Calcolo delle variazioni

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Calcolo delle variazioni

Giovanni Alberti

Il c. delle v. è quell'area della matematica definita dal seguente problema: determinare, in una famiglia assegnata di oggetti, quello che rende minima (oppure massima) una certa grandezza. Gli oggetti in questione possono essere funzioni, curve, superfici o altro.

Per illustrare le caratteristiche principali e l'evoluzione storica del c. delle v. si presentano due esempi classici: il problema della catenaria e quello delle superfici minime. Se si considera un'approssimativa suddivisione dello sviluppo di questa branca della matematica in due periodi, il problema della catenaria rappresenta per certi versi l'archetipo di problema del periodo classico, la fine del quale può essere situata nella seconda metà del 19° sec., mentre il problema delle superfici minime sintetizza il periodo moderno, iniziato essenzialmente con il 20° secolo.

Il problema della catenaria

Si supponga di voler determinare in che modo si dispone una catena di lunghezza L quando viene appesa per le estremità alle pareti opposte di una stanza. è noto dalla meccanica classica che, tra tutte le possibili posizioni, la catena assumerà quella che rende minima l'energia potenziale totale E. Se la catena ha uno spessore trascurabile rispetto alla sua lunghezza, è possibile rappresentarne la posizione tramite una funzione u(x) che indica l'altezza della catena in un generico punto x dell'asse orizzontale (fig. 1). Le posizioni della catena corrispondono alle funzioni u(x) definite per ogni x compreso tra 0 e d, il cui grafico ha lunghezza L e che assumono agli estremi dell'intervallo di definizione i valori h1 e h2 (corrispondenti alle altezze a cui sono state fissate le estremità della catena). Tra tutte queste funzioni si tratta dunque di trovare quella per cui il valore dell'energia potenziale E è minimo.

Il problema della catenaria rappresenta un caso particolare di una classe di problemi variazionali per cui esiste una formula risolutiva che permette di ottenere la funzione incognita u a partire dai dati del problema L, d, h1 e h2.

Il metodo per ricavare questa formula è simile a quello utilizzato per risolvere un altro problema più elementare: la determinazione dei punti x per cui il valore di una data funzione g(x) risulta essere minimo. Dal momento che in tali punti la retta tangente al grafico della funzione g(x) deve essere orizzontale, e poiché la pendenza della retta tangente in un qualunque punto x è uguale al valore della funzione derivata g'(x), i punti di minimo cercati sono una delle soluzioni dell'equazione g'(x)=0. Dunque la ricerca dei punti di minimo si traduce nella ricerca delle soluzioni di un'equazione.

Un procedimento analogo si applica anche al problema della catenaria: il punto di partenza è l'osservazione che sia l'energia potenziale E sia la lunghezza del grafico di u si scrivono sotto forma di integrali a partire dalla funzione incognita u e dalla sua derivata. In tale situazione, il teorema fondamentale del c. delle v., che è dovuto a J.L. Lagrange, mostra che la funzione incognita u per cui risulta minimo il valore di E deve risolvere una ben precisa equazione differenziale, vale a dire che u verifica un'identità che coinvolge u e la sua derivata u': utilizzando la formula risolutiva per questa specifica equazione differenziale si trova la soluzione del problema della catenaria.

Lo stesso procedimento si può applicare a una classe molto più generale di problemi variazionali. Seguendo la formulazione classica, si presuppone che l'incognita sia sempre una funzione, che indichiamo con u, e che la grandezza E di cui si cerca il valore minimo si scriva come integrale di un'espressione più o meno complessa che coinvolge u e la sua derivata (si osservi che questa formulazione, per quanto generale, non include alcuni dei problemi più interessanti e attuali del c. delle v., a partire da quello delle superfici minime). Per problemi del tipo già citato il teorema fondamentale del c. delle v. asserisce che le funzioni u che rendono minimo il valore di E devono soddisfare una certa equazione differenziale, la cui forma dipende sia da E sia dalle eventuali restrizioni imposte all'incognita u. Tale equazione, nota come equazione di Eulero-Lagrange associata al problema, viene ottenuta tramite considerazioni sulle variazioni infinitesime di E; da questo ha origine l'espressione calcolo delle variazioni. Quando la funzione incognita u dipende da una sola variabile, si ottiene tipicamente un'equazione differenziale del secondo ordine, ossia un'equazione che coinvolge u, la derivata prima u' e la derivata seconda u" (vale a dire la derivata di u'); quando invece la funzione incognita u dipende da due o più variabili si ottiene un'equazione differenziale alle derivate parziali del secondo ordine.

