DIFFERENZE, CALCOLO DELLE

Enciclopedia Italiana (1931)

DIFFERENZE, CALCOLO DELLE

Salvatore Pincherle

. 1. Ha importanza fondamentale, in tutta la matematica, lo studio della variazione delle funzioni di una o più variabili quando alle variabili stesse si attribuiscono determinati incrementi. Nel calcolo differenziale (v. differenziale, calcolo), questi incrementi si riguardano come suscettibili di tendere a zero (incrementi infinitesimi); nel calcolo delle differenze finite (o semplicemente calcolo delle differenze) gl'incrementi dati alle variabili sono finiti e gerieralmente costanti. Nel caso dell'incremento costante della variabile, esso si assume spesso come unità: è ciò che, per semplicità, verrà fatto nel presente articolo. Il calcolo delle differenze, cui rimane pressoché estraneo il concetto di continuità, si è prestato allo sviluppo di molteplici formule, di carattere algoritmico, che hanno trovata spontanea applicazione in questioni numeriche, d'interpolazione, di statistica, ecc., e da questo punto di vista fu largamente coltivato in tutto il sec. XVIII e sul principio del XIX; ma, appunto per la esclusione delle considerazioni di continuità, esso getta minore luce sui caratteri qualitativi degli enti cui si applica, e ciò spiega come, nel periodo in cui l'applicazione delle equazioni differenziali allo studio dei fenomeni naturali dava sì larga messe di risultati, esso fosse abbandonato dagli analisti agli studiosi di questioni di carattere numerico o statistico. Però, in un periodo recente, numerose ricerche d'analisi pura hanno dimostrato l'efficacia del calcolo delle differenze anche nello studio delle funzioni analitiche e, d'altra parte, le odierne vedute della fisica, togliendo al concetto di continuità la prevalenza avuta fin qui, lasciano presumere che questo calcolo potrà estendere le sue applicazioni a nuovi capitoli della scienza.

2. Se alla variabile x si dà l'incremento 1, una funzione f(x) di questa variabile diverrà f(x + 1). Questo passaggio è il risultato di un'operazione, che verrà designata col simbolo operatorio Θ:

a questa operazione gli antichi analisti francesi davano il nome di état varié. L'incremento ricevuto dalla funzione per effetto dell'operazione Θ è f (x + 1) − f(x); ad esso si è dato il nome di differenza finita della funzione. La differenza si può riguardare come risultato di un'operazione che si suole indicare col simbolo operatorio Δ, per modo che è:

Indicando con 1 l'operazione identica, fra i simboli Θ e Δ passano le relazioni simboliche

Gli operatori Θ e Δ sono distributivi rispetto alla somma e quindi commutativi rispetto alla moltiplicazione per una costante; si ha:

dove, come nel seguito, c denota una costante, intendendo con ciò sia una quantità effettivamente indipendente da x, sia una funzione che rimane invariata per applicazione dell'operazione Θ (funzione periodica di periodo1). Inoltre l'operazione Θ è distributiva rispetto ad ogni altra operazione razionale, poiché si ha:

Delle operazioni Δ e Θ si definiscono le iterate o potenze operatorie Δ2, Δ3,... Θ2, Θ3,... Le Δ2, Δ3,... sono le differenze seconde, terze, ecc., e si ha:

Si trova, per ogni m intero positivo:

e sviluppando:

Da queste formule, che dimostrano l'efficacia dei metodi simbolici, si sono dedotte numerose identità notevoli: citiamo, fra tante, l'interessante uguaglianza:

È stata pure sfruttata la seguente relazione simbolica fra la Δ e il simbolo D della derivazione, che si ha dall'applicazione dello sviluppo di Taylor:

e da questa, applicando (formalmente) la serie logaritmica, si ha:

3. L'operazione Δ applicata a xm dà:

applicata ad un polinomio razionale intero f (x) di grado m, dà un polinomio di grado m − 1; la Δmf(x) è una costante e le differenze di ordine maggiore di m sono nulle. Alle espressioni ordinate per le potenze della variabile è spesso opportuno, nelle applicazioni ai polinomî o alle serie, di sostituire espressioni ordinate per i fattoriali x(m) = x(x − 1)••• (x − m + 1); su queste, i calcoli riescono più agevoli e più simmetrici. Si noti in particolare la formula:

analoga alla regola di derivazione della potenza xm. Esistono formule (di Schläfli) che esprimono linearmente i fattoriali per mezzo delle potenze e viceversa.

