CALCIO - Giappone

Enciclopedia dello Sport (2002)

calcio - Giappone

Enzo D'Orsi

FEDERAZIONE

Denominazione ufficiale: Japan Football Association

Anno di fondazione: 1921

Anno di affiliazione FIFA: 1929

NAZIONALE

Colori: blu-bianco

Albo d'oro: 2 Coppe d'Asia (1992, 2000), 1 Coppa delle Nazioni afroasiatiche (1993)

Giocatore con il maggior numero di presenze: Masami Ihara (121)

Giocatore con il maggior numero di gol: Kunishige Kamamoto (73)

MOVIMENTO CALCISTICO

Formula del Campionato: 16 squadre, girone unico (si assegnano due titoli: uno dopo l'andata, l'altro dopo il ritorno)

Club: 700 società, 28.455 squadre

Giocatori tesserati: 190.206 uomini, 10.357 donne

Arbitri: 100.545

Stadi principali: International Stadium, Yokohama (70.500 spettatori); Saitama Stadium 2002, Urawa (64.000); Olympic, Tokyo (60.000)

Campionati nazionali vinti dai club: 7 Verdy Kawasaki; 5 Sanfrecce Hiroshima; 4 Kashima Antlers, Yanmar Diesel, Urawa Red Diamonds; 3 Bellmare Hiratsuka, Jubilo Iwata, Yokohama Marinos; 2 JEF United Ichihara; 1 Kashiwa Reysol

Coppe nazionali vinte dai club: 6 Yokohama Marinos, Keio BRB; 4 Verdy Kawasaki, Tokyo University LB, Mitsubishi FC, Kwangaku Club, Furukawa FC, Yanmar Diesel, Waseda University, Tokyo FC, Bellmare Hiratsuka, All Kwangaku, All Keio; 2 Yokohama Flugels, Rijo FC, Nagoya Grampus Eight, Kashima Antlers, Hitachi FC, Chuo University; 1 Yamaha FC, Waseda WMW, NKK, Nagoya FC, Matsushita FC, Kobe 1st HFC, Keio University, Astra Club

Giocatore con il maggior numero di presenze: Masaaki Sawanobori (286)

Giocatore con il maggior numero di gol: Kunishige Kamamoto (202)

L'assegnazione dei Mondiali del 2002, in coabitazione con la Corea del Sud, è una seconda investitura per il Giappone, definito non senza enfasi 'la terra promessa del calcio'. La prima risale al 1929, quando la FIFA decide di affiliare la Federazione di Tokyo, fondata ufficialmente nel 1921.

Per il calcio giapponese esiste una data di nascita, il 1873, quando un gruppo di marinai inglesi, a conclusione di una parata militare, disputa una partita dimostrativa a Tsukiji. Ma il calcio fa fatica a imporsi nei gusti popolari: inizialmente si diffonde in una ristretta cerchia di scuole e circoli in cui si apprende la lingua e la cultura inglese. Soltanto negli anni Venti comincia ad affermarsi e soprattutto si intensificano i contatti con il resto del mondo. La prima uscita fuori dall'Asia del Giappone, che pure sin dagli albori aveva manifestato un'apertura straordinaria alla più evoluta pratica europea e sudamericana, avviene ai Giochi di Berlino nel 1936, con un bilancio in chiaroscuro: da una parte il successo per 3-2 sulla Svezia, impresa che all'epoca suscita non poco scalpore, dall'altra la pesante sconfitta ai quarti di finale patita contro gli azzurri di Pozzo (8-0). Prima di allora la nazionale giapponese aveva partecipato soltanto ai Giochi dell'Estremo Oriente, debuttando ufficialmente nel 1917 e vincendo in finale contro le Filippine nel 1927.

