DIFFERENZIALE ASSOLUTO, CALCOLO

Enciclopedia Italiana (1931)

DIFFERENZIALE ASSOLUTO, CALCOLO

Tullio Levi-Civita
Ugo Amaldi

. È una teoria concettuale e algoritmica, che permette di tradurre le proprietà geometriche e fisiche dello spazio in forma analitica indipendente dalla scelta particolare delle coordinate, cui lo spazio s'intende riferito (v. coordinate). Il calcolo differenziale assoluto è, nel suo schema essenziale, opera di G. Ricci-Curbastro (v.), il quale, movendo dalla nozione di derivazione covariante introdotta da E. B. Christoffel (v.), lo costituì in corpo di dottrina (1884-1892). Dallo stesso Ricci e dai suoi discepoli, fra cui T. Levi-Civita, fu applicato a numerosi problemi di geometria differenziale e di fisica matematica; ma attrasse su di sé l'attenzione di tutti i matematici, quando l'Einstein (1916) trovò in esso lo strumento mirabilmente preparato e, quasi, predestinato all'esposizione matematica della sua teoria della relatività generale. Da allora il calcolo differenziale assoluto è entrato a far parte del comune patrimonio di cultura dei matematici. La nozione di parallelismo negli spazî riemanniani (Levi-Civita, 1917) permise di dare un senso geometrico all'operazione fondamentale di derivazione covariante; e altri apporti di vedute geometriche o di procedimeuti formali vennero recati da H. Weyl, A. S. Eddington, J. A. Schouten, E. Cartan, O. Veblen, L. P. Einsenhart, ecc.; mentre ulteriori estensioni furono proposte da E. Pascal (1910) e G. Vitali (1923).

La natura in qualche modo tecnica della teoria non ne permette qui uno sviluppo sistematico. Ci limiteremo quiridi a dare una prima, sommaria idea degli scopi e dei criterî direttivi.

1. Giova fissare anzitutto l'attenzione sul vario comportamento che gli enti geometrici o fisici, definiti nello spazio analiticamente, possono presentare di fronte ai cambiamenti di coordinate; e per semplicità ci riferiremo al caso in cui nello spazio ordinario si passi da coordinate cartesiane ortogonali x1, x2, x3 a coordinate generali o curvilinee quali si vogliono ù1, ù2, ù3 (v. coordinate). Avvertiamo una volta per tutte che qui, e nel seguito, supporremo che le formule del cambiamento di coordinate

siano, almeno in un certo campo, univocamente invertibili, talché insieme co1 esse sussistano le equivalenti formule inverse

Ciò posto, supponiamo che entro una data regione dello spazio fisico, riferito alle coordinate cartesiane x1, x2, x3, sia definita, punto per punto, una certa grandezza di natura qualsiasi; e, per ragionare sul concreto, consideriamo i seguenti tre casi:

1. in ogni punto della regione considerata sia data la temperatura T, la quale si presenterà allora come una ben determinata funzione T(x1, x2, x3) del posto;

2. la regione di spazio considerata sia sede di un certo campo di forza: la forza F del campo (riferita alla massa unitaria) sarà un certo vettore dipendente dal posto, talché le sue componenti X1, X2, X3, secondo i tre assi coordinati, saranno certe tre funzioni ben determinate di x1, x2, x3;

3. la solita regione sia sede di un qualsiasi fluido, animato di un moto stazionario (v. cinematica, n. 43), talché lo spostamento infinitesimo subito da ciascuna molecola, la quale si trovi a passare per un generico posto x1, x2, x3, abbia certe componenti X1δt, X2δt, X3δt, dove X1, X2, X3 denotano tre date funzioni di x1, x2, x3, e il δt è un fattore infinitesimo di proporzionalità, per es., temporale.

In ciascuno di questi casi immaginiamo di eseguire il cambiamento di coordinate (1). Come si definiranno, rispetto al nuovo sistema di coordinate ù1, ù2, ù3, la stessa temperatura T, la stessa forza F, lo stesso spostamento infinitesimo di pocanzi?

Per la temperatura, dato il suo significato, non vi è alcun dubbio: T, nel nuovo sistema, dovrà essere una funzione di ù1, ù2, ù3, tale che in ogni singolo posto assuma quel medesimo valore, che ivi ad essa competeva, quando si usavano le coordinate cartesiane. Perciò la T in funzione di ù1, ù2, ù3 si otterrà sostituendo nella T(x1, x2, x3) al posto delle xi le loro espressioni, per mezzo delle ùj, fornite dalle (1). Questo modo di comportarsi, che fra tutti i possibili è il più semplice, si dice trasformazione per invarianza; e in tale guisa si trasformano tutte quelle grandezze scalari che dipendono esclusivamente dal posto (e non dal sistema di coordinate scelto). Queste grandezze si dicono senz'altro invarianti.