4. Una delle prime e più interessanti applicazioni del calcolo delle differenze si ha nei problemi d'interpolazione. In questi si hanno due obiettivi. O si tratta di ottenere una funzione f(x) che per dati valori x0, x1, ••• xn della variabile assuma rispettivamente valori parimenti dati y0, y1, ••• yn; in questa forma il problema è evidentemente indeterminato, e lo si può precisare aggiungendo per la funzione qualche condizione suppletiva, per es., quella di essere razionale intera di grado determinato. Oppure la funzione è già nota di forma, e si vuole, dalla conoscenza dei suoi valori per i valori x0, x1, •••; xn; della variabile, calcolare numericamente, con approssimazione valutabile, i suoi valori per altri valori della variabile, generalmente compresi fra i dati. Il caso più immediatamente connesso col calcolo delle differenze è quello in cui i valori sono equidistanti, cioè in progressione aritmetica, la cui differenza si può assumere come unità; serve allora la formula (4), e da questa, mutando x in 0 ed m in x, si ha la formula (di Newton)

Se, dal primo punto di vista testé accennato, si vuole la f(x) in forma di polinomio razionale intero di grado non superiore ad m, basterà fare Δn = 0 per n > m; dal secondo punto di vista, va aggiunto, a valutazione dell'errore commesso arrestandosi al termine nsimo, un termine complementare o resto

(generalizzazione della formula del valor medio). È così che si può calcolare con approssimazione valutabile, il log (n + x) per x 〈 1, conoscendo numericamente log n e log (n -i1); meglio ancora, conoscendo log n, log (n + 1) e log (n + 1/2). La (7) ed altre formule da questa derivate, hanno servito appunto alla costruzione delle tavole di logaritmie trigonometriche.

Dal caso dei valori equidistanti della variabile si passa in diversi modi al caso generale: per es., ponendo x = f(t), y = g (t), e dando ad x i valori x0, x1, x2,..., xn e ad y i valori y0, y1, ..., yn, L per t = 0, 1, 2, ..., n, riconducendosi così al caso precedente ed eliminando poi t fra i risultati. Nelle molteplici formule per l'interpolazione (di Newton, J. L. Lagrange, K. F. Gauss, ecc.) intervengono funzioni, dette interpolari, formate razionalmente coi valori x0, x1, ..., xn, e che sono la generalizzazione delle differenze finite dei successivi ordini. Le formule citate hanno una parte fondamentale nella costruzione e nell'impiego delle tabelle numeriche.

5. Dalla considerazione dell'operazione Δ è stato ovvio il passaggio allo studio dell'operazione inversa, il cui scopo è quello di risalire alla funzione di cui sia nota la differenza. Nasce così il Calcolo inverso delle differenze, detto anche integrazione finita o sommazione. Integrale finito o somma della funzione data f(x) è pertanto una funzione F(x) tale che sia:

La somma di f(x) si rappresenta con Σf(x) o meglio con Δ-1f(x). Rimangono con ciò definiti i simboli Δ-2, Δ-3, ... o gli equivalenti Σ2, Σ3, .... Il calcolo inverso delle differenze sta a quello diretto come il calcolo integrale sta al differenziale: come in quello, la F(x) è determinata dalla (8) all'infuori di una costante, dovendosi però ancora, come in ciò che segue, dare a costante il significato di funzione periodica di periodo 1. Per es.:

Da (8) si deduce:

formula che, sebbene assai ovvia, si è prestata a numerose ed essenziali conseguenze: essa giova sia alla sommazione di serie, sia alla determinazione approssimata di somme della forma

da essa si traggono pure le note regole dei trapezî e di Simpson per il calcolo approssimato degl'integrali definiti. Il caso della Σxm ha condotto alla scoperta del polinomî e dei numeri di Bernoulli (v. bernoulli: VI, p. 767), che hanno parte importante in svariate questioni d'analisi; quei polinomî figurano come coefficienti nella celebre formula di sommazione di Euler-Maclaurin

che serve, con approssimazione indicata da un resto opportunamente costruito, al duplice scopo di valutare l'integrale definito quando si conosca la somma, o di valutare la somma in base alla conoscenza dell'integrale.

6. L'equazione alle differenze è una relazione fra una variabile, una funzione f (x) di questa, e le differenze successive della funzione. L'equazione è di ordine m se vi figurano le Δnf(x), fino alla m′i inclusa. La relazione fra Δ e Θ permette di considerare l'equazione alle differenze di ordine m come una relazione fra x, f(x), f(x + 1),..., f(x + m). Si sono pure considerate equazioni alle differenze parziali, in cui figurano funzioni di più variabili, sistemi di tali equazioni, e anche equazioni miste differenziali e alle differenze, di cui dà un esempio la relazione

fra i cosiddetti polinomî di Legendre, differenziale in x e alle differenze in n.

