CABOTO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

CABOTO (Cabot, Cabotte, Cabotto, Cavocto, Gabot, Gaboto, Gavoto, Gavotta, Gabote, Kabott, Kabotto, Ca' Botto, Chiabotto, Shabot, Tabot, Talbot)

Ugo Tucci

Si ignora tutto della nascita di Giovanni C., e non si hanno notizie precise di quella di suo figlio Sebastiano, che ne ereditò la vocazione ai grandi viaggi di scoperta. Giovanni, figlio di Giulio, o di Egidio, ottenne il 28 marzo 1476 il privilegio di cittadinanza veneziana per aver abitato quindici anni nella città, ma non si conosce la sua patria d'origine.

Questa è contesa da Genova, sulla base della testimonianza del legato spagnolo a Londra Pedro de Ayala, che in un rapporto del 25 luglio 1498 lo qualificava "genoves como Colon"; da Savona, per la presenza di una famiglia di eguale cognome; da Chioggia, per la notizia, non suffragata da documenti, contenuta in un annuario del 1786; da Gaeta, più verosimilmente, dove dei Caboto risiedono fin dal principio del XIII sec. e un Giovanni figura in un documento del 27 nov. 1443.La residenza a Venezia di Giovanni almeno fino al gennaio 1485 è attestata da alcuni documenti relativi alla donazione di una casa in città e di una casa e tre saline a Chioggia fattagli nel 1482 da Polissena Valier per motivi che non ci sono noti, e all'acquisto di alcune case a Venezia delle quali egli aveva curato il restauro per farne vendita nel 1484. In questi atti agisce anche in nome del fratello Paolo, e figura sposato con una Mattea, veneziana, non meglio identificata e "padre de fameia de fioli", dei quali apprendiamo i nomi - Luigi, Sebastiano, Sante - dalla patente di Enrico VII del 5 marzo 1496. Durante tale soggiorno veneziano egli appare con la qualifica di mercante, ma non abbiamo altra notizia particolareggiata su questa attività se non quella che aveva compiuto dei viaggi alla Mecca. Ce ne informa il milanese Raimondo da Soncino, il quale gli fu amico a Londra, tuttavia sembra poco probabile che il C. sia davvero riuscito ad introdursi in questa città proibita ai non credenti, per la quale del resto non doveva avere grande interesse e che di regola restava estranea alle operazioni commerciali veneziane.

Era in Arabia che - sempre a detta del Soncino - desideroso di conoscere il luogo d'origine delle spezie, Giovanni aveva assodato che i preziosi prodotti arrivavano mediante una catena di collegamenti carovanieri da paesi lontani verso est, ciò che gli aveva fatto dedurre che se "li orientali affermano alli meridionali che queste cose venghono lontano da loro, et così di mano in mano, presupposta la rotundità della terra, è necessario che li ultimi le tolliano ad septentrione verso l'occidente", naturalmente rispetto all'Europa. La convinzione di Giovanni che gli estremi lidi orientali dell'Asia fossero raggiungibili per via d'occidente era così ferma che egli riusciva ad infonderla facilmente anche in interlocutori educati alla cosmografia tradizionale. Era la medesima concezione di Colombo, ma sappiamo troppo poco di Giovanni - il quale non ci ha lasciato scritti né una documentazione che permetta di delinearne compiutamente la personalità - per poter escludere che egli l'avesse mutuata dal grande genovese, che in quegli anni aveva già fornito una dimostrazione pratica della sua fondatezza; comunque non va trascurato che, almeno per quanto ci è dato di conoscere, egli, a differenza di Colombo, era interessato soprattutto, se non esclusivamente, al problema di aprirsi una strada nuova per il commercio dei prodotti orientali: in tutte le sue spedizioni marittime egli inseguirà sempre questo sogno. E poiché era persuaso che le spezie arrivavano dall'Asia nordorientale, è legittimo supporre che, per essere la più breve, la rotta d'occidente da lui concepita dovesse percorrere i mari settentrionali. Il Williamson aggiunge che agli occhi di un costruttore di globi la distanza minore fra Europa occidentale e Asia orientale doveva appunto porsi piuttosto verso le latitudini settentrionali che verso i tropici.

