CALAMECH

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CALAMECH (Calamecca)

Francesco Neri Arnoldi

Famiglia di artisti carraresi, attivi a Messina nella seconda metà del secolo XVI, il cui nome trae origine da una località presso Carrara, denominata la Calamecca.

Primo e maggiore esponente della famiglia fa Andrea, figlio di Lazzaro, nato a Carrara verso il 1524-25 e formatosi alla scuola dell'Ammannati a Firenze, come afferma anche il Vasari (pp. 625 s.), che lo ricorda "scultore molto pratico, che.ha sotto esso Ammannato condotto molte figure". Il nome di Andrea ricorre infatti tra i collaboratori dell'Ammannati in documenti relativi ai lavori per la fontana di piazza della Signoria a Firenze, per la quale si suppone che egli abbia eseguito, su modello del maestro, la figura di Doris con la conchiglia (Kriegbaum, Venturi).

I primi contatti di Andrea e del fratello Domenico con l'ambiente artistico messinese risalgono agli anni 1549-52, come attestano documenti (Campori, p. 43) relativi al trasporto da Carrara a Messina di marmi destinati ai lavori della locale cattedrale allora diretti dal Montorsoli. Tali viaggi dettero modo ad Andrea di farsi conoscere e apprezzare sì che nel 1563 egli stesso venne chiamato a Messina a sovraintendere ai lavori in duomo, come attesta un atto emanato dal Senato messinese che lo nomina per un triennio "protomastro e scultore" della cattedrale (Di Marzo, 1880, p. 785), in sostituzione del modesto maestro locale Giuseppe Bottone; quest'ultimo tuttavia restò in carica come "capomastro scultori di la maiori ecclesia" per tutto il 1564. In quest'anno infatti Andrea risulta ancora a Firenze impegnato nella realizzazione del gruppo allegorico dello Studio che imprigiona l'Ozio, destinato ai grandiosi apparati per le esequie di Michelangelo in S. Lorenzo, come ricorda il Vasari (p. 302) parlando di lui nel capitolo dedicato agli Accademici del Disegno.

Tale permanenza di Andrea a Firenze è attestata anche da una lettera del 26 ag. 1564, con la quale il marchese di Massa, Alberico Cybo, informava Cosimo I che l'artista era stato nchiesto a Messina, ma che non gli aveva dato licenza di andarvi perché "giovane di buonissima spettazione", come poteva attestare l'Ammannati, e quindi lo raccomandava per "farlo entrare come compagno" di Pirro Ligorio che aveva allora sostituito Michelangelo alla direzione della Fabbrica di S. Pietro (M. Gualandi, Nuova raccolta di lettere, III, Bologna 1856, pp. 26 s.). Tale richiesta tuttavia non venne accolta; una successiva lettera del 9 settembre dello stesso anno diretta dal cardinal Morone al marchese di Massa faceva chiaramente intendere che Pirro Ligorio non desiderava compagni (Campori, p. 434), cosicché, dopo un breve soggiorno a Carrara, ove la sua presenza è documentata ancora nel febbraio del 1565, Andrea si trasferiva a Messina. Dello stesso anno è infatti un pagamento del Senato messinese "pro nobili Andrea Calamecca de Carrara sculptor electus fontium huius civitatis" (Di Marzo, 1880, p. 786) con sollecito a portare a termine i lavori per i quali si era impegnato (forse già nel 1563).

Nel 1567 l'artista riceveva la nomina definitiva a protomastro di scultura della città di Messina. A Messina, dove, salvo brevi viaggi (nel 1567 altri due documenti carraresi portano il suo nome), dimorò per oltre vent'anni, Andrea svolse vasta attività di scultore, architetto e urbanista - come attesta una serie di documenti - coadiuvato nell'esecuzione dei suoi progetti dai membri della sua numerosa famiglia (oltre che dal proprio figlio Francesco, dai nipoti Iacopo, Lazzaro e Lorenzo, figli del fratello Domenico) e da parenti acquisiti, come lo scultore locale Rinaldo Bonanno che sposò una sua figlia, Veronica. Ciò nonostante quasi nulla resta oggi a testimonianza dell'arte sua, poiché, salvo rare eccezioni, l'intera sua produzione è andata distrutta in incendi, guerre e terremoti che hanno più volte mutato il volto della città di Messina.