Nel 1960 la Federazione organizza la prima tournée in Europa, visitando Germania, Svizzera, Unione Sovietica, Inghilterra, Italia e Cecoslovacchia. L'anno successivo è la Iugoslavia a compiere il cammino inverso, diventando il primo paese europeo a disputare un'amichevole nel Sol Levante: il risultato è 1-0 per gli ospiti. Nel frattempo alla guida della nazionale viene chiamato il primo tecnico straniero, il tedesco Dettmar Cramer. L'obiettivo è preparare al meglio l'Olimpiade di Tokyo del 1964, sulla quale naturalmente si investono progetti ambiziosi. Il Giappone ottiene un bel successo contro l'Argentina (3-2) e approda addirittura ai quarti di finale, dove è sconfitto dalla Cecoslovacchia. Il lavoro di Cramer è facilitato dalla proverbiale disciplina nipponica ma anche da un interesse crescente per il calcio, di cui è effetto, nel 1965, la costituzione di una nuova lega (J-League), alla quale partecipano 8 squadre. È la vigilia di uno storico traguardo: il terzo posto alle Olimpiadi del 1968 in Messico, dietro all'Ungheria e alla Bulgaria. Il Giappone si arrende in semifinale davanti ai futuri campioni, ma nel primo turno batte la Nigeria e pareggia contro Brasile e Spagna. A coronare la spedizione, il titolo di capocannoniere conquistato da Kunishige Kamamoto.

Negli anni Settanta e Ottanta i giapponesi non sono più principianti, tuttavia il professionismo è un obiettivo incompiuto. L'autopromozione diventa un'esigenza prioritaria: così si spiega l'inaugurazione della Kirin Cup nel 1978 e due anni dopo l'acquisizione della Coppa Intercontinentale, subito ribattezzata Toyota Cup. Quest'ultimo appuntamento, almeno per un paio di giorni l'anno, fa di Tokyo la capitale del pallone.

La miscela di yen, televisioni e sponsor rappresenta il volano del calcio giapponese, che nei primi anni Novanta cambia marcia, entrando nella sua era moderna. Il 15 maggio 1993 si gioca la partita inaugurale del primo Campionato professionistico, Yomiuri Verdy contro Yokohama Marinos; tutto esaurito allo stadio di Tokyo: 52.000 spettatori a fronte di una richiesta di 854.000 biglietti. I club sono sostanzialmente un'emanazione aziendale. Toshiba, Matsushita, Sony, Canon, Nissan, Yamaha, Mitsubishi: non c'è colosso che rifiuti di investire nel calcio, imprestando il proprio nome e la propria solidità finanziaria. In questo modo la neonata Lega giapponese diventa in pochi anni un porto sicuro per i fuoriclasse a fine carriera di tutto il mondo, campioni in odore di pensionamento che strappano l'ultimo ingaggio miliardario. Già nel 1995, alla terza edizione della J-League, si presentano in campo 58 stranieri, quasi la metà vengono dal Brasile (28), alcuni portano in dote il titolo di campioni del Mondo: da Dunga a Bebeto, da Leonardo a Jorginho, da Müller a Careca. Il primo italiano è Salvatore Schillaci, che firma un contratto con il Jubilo Iwata; presto lo raggiunge l'ex rossonero Daniele Massaro. Ci sono francesi (Frank Durix e Gerald Passi), olandesi (Hans Gillhaus), croati (Skrinjar Vjekoslav) e neozelandesi (Wynton Rufer). Ma a tenere a battesimo la ricchissima J-League è soprattutto Zico, il vero apripista. Il Giappone sa celebrare anche i propri campioni, a cominciare da Kamamoto. Il primo giocatore esportato è Yasuhiko Okudaira, con un'onorevole militanza in Bundesliga, il primo a trovare un ingaggio in Italia è Kazu Miura, al Genoa. Lo seguiranno Hidetoshi Nakata, campione d'Italia con la Roma nel 2001, e Irosi Nanami, apparso fugacemente a Venezia.

Campione d'Asia nel 1992, dopo aver superato la Cina in finale (2-0), il Giappone si ripete nel 2000, a spese dell'Arabia Saudita (1-0). Più sospirato l'ingresso alla fase finale dei Mondiali: ci si avvicina nel 1994, quando gli è fatale la sconfitta subita ad opera dell'Iraq: al suo posto si qualifica la Corea del Sud. L'appuntamento è rinviato all'edizione successiva, in Francia, dove però il Giappone finisce ultimo nel gruppo H, perdendo contro l'Argentina, la Croazia e addirittura la Giamaica. Ben altre le prospettive per il 2002: dieci città coinvolte (Yokohama, Sapporo, Miyagi, Niigata, Ibaraki, Saitama, Shizuoka, Osaka, Kobe e Oita), la sinergia con la Corea decisiva nella battaglia elettorale per l'assegnazione. Ma dopo le grandi aspettative aperte da un brillante primo turno, arriva la delusione negli ottavi di finale con la sconfitta da parte della Turchia.

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