Da Venezia, perciò, Giovanni si trasferì con la moglie e i figli in Inghilterra. Se dobbiamo prestar fede alla relazione che il Ramusio attribuisce a un anonimo gentiluomo probabilmente fittizio, egli vi fu spinto dal proposito di "far mercantie", ma questa motivazione appare poco convincente, non fosse altro perché nel mondo economico veneziano di quest'epoca nessun operatore avrebbe compiuto un viaggio d'affari facendosi accompagnare dalla famiglia, la quale avrebbe costituito un inutile ingombro, rinunciando per di più alla possibilità di valersene in patria come punto d'appoggio per l'esercizio dei traffici. La ragione vera del viaggio era senza dubbio un'altra, e infatti la prima documentazione certa della presenza di lui in Inghilterra si può trovare in una lettera della corte spagnola in risposta a un dispaccio del 21 genn. 1496 col quale l'ambasciatore a Londra Gonzales de Puebla informava dell'arrivo di "uno como Colon" che voleva indurre il re d'Inghilterra ad entrare in un'impresa come quella delle Indie, senza pregiudizio della Spagna o del Portogallo. Non può sorgere il dubbio che la notizia si riferisca ad altri, perché il 5 marzo dello stesso anno, accogliendo una loro petizione, Enrico VII concesse a Giovanni e ai suoi tre figli delle lettere patenti che li autorizzavano ad armare a loro spese, sotto la sua bandiera, cinque navi di qualunque tipo e tonnellaggio, con un conveniente numero di marinai, per navigare in ogni parte del mare orientale, occidentale e settentrionale "ad inveniendum, discoperiendum et investigandum quascunque insulas, patrias, regiones sive provincias gentilium et infidelium... in quacunque parte mundi positas que Christianis omnibus ante hec tempora fuerint incognite". Il privilegio includeva l'investitura sulle terre scoperte, come vassalli della Corona inglese, e l'esenzione doganale (ma non dalle altre imposte) per i prodotti importati in patria, con gli obblighi di corrispondere al sovrano un quinto dei proventi netti e di far capo esclusivamente al porto di Bristol. Se si aggiunge che conteneva anche l'ordine a tutti i sudditi di prestare assistenza ai destinatari, esso non sarebbe potuto essere più ampio, tenuto conto che la limitazione di latitudine per i mari meridionali, evidentemente dettata dall'esigenza di rispettare i diritti spagnoli, veniva in pratica a cadere per virtù della clausola che estendeva i viaggi di scoperta ad ogni parte del mondo.

Quando si consideri la complessa procedura connessa col rilascio della patente regia, si deve argomentare che Giovanni si trovava in Inghilterra almeno dalla fine del 1495 e presumibilmente già da un po' di tempo. Sulle vicende cabotiane di questo periodo può gettare qualche luce un passo molto controverso del già citato rapporto del 25 luglio 1498 dell'Ayala, dove si afferma che già da sette anni a Bristol, "con la fantasia d'este ginoves", si organizzavano annualmente spedizioni comprendenti da due a quattro caravelle per le isole atlantiche di Brasile e delle Sette Città. Sulla base di questa testimonianza l'inizio del soggiorno inglese di Giovanni andrebbe retrodatato al 1491 0 1492, benché sia stato giustamente osservato che - anche senza contare che dal 1412 i pescatori e dal 1413 i mercanti inglesi frequentavano le coste dell'Islanda - gli uomini d'affari di Bristol, spinti verso direzioni nuove dalla concorrenza anseatica e italiana, avevano cominciato ad organizzare viaggi "ad insulam Brasylle in occidentali parte Hibernie" già dal 1480, perciò ancora prima che la "fantasia" dello straniero potesse ispirarli. Molti studiosi moderni, poi, hanno creduto di poter arguire da questo documento che prima d'arrivare a Bristol Giovanni si fosse recato a Siviglia e a Lisbona per cercare un finanziamento per alcuni suoi progetti di navigazione atlantica, ma l'Almagià ha fatto rilevare come la frase nella quale la notizia è contenuta potrebbe riferirsi non a Giovanni, bensì a Colombo, ricordato qualche riga prima. Recentemente O. D. True ha sostenuto che la visita a Lisbona ebbe luogo nel 1490 e che qui Giovanni fu in contatto con João Fernandez navigatore di Terceira, nelle Azzorre, il quale sarebbe quel llabrador (piccolo proprietario terriero) che secondo Alonzo de Santa Cruz avrebbe parlato al re d'Inghilterra d'una contrada chiamata appunto Labrador, spingendolo ad inviare alla sua esplorazione il viaggiatore italiano. Nessun documento attesta questo incontro, che già in passato H. P. Biggar aveva collocato nell'invemo 1497-98, proprio in un momento nel quale Giovanni non aveva nessun interesse a lasciare l'Inghilterra, dove il re favoriva i suoi progetti, per inseguire ipotetici aiuti in Portogallo o in Spagna. A tale diversione a Siviglia e a Lisbona si vorrebbe annettere una grande importanza per la possibilità che avrebbe offerto a Giovanni di conoscere l'impresa di Colombo e quindi di trarne impulso per i propri piani, tuttavia bisogna osservare che, indipendentemente dal senso da attribuirsi alla discussa frase, una sosta nei porti iberici durante il viaggio verso l'Inghilterra non dovrebbe costituire una sorpresa, perché essi normalmente interessavano la rotta dei convogli veneziani di galere da mercato. Peraltro nulla vieta di pensare che la prima meta della peregrinazione cabotiana fosse proprio la Spagna o il Portogallo, due paesi allora aperti più d'ogni altro ai viaggi di scoperta, e che solo in un secondo tempo egli decidesse di trasferirsi in Inghilterra.