Tra le sue maggiori realizzazioni architettoniche si ricordano: il palazzo reale, del quale in alterne fasi (1565, 1573, 1583-85) Andrea curò l'ampliamento, che però fu fortemente danneggiato dal terremoto del 1783 e raso al suolo, perché pericolante, nel 1849. Di esso restano, oltre a un'incisione di Francesco Sicuro del 1770 che ne riproduce il prospetto (Accascina, 1964), gli elementi ornamentali del grandioso portale, che vennero utilizzati per decorare la porta Placida e, abbattuta anche questa, raccolti in frammenti nel Museo nazionale (due figure di Vittorie, eseguite in gara dal nipote Lorenzo e da Fabrizio Mora, e tre mensole in forma di mostri che sorreggevano il soprastante balcone, queste probabilmente dello stesso Andrea). L'Ospedale civico fondato nel 1542, ma trasformato da Andrea tra il 1571 (presentazione del progetto) e il 1584 (pagamenti), di cui resta soltanto un'incisione di F. Sicuro del 1783, quando cioè l'edificio aveva già subito guasti e trasformazioni, e un disegno della pianta (Hittorf Zanth, tav. XII). La casa professa dei gesuiti (poi monastero cisterciense, quindi palazzo della Provincia) e annessa chiesa di S. Nicolò dei Gentiluomini, cui l'artista attese tra il 1573 e il 1585, e di cui non resta memoria, poiché la pianta e i disegni riprodotti da Hittorf-Zanth non riguardano la chiesa di Andrea, distrutta da un incendio già nel 1606 (Buonfiglio, 1738, p. 50), ma quella posteriore secentesca. Anche delle chiese di S. Gregorio, a croce greca con cupola, terminata dopo la sua morte, di S. Barbara (incarico del 1575, ma rifatta nel 1725) e di altre (S. Giuliano, S. Biagio), non documentate ma a lui attribuite dalle fonti locali (Buonfiglio, 1738, pp. 45, 48, 53), non resta testimonianza alcuna. Lo stesso dicasi per gli altri palazzi a lui attribuiti (Samperi, 1742, pp. 619 ss.). Né resta traccia, se non nelle descrizioni delle fonti, delle architetture celebrative, come la porta d'Austria, innalzata per l'ingresso in Messina di don Giovanni d'Austria, vincitore di Lepanto, nel 1572-73 e distrutta nel 1853, o l'arco trionfale per l'arrivo del viceré Marcantonio Colonna, per il quale Andrea forni il modello nell'anno 1578 (Buonfiglio, pp. 75 s., 92 s.); come anche delle numerose opere di sistemazione urbanistica di Messina, quali l'allargamento della piazza S. Maria La Porta iniziato nel 1573-74, portato avanti nel 1587 e non finito per la morte dell'artista (complesso andato poi distrutto nel 1783), e l'apertura della grande via d'Austria tra il 1574 e il 1586, che richiese l'abbattimento di parte del palazzo arcivescovile e il rifacimento della facciata e del portale (1582), il tutto distrutto poi nel terremoto del 1783 insieme con molti altri edifici che fiancheggiavano quella via. Lavori questi ultimi per i quali l'architetto venne anche ripetutamente chiamato a Palermo nel corso del 1572 dall'allora presidente del Regno principe di Castelvetrano, forse per l'approvazione del progetto, o per prendere visione dell'analoga apertura della strada palermitana del Cassaro.

