CALABRIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

CALABRIA

Elio Manzi
Elena Lattanzi
Valter Pinto
Carolina Ritrovato

(VIII, p. 291; App. II, I, p. 477; III, I, p. 280; IV, I, p. 333)

La C., alla fine degli anni Ottanta, vede insoluti, e in alcuni casi addirittura aggravati, i suoi problemi socio-territoriali. Tra le più povere regioni italiane, la C. tuttavia era ricca di risorse ambientali di eccezionale bellezza. Buona parte di questa ricchezza è stata compromessa negli ultimi anni, soprattutto lungo le coste, senza che per questo si muovessero i primi passi verso l'industrializzazione o si colmasse il dislivello con regioni italiane più favorite.

La popolazione residente al censimento del 1981 era di 2.061.182 ab., saliti a 2.152.539 alla fine del 1989, con una densità di 143 ab. per km2, parecchio inferiore alla media nazionale (191). Spentosi il movimento emigratorio verso l'estero, che negli ultimi anni vede il pareggio tra emigrati e rimpatriati nella regione (5000 circa), permane un movimento migratorio verso altre regioni italiane, seppure assai ridotto rispetto agli anni del grande esodo Sud-Nord. Il numero delle cancellazioni dalle liste anagrafiche supera di 2÷3000 persone l'anno quello delle iscrizioni, ma, al contrario di quanto ci si aspetterebbe in base alle esperienze del passato, non è il Nord la meta di questi trasferimenti se non in misura ormai esigua, bensì le maggiori città del Centro-Sud. La C. è tra le poche regioni italiane attive nella bilancia demografica: il coefficiente di natalità è del 12,4‰ (1988), elevato ma non altissimo, contro un coefficiente di mortalità molto basso (7,7‰), sicché l'indice di accrescimento della popolazione si aggira sul 4,7‰, inferiore a quello campano o pugliese. La tendenza costante, comunque, va verso un più ridotto accrescimento, in linea, seppure anni dopo le regioni del Centro-Nord, con il resto del paese.

Analfabetismo e disoccupazione, soprattutto giovanile, sono due dati preoccupanti, che evidenziano la crisi calabrese nel quadro non brillante dell'intero Mezzogiorno. La C. detiene il record dell'analfabetismo (129.000 nel 1986), pari al 7% della popolazione, molto al di sopra di altre regioni come Sicilia e Puglia; nel 1981 il censimento registrava ancora 180.000 analfabeti, retaggio di un'età di sottosviluppo profondo; l'abbattimento del fenomeno è lento, peraltro aiutato dalla scomparsa delle classi di età più elevata.

I disoccupati superano il 25% della forza-lavoro, contro l'11% della media italiana e l'8,5% del Centro-Nord. La composizione percentuale degli attivi (bassa rispetto alla popolazione totale) è abbastanza squilibrata: il 21,19% di addetti all'agricoltura, il 16,5 al secondario, il 62,2 al settore terziario. La debolezza dell'apparato industriale calabrese appare evidente, perché in quel 16% vanno inclusi gli artigiani e gli operai edili, ancora numerosissimi.

L'indiscriminata edificazione, che in lunghe fasce costiere è divenuta cementificazione totale e disordinata, ha prodotto notevoli fenomeni di degrado ambientale in una realtà dai già fragili equilibri. L'annuncio della legge di condono ha reso ancor più grave una situazione precaria, con la compromissione delle residue possibilità di sviluppo turistico e di fruibilità delle risorse paesistiche, anche per i ritardi e le ''disattenzioni'' della normativa urbanistica regionale. Le case abusive si possono calcolare in circa 210.000, tra il 1971 e il 1981, una cifra enorme rispetto alla popolazione calabrese. Questa edificazione indiscriminata, oltre a disastrosi effetti economici e territoriali, ha pesanti ripercussioni anche sul versante ambientale, in considerazione dei gravi rischi in cui essa si è verificata.