La sosta in Spagna troverebbe una conferma in un gruppo di documenti pubblicati da M. Ballesteros-Gaibros, che si riferiscono a un Juan Caboto Montecalunya, veneziano, il quale - come s'apprende da una lettera del 27 sett. 1492 di Ferdinando il Cattolico al bailo generale della città, Diego de Torres - trovandosi a Valenza da due anni, aveva presentato dei piani per la costruzione di un molo e di altre opere portuali in quel luogo e li aveva illustrati al re coi relativi disegni; il 26 febbraio dell'anno successivo si ordinava che il progetto venisse realizzato, ma per difficoltà locali i lavori non furono mai intrapresi e il Caboto Montecalunya nel 1493 finì col lasciare la Spagna, non prima che nel mese d'aprile Colombo passasse trionfalmente per Valenza, reduce dal suo viaggio transoceanico. È difficile, con gli elementi disponibili, stabilire se codesto personaggio sia tutt'uno col navigatore. Bisogna convenire con l'Almagià che l'appellativo di Montecalunya rappresenta un enigma, ché tutti i tentativi di spiegarlo come un toponimo o in altra maniera sono riusciti vani, né persuade che Giovanni, il quale andava evidentemente cercando un ambiente più favorevole di quello veneziano alla sua vocazione di esploratore, abbia invece concentrato i suoi sforzi in tutt'altra direzione. Alcuneconcordanze sono però innegabili. La data dell'episodio, fra il 1490 e il 1493, si presta bene ad essere inserita nella cronologia cabotiana ed è plausibile che Giovanni, insignito recentemente della cittadinanza, si sia presentato come veneziano, e che da espertissimo uomo di mare, come lo definisce il Soncino, abbia avuto sufficiente dimestichezza coi problemi della sistemazione di un porto.

Se la biografia del C. fino al suo arrivo in Inghilterra è così lacunosa e costellata d'incertezze, i viaggi di scoperta che gli hanno dato la fama pongono problemi ancora maggiori. Le testimonianze coeve attraverso le quali si possono ricostruire sono limitate e si prestano ad interpretazioni contraddittorie.