Anche delle numerose opere di scultura realizzate da Andrea a Messina non restano purtroppo che rari esempi e in pessimo stato di conservazione. Tra questi il Monumento a don Giovanni d'Austria (già in piazza del palazzo reale, poi in quella dell'Annunziata, ora in piazza dei Catalani), a lui affidato nel 1572 dopo il rifiuto di un progetto troppo oneroso presentato da Iacopo del Duca. La parte migliore dell'opera, peraltro non eccelsa, è costituita dalle targhe bronzee che ornano il basamento, con rilievi illustranti, con felice effetto di moto, varie fasi della battaglia di Lepanto (Disposizione delle flotte nemiche, Battaglia, Rientro nel porto di Messina).Assai incerta è la paternità di altre opere a lui attribuite dalle antiche fonti o dalla critica moderna, mancando quasi in assoluto utili termini di confronto (la statua di Don Giovanni d'Austria èopera poco significativa al riguardo).

Perduti i due monumenti fimerari eseguiti per il barone Filippo la Rocca da Paolo Tasso e da Rinaldo Bonanno su disegno di Andrea e di G. D. Mazzolo (pagamento del 1565), resta invece quasi integro quello di Antonino Marchese (già in S. Maria di Gesù, ora al Museo nazionale di Messina) datato al 1572, eseguito almeno in parte da Rinaldo Bonanno su disegno di Andrea, come attesta un documento, ove accanto ad Andrea "caput magistrum sculptorum" figura anche il nipote Lorenzo. Ad Andrea dovrebbe pertanto appartenere, almeno nel disegno, ché l'esecuzione si vuole sia anche in questo caso del Bonanno (Saccone), l'altro coevo Monumento di Francesco Marchese Salimbeni, con medesime provenienza e ubicazione. Le due opere mostrano analoghi caratteri stilistici ed uno schema derivante dal tipo di sepolcro inaugurato dal Montorsoli nel Monumento di Angelo Aretino in S. Pietro ad Arezzo (1522).

Scomparse purtroppo anche altre opere a lui assegnate, ma precedentemente attribuite al Montorsoli, come pure la statua marmorea di S. Andrea e i rilievi della relativa cappella che facevano parte della serie dell'Apostolato ideata dal Montorsoli lungo le navate laterali della cattedrale (completamente distrutta dai bombardamenti dell'ultima guerra), non si può esprimere un sicuro giudizio neppure sulla paternità del discusso pulpito della cattedrale (anch'esso andato distrutto e ricostruito), la cui tradizionale attribuzione ad Andrea, negata dal Di Marzo (1880, pp. 788 s.) e poi ripresa da La Corte Cailler (1901-1902) e Venturi, appare comunque avvalorata, almeno sul piano cronologico, dal fatto che il capitello di sostegno reca sulle quattro facce i volti di Zuinglio, Calvino, Lutero e Maometto, il che lo fa ritenere eretto dopo la chiusura del concilio di Trento (1564), quando cioè G. B. Mazzolo era assente da quattordici anni da Messina. Anche lo stile, vicino a quello dei rilievi perduti della cappella di S. Andrea (La Corte Cailler, 1901-02) e decisamente di tn manierismo postmontorsoliano, lo fan supporre opera di Andrea. Nessun giudizio definitivo è comunque possibile così su quest'opera come sulle due statue marmoree, ancora esistenti di S. Giovanni (datata al 1568) in S. Salvatore e di S. Giacomo Maggiore in S. Francesco a Castroreale, assegnate ad Andrea per concorde parere della critica (Pyrroni-Sollyma; La Corte Cailler, 1901-02, p. 65) ma anch'esse tuttavia senza possibilità di confronti.

Non resta poi traccia dei lavori svolti da Andrea per fontane di Messina, cui fa riferimento il documento del 1565 (lo stesso Di Marzo, 1880, gli attribuisce, ma poi gli toglie, la fonte con i due tritoni reggenti lo scudo di Messina, già presso l'oratorio di S. Cecilia, oggi in frammenti al Museo nazionale). Resta invece notizia di sue perdute sculture in legno: due statue lignee di S. Pietro e S. Paolo accanto al portale di S. Nicolò dei Gentiluomini e la statua del gigante Zancle, mitico fondatore di Messina, che veniva portata in giro per la città insieme con quella di Rea durante le feste d'agosto, e alla quale risulta che l'artista lavorasse nel 1581 (conservata nella cattedrale fino al sec. XIX).