L'equazione alle differenze può essere considerata da un doppio punto di vista: o come equazione ricorrente, che permette di ricavare i valori successivi f (x + m), f (x + m + 1), ..., f (x + n) dalla conoscenza dei precedenti valori f(x), f (x + 1), ..., f (x + m − 1), o invece come equazione funzionale, che vale (con l'aggiunta di opportune condizioni) a individuare una determinata funzione.

Fra le equazioni alle differenze sono di particolare importanza le lineari, in cui entrano separatamente al primo grado la f(x) e le sue successive differenze. Una tale equazione, se di ordine m, si scrive:

o, simbolicamente:

Se omogenea, essa ammette m soluzioni (o integrali) linearmente indipendenti, cioè non legate da alcuna relazione lineare a coefficienti costanti (nel senso detto sopra); se f1 (x), f2 (x), ...; fm (x) sono queste soluzioni, è pure soluzione (integrale generale) l'espressione:

c1, c2, ..., cm essendo costanti (nel solito significato). Si ha un integrale particolare λ(x) per ogni scelta speciale delle costanti; esse sono determinate dalla conoscenza dei valori di λ(x) per m valori di x differenti fra loro per numeri interi, p. es. dei valori λ (a), λ (a + I), λ (a+2),..., λ(a + m − 1) (valori iniziali). La condizione necessaria e sufficiente perché le f1 (x), ..., fm (x) siano linearmente dipendenti è data dall'annullarsi del determinante Σf1 (x) f2 (x + 1), ..., fm (x + m − 1) (F. Casorati). L'equazione lineare di secondo ordine ha speciale importanza, perché sta alla base del concetto di frapione continua (v.), concetto generalizzato per le equazioni di ordine superiore con quello di integrale distinto (S. Pincherle).

I primi membri delle (10) definiscono operazioni cui si dà il nome di forme lineari alle differenze, per le quali si può costruire una notevole algebra associativa, che è commutativa se i coefficienti a0, a1, a2,..., am sono costanti. La teoria offre la più grande analogia con quella delle forme differenziali lineari. Nel caso dell'equazione omogenea (10) a coefficienti costanti, se α1, α2, ..., αm sono le radici, supposte distinte, dell'equazione algebrica (caratteristica) a0zm + a1zm-1 + ... + am-1 z + am = 0, soluzioni indipendenti dell'equazione (10) sono date da ax1, ax2, ..., axm vi è un' ovvia modificazione quando l'equazione caratteristica ha radici multiple. Condizione necessaria e sufficiente perché una serie Σf (n) zn rappresenti una funzione razionale di z, è che i suoi coefficienti, come funzioni dell'indice n, verifichino un'equazione omogenea a coefficienti costanti della forma (10); la serie è detta allora ricorrente; se i coefficienti f(n) soddisfano a un'equazione omogenea (10) i cui coefficienti, anziché costanti, sono funzioni razionali di n, la serie di potenze è, iu generale, soluzione di un'equazione differenziale lineare a coefficienti razionali.

L'equazione di prim'ordine f (x + 1) - a (x)f (x) ha per soluzione

dove f (c) è la costante arbitraria o valore iniziale.

Per la risoluzione dell'equazione completa, giova, come per le equazioni differenziali, il metodo di Lagrange della variazione delle costanti.

Delle equazioni non lineari si sono occupati, da un punto di vista formale, i matematici del sec. XVIII e del principio del XIX, ma non ne è stata costituita una teoria di carattere organico. Come esempio assai semplice di equazione non lineare si dà: x Δ f(x) + (Δ f (x))2 = f (x), la cui soluzione è f(x) = cx + c2, con c costante.