Il primo rischio è quello sismico. La penisola poggia su una delle fratture profonde più instabili, tra la zolla africana e quella euroasiatica, sicché la probabilità di nuovi terremoti nei prossimi anni è elevata. Le aree più esposte sono quella dello Stretto di Messina, l'Aspromonte, il Vallo del Crati e la fascia costiera silano-ionica. Frane e alluvioni costituiscono un altro flagello calabrese, costante il primo, ricorrente il secondo; entrambi imputabili più all'irresponsabile intervento dell'uomo che non alla natura, troppo spesso gravata di colpe non sue. Le precipitazioni violentissime e intense si ripetono, soprattutto lungo le pendici ioniche aspromontane e sulla Serra, con frequenza pressoché periodica, dunque prevedibile; al dissesto idrogeologico, notevolissimo in queste aree, si è cercato di porre riparo nell'ultimo ventennio con l'imbrigliamento dei torrenti montani e con un'estesa ma non sempre efficace opera di rimboschimento. I boschi calabresi, tra i più belli e vasti d'Italia, subiscono ogni anno incendi estesi e disastrosi, talora dolosi, per cui il rimboschimento rincorre una situazione precaria senza sanarla. La franosità accentuata di molti suoli è aggravata dalle forti pendenze che i rilievi assumono, soprattutto in alcuni fronti costieri tirrenici settentrionali e ionici centro-meridionali, dove i terreni argillosi si estendono di più o dove vengono a contatto con formazioni miste argilloso-cristalline, frantumate e instabili. Le tante costruzioni costiere, erette spesso laddove la falda idrica si approssima alla superficie, hanno contribuito ad accrescere il rovinoso fenomeno sui litorali. Le frequenti interruzioni delle strade statali costiere calabresi stanno a testimoniarlo.

Un altro episodio-simbolo del degrado ambientale e, a un tempo, dell'involuzione economica calabrese, sta nella piana di Gioia Tauro: una grande ferita desertificante, ben visibile persino dal satellite artificiale. Nella zona doveva sorgere un grande apparato industriale, che non sorse mai, superato già prima di nascere; migliaia di piante utili, nel frattempo, vennero abbattute e fu creato un porto che ancora attende il carico e scarico di navi (un'ipotesi era il carbone per una prevista megacentrale elettrica, assai avversata dagli ambientalisti e dalle amministrazioni locali). L'industria impiantata in C. negli anni più recenti è stata definita da qualche studioso ''industriafantasma'', per la precarietà delle realizzazioni, per la fragilità dell'inserimento nel debole tessuto produttivo e nel mercato nazionale ed europeo. Crotone e Vibo Valentia restano i maggiori poli produttivi, mentre in piccoli nuclei industriali, come Castrovillari, l'assurdità di certe localizzazioni che deturpano e distruggono (come il cementificio sul versante meridionale del Pollino) è sotto gli occhi di tutti. Negli anni recenti, in C. sono state necessarie ben 10.000 ore annue medie di cassa integrazione guadagni (vale a dire il 10% delle ore necessarie in Lombardia), per tamponare situazioni di crisi delle poche industrie esistenti.

La rete urbana calabrese, incentrata sui tre capoluoghi di provincia, resta debole, incapace di coordinare lo sviluppo regionale. Reggio Calabria (178.620 ab. nel 1989), massimo ma eccentrico polo urbano, rimane la parte debole della conurbazione dello Stretto, attanagliata da gravi problemi sociali ed economici; Catanzaro (103.521 ab.) si è giovata della rendita amministrativa, come capoluogo della regione; il polo forse più vitale è Cosenza (105.349 ab.), dove l'università della C., fondata negli anni Sessanta nel sobborgo di Arcavacata di Rende, nonostante forti remore iniziali, garantisce un supporto culturale. Recenti iniziative più discutibili hanno incentivato l'università di Reggio e il distacco di alcune facoltà a Catanzaro, iniziative che se da un lato rappresentano dei tentativi di promozione socio-culturale, dall'altro assecondano una logica di spartizione della cosa pubblica. La remora più grande della regione, e specialmente del Reggino, è la grande delinquenza organizzata, la cui repressione, stando ai fatti degli ultimi anni, non sembra aver raggiunto gli esiti sperati; è chiaro che la 'ndrangheta impedisce e condiziona l'attività degli imprenditori volenterosi, offuscando di riflesso l'immagine della regione e frustrando le aspettative di vita migliore o di lavoro di tanti calabresi, soprattutto giovani.