Nominato ancora come "ingegnere e architettore" della città in un atto del 1588 (La Corte Cailler, 1903), Andrea moriva a Messina sullo scorcio dell'anno seguente. Con un documento del 9 dic. 1589 (ibid.) veniva infatti chiamato a succedergli nella direzione dei lavori di piazza S. Maria La Porta Iacopo del Duca, che fa forse l'unico antagonista del maestro carrarese in un ambiente, quello messinese della seconda metà del XVI sec., dominato dalla personalità e dalla attivissima bottega di Andrea.

Non è stato ancora sufficientemente chiarito il problema relativo ad alcune contraddittorie notizie delle fonti. Il fatto che in data 26 apr. 1567 la Compagnia fiorentina di S. Paolo, alla quale Andrea apparteneva, lo registri nell'elenco dei fratelli morti, è stato spiegato (Campori, p. 49) con il definitivo trasferimento del maestro a Messina, sebbene anche il Vasari (p. 626), alla data della seconda ed. delle Vite (1568), lo dica morto a Messina. Taluno crede si tratti di altra persona. E questo potrebbe conciliarsi con il parere di chi lo dice nato non nel 1524-25 ma nel 1514, e capomastro del duomo di Orvieto nel 1537 (C. Lazzoni, Carrara e le sue ville, Carrara 1880, pp. 337 s.). ècerto comunque che il C., allievo dell'Ammannati trasferitosi a Messina nel 1565 e ivi morto nel 1589, non poteva essere nato nel 1514; il marchese di Massa non avrebbe infatti chiamato "giovane" un artista cinquantenne.

Pochissime notizie restano del fratello di Andrea, Domenico, del quale si ignorano anche le date di nascita e di morte. In un documento del 1547 (Campori, p. 43) Domenico riceve promessa di consegna di un "socculum pro pedem pilae" da imbarcare per la Sicilia, che taluno ha creduto doversi identificare con un marmo destinato alla fontana di piazza del duomo a Messina, commissionata proprio in quell'anno al Montorsoli. Tale ipotesi potrebbe essere confermata dalle successive consegne (1549 e 1552) fatte da Domenico e dal fratello Andrea, a Messina, di marmi carraresi destinati ai lavori che il Montorsoli stava conducendo nella locale cattedrale. Non si sa se poi Domenico si trasferì con il fratello a Messina. Da un documento del 1569 (Campori, p. 434) si sa per certo che a quella data egli era ancora a Carrara.

Francesco, figlio di Andrea, nacque probabilmente a Carrara prima del trasferimento del padre in Sicilia e si stabilì con lui a Messina nell'anno 1565. Nel 1575, tuttavia, egli risulta presente a Roma, ove rilascia procura a un tale maestro Andrea del Sarto per la riscossione di pagamenti per due acquasantiere, che un tale Nicolò del Mastro doveva fargli secondo il disegno dato a Messina: pagamento regolato in Carrara l'anno appresso, 1576, al suo procuratore (Campori, p. 52). Nel 1582 Francesco acquista marmi a Messina dal cognato Rinaldo Bonanno (marito della sorella Veronica). In quell'anno firma e data la statua della Madonna di Piedigrotta, su base con rilievi raffiguranti Annunciazione, Natività e Adorazione dei Magi, per S. Maria del Soccorso a Castanea presso Messina (oggi in casa del barone Forzano a Castanea).

è questa l'unica opera nota dell'artista e una delle pochissime rimaste della produzione messinese del Calamech. La Vergine, raffigurata con un libro nella mano destra e il Bambino poggiante sul ginocchio sinistro rialzato, risente, tanto nell'iconografia che nello stile, della tarda maniera michelangiolesca diffusa a Messina dal Montorsoli, piuttosto che dell'arte dell'Ammannati, certamente nota a Francesco attraverso l'insegnamento paterno.