Non così accade per le componenti X1, X2, X3 della forza F (come più in generale per le componenti di un qualsiasi vettore posizionale, che abbia direzione e lunghezza indipendenti dal sistema di coordinate scelto). Invero basta pensare quello che già succede nel caso particolarissimo in cui il cambiamento di coordinate sia una semplice rotazione degli assi cartesiani, intorno ad un punto O; le nuove componenti della forza F in O non sono affatto le trasformate per invarianza delle primitive X1, X2, X3, bensi certe loro combinazioni lineari. E se poi si passa a coordinate non più cartesiane, bensi generali quali si vogliono, non si sa nemmeno che cosa sostituire, nel nuovo sistema di coordinate, alle componenti cartesiane della corza. Lo stesso può ripetersi nel caso 3, nei riguardi dello spostamento infinitesimo. Bisogna dunque, in ciascuno di questi casi, fissare, sia pure in modo convenzionale ma sistematico, quale legge debba assumersi per la trasformazione dei parametri determinativi delle grandezze considerate (cioè, nei nostri esempî, per la trasformazione delle componenti cartesiane della forza unitaria e dello spostamento). A ciò si perviene in base a un criterio di carattere generale nel calcolo differenziale assoluto, che consiste nel far intervenire, accanto alla grandezza considerata, una grandezza scalare (non necessariamente funzione del solo posto), la quale renda soddisfatta la duplice condizione che: 1. la grandezza data determini univocamente lo scalare ausiliario e viceversa; 2. questo scalare ausiliario risulti indipendente dal sistema di riferimento, così da andare soggetto alla semplice trasformazione per invarianza; sia, cioè, invariante.

Tale è, nel caso della forza F, il lavoro elementare che essa compie per un generico spostamento infinitesimo di componenti dx1, dx2, dx3, cioè l'espressione differenziale lineare o pfaffiano

Operando su di esso per invarianza, a norma delle (1), si ottiene il nuovo pfaffiano

cosicché, indicando con Ù1, Ù2, Ù3 i coefficienti di 1, 2, 3 (cioè le componenti lagrangiane della forza secondo le coordinate generali ùj (v. dinamica, n. 22), si ha per queste componenti la legge di trasformazione

È questa, in ogni possibile cambiamento di qualsiasi sistema di coordinate in un altro, la cosiddetta legge di trasformazione per covarianza.

Passiamo allo spostamento di componenti X1δt, X2δt, X3δt: per associare ad esso uno scalare di carattere intrinseco, e quindi soggetto alla trasformazione per invarianza, si pensi una qualsiasi funzione invariante del posto f(x1, x2, x3), per es. la temperatura T del caso 1; è manifestamente intrinseco (cioè indipendente dalle coordinate di riferimento) l'incremento che essa subisce per effetto dello spostamento considerato, cioè la differenza

la quale, ove si applichi il teorema del differenziale totale e si trascurino gl'infinitesimi di ordine superiore al 1° rispetto al δt, si riduce a

cioè, all'infuori del fattore inessenziale ot, da cui oramai possiamo prescindere, a un operatore differenziale lineare sulla funzione f (o trasformazione infinitesimale nel senso del Lie). Operando su di un tale scalare per invarianza, otteniamo il nuovo operatore

onde, indicando con X' le nuove componenti, si ha

E questa la cosiddetta legge di trasformazione per controvarianza.

Del resto queste due leggi di trasformazione, che abbiamo chiamato di covarianza e controvarianza, si possono, analiticamente, caratterizzare in forma anche più semplice. Si consideri dapprima, come pocanzi, una qualsivoglia funzione f del posto, la quale sia invariante; per le sue derivate rispetto alle , ricaviamo, in base alle (1),

e queste formule di trasformazione sono del tipo (2).

D'altra parte, per semplice differenziazione delle (1′) otteniamo

e queste formule di trasformazione sono del tipo (3).

Si vede cosi che la legge di trasformazione per covarianza è quella secondo cui si trasformano, in ogni cambiamento di coordinate, le derivate di una funzione invariante del posto; mentre la legge di trasformazione per controvarianza è quella, cui risultano, analogamente, sottoposti i differenziali delle coordinate.

Va infine avvertito che le precedenti considerazioni formali sussistono indipendentemente dalla natura metrica dello spazio, cioè si conservano valide in ogni spazio (numerico) a tre dimensioni; ed è chiaro che esse si estendono senza modificazione (all'infuori del numero delle coordinate) ad ogni altro spazio (numerico) a quante si vogliono dimensioni.