La creazione di nuovi parchi nazionali, come quello del Pollino, la stupenda montagna calcarea al confine settentrionale, dopo il travagliato iter riconoscitivo del Parco Nazionale della C. (che comprende aree forestali montane in Sila e in Aspromonte) può essere un simbolo di riscatto e un segnale all'Italia e all'Europa perché ricordino le necessità di una regione bellissima. Come forse anche il ponte sullo Stretto, che rimane un'ipotesi, e sulla cui costruzione si levano pareri discordi. Vedi tav. f. t.

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Archeologia. - Fino ai recenti rinvenimenti di Rosaneto, presso Praia a mare, e di Caselle di Maida, erano ignote tracce dell'uomo in C. durante il Paleolitico inferiore. In quest'ultima località, un saggio stratigrafico ha restituito due importanti choppers in giacitura originaria (periodo glaciale del Mindel).

Ritrovamenti e scavi sistematici relativi al Neolitico hanno avuto luogo, sul versante tirrenico, ad Amantea, loc. Campora S. Giovanni, di fronte alle Eolie, sede di un insediamento risalente all'ultima facies del Neolitico, con probabile funzione di scalo di smistamento dell'ossidiana verso l'entroterra; lungo il versante ionico della regione, nel territorio di Cassano Ionio, nella grotta Pavolella, presso le già note grotte di S. Angelo, con stratigrafie dal Neolitico all'Eneolitico avanzato. La destinazione della grotta è funeraria nel Neolitico, con deposizione di inumati, e, nello stesso livello, cremazione di circa 20 individui; al Neolitico medio risale una statuetta femminile stante, in ceramica figulina. Nel Crotonese, in loc. Capo Alfieri, un sito ricco di ossidiana e ceramica di Stentinello ha restituito una monumentale struttura in pietra, con due pavimentazioni successive in ciottoli (notevole la presenza, all'interno, di 5 asce in pietra verde).

Contatti con l'area egea e le grandi civiltà del Mediterraneo orientale per il tramite degli intensi traffici dei navigatori micenei (dal 16° al 12° sec. a. C.) sono documentati, per la prima età del Bronzo, a S. Domenica di Ricadi, nel Poro (tomba a grotticella con inumazione di rannicchiati, nelle deposizioni del Bronzo recente anche perline di vetro, ornamenti in ambra, frammento di spada in bronzo), a Tropea (materiali della cultura del Milazzese, dalla piazza della Cattedrale), a capo Piccolo, a sud di Capo Colonna (evidenti influssi dell'orizzonte tipo ''proto-appenninico'' B apulo-materano e della contemporanea fase della Sicilia, con associati frammenti egei). Si riferiscono al periodo del Bronzo medio, finale e recente, i nuovi scavi in loc. Broglio di Trebisacce (dal 1979) e a Torre del Mordillo. L'insediamento del Broglio è, senza dubbio, il più notevole per la completa successione culturale protostorica; a Torre del Mordillo sono stati messi in luce resti di strutture difensive e abitative, frammenti ceramici micenei, produzioni locali. Continuità di occupazione dal Bronzo al Ferro presentano, oltre Amendolara, Francavilla e Torre del Mordillo, l'insediamento di Broglio e quasi certamente Cirò superiore e Murge di Strongoli. A Tropea, in contrada Contura e a Bisignano, loc. Mastroraffo, sono note tombe a fossa delimitate da pietre.