Dei figli di Domenico, Iacopo è il meno conosciuto. Di lui non restano opere note. Si sa soltanto che era a Messina nel 1577, come si rileva da un pagamento per la pittura dello stemma reale e di quello della città di Messina su quattro grandi ceri del duomo. Soltanto venti anni dopo, nel 1597, lo si ritrova a Palermo, ove forse si era trasferito, come attesta un atto di commissione per una lapide sepolcrale per F. Scammacca, destinata ad una chiesa di Lentini (Di Marzo, 1880).

Lazzaro, altro figlio di Domenico, fu pittore e scultore; nato a Carrara nel 1543, fu educato nella bottega del Moschino, come attesta il Vasari. Nel 1564 era a Firenze con lo zio Andrea e gli veniva affidato, nonostante l'ancor giovane età, un gruppo allegorico di Minerva che schiaccia l'Invidia per gli apparati delle esequie di Michelangelo (Vasari, p. 302). Probabilmente nel 1565, insieme con lo zio, si trasferiva a Messina. Di lui le fonti (Samperi, p. 615) ricordano un dipinto con la Madonna e s. Giovanni Battista conservato nella chiesa del Battista a Messina (se ne ignora la sorte). Incerto se suo o del fratello Lorenzo è invece il gruppo marmoreo della Visita di s. Elisabetta, firmato "L.C.F." e datato 1604, nella semidistrutta chiesa della Pace a Castanea presso Messina, opera questa anche essa di impronta montorsoliana, ma di difficile assegnazione, data la mancanza di validi termini di confronto fra gli artisti.

Meglio note sono la vita e rattività dell'altro figlio di Domenico, Lorenzo, nato a Carrara intorno al 1545, e già nel 1564 ascritto all'ccademia fiorentina del disegno. "Discepolo del Moschino e giovane di grande speranza" lo dice il Mellini a proposito delle due statue della Fama e dell'Eternità dalui eseguite per gli apparati per l'ingresso a Firenze di Giovanna d'Austria sposa a Francesco de' Medici, nel 1565. Dal 1570 risulta attivo a Messina, ove svolse attività di pittore, scultore e architetto, collaborando spesso alla realizzazione dei progetti dello zio Andrea, come la costruzione delle chiese di S. Nicola e di S. Gregorio (Grosso Cacopardo, 1821, p. 87). Negli anni 1571 e 1572 l'artista riceveva pagamenti per l'esecuzione di pitture alla "bara di mezz'agosto" e ai "giganti" (i già cit. Zancle e Rea).Nel 1583 firmava e datava il dipinto con Deposizione per la chiesa di S. Agostino, oggi al Museo naz. di Messina. Questa è purtroppo l'unica testimonianza rimastaci della sua produzione pittorica, ma sufficiente a documentarne la notevole qualità. Anche della sua opera scultorea non restano che pochi frammenti di alcuni "termini" e della Vittoria, scolpita in gara con Fabrizio Mora nel 1593 per il portale del palazzo reale di Messina oggi al Museo nazionale (Samperi, 1742, p. 622; Gallo, 1804, pp. 105, 716).

Da Lorenzo, figlio di Domenico e fratello di Iacopo e Lazzaro, va certamente distinto un altro Lorenzo che nel 1627 riceveva pagamenti dall'amministrazione del duomo di Messina per due rilievi raffiguranti la Madonna della Lettera, destinati a decorare un edificio allora in costruzione (La Corte Cailler, 1903, pp. 152 s.).