Tralasciando le patenti del 5 marzo 1496, che come è ovvio possono ragguagliarci solo sui disegni del re, le fonti narrative coeve di cui disponiamo sono per il primo viaggio una lettera di Lorenzo Pasqualigo, raccolta dal Sanuto (I, 806), scritta da Londra il 23 ag. 1497 ai suoi fratelli a Venezia; una lettera da Londra del giorno seguente, indirizzata al duca di Milano presumibilmente da Raimondo da Soncino, suo inviato alla corte di Inghilterra; un'altra lettera dello stesso Soncino, con la data del 18 dic. 1497; una lettera senza data, ma riferibile al periodo compreso tra la fine del 1497 e la primavera del 1498 - dunque anch'essa molto vicina ai fatti narrati - scritta dall'Andalusia da un mercante inglese, John Day, per soddisfare una richiesta di informazioni sui viaggi oceanici degli Inglesi. Quest'ultima lettera, certamente riferibile a Giovanni benché non se ne faccia il nome, è indirizzata ad un "Almirante Mayor" nel quale l'americano Vigneras, che l'ha trovata nel 1956 a Simancas (la sua scoperta è l'avvenimento più importante negli studi cabotiani degli ultimi cent'anni), ritiene di poter identificare Cristoforo Colombo, qualificato in tal modo in numerosi documenti contemporanei. Un breve accenno è contenuto anche in una cronaca di Bristol composta prima del 1565 da un Maurice Toby, che senza menzionare il viaggiatore, fornisce il nome dell'unica nave impiegata - la "Matthew", con tutta probabilità traduzione inglese del nome della moglie - di Giovanni, Mattea - e altri, importanti elementi, come la data della partenza da Bristol (2 maggio, 1497), quella della scoperta della prima terra (il giorno di S. Giovanni, 24 giugno), quella del ritorno in patria (6 agosto dello stesso anno), che s'accordano abbastanza bene con quelli di altra provenienza. Integra questi documenti la celebre carta tracciata nel 1500 dallo spagnolo Juan de la Cosa, la quale è stata utilizzata, come vedremo più avanti, per l'identificazione delle terre scoperte tanto nel primo quanto nel secondo viaggio, e non soltanto nel primo, come parrebbe più ragionevole. Altre fonti di rilevanza minore sono indicate nella bibliografia di G. P. Winship e nel fondamentale contributo di. James A. Williamson, e fra queste è notevole una didascalia in lingua spagnuola - l'ottava del mappamondo a stampa del 1544 conservato nella Bibliothèque Nationale di Parigi e attribuito a Sebastiano Caboto, che però con tutta probabilità per un errore di stampa, come si ammette comunemente, riferisce alle scoperte al 1494 anziché al 1497 (un'altra edizione del mappamondo, nell'incisione, di Clement Adams, che quando scriveva Richard Hakluyt poteva vedersi nella galleria privata regia a Westminster e in molte vecchie case mercantili, porta appunto la data corretta del 1497).

Il primo viaggio, secondo tali narrazioni, fu dunque compiuto da Giovanni nel 1497, con una sola nave, presumibilmente di piccolo tonnellaggio (di 50 toneles, precisa John Day), poiché imbarcava diciotto o venti uomini. Che la nave fosse soltanto una, in luogo delle cinque previste dalle patenti regie, e di modesta grandezza ha fatto supporre che a Bristol Giovanni non fosse riuscito a raccogliere molti aiuti e che il principale finanziatore dell'impresa fosse lui, tanto più che non gli mancavano i mezzi, come sarebbe dimostrato dalle case possedute a Venezia, ma l'ipotesi non è molto verosimile, e d'altronde il Soncino descrive il viaggiatore come "povero". La lettera del Day dà notizia anche di una spedizione precedente (quindi del 1496, se teniamo conto della data delle patenti regie e della stagione favorevole ai viaggi marittimi), intrapresa anch'essa con una sola nave e interrotta per la resistenza dell'equipaggio, che volle tornare indietro, intimorito dalla navigazione in cattive acque e dalla scarsità di cibo.

La "Matthew" del viaggio del 1497, con a bordo quasi tutti uomini di Bristol o inglesi, oltre a un borgognone e ad un barbiere genovese, - tal da Castiglione, partita da Bristol superò l'Irlanda e, dopo aver piegato verso settentrione, proseguì in direzione di ponente, come era ovvio essendo la sua meta l'Asia orientale, Favorita da un mare sempre calmo, salvo una tempesta tre giorni prima d'avvistare terra, e da un vento di est-nord-est, nell'ultima parte del viaggio pervenne in una zona nella quale la declinazione magnetica era di "due rombi" (22 gradi e mezzo) verso ovest, cioè in senso opposto. - a quello che allora si presentava in Europa. La terra, secondo l'ottava didascalia del mappamondo, a stampa del 1544, fu scoperta la mattina del 24 giugno e le fu dato il nome di "Prima Tierra Vista"; a unagrande isola vicina quello di S. Giovanni, in onore del santo del giorno. Giovanni ne prese solennemente possesso, innalzandovi la bandiera del re d'Inghilterra, secondo Lorenzo Pasqualigo insieme con una di S. Marco "per essere lui Venetiano", e stando a John Day con un crocefisso e la bandiera del papa. Poiché erano in pochi, per timore di cattivi incontri non s'allontanarono dalla costa più di un tiro di balestra, ma fecero provvista d'acqua e ritornarono alla nave.

