vengono avviati al fumaiolo che di solito è comune a diverse caldaie.

Negl'impianti di grande importanza queste caldaie si uniscono spesso due a due per la parte posteriore, sopprimendo i fondi relativi, e ottenentlo così le caldaie a doppia fronte con 608 forni ciascuna. Taluni costruttori conservano le pareti posteriori dei forni, onde ogni forno ha la sua camera indipendente di struttura metallica; altri sopprimono anche queste pareti posteriori, ciò che tutto sommato permette qualche risparmio, e soprattutto diminuisce di circa 30 centimetri la lunghezza della caldaia a beneficio delle stive. Queste caldaie presentano vaste superficie piane, onde la necessità di estesi rinforzi: tiranti lunghi nella camera del vapore fra le pareti dei fondi, tiranti corti nelle lame d'acqua, cavalletti sul cielo dei forni, e tiranti che scarichino i cavalletti nelle caldaie a doppia fronte con cassa unica di combustione per ogni coppia di forni. Questa selva di tiranti rende rigida la caldaia e costringe a usare precauzioni nel portarla in pressione.

Tale circostanza e la grande massa d'acqua presente in caldaia fanno sì che la messa a regime di queste caldaie è operazione di lunga durata, inammissibile per i bisogni della marina da guerra che richiede rapidissime la messa in azione delle navi stazionarie e le variazioni di andatura di quelle in funzione.

Nei piroscafi queste caldaie sono pressoché invariabilmente munite del sistema Howden di tiraggio attivato, mercé il quale l'aria occorrente alla combustione arriva ai cenerarî sotto una pressione intorno a 30 millimetri in colonna d'acqua e ad una temperatura di circa 90 °C. (qualche volta molto di più, p. es. nelle Empress of Australia della Canadian Pacific Company si ebbero alle prove 170°). Questo produce benefici diretti e indiretti considerevoli per il miglior rendimento della caldaia, la maggiore attività della combustione, e quindi il minor peso e volume di caldaie occorrenti per sviluppare una data potenza. Il sistema di tiraggio adottato può essere quello indotto (v. camino), ma è assai meno diffuso del precedente.

Le figure dànno esempî di caldaie di grandi dimensioni e mostrano la sistemazione dei tubi riscaldatori dell'aria secondo il sistema Howden e finalmente una sistemazione di surriscaldatori, con caldaie di questo tipo.

Oltre alla caldaia a ritorno di fiamma è stata un tempo largamente impiegata la caldaia a fiamma diretta (caldaia Ammiragliato) che è stata la caldaia tipica delle cannoniere. Oggi trova applicazione in qualche caso particolare (p. es. qualche ferry-boat per lo stretto di Messina) ove si abbiano limitazioni rigorose di spazio in senso verticale. Finalmente nel campo delle caldaie a tubi di fumo applicate in marina dobbiamo ricordare le caldaie verticali impiegate come calderine per produrre vapore per servizi ausiliarî quando le navi sono nei porti e le caldaie principali sono in piccolo alimento o spente o se ne eseguisce la pulizia. Una delle forme più moderne di queste calderine, è la Cochran (fig. 5). Con lo sviluppo dei servizî ausiliarî molte volte ora è adoperata come calderina una caldaia cilindrica.

Le caldaie a tubi d'acqua hanno sostituito completamente le caldaie cilindriche nelle applicazioni militari e trovano ora impiego sempre più largo anche nelle navi mercantili per molte ragioni oltre la già accennata elasticità di funzionamento. Grande guadagno di peso in tutti i tipi per il minor contenuto d'acqua, e coi tipi attuali anche per il minor peso di ferro; molto maggior spazio; possibilità di combustioni molto più attive, che nei tipi leggieri arrivano normalmente a 300 kg. di carbone per mq. di graticola e per ora e in qualche caso fino a 400; intensa circolazione, accompagnata da attiva trasmissione del calore, onde possibilità di evaporare maggior quantità d'acqua per metro quadrato di superficie di riscaldamento e per ora; attitudine a sopportare pressioni elevatissime, per il minor diametro dei corpi cilindrici soggetti a pressione e l'assenza di forni premuti dall'esterno; possibilità di fare unità di capacità evaporativa grandissima, necessaria soprattutto nel naviglio leggiero per potervi adattare apparati motori di parecchie decine di migliaia di cavalli; immunità da grandi disastri, ma, d'altra parte, una maggior frequenza di avarie minori. A questi benefici si contrappongono una delicatezza di esercizio notevolmente maggiore, la necessità di acqua di alimentazione assolutamente pura (sempre più stringente a mano a mano che le pressioni crescono, onde per quelle più elevate è necessaria una perfezione assoluta dei condensatori e di tutto il sistema di alimentazione); di una perfetta regolarità nell'alimentazione (onde l'impiego di regolatori automatici di alimentazione) e nell'esercizio dei fuochi. Naturalmente poi, come in un qualunque tipo di apparato motore per qualunque applicazione, i grandi alleggerimenti si ottengono a prezzo di minor durata e di più gravosa manutenzione.