Le fasi più antiche di occupazione delle colonie greche sono state indagate soprattutto a Crotone, con numerosi interventi di ''archeologia urbana'' (abbondante documentazione ceramica dall'8° al 6° sec. a. C.). Lo schema urbanistico fondamentale della colonia nel 4° sec. a. C. è ormai noto e documentato. Di particolarissimo rilievo è l'esplorazione di due santuari, a Vigna Nuova (verifica della fase degli inizi del 4° sec. a. C. e rinvenimento di numerosissimi ex voto di catene di ferro e arnesi sigillati all'interno dell'area sacra, testimonianti una probabile ''manomissione collettiva'' di schiavi o di prigionieri di guerra) e a Capo Colonna. Il santuario di Hera Lacinia ha restituito un nuovo edificio di pianta rettangolare, probabilmente un thesauròs, a fianco del tempio di età classica, con ricchi ex voto arcaici e classici, tra cui spiccano una rara navicella nuragica in bronzo e uno splendido diadema in lamina aurea. In loc. S. Anna di Cutro è stato esplorato un santuario arcaico suburbano, necropoli crotoniati sono state messe in luce in località Carrara ii, al Tufolo e a Monte Viscovatello (5°-4° sec. a. C.). Sulla collina di S. Lucia è stato scavato parte di un complesso difensivo, a dominio della città (terzo quarto del 4° sec. a. C.). A Kaulonia sono state indagate le fortificazioni presso il faro di Punta Stilo (6°-5° sec. a. C.) sul luogo di una torre della cinta ellenistica. Due lotti di abitazioni messe in luce erano coperte dal crollo avvenuto nel 3° sec. a. C. certo per distruzione violenta. Di Hipponion è stato scavato un ricchissimo deposito votivo in contrada Scrimbia, nel centro urbano attuale (statuette fittili, microceramica votiva, frammenti di pìnakes di tipo locrese, frammenti di terrecotte architettoniche, vasi in bronzo, elmi votivi di tipo calcidese, databili tutti tra 6° e 5° sec. a. C.). La necropoli occidentale di Hipponion ha restituito diverse centinaia di tombe a inumazione di varia tipologia (corredi databili tra fine 6° e prima metà del 4° sec. a. C.). A Locri indagini sistematiche hanno riguardato il quartiere ellenistico di Centocamere e le fortificazioni in contrada Marasà, ove nel 4° sec. a. C. si estendeva un quartiere (notevoli la riutilizzazione delle sime leonine di un edificio sacro del 5° sec. a. C. e l'iscrizione con dedica ad Afrodite del 5°-4° sec. a. C.). A ridosso delle fortificazioni, nel tratto orientale (area Marasà) erano abbondanti stipi votive (microceramica arcaica) forse pertinenti al vicino santuario. Nelle due subcolonie locresi si sono completate le ricerche nella necropoli arcaica di Matauros e sono in corso, a Medma, le indagini dell'impianto urbano, tra 5° e 4° sec. a. C. A Reggio Calabria, infine, è stato esplorato un settore delle fortificazioni della colonia calcidese, sull'altura del Trabocchetto (in mattoni crudi la cinta più antica, inglobata nelle mura in arenaria del 4° sec. a. C.). Sui pianori di Aspromonte, in loc. Serro di Tavola, sorgeva un phrourion databile agli inizi del 5° sec. a. C., probabile avamposto reggino nel territorio. È stata restaurata ed esposta al Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria la famosa testa bronzea − ritratto di filosofo − rinvenuta con altri frammenti nel mare di Porticello di Santa Trada (v. calabria: Archeologia, in App. IV, i, p. 336). La datazione proposta oscilla fra il 5° e gli inizi del 3° sec. a.C. Vedi tav. f. t.