La risoluzione delle equazioni così ottenute risulta difficoltosa. Esistono infatti formule risolutive soltanto per poche equazioni differenziali, e per pochissime equazioni alle derivate parziali. In particolare, quando la funzione incognita u dipende da due o più variabili, non è in generale possibile risolvere l'equazione di Eulero-Lagrange associata al problema, e lo schema di soluzione delineato non può essere portato a termine, nel senso che non si arriva a una formula risolutiva. Tuttavia è possibile utilizzare l'equazione per ottenere informazioni qualitative sulla natura delle soluzioni, e cercare in tal modo una rappresentazione approssimata di esse per via numerica, tramite l'uso del computer.

Il problema delle superfici minime

La versione più semplice del problema delle superfici minime chiede di determinare la superficie S di area minima tra quelle sottese da un'assegnata curva chiusa Γ nello spazio. Nella versione più generale S e Γ sono superfici di dimensioni rispettivamente d e d−1 contenute nello spazio euclideo n-dimensionale, e per 'area' di S si intende il volume d-dimensionale.

Tale problema è anche noto come problema di Plateau, dal nome del fisico belga J.A.F. Plateau che lo formulò nell'ambito dei suoi studi sulla capillarità e sulla tensione superficiale. Si noti che in natura molte superfici si conformano in modo da rendere minima la loro area. Un esempio tratto dall'esperienza quotidiana è costituito dalle pellicole che si ottengono immergendo un anello di filo di ferro in acqua saponata. Un altro esempio sono le bolle d'aria nell'acqua o le bolle di sapone: la forma sferica è infatti quella di area minima tra tutte quelle che racchiudono un dato volume.

La soluzione del problema relativo alle superfici minime presenta molteplici difficoltà. La prima consiste nel fatto che non è possibile descrivere la superficie minima S tramite una formula se non per pochissime curve Γ. La mancanza di una formula esplicita per le soluzioni rende manifesto un secondo problema, più sottile, che è quello dell'esistenza di tali soluzioni: è infatti del tutto legittimo chiedersi se sia poi vero che tra tutte le superfici aventi bordo Γ ne esista una di area minore di tutte le altre. La domanda non è affatto oziosa come potrebbe sembrare a prima vista, e la risposta dipende in gran parte da che cosa s'intende per superficie: per es., la superficie minima sottesa dalla curva Γ descritta in fig. 2, non corrisponde al concetto comunemente accettato in matematica di superficie regolare.

In conseguenza di ciò, per il problema delle superfici minime la parola 'risolvere' ha finito per voler dire 'dimostrare l'esistenza di una soluzione' in una classe opportunamente definita di superfici. Ciò ha costituito, per il suo carattere paradigmatico, uno dei problemi fondamentali del c. delle v. nel 20° sec., e nonostante i notevoli progressi ottenuti tra gli anni Trenta e Sessanta, non si può ancora dire che sia completamente risolto.

Una volta dimostrata l'esistenza delle superfici minime si pone secondariamente la questione di come queste siano fatte, ossia di trovare algoritmi che permettano di rappresentarle, anzi di visualizzarle, con il livello di precisione desiderato. Quest'ultimo problema è stato parzialmente risolto grazie allo sviluppo di computer che possiedono una grande capacità di calcolo.

Dal 20° sec. in poi uno degli obiettivi principali della ricerca nel c. delle v. è stato dimostrare che i problemi variazionali ammettono soluzioni; in tal senso è stato ottenuto un gran numero di risultati astratti (genericamente noti come teoremi di esistenza e regolarità), i quali dimostrano che effettivamente le soluzioni esistono per molte classi di problemi. Tuttavia, come già osservato nel caso delle superfici minime, una volta accertata l'esistenza della soluzione si pone il problema di capire come sia fatta, ovvero di ottenerne una rappresentazione approssimata per via numerica. A differenza dei risultati di esistenza, le tecniche di calcolo tramite calcolatore delle soluzioni sono ancora in una fase di sviluppo, e rappresentano una delle sfide più interessanti per la ricerca futura.

Nel seguito si presentano a grandi linee alcuni degli aspetti fondamentali del calcolo delle variazioni. Oltre a quello astratto e a quello computazionale, un altro aspetto importante è quello applicativo. Fin dalle origini, infatti, le principali motivazioni del c. delle v. sono scaturite da questioni di natura extramatematica, o dalla necessità di risolvere problemi concreti.