Variando opportunamente l'attività della combustione e dell'evaporazione, e in relazione ad esse quella del tiraggio, l'estensione della superficie di riscaldamento, il diametro e lo spessore dei tubi evaporatori, ecc., si ottiene facilmente la serie dei tipi adatti ai diversi margini di peso consentiti dagli esponenti di carico dei diversi tipi di navi. E ben s'intende che quando si parla di caldaie a tubi d'acqua per la marina mercantile, durata ed economia di funzionamento si conseguono con attività di evaporazione assai minori e pesi assai maggiori che non nelle navi minori della marina da guerra. Le caldaie a tubi d'acqua per il naviglio leggiero hanno tubi subverticali di piccolo diametro (intorno a 25 mm.). Abitualmente vi sono un serbatoio cilindrico superiore d'acqua e di vapore nel quale si fa l'alimentazione e due collettori inferiori di sezione circolare o più raramente press'a poco semicircolare, riforniti di acqua dal corpo superiore nell'uno o nell'altro di due modi: e cioè con tubi appositi esterni di grosso diametro detti tubi di caduta, i quali possono essere due ad un estremo della caldaia o quattro (due per ciascun estremo) o in numero maggiore se ciascun tubo grosso è sostituito da due tubi minori di sezione equivalente; oppure senza tubi di caduta, nel qual caso l'acqua di alimentazione scende riscaldandosi per le file esterne del fascio dei piccoli tubi che costituiscono propriamente la caldaia. Questi, nei quali si produce il vapore che risale impetuosamente verso il collettore superiore, hanno avuto disposizioni diversissime; oggi i tubi sono sempre tutti o quasi tutti annegati, cioè sboccano nello spazio occupato dall'acqua, e il vapore deve attraversarlo per arrivare nella camera ove si raccoglie. Si ravvicinano spesso sopra una parte della loro lunghezza i tubi di due file successive per fare da schermo e guidare la parte maggiore dei prodotti della combustione in modo da allungarne il percorso, e ottenere temperature abbastanza basse alla base del fumaiolo. Sono schermi imperfetti, ma la leggerezza caratteristica di queste caldaie non consente l'impiego di diaframmi di muratura.

In dipendenza di variazioni nei particolari si hanno così le caldaie dei tipi Du Temple (tramontato, ma che conviene ricordare perché è il tipo originale dal quale molti sono derivati), Normand (a percorso longitudinale dei prodotti della combustione), Thornycroft (ora con tubi annegati e quasi diritti salvo una lieve curvatura agli estremi per incontrare i collettori in direzione radiale), Blechynden, Yarrow (che per la prima è stata fatta senza tubi di caduta), Whyter-Foster (con tubi inclinati non solo trasversalmente ma anche longitudinalmente e grande collettore superiore in modo che è possibile sfilare, rimettere a posto e scovolare i tubi), Mumford, ecc.

Appartiene ancora a questa famiglia la caldaia Thornycroft tipo Daring con la sua derivata Thornycroft- Schultz, con tre collettori inferiori e due grate fra questi: numerosi tubi di caduta nel piano verticale mediano della caldaia e tre fasci di tubi evaporatori fra i tre collettori inferiori e il serbatoio superiore. I collettori laterali ricevono l'acqua mediante tubi orizzontali esterni da quello centrale, o direttamente mediante tubi di caduta propri. Le caldaie di questo gruppo si prestano bene all'inserzione di surriscaldatori (v. fig. 6).

Nel naviglio da guerra maggiore e in quello mercantile si sono applicate e si applicano caldaie di tipo Yarrow o simile, ma, in relazione al maggior margine di peso disponibile, con attività di combustione minore, minore ampiezza relativa della superficie di riscaldamento e maggior diametro dei tubi. Inoltre si sono largamente applicate caldaie a tubi suborizzontali e di diametro più o meno grande secondo i tipi e le particolari circostanze dei casi (da 40 a 100 mm.). Si sono estesamente impiegate le caldaie Belleville, le Babcock e Wilcox, le Lagrafel-D'Allest (analoghe alle Babcock, ma con collettori unici anziché frazionati per ogni coppia di file verticali di tubi). Applicando il principio del tubo di circolazione della caldaia verticale Field si sono create in Francia le caldaie Niclausse e in Germania le caldaie Dürr, le prime con collettori frazionati come nella caldaia Babcock, le seconde con collettore unico come nella Lagrafel. Anche in Italia è stata creata una caldaia, la Pattison, con tubi Field ma coi tubi evaporatori subverticali; essa ha avuto applicazioni nella nostra marina.