Gli abitati non greci meglio indagati di recente, oltre Amendolara, sono Francavilla Marittima, Drapia-Torre Galli, Murge di Strongoli. Al Timpone della Motta, sull'acropoli, un nuovo edificio sacro (edificio IV), in uso tra seconda metà del 5° e fine del 4° sec. a. C., e due stipi votive arcaiche (notevole un frammento di laminetta in argento e oro, con leone che attacca un cinghiale: fine 7° sec. a. C.) sono riferibili al santuario. A Murge di Strongoli è attestata una presenza ininterrotta sul terrazzo, dall'età del Ferro fino al 4° sec. a. C., con particolare documentazione di tombe e rinvenimenti dalla fine del 7° agli inizi del 6° sec. a. C. (ipotesi di identificazione con la mitica Macalla). Nuovi contributi per l'identificazione di Temesa vengono dalle più recenti ricerche sul piano della Tirena, documentanti preesistenze di età arcaica; non ancora nota è l'ubicazione di Laos, subcolonia dei Sibariti, mentre pare ormai certa l'attribuzione dei resti di impianto urbano di tipo ippodameo, messi in luce a Marcellina-S. Maria del Cedro a Laos lucana (notevole la scoperta della zecca lucana). I centri dei Brettii più indagati sono gli abitati fortificati di Castiglione di Paludi, di Muraglie di Pietrapaola, di Torre del Mordillo, gli abitati a nuclei sparsi di Tiriolo, dell'area di Cirò, forse di S. Lucido; recentissime le ricerche sulle fortificazioni brettie di Piano della Tirena e sulla stessa metropolis dei Brettii, Cosenza. Necropoli sono state scavate a Cariati, Cirò e Tiriolo; un insediamento rurale a Montegiordano, loc. Menzinaro. A Oppido Mamertino, loc. Mella, sono stati messi in luce i resti di uno sconosciuto centro attribuibile ai Taureani (bolli con l'etnico sulla condotta d'acqua lungo una strada selciata; unità abitative con ambienti termali: metà 3°-inizi 1° sec. a. C.). I centri di età romana meglio noti sono: Vibo Valentia (domus con mosaici policromi con emblema di Anfitrite o Nereide, 2°-3° sec. d. C., a S. Aloe; abitazioni e stratigrafie dal 1° al 5° sec. d. C. in contrada Terravecchia), Scolacium (edificio celebrativo absidato con prospetto sul foro, relativo al culto della famiglia imperiale; numerose statue marmoree di togati, una con testaritratto di Germanico), e ancora Crotone (necropoli del 2°-3° sec. d. C.), Reggio Calabria (area scavi della Stazione Lido) e Petelia-Strongoli (necropoli in loc. Fondo Castello, con iscrizioni: 1°-2° sec. d. C.).

Sulla fiumara di S. Pasquale, a Bova Marina, i resti di una sinagoga con pavimento in mosaico con simboli giudaici sono inseriti nel tessuto di un abitato con fasi di vita tra 4° e 6° sec. d. C. Ville romane in uso tra età tardo-repubblicana e 4°-5° sec. d. C. sono note a Casignana-Palazzi, Gioiosa Ionica (il Naniglio), Monasterace-Fontanelle, Nicotera-Mortelletto, Falerna-Pian delle Vigne, Malvito-Pauciuri (per alcune di queste ''ville'' è più probabile l'interpretazione di stationes itinerariae). Per il periodo tardo-romano e alto-medievale si segnalano le ricerche nei cosiddetti loci Cassiodorenses, a Stalettì, tra Scolacium e Squillace.

Importanti per lo studio delle vie di comunicazione nella C. antica le analisi della circolazione monetale, da Crotone a Vibo Valentia, alla monetazione dei Brettii. Per la storia economica importanti i rinvenimenti, tra molti, di due aree di immagazzinamento di anfore, messe in luce a Trebisacce-Chiusa (2°-1° sec. a. C.) e a S. Maria di Ricadi (1° sec. a. C.). Un impianto produttivo di anfore è stato di recente scoperto alle porte di Regium Iulium, a Pellaro-Lume (4° sec. d. C.). Dal mare di Crotone provengono i più notevoli rinvenimenti di marmi da cave asiatiche (diversi carichi a Punta Scifo); di Vibo Valentia romana sono in corso le indagini nell'area del porto.

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Arte. - L'attenzione dedicata ai centri di 'periferia' negli ultimi decenni ha permesso di ridisegnare e meglio precisare interi aspetti della produzione artistica della regione. Diamo qui di seguito i risultati degli studi e delle ricerche più recenti sull'arte calabrese.

Recente (1985) è il ritrovamento di resti di una Sinagoga nei pressi di Bova Marina, con una composizione musiva che può essere ritenuta la più antica testimonianza (4° sec.) artistica, in C., successiva al periodo classico.