2. Ma restiamo nello spazio a tre dimensioni. Si dice vettore (o anche tensore semplice o di rango 1) covariante o controvariante, ogni ente, che sia definibile per mezzo di tre parametri determinativi, i quali, nei cambiamenti di coordinate, si trasformino con legge di covarianza o, rispettivamente, di controvarianza; onde intanto si può dire che i vettori covarianti e controvarianti tipici sono dati, rispettivamente, dal vettore che ha per componenti le derivate di una funzione f invariante del posto, (gradiente di f) e dallo spostamento elementare che ha per componenti i differenziali (arbitrarî) delle coordinate.

Di qui si passa agevolmente alla definizione dei sistemi multipli o tensori di rango maggiore di 1. Si consideri una forma, bilineare rispetto alle componenti di due vettori controvarianti, per es. rispetto alle componenti dx1, dx2, dx3, e dx1, dx2, dx3 di due diversi spostamenti infinitesimi.

dove i coefficienti Xik sono date funzioni del posto; e si supponga che questa forma sia invariante. La sua trasformata è una nuova forma dello stesso tipo

dove, in base alle (3-), i coefficienti sono dati da

In tal caso il Ricci dice che le funzioni Xik (le quali nello spazio a 3 dimensioni sono in numero di 9, in uno spazio ad n dimensioni in numero di n2) definiscono un sistema doppio covariante. Oggi esse si sogliono chiamare le componenti di un tensore covariante di rango 2, mentre lo Schouten usa invece il nome di a-inore, riservando quello di tensore al caso Xik = Xki; (e quindi Ùik = Ùki), in cui la forma invariante (4), generatrice del tensore, è simmetrica.

Analogamente si definiscono i sistemi doppî, o tensori di rango 2, comrovarianti, come generati da forme invarianti, le quali siano bilineari nelle componenti di due vettori covarianti. Mentre gl'indici di covarianza, come or ora si è fatto, si segnano in basso, quelli di controvarianza si segnano in alto. Perciò la legge di trasformazione delle componenti di un tensore di rango 2 controvariante è data dalle

Infine s'introducono sistemi doppî, o tensori di rango 2, misti, partendo da forme invarianti, che siano lineari separatamente rispetto alle componenti di un vettore covariante e a quelle di un vettore controvariante; la legge di trasformazione di un tal tensore misto è definita dalle equazioni

Tutto ciò si estende ovviamente; e si perviene così a tensori covarianti, controvarianti e misti, di rango qualsivoglia.

Importa rilevare il carattere invariantivo dell'annullarsi di un tensore: se le componenti di un tensore risultano tutte nulle rispetto ad un sistema particolare di coordinate, tali risultano altresi rispetto ad ogni altro possibile sistema. Ciò discende immediatamente dall'annullarsi identico della forma generatrice del tensore e dalla sua invarianza.

3. Vale per i tensori di qualsiasi specie e di qualsiasi rango tutta un'algebra. Ci limitiamo qui ad accennarne le operazioni fondamentali:

1. Addizione. - Dati due tensori della stessa specie (cioè aventi lo stesso numero di indici di covarianza e di controvarianza) si ottiene un nuovo tensore della medesima specie, sommando a ogni componente del primo la componente del secondo che ha i medesimi indici.

2. Moltiplicazione. - Dati due tensori, si ottiene un nuovo tensore, moltiplicando ciascuna componente del primo per ciascuna componente del secondo. Il tensore così otteuuto è di rango uguale alla somma dei ranghi dei dati.

3. Saturazione degl'indici (o contrazione; ted. Verjüngung). - Se Xik è un tensore misto di rango 2, la ΣiXii è un'invariante. Così nel caso di un tensore misto di rango 3 Xikj o Xikj, le ΣiXiki, o rispettivamente, le ΣiXiij costituiscono le componenti di un tensore (contratto) di rango 1, rispettivamente covariante o controvariante; e così via.

4. Composizione. - Si ottiene combinando l'operazione di moltiplicazione di due tensori con quella di saturazione: per es., dati i due tensori Xjkj, Yrsj, le Zirsj = ΣkXikjYrsk costituiscono le componenti di un tensore misto di indici di covarianza i, r, s e di indice di controvarianza j.

4. Ma lo scopo specifico del calcolo differenziale assoluto e, al tempo stesso, la ragione del suo nome e della sua importanza appaiono quando si passa all'analisi differenziale dei tensori.