Fonti e Bibl.: Per Andrea v., oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p.370, G. Vasari, Le vite, a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, pp. 302, 625 s.; G. C. Buonfiglio, Messina descritta in VIII libri, Venezia 1606 e Messina 1738, II, p. 27; III, pp. 45, 48; IV, pp. 50, 53; V, pp. 72, 73, 75, 76, 92, 93; P. Samperi, Messana illustrata, Messina 1742, I, 6, p. 619; Id., Iconologia della Gloriosa Vergine Maria, Messina 1644 e 1739, pp. 168, 198 229; F. Susinno, Le vite de' pittori messinesi [1724], a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, ad Indicem;G. D. Gallo, Apparato agli Annali della città di Messina, Napoli 1755, pp. 37, 122; Id., Annali di Messina, Messina 1758, pp. 22, 554; [G. Grosso Cacopardo], Memorie dei pittori messinesi, Messina 1821, pp. 38, 86; [Id.], Guida di Messina, Messina 1826, pp. 25, 46; [Id.], Guida per la città di Messina, Messina 1841, ad Indicem;J. J. Hittorf-L. Zanth, Architecture moderne de la Sicile, Paris 1835, pp. 32-34; G. Farina, Messina e i suoi monumenti, Messina 1840, pp. 53, 92; G. Pyrroni Sollyma, Castroreale e i suoi monumenti, Messina1855, pp. 19, 28; G. Di Marzo, Degli scultori della Penisola che lavorarono in Sicilia nei secc. XIV, XV, XVI, in Arch. stor. ital., XVII(1872), pp. 354-359; G. Campori, Mem. biogr. degli scultori, archit., pittori nativi di Carrara, Modena 1873, ad Indicem;G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia, I, Palermo 1880, pp. 754 ss., 785-92; G. La Corte Cailler, Andrea Calamech, in Arch. stor. messinese, II(1901-1902), nn. 1-2, pp. 33-58; nn. 3-4, pp. 34-77; III (1903), n. I, pp. 139-56; L. Testi, Calamech o Calamecca, Messina 1902; Id., Ancora i Calamecca, in Arch. storico messinese, V (1904), nn. 1-2, pp. 163-70; A. N. Malagoli, Carrara e dintorni, Carrara 1905-1906, p. 45; F. Kriegbaum, Ein verschollenes Brunnenwerk des B. Ammannati, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, III(1919-32), pp. 71-103, 549; S. Bottari, Ilduomo di Messina, Messina 1929, pp. 44-45, 53; G. La Corte Cailler, A proposito del pergamo del duomo, in Gazzetta di Messina, 9 ag. 1932; A. Vetituri, Storia dell'arte italiana, X, 2, Milano 1936, pp. 434 ss.; G. Bellafiore, La maniera, Palermo1954, pp. 29, 50, 58-60, 78; B. Saccone, Rinaldo Bonanno, in Commentari, XI(1960), pp. 117-120, 125; M. Accascina, Profilo dell'architettura a Messina….Roma 1964, pp. 14-17.

Per Domenico: vedi Campori, Mem. biogr. …, ad Indicem;Di Marzo, I Gagini, I, pp. 784 s.

Per Francesco: Campori, Mem. biogr. …, p. 52; Di Marzo, I Gagini…, I, p.796; La Corte Cailler, Andrea Calamech, 1903, pp. 151 s.; Saccone, Rinaldo Bonanno, p.120.

Per Iacopo: vedi Campori. Memorie, p.43; Di Marzo, I Gagini, I, p.195; II, Palermo 1883, p. 435; La Corte Cailler, Andrea Calamech, 1903, p. 150.

Per Lazzaro: vedi Vasari, Le vite, VII, p.302; Susinno, Le vite…, pp. 96 s.; Campori, Mem. biogr. …, p. 51; Samperi, Messina ill. …, II, p.616; Grosso Cacopardo, Memorie, p. 88; Di Marzo, I Gagini…, I, p.794; La Corte Cailler, Andrea Calamech, 1903, pp. 14 s.

Per Lorenzo: vedi D. Mellini, Descrizione dell'entrata della Regina Giovanna d'Austria, Fiorenza 1566, K. 3v; Samperi, Messana…, p.622; Gallo, Annali…, Messina1804, pp. 105, 116; Grosso Cacopardo, Memorie, pp.87, 88; e Guida, 1826, p. 33; 1841, p. 28; Campori, Mem. biogr. …, I, p.52; La Corte Cailler, Andrea Calamech, 1903, pp. 144-48; Saccone, Rinaldo Bonanno, p.118.

CATEGORIE