L'episodio più significativo della cultura artistica in età paleocristiana resta però il codex purpureus (Rossano, Museo Diocesano), giunto probabilmente nel 7° sec. e che è stato datato al 5° sec. e collocato in un ambito di produzione siro-palestinese; a questo linguaggio stilistico possono essere ricondotte molte delle testimonianze artistiche, databili fra il 7° e il 10° sec., ancora rintracciabili nella regione, quali enkolpia, icone, medaglioni d'oro, ecc. (alcuni esemplari a Reggio, Museo Nazionale, e a Catanzaro, Museo Provinciale); e a questa stessa temperie stilistica vanno ricondotte le architetture e le frammentarie testimonianze di pittura murale a noi pervenute (a titolo di esempio: Scalea, chiesa di S. Nicola detta dello Spedale).

La situazione non muta col nuovo millennio, quando alla base stilistica dell'Oriente siro-palestinese si aggiungono influssi dell'Oriente continentale prima, e siculo-normanni poi, testimoniati dai vari strati di affreschi della Cattolica di Stilo (11°-12° sec.), ma soprattutto dagli affreschi della chiesa di S. Adriano a San Demetrio Corone (12° sec.), così come a produzione siciliana deve essere attribuita la Stauroteca di Cosenza (Museo Diocesano).

L'avvento della dinastia angioina determina un isterilimento della tradizione locale che alla metà del 13° sec. aveva prodotto un'interessante opera, la Madonna del Pilerio (Cosenza, Museo Diocesano), in cui la cultura 'bizantina' di base mostra delle consonanze con quanto contemporaneamente si andava affermando in Toscana per opera di Giunta Pisano e Coppo di Marcovaldo; ma d'ora in poi la committenza ecclesiastica, rafforzata dalla presenza dei nuovi Ordini mendicanti, e quella feudale preferiranno rivolgersi direttamente alla nuova capitale, Napoli, per le opere di maggiore impegno. In questo clima arriverà ad Altomonte, su commissione di F. Sangineto, il San Ladislao di Simone Martini (Altomonte, Museo di Santa Maria della Consolazione), ma anche per quelle opere che necessariamente dovevano essere prodotte in loco la committenza preferirà orientarsi verso botteghe 'straniere': è il caso di affreschi come quello dell'Annunciazione nel Cimitero presso la chiesa di S. Francesco d'Assisi (Cosenza, fine 14° sec.) di ambito tardo-giottesco. Fa eccezione, in scultura, il Maestro di Mileto che, nonostante la presenza nella città eponima di rappresentanti della cultura arnolfiana, resta fortemente legato alla tradizione 'bizantina', accogliendo solo in un certo fare più lineare, morbido, le novità gotiche (resti di due monumenti sepolcrali, Mileto, Museo Diocesano).

Nel Quattrocento va segnalato l'immediato inserimento della C. nelle 'rotte mediterranee' dell'arte che, ritrovato l'antico rapporto con la Sicilia, e intrecciatine altri sulla 'linea' adriatica, possono essere ben esemplificati dalla cosiddetta Madonna della porta (Scilla, chiesa dell'Immacolata, attribuita al Maestro di Galatina).

In questo clima nacquero Marco Cardisco (ca. 1486-1542) e Pietro Negroni (Cosenza, 1503-1565) − personalità la cui fisionomia si va configurando solo in questo dopoguerra −; se il primo presto abbandonò la C. per Napoli dove visse e operò, il secondo ha disseminato la propria regione di opere in cui divulga la 'maniera moderna' nell'accezione del Polidoro messinese. Sono questi inoltre gli anni di ripresa demografica e di rinnovata attività architettonica (per manomissioni posteriori e distruzioni poco documentata; fra le eccezioni si può segnalare la chiesa di S. Francesco di Paola a Montalto Uffugo) e con i nuovi Ordini nati dalla Controriforma impegnati in prima fila nella committenza di opere verso quegli artisti, operosi a Napoli, da D. Hendricksz a G. A. D'Amato a G. Balducci, divulgatori dei dettami tridentini.