Consideriamo per semplicità un vettore covariante, per es. il gradiente di una generica funzione invariante f del posto (n. 2): la legge di trasformazione delle sue componenti Xi = ∂f/∂xi è data dalle

Se passiamo al sistema (doppio) delle derivate delle Xi rispetto alle coordinate xk, troviamo come loro legge di trasformazione le equazioni

le quali darebbero la legge di covarianza (5) dei tensori di rango 2, se mancasse al secondo membro l'ultima sommatoria. Invece la presenza delle derivate seconde delle xr rispetto alle ùi mostra che il sistema delle ∂X/xk non è né invariante, né covariante, né controvariante, né misto; non è, insomma, un tensore, e la sua legge di trasformazione risulta più complessa di quelle finora considerate. Lo stesso accade più generalmente del sistema costituito dalle derivate delle componenti di un qualsiasi altro tensore.

Poiché in ogni indagine geometrica o fisica si presenta spesso la necessità di considerare le derivate, rispetto alle coordinate, delle componenti di un tensore, si è condotti a cercare se sia possibile aggiungere a codeste derivate qualche termine correttivo tale che le nuove espressioni cosi ottenute (derivate covarianti o controvarianti) risultino dotate di una legge di trasformazione per covarianza o controvarianza, senza che perciò vengano menomati il significato concettuale e l'ufficio algoritmico che alle derivate ordinarie spettano nell'indagine delle proprietà differenziali. È questo lo scopo propostosi da G. Ricci-Curbastro col suo calcolo differenziale assoluto, ed è suo merito precipuo l'aver veduto che un tale scopo si raggiunge, quando nello spazio numerico e per così dire amorfo, in cui sono possibili le considerazioni sin qui accennate, s'introduca, secondo le vedute del Riemann, una legge metrica, la quale consenta di organizzarlo geometricamente.

Le proprietà metriche dello spazio ordinario sono essenzialmente legate alla validità del teorema di Pitagora, il quale, ove ci si restringa a considerare la struttura geometrica dello spazio nell'immediata prossimità di un punto generico, si traduce nel fatto che, in coordinate cartesiane ortogonali, il quadrato della distanza di due punti infinitamente vicini x1, x2, x3 e x1 + dx1, x2 + dx2, x3 + dx32. è dato dalla particolare forma quadratica

Come naturale estensione, la metrica di uno spazio riemanniano si definisce, assegnando, ad arbitrio, la forma quadratica nei differenziali dk1, delle coordinate generali adottate, e a coefficienti dipendenti dal posto, che esprime il quadrato ds2 della distanza di due generici punti infinitamente vicini. Questo elemento lineare

non solo permette di valutare l'angolo di due direzioni qualunque uscenti da un punto, l'area di un qualsiasi elemento superficiale infinitesimo, o il volume di un qualsiasi elemento infinitesimo a tre dimensioni, ma, per integrazione, conduce anche alla misura della lunghezza di un qualsiasi arco di curva, dell'area di una qualsiasi regione finita di superficie, del volume di una qualsiasi regione spaziale finita: in una parola determina tutta la geometria dello spazio riemanniano considerato. Come intrinseca a questo spazio, la forma quadratica ds2 ha carattere invariantivo, onde intanto risulta che il tensore doppio di componenti aik, da essa generato, è covariante. È questo l'ente fondamentale di tutto il calcolo differenziale assoluto, di cui costituisce, in un certo senso, la base di riferimento; e, per incidenza, va ricordato come codesto tensore, combinato per moltiplicazione e per composizione con altri (n. 3), dia luogo a nuovi tensori e, in particolare, ad invarianti, che, nello studio della geometria degli spazi riemanniani, hanno ufficio essenziale.

Quanto al problema fondamentale delle derivate covarianti e controvarianti dei tensori, il Ricci riconobbe, come già fu accennato, che esse erano fornite da certe espressioni introdotte dal Christoffel nello studio analitico delle trasformazioni delle forme quadratiche differenziali (6); e il significato geometrico di tale tipo di derivazione risultò, più tardi, chiarito, in base alla nozione di parallelismo del Levi-Civita negli spazî riemanniani. La metrica introdotta in un tale spazio dall'elemento lineare (6) vi determina univocamente una legge di trasporto di ogni vettore-applicato da un punto di applicazione P ad un altro qualsiasi P′, quando sia fissato il cammino lungo il quale il trasporto si attua. Questa legge - che è la naturale estensione di quella, per cui nello spazio ordinario un vettore-applicato si può trasportare parallelamente a sé stesso (o per equipollenza) da un punto di applicazione a un altro - costituisce appunto l'accennata legge di trasporto per parallelismo.