Teoremi di esistenza

Dato un numero finito di oggetti, è sempre possibile trovare quello (o quelli) per cui il valore di una certa grandezza risulta essere minimo, come immediata conseguenza del fatto che in un insieme finito di numeri ce n'è sempre almeno uno più piccolo di tutti gli altri. Tuttavia ciò non è più necessariamente vero per insiemi infiniti di numeri, e quindi non è detto che in una classe infinita di oggetti ne esista uno che rende minima la grandezza considerata. Un esempio elementare ma significativo è quello esposto di seguito: si supponga di voler trovare il più piccolo tra tutti i numeri positivi x il cui quadrato sia maggiore di 2. La risposta immediata è ovviamente la radice quadrata di 2. Tuttavia, se esistessero soltanto i numeri razionali, cioè quelli che si scrivono come frazioni di numeri interi, allora si dovrebbe necessariamente concludere che il problema non ha soluzione, visto che la radice quadrata di 2 non è un numero razionale. Tale paradosso è stato risolto introducendo classi di numeri più ampie dei razionali.

Una situazione per certi versi analoga si presenta per i problemi variazionali e le equazioni alle derivate parziali: in molti casi è possibile trovare una soluzione a patto di considerare classi di funzioni (o di superfici, nel caso del problema delle superfici minime) più ampie di quelle presupposte nella formulazione originale. Soltanto in alcuni casi è poi possibile dimostrare che le soluzioni così ottenute sono in realtà soluzioni anche secondo la formulazione originale. Questo schema in due passi caratterizza la maggior parte dei risultati di esistenza dimostrati nella seconda metà del 20° secolo.

Nota storica

Il problema dell'esistenza delle soluzioni non è stato immediatamente percepito dalla comunità matematica; in particolare, fintantoché i problemi variazionali presi in considerazione traevano origine dalla fisica, l'esistenza delle soluzioni è stata data per scontata più o meno come l'esistenza della realtà stessa. La necessità di dare dimostrazioni rigorose e indipendenti da considerazioni fisiche dell'esistenza di soluzioni per i problemi variazionali è stata accettata completamente soltanto verso la fine del 19° sec., non a caso nel periodo in cui si andava affermando l'idea che le leggi della fisica non hanno validità assoluta, ma rappresentano un modello approssimativo della realtà, non coincidono con essa e vi aderiscono solamente in un determinato spettro di situazioni.

Dimostrazioni e algoritmi

L'interesse dei matematici per le dimostrazioni rigorose, anche di fatti intuitivamente ovvi, non ha soltanto motivazioni di carattere filosofico. Si consideri, per es., il teorema della curva chiusa, dovuto a C. Jordan: una curva chiusa semplice divide il piano in due parti, una limitata, l'interno, e una illimitata, l'esterno. Se questo enunciato appare del tutto ovvio e immediato, altrettanto non si può dire della richiesta di determinare se un certo punto P è interno o meno a una data curva chiusa Γ, in particolare quando la curva è molto complessa (fig. 3).

Una possibile procedura (o algoritmo) per risolvere questo problema è implicitamente contenuta in una delle dimostrazioni del teorema di Jordan: basta tracciare un segmento da P a un punto Q sicuramente esterno alla curva, e contare il numero di volte che tale segmento attraversa la curva; se è pari allora P è esterno alla curva, mentre se è dispari allora P è interno. Analogamente, le dimostrazioni di alcuni teoremi di esistenza per le soluzioni di problemi variazionali oppure di equazioni alle derivate parziali contengono in nuce un algoritmo per determinare tali soluzioni.

Determinazione delle soluzioni

Nei casi, che sono la maggioranza, in cui la soluzione di un problema variazionale non sia data da una formula, si pone il problema di determinarla con un certo grado di approssimazione. Questo problema è stato affrontato in modo sistematico soltanto con l'avvento dei computer nella seconda metà del 20° sec.; tuttavia il ruolo e la portata dell'innovazione tecnologica vanno precisati, nel senso che il computer non ha risolto all'istante tutti i problemi di calcolo matematico, ma, al contrario, la possibilità di usarlo per risolvere problemi di c. delle v. ed equazioni alle derivate parziali è arrivata alla fine di un processo lungo e laborioso che ha coinciso con lo sviluppo di una nuova area della matematica, vale a dire l'analisi numerica.