Del fervore edilizio di quegli anni poco resta se non la traccia di cantieri importanti come quello della Certosa di Serra San Bruno, che diventa un centro di divulgazione del linguaggio di marmorari, intagliatori, la cui attività, protrattasi fin dentro il 17° sec., accoglie anche le sperimentazioni napoletane di Fanzago.

Proprio nel campo delle produzioni 'artigianali' deve essere ricercata una vitalità artistica peculiare della regione: è nota l'importanza della produzione serica, sin dal Quattrocento, a Catanzaro; altrettanto significative le produzioni, in particolare nel cosentino, di intagli lignei a destinazione sacra; e per lo stesso tipo di destinazione, di stucchi, sculture in pietra, lavorazione della scagliola; così come significativa è la produzione ceramica popolare, diffusa un po' in tutta la regione, un buon esempio della quale può essere ritrovato nella produzione ancora oggi viva a Seminara, di oggetti che per forme e decorazione affondano la loro origine nelle creazioni del 17°-18° sec. (di quest'ultima, e in generale di tutto quanto attiene le forme più popolari di produzione, da quelle a scopo devozionale a quelle utensili, è un'interessante raccolta a Palmi nel Museo calabrese di etnografia e folklore R. Corso).

Nel sec. 17° le vicende artistiche si svolgono attraverso una storia fatta di emigrazioni − la più nota è quella di Mattia Preti da Taverna − e di importazioni, a volte anche più che significative, di opere da Napoli, soprattutto, e da Roma: Battistello Caracciolo, Madonna d'Ognissanti (Stilo, Duomo); Francesco Solimena, S. Nicola di Bari (Fiumefreddo Bruzio, chiesa di S. Chiara). Se il naturalismo di Battistello restò estraneo alla sensibilità degli artisti locali, gli arrivi giordaneschi e solimeneschi di fine Seicento danno l'avvio a una produzione locale che con l'avanzare del Settecento diventa significativa. È il caso di Vibo Valentia, dove intorno a un gruppo di opere variamente riferibili al Giordano − fra queste l'autografa Immacolata (chiesa di S. Maria degli Angeli) − fiorisce un movimento i cui esponenti, da F. Zoda e F. A. Curatoli e F. S. Mergolo, sino al più noto E. Paparo, contribuiscono a fare di Monteleone-Vibo Valentia uno dei centri più attivi fra fine del 18° e metà del 19° sec., grazie anche alla presenza di collezionisti quali V. Capialbi.

Con queste premesse l'Ottocento vedrà affrontare la ricostruzione dopo il disastroso terremoto del 1783, con gli strumenti di una vivace e molteplice presenza di artisti; dal neoclassicismo del ricordato E. Paparo al 'neofanzaghianesimo' della ricostruzione della Certosa di Serra San Bruno a opera di maestranze locali, al 'purismo' di V. Morani o ancora al verismo dello scultore F. Jerace; ma fra questi artisti spicca la figura di A. Cefaly (Cortale, 1827-1907), il quale, di formazione artistica napoletana, impegnato politicamente, fra l'altro garibaldino, seppe coniugare il naturalismo palizziano con una vitalità e una foga 'barocca' memore di precedenti seicenteschi, sintonizzandosi con un Cammarano o un Mancini.

Nel nostro secolo diventa sempre più improbabile ritrovare una continuità artistica 'regionale' e la vicenda degli artisti nati in C. si svolge quasi sempre lontano dalla propria terra: è il caso di U. Boccioni, calabrese di nascita, ma di origini e cultura settentrionali, di M. Rotella, anch'egli calabrese, di formazione inizialmente napoletana e romana, la cui attività si svolge essenzialmente all'interno di un circuito internazionale.

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Tutela dei beni architettonici. - La C. vanta un immenso patrimonio architettonico, la cui sopravvivenza è legata alle risorse che solo l'intervento pubblico può garantire. I recenti restauri sono impostati in termini di comprensione delle regole di organizzazione dello spazio, quando non si ricerca la restituzione "a ogni costo" delle originarie forme: operazione, quest'ultima, il cui risultato finale lascia non poche perplessità.