Orbene, si fissi l'attenzione su di un dato tensore, per es. sul vettore covariante generato da una forma (di rango 1)

Quando da un generico P si passa a un altro qualsiasi P′ infinitamente vicino, la forma invariante F subisce un certo incremento, che in prima approssimazione (cioè, più precisamente, a meno di infinitesimi di ordine superiore) è la somma di quegl'incrementi che provengono dalla variazione delle Xi, come funzioni del posto, e di quelli dovuti alla variazione del vettore ausiliario di componenti dxi. Quest'ultima variazione è a priori indeterminata; ma se nel passaggio da P a P′ si conviene di trasportare il vettore ausiliario per parallelismo, l'incremento totale della F si presenta come una nuova forma F′ di rango 2, nella quale intervengono, oltre i dx1, le componenti dxk dello spostamento infinitesimo di trasporto PP′. Questa forma

che per il suo stesso significato intrinseco è invariante, genera un certo tensore di rango 2 e di componenti Xik, il quale è appunto il derivato covariante del tensore dato Xi. Le sue componenti sono date dalle

dove i coefficienti

sono i cosiddetti simboli del Christoffel di seconda specie (v. christoffel: Simboli del Christoffel), vale a dire certe determinate combinazioni lineari delle derivate prime ordinarie delle componenti aik del tensore fondamentale.

In modo analogo, ad ogni tensore di rango m (e di specie qualsiasi) si associa, come suo derivato covariante, un nuovo tensore di rango m + 1, che ha un indice di covarianza di più; e a questa derivazione covariante fa riscontro una derivazione controvariante, che da essa si deduce in base a quella specie di dualità, che vige nel calcolo differenziale assoluto tra la covarianza e la controvarianza.

Le due derivazioni cosi introdotte godono di proprietà analoghe a quelle della derivazione ordinaria, cui si riducono quando si tratta dello spazio ordinario (euclideo) e vi si adottano coordinate cartesiane.

Per gli ulteriori e caratteristici sviluppi del calcolo differenziale assoluto non possiamo che rimandare il lettore alle trattazioni speciali. Ci limiteiemo ad osservare che le derivazioni covarianti, al pari di quelle controvarianti, non sono, come le ordinarie, fra loro permutabili; e il divario dalla permutabilità risulta essenzialmente legato alle proprietà di curvatura dello spazio riemanniano caso per caso considerato.

5. Per la sua stessa origine, il calcolo differenziale assoluto trova il suo naturale campo di applicazione nella geometria degli spazî riemanniani, qualunque ne sia il numero delle dimensioni. Ma esso risulta ugualmente applicabile anche in ogni altro ordine di questioni, in cui figuri, fra i dati essenziali, una forma quadratica invariante. Tali sono le questioni di meccanica analitica, in cui la forma quadratica fondamentale è costituita dalla forza viva (v. dinamica, n. 22). E, come già si accennò da principio, la potenza di questo algoritmo si è affermata in modo luminoso nella formulazione quantitativa della relatività generale dell'Einstein, nella quale ancora si presenta una forma quadratica fondamentale, come misura dell'intervallo fra due eventi infinitamente vicini, considerati non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Questa forma compendia le leggi geometriche e gravitazionali dell'universo, risultando alla sua volta individuata caso per caso, traverso un sistema di equazioni differenziali, dal complesso di tutti gli altri fenomeni fisici.

Bibl.: G. RIcci-Curbastro, Resumé de quelques travaux sur les systèmes variables de fonctions, in Bull. des sc. math., XVI (1892), pp. 167-189; G. Ricci-Curbastro e T. Levi-Civita, Méthodes du calcul différentiel absolu et leurs applications, in Math. Annalen, LIV (1900), pp. 125-201; T. Levi-Civita, Nozione di parallelismo in una varietà qualunque, in Rend. del Circ. mat. di Palermo, XLII (1917), pp. 173-205; id., Lez. di calcolo diff. assoluto, racc. e comp. da E. Persico, Roma 1925; id., Fondamenti di meccanica relativistica, redatti da E. Persico, Bologna 1928; H. Weyl, Raum, Zeit, Materie, 5ª ed., Berlino 1923; J. A. Schouten, Der Ricci-Kalkül, Berlino 1924; A. S. Eddington, The mathem. Theory of Relativity, 2ª ed., Cambridge 1924; L. P. Eisenhart, Riemannian geom., Princeton 1926; id., Non-riemannian geom., New York 1927; E. Cartan, Leçons sur la géom. des espaces de Riemann, Parigi 1928.

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