Esistono ormai algoritmi efficaci per trovare soluzioni di certi tipi di equazioni alle derivate parziali; l'uso di tali algoritmi per giungere alle soluzioni di problemi variazionali è ottimale soltanto per alcune classi di problemi convessi. Per i problemi di tipo non convesso può accadere che l'equazione di Eulero-Lagrange abbia diverse soluzioni, e che non tutte siano anche soluzioni del problema variazionale. In molti casi esistono algoritmi efficienti per trovare una soluzione dell'equazione, mentre per individuare la soluzione del problema variazionale servirebbe trovare tutte le soluzioni dell'equazione, per verificare quale corrisponde al valore minimo della grandezza considerata; dal punto di vista algoritmico tale operazione risulta notevolmente più complessa. Infine, per i problemi variazionali la cui equazione di Eulero-Lagrange non è un'equazione alle derivate parziali come, per es., il problema delle superfici minime oppure molti problemi di ottimizzazione di forma, la questione del calcolo delle soluzioni è ancora largamente aperta. Va comunque ribadito che non si tratta di risolvere un problema puramente tecnologico, ossia di costruire computer più veloci, bensì teorico, ossia di sviluppare gli algoritmi adatti.

Algoritmi e potenza di calcolo

Il seguente esempio può chiarire per quale ragione non è possibile determinare le soluzioni di un problema variazionale facendo affidamento esclusivamente sulla potenza di calcolo dei computer.

Si supponga di voler trovare la superficie di area minima delimitata da una curva assegnata. Poiché un computer è in grado di manipolare soltanto quantità finite di numeri, le curve e le superfici, in quanto oggetti continui, non possono essere considerati e vanno quindi sostituiti con approssimazioni discrete. Tipicamente si approssima una curva con una spezzata, che a sua volta si riduce a una sequenza di numeri (le coordinate dei vertici dei segmenti di cui è composta la spezzata), e si approssima una superficie con una superficie poliedrale composta di triangoli con i lati a due a due in comune, che di nuovo si riduce a una sequenza di numeri (le coordinate dei vertici dei triangoli); chiaramente l'approssimazione è tanto migliore quanto maggiore è il numero dei vertici utilizzati.

Una volta fissato il numero di vertici usato per rappresentare la superficie e il numero di cifre utilizzate per specificare le coordinate di ciascun vertice, il numero delle possibili superfici risulta essere finito, e pertanto è concepibile cercare quella di area minima calcolando l'area di tutte. Tale approccio è tuttavia destinato al fallimento non appena si richiede una precisione anche minima. Infatti, se per rappresentare una superficie si utilizzano 105 vertici e per descrivere le tre coordinate di ciascun punto si utilizzano numeri di quattro cifre, si hanno in totale 1017 possibili superfici, e supponendo che il calcolo dell'area di un singolo triangolo richieda 10−9 s (stima ragionevole per un processore da 1 GHz), il calcolo delle aree di tutte le superfici richiederebbe allora un tempo dell'ordine di 1013 s, vale a dire un centinaio di migliaia di anni.

Applicazioni

Sin dalle origini, una delle ragioni principali dello sviluppo del c. delle v. risiede nel fatto che molte leggi fisiche possono venir enunciate sotto forma di principi variazionali (il più noto fra questi è quello di minima azione della meccanica lagrangiana). Le applicazioni del c. delle v. al di fuori della matematica non si limitano però alla fisica, ma interessano quasi tutte le scienze applicate.

Il principio di Fermat

Uno dei principi variazionali più semplici e antichi è dovuto al matematico P. de Fermat: esso asserisce che la traiettoria seguita da un raggio di luce per andare dalla sorgente A all'osservatore B è quella che rende minimo il tempo di percorrenza (si noti che questo principio presuppone implicitamente che la velocità di propagazione della luce sia finita, fatto di cui all'epoca di Fermat non vi era alcuna evidenza sperimentale).

Quando la luce si muove attraverso un mezzo omogeneo, la velocità è costante e il tempo di percorrenza è proporzionale alla lunghezza della traiettoria, e quindi la traiettoria risulta rettilinea. Quando invece la luce deve passare da un mezzo a un altro in cui la velocità di propagazione è diversa, per es., dall'aria all'acqua o dall'aria al vetro, allora non è più detto che il percorso seguito sia rettilineo; questo fenomeno è noto come rifrazione (fig. 4) ed è alla base del funzionamento delle lenti.