Le operazioni eseguite, quindi, con differenze metodologiche e di gusto, dovute anche alle diverse epoche di attuazione, sono le seguenti: a Cosenza, i lavori eseguiti (1981) nel Duomo, già restaurato nell'Ottocento, hanno consentito il recupero di resti originari attraverso l'eliminazione delle superfetazioni e il rifacimento stilistico degli elementi così liberati, mentre i lavori di consolidamento della chiesa di San Francesco di Paola (1970-80) hanno portato alla luce strutture tardo rinascimentali di cui si provvede, contemporaneamente, al restauro integrale. Nel Palazzo Arnone, già sede di uffici amministrativi e carcere, si sta ultimando il restauro dell'impianto tipologico dell'ultima trasformazione per adibirlo a museo. Gli interventi più rilevanti riguardano la copertura e gli impianti. Quasi ultimato anche il restauro del complesso di San Francesco d'Assisi, il cui residuo impianto conventuale, già compromesso dai restauri (trasformazioni tipologiche, aggiunta di nuovi corpi) degli anni Cinquanta, viene trasformato in sede di laboratorio di restauro della Sovrintendenza.

Nella Cattedrale di Rossano si procede (decennio 1970-80) alla sostituzione della struttura del tetto costruito, in ferro, negli anni Quaranta, con un controsoffitto cassettonato e la fasciatura, con marmo, delle colonne. Sempre a Rossano, altri lavori interessano le chiese di San Marco e della Panaghia (negli anni Settanta) e la chiesa e avanzi del monastero del Patirion, in cui, a partire dal 1970, si provvede al consolidamento, in più tempi, delle strutture portanti e al restauro del mosaico del pavimento. Anche la Sala capitolare dell'Abbazia della Matina, a San Marco Argentano, viene integralmente restaurata.

A Catanzaro, il chiostro e convento dei frati minori osservanti, già rimaneggiato dai restauri degli anni Cinquanta che lo trasformarono in ospedale militare, è oggetto di nuovi interventi (1981) che hanno liberato dalle superfetazioni i pilastri in tufo portanti gli archi acuti del chiostro a pianta quadrata. Viene inoltre restaurata la facciata settecentesca della chiesa dell'Immacolata, con ripresa dell'intonaco e coloritura a calce bianca. Numerosi altri monumenti della provincia di Catanzaro sono sottoposti a lavori di consolidamento e restauro: è il caso della Rocchetta di Briatico (in parte crollata), del Castello di Vibo Valentia (trasformato in museo archeologico), di quello di Crotone (restauro della torre medievale e di quella aragonese; risanamento igienico e consolidamento degli elementi originali liberati dalle superfetazioni) e della chiesa di Tropea.

A Reggio Calabria viene restaurato il Castello di Ruffo, a Gerace la Cattedrale (con particolare riguardo agli elementi decorativi); a Stilo si provvede al restauro delle cupole e degli affreschi de La Cattolica.

Per quanto concerne la tutela dei beni ambientali, il decentramento dei controlli e l'attribuzione agli Enti locali delle funzioni di tutela ambientale (d.P.R. 616/77) rendono particolarmente difficile in C. la realizzazione dei programmi di lavoro. A differenza dalle altre regioni che, in attuazione delle leggi dello stato, hanno legiferato in materia urbanistica, la Regione Calabria, nel 1973, ha emanato esclusivamente una legge di tutela delle coste, successivamente prorogata, che ha subito però numerose deroghe sufficienti a snaturarne l'intento. I maggiori interessi sono, infatti, concentrati lungo le coste, quella tirrenica in particolare, là dove il territorio ha subito la maggiore aggressione. In complesso, il territorio presenta pertanto rilevanti fenomeni di degrado dovuti sia alle disfunzioni degli apparati burocratici preposti alla gestione, sia alla disapplicazione delle norme statali e regionali in materia. In totale assenza di pianificazione la tutela ambientale si attua, come già detto, attraverso la difficoltosa applicazione delle leggi 1497 del 29 giugno 1939, e 431 dell'8 agosto 1985, e della legge regionale n. 14 del 30 agosto 1973 e successive proroghe

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