7. L'equazione alle differenze, anziché come relazione di ricorrenza, può essere considerata sotto l'aspetto funzionale: atta cioè a determinare enti analitici in relazione con quelli che ne costituiscono i coefficienti. Questo punto di vista non è nuovo: da tempo l'equazione F (x +1) - xF (x) ha servito, con l'aggiunta di una condizione asintotica, a determinare una delle trascendenti più note, la funzione Gamma (v. funzione); ma ora, per opera di numerosi scienziati contemporanei, lo studio delle equazioni lineari alle differenze, dal punto di vista funzionale, costituisce uno dei capitoli più interessanti della teoria delle funzioni analitiche, permettendo lo studio approfondito di enti analitici che, pur godendo di proprietà notevoli, trascendono dal campo classico delle funzioni definite da equazioni algebrico-differenziali. In questo senso vennero studiate le equazioni lineari, e in prima linea la più semplice, la (8). Cosi si è cercata la somma di una trascendente intera (C. Guichard, E. Picard, ecc.); così, per la (8) e per equazioni più generali, N. E. Nörlund ha introdotto la considerazione delle soluzioni principali, che sotto l'aspetto funzionale sono le più semplici e le più atte ad essere rappresentate mediante sviluppi in serie effettivi o asintotici: si noti che per giungervi, è opportuno considerare l'incremento - della variabile non più come unitario o costante, ma come suscettibile di variazione, il che permette il passaggio al calcolo differenziale. Altri studî recenti (G. D. Birkhoff) riconducono le equazioni lineari di ordine superiore a sistemi di equazioni di prim'ordine, che consentono l'uso di un calcolo di matrici atto a ottenere rapidamente notevoli risultati. Lo studio funzionale delle equazioni alle differenze costituisce pertanto un argomento ricco d'interessanti conseguenze, e al quale la filosofia naturale, dacché in essa ha acquistata importanza il discontinuo, promette un vasto campo di applicazione.

8. Molto vi sarebbe ancora da dire sul calcolo delle differenze e sulle sue applicazioni. La trasformazione di Laplace-Abel, ossia la relazione fra le funzioni generatrici e le loro determinanti, dà luogo a un passaggio dalle equazioni lineari differenziali alle equazioni alle differenze che ha carattere di vera dualità. Il calcolo delle differenze sussidia la risoluzione di equazioni funzionali (equazioni di Babbage) e di questioni di iterazione; giova in problemi di probabilità (G. Boole); ma i limiti imposti al presente articolo non consentono maggiori particolari.

Cenno storico. - Un primo accenno alle differenze finite di una funzione si trova in una lettera di Leibniz, del 1673: vi è accennato che la terza differenza di x3 è costante. Nel 1711 Newton fa conoscere la sua formula d'interpolazione, nel 1715 Brook Taylor pubblica il primo trattato sulle differenze, e due anni dopo esce il Traité des différences finies di M. Nicole. Allo studio delle differenze recano contributi quasi tutti i matematici più insigni del sec. XVIII e della prima metà del XIX:G. Bernoulli, Eulero, C. Maclaurin, J. L. Lagrange, P. S. Laplace, Paoli, V. Brunacci, a N. H. Abel, Plana, Libri, Cayley, Sylvester, Bordoni, Piani, Genocchi, Tardy, Casorati, ecc. Al calcolo delle differenze è esclusivamente dedicato il terzo volume, di oltre 750 pagine, del grande trattato di calcolo di Lacroix. Ampère e Genocchi hanno studiato l'importante generalizzazione delle differenze costituita dalle funzioni interpolari, studio completato poi da Peano. L'uso della notazione simbolica, tanto efficace in questo calcolo, intraveduto dapprima da Leibniz, fu introdotto alla fine del sec. XVIII da Lorgna, Lagrange, Arbogast, ed altri, e perfezionato poi dai matematici inglesi, fra cui Cayley, Sylvester e specialmente G. Boole. All'algebra delle forme alle differenze, iniziata da Libri, sono stati estesi i concetti dell'algebra classica da S. Pincherle, Ettore Bortolotti, Guldberg, ed altri. Le ricerche di carattere funzionale appartengono al periodo più recente, e sono state svolte per opera di Mellin, Pincherle, Nielsen, Guldberg, Wallenberg, Barnes, Galbrun, Perron, Hilb, e segnatamente Nörlund; a questi studî si riattaccano quelli sulle serie di fattoriali.

Bibl.: Brook Taylor, Methodus incrementorum, Londini 1715; M. Nicole, Traité du calcul des différences finies, in Mém. de l'Acad., Parigi 1717-26; V. Brunacci, Calcolo delle differenze finite e sue applicazioni, Firenze 1804; G. Frullani, Ricerche sopra la serie e l'integrazione delle equazioni a differenze parziali, Firenze 1816; S.F. Lacroix, Traité des différences et des séries (vol. III del Traité du calcul différentiel et du calcul intégral), Parigi 1819; G. Boole, Treatise of the Calculus of finite differences, Cambridge 1860 (trad. tedesca di C. H. Schnuse, Brunswick 1867); S. Pincherle, L'Algebra delle forme lineari alle differenze, in Mem. dell'Acc. delle scienze di Bologna, 1895; A. A. Markof, Differenzenrechnung, Lipsia 1896; E. Pascal, Calc. delle variaz. e delle differenze, Milano 1897; G. Wallenberg-A. Guldberg, Theorie der linearen Differenzengleichungen, Lipsia 1911; N. E. Nörlund, Differenzenrechnung, Berlino 1924.

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