Si deve precisare che in realtà la luce non segue soltanto la traiettoria da A a B con il minimo tempo di percorrenza, ma anche ogni altra traiettoria per cui il tempo di percorrenza risulta inferiore a quello delle traiettorie vicine, anche se non necessariamente inferiore a tutte (si parla pertanto di minimo 'locale' invece che di minimo 'assoluto'). In particolare, può accadere che la luce vada dall'oggetto A all'osservatore B seguendo più di un percorso, e in tal caso B vede più immagini distinte di A; tale fenomeno si verifica, per es., guardando un oggetto attraverso una lente che è particolarmente spessa.

Rispetto ad altre formulazioni delle leggi dell'ottica geometrica, il principio di Fermat permette di predire la traiettoria di un raggio di luce non soltanto nel passaggio da un mezzo omogeneo a un altro, ma anche nell'attraversamento di un mezzo non omogeneo in cui la velocità della luce cambia di punto in punto. è il caso della rifrazione atmosferica: la velocità di un raggio di luce che penetra nell'atmosfera terrestre dipende dalla densità dell'aria, e cambia in funzione della distanza dalla Terra; la traiettoria del raggio è una curva la cui forma può essere determinata a partire dal principio di Fermat.

Immagini multiple in astrofisica

Secondo la teoria della relatività generale, la traiettoria della luce è curvata dalla presenza di campi gravitazionali intensi, ovvero un raggio di luce viene deviato quando passa vicino a una massa sufficientemente grande (effetto di lente gravitazionale). Anche se la natura fisica di questo fenomeno è diversa da quella della rifrazione, il principio variazionale che lo descrive è sorprendentemente simile al principio di Fermat, e anche l'effetto complessivo è qualitativamente analogo alla rifrazione. In particolare, in determinate condizioni si verifica il fenomeno delle immagini multiple descritto precedentemente: se tra la Terra e una certa sorgente luminosa particolarmente intensa A (una quasar) si frappone una massa sufficientemente grande (una galassia), allora questa funziona come una lente, e l'osservatore B sulla Terra percepisce diverse immagini distinte di A. Le quasar sono oggetti ideali per l'osservazione dell'effetto di lente gravitazionale, poiché sono allo stesso tempo molto lontane e molto luminose; inoltre, sono abbastanza rare da avvalorare l'ipotesi che si stia effettivamente osservando il fenomeno quando se ne vede più d'una nella stessa regione di cielo. Lo studio accurato delle immagini multiple ha rilevanti applicazioni in astrofisica, in quanto può aiutare a determinare il valore della costante di Hubble, ossia il tasso di espansione dell'Universo, attraverso la misura della distanza di oggetti extragalattici, calcolo tra i più importanti della moderna cosmologia. Il fenomeno è stato accuratamente descritto a partire dal principio variazionale volto a determinare la traiettoria della luce nella teoria della relatività generale.

Leghe a memoria di forma

La risposta alla deformazione di certe leghe metalliche (in particolare quelle nickel-titanio) dipende in modo sorprendente dalla temperatura. Per es., a temperatura ambiente una barretta sottile di tale materiale può essere deformata senza eccessivo sforzo fino a farle assumere una qualunque forma, ma non appena la si riscalda al di sopra di una certa temperatura critica, la barretta ritorna alla propria forma originale. In altre parole, il materiale 'ricorda' la forma originale, a cui torna per effetto dell'innalzamento della temperatura; si parla quindi di lega a memoria di forma (shape memory alloy). L'interesse per questi materiali è legato alle possibili applicazioni ingegneristiche: possono essere, per es., utilizzati per costruire dei microattuatori, vale a dire dispositivi in grado di compiere azioni meccaniche a comando ma privi di parti mobili o di motori, e quindi enormemente miniaturizzabili.

L'effetto di memoria è dovuto al fatto che le proprietà meccaniche di tali leghe dipendono in modo essenziale dalla struttura geometrica del reticolo cristallino, e quest'ultima cambia repentinamente vicino alla temperatura critica. La relazione tra le proprietà meccaniche e la struttura geometrica del reticolo può essere sintetizzata in un principio variazionale relativamente semplice; la ricerca matematica mira a ricavare da questo principio una più profonda comprensione di tale relazione, con lo scopo di arrivare in futuro a progettare materiali con le caratteristiche meccaniche desiderate.

bibliografia

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F.J. Almgren Jr, Plateau's problem: an invitation to varifold geometry, Providence 2001.

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