Uno dei tipi di maggiore interesse è la caldaia marina Babcock la quale differisce dal tipo originale terrestre Babcock e Wilcox (v. sopra) per il fatto che il corpo cilindrico anziché longitudinalmente è disposto trasversalmente e sul fronte della caldaia. Esso allora riceve il vapore dai collettori posteriori mediante due file di tubi orizzontali che si scaricano nella camera del vapore. Anche nelle caldaie marine schermi di mattoni obbligano i prodotti della combustione a un triplice percorso. Il tipo, che risale al 1867 per gl'impianti fissi e al 1896 per quelli marini, ha il beneficio dell'esperienza dovuta a tale lunga vita ed è attualmente uno fra gli ottimi, ovunque il suo peso piuttosto elevato ne consente l'applicazione. Esso si presta bene all'applicazione di surriscaldatori, quale che sia la temperatura finale a cui si aspira assegnando opportunamente la posizione delle serpentine dei surriscaldatori nel percorso dei prodotti della combustione.

Per molti anni nelle caldaie marine non si è bruciato che carbone con caricamento a mano. L'applicazione delle graticole meccaniche, tentata senza successo alcune decine d'anni or sono, è stata ora ripresa e va diffondendosi lentamente per le caldaie a tubi d'acqua. Vi sono esempî in servizio di graticole a catena e di graticole alimentate per disotto. Meno facile si presenta l'applicazione del carbone polverizzato, per il quale alle difficoltà generiche del servizio di bordo si aggiungono il limitato volume dei forni, la scarsa lunghezza assegnabile delle fiamme, ecc: Tuttavia dalla fase puramente sperimentale si è già passati a quella del servizio effettivo con gl'impianti del piroscafo americano Mercer (1927) con caldaie cilindriche e bruciatori Peabody, del piroscafo Stuartstar con apparecchi Woodeson applicati prima sopra una delle quattro caldaie, poi sopra una seconda, del piroscafo Hororata con apparecchi Howden-Buell applicati su tre delle sei caldaie. Nel 1929 destarono grande interesse, gl'impianti a bordo dei vapori West Alsek, Switpool, Berwindlea. Queste esperienze presentano un interesse di primo ordine, perché possono segnare una delle vie sia verso un miglior rendimento degli impianti a vapore, sia verso un più largo impiego del carbone e le possibilità di sfruttamento di qualità meno scelte del medesimo.

Tutte le navi da guerra ormai bruciano esclusivamente petrolio (naftetine nella nomenclatura della nostra marina), e anche nella marina mercantile l'uso del petrolio come combustibile nelle caldaie ha raggiunto larga diffusione, specialmente nei servizî di lusso per passeggieri. Si è cominciato con l'uso di sistemi a fluido ausiliario e particolarmente di sistemi a vapore. Nella marina da guerra italiana per molto tempo è stato impiegato il sistema a vapore Cuniberti. Questo e altri sistemi, che come perfezione ed economia di funzionamento non lasciano nulla a desiderare, sono stati per altro abbandonati per il cospicuo consumo di vapore che se ne va per i fumaioli coi prodotti della combustione e non è in alcun modo recuperabile, onde la necessità di portare o produrre quantità d'acqua dolce troppo considerevoli. Nelle applicazioni marine sono quindi indistintamente prevalsi i sistemi di polverizzazione puramente meccanica, nei quali il petrolio per mezzo di pompe a vapore è mandato in una condotta sotto pressione in generale piuttosto elevata (fino a circa 10 atmosfere nella maggior parte dei tipi e fino a 15 o 16 in qualcuno), minore in taluno, detto perciò a bassa pressione; passa in un apparecchio di riscaldamento a superficie ove la sua temperatura è elevata fino a un valore compreso fra 80° e 120° e quindi ai polverizzatori dai quali i getti incandescenti vengono lanciati nei forni. Svariati espedienti sono impiegati per rendere massima la turbolenza del fluido in questi getti, agendo così sulla forma dei condotti come sui metodi di mescolare al petrolio l'aria necessaria alla sua combustione. Nel cammino del petrolio sono interposti varî filtri successivi in modo da impedire l'arrivo di materie estranee ai polverizzatori. E se il bastimemo è destinato a navigare in regioni fredde, è necessario cominciare col riscaldare il petrolio nei depositi, allo scopo di dargli una fluidità sufficiente perché la pompa possa aspirarlo. I sistemi in uso, che sono svariatissimi (Thornycroft, Meiani, Clyde, Koerting, Kermode, ecc.), differiscono solo per particolari costruttivi e di dettaglio che hanno tuttavia un'importanza grandissima per l'esercizio e la manutenzione degli apparecchi.

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