Nella descrizione di questo paese nuovo le fonti concordano nel dar rilievo alle tracce d'insediamento umano, ma solo la didascalia del mappamondo del 1544 è esplicita sugli abitanti che, certo trasponendo nozioni acquisite più tardi, presenta coperti di pelli d'animali e armati in modo primitivo (Day si limita a parlare di due forme in movimento scorte da lontano senza possibilità di distinguere se fossero uomini o animali). Un altro elemento che caratterizza la regione scoperta è la grande abbondanza di pesci, che a detta del Soncino - il quale l'aveva inteso dallo stesso Giovanni - "se prèndenno non solo cum la rete, ma cum le ciste, essendoli alligato uno saxo, ad ciò che la cista se impozi in l'agua"; John Day precisa che sono simili agli stoccafissi che si pescano in Islanda e si disseccano all'aperto per venderli in Inghilterra e altrove. La spedizione condusse una ricognizione della costa, sulla quale abbiamo purtroppo solo ragguagli molto generici. Essa si protrasse per un mese (Day), coprendo trecento leghe (Pasqualigo), che a taluni sono parse un tratto eccessivo, e dovette essere molto accurata se, al ritorno in patria, Giovanni poté presentare "la descriptione del mondo in una carta et anche in una sphera solida che lui ha fatto et demostra dove è capitato" (Soncino). Della descrizione della costa dal luogo del primo approdo all'ultimo punto rilevato prima del ritorno, coi nomi imposti ai capi della terraferma e alle isole, circolarono presto delle copie e una, oggi sfortunatamente irreperibile, fu spedita dal Day al suo corrispondente. Se costui fu realmente Colombo, come sembra ormai pacifico, è molto probabile che - come suppone il Vigneras - per suo tramite tale copia sia giunta nelle mani di Juan de la Cosa, suo amico e compagno nei primi due viaggi transoceanici, il quale se ne servì per integrare il suo planisfero. La carta fu vista nel 1498 anche dall'Ayala.

Nel momento in cui la "Matthew" s'apprestava al ritorno furono avvistate due isole, ma si rinunciò a scendere a terra per non perdere tempo, dato che i viveri scarseggiavano. Partendo dalla punta più orientale del paese scoperto - la più vicina all'Irlanda - il rientro in Europa richiese, col vento in poppa, l'eccezionale tempo di quindici giorni (testimonianza del Day la quale trova conferma in quanto racconta il Soncino, che i mercanti di Bristol interessati ad un nuovo viaggio "hora che sanno dove andare, dicono che la non è navigatione de più che XV giorni"). Il Day, informa anche che la nave, diretta in Inghilterra, approdò invece in Bretagna per colpa dei marinai, i quali disorientarono Giovanni sostenendo che li guidava per una rotta troppo settentrionale; dalla Bretagna raggiunse poi Bristol. L'intero viaggio era durato tre mesi (Pasqualigo) o poco più (cronaca di Maurice Toby). La sua breve durata e il fatto che l'osservazione si limitò alla costa, senza penetrare all'interno, dimostrano che si trattò di una prima ricognizione destinata a preparare spedizioni più in forze, escludendo nel contempo che i viaggi precabotiani degli uomini di Bristol alle isole leggendarie dell'Atlantico avessero potuto fornire dei consistenti punti d'appoggio a quello del 1497, che s'era sviluppato in un'area geografica del tutto sconosciuta. È vero che un passo della lettera di John Day si riferisce alla scoperta da parte loro, "en otros tiempos", dell'isola di Brasile, ma non è necessario che esso venga inteso alla lettera come un evento recente, perché è molto probabile che voglia richiamarsi alla nozione che di quella contrada, con la quale s'era forse stabilito in un lontano passato qualche collegamento occasionale poi perduto, era impressa nella memoria collettiva dei mercanti e navigatori di Bristol.

Giovanni era certo di essere arrivato nella parte più orientale dell'Asia, nel "paexe del gran can", e contava che di là, procedendo "sempre a riva a riva più verso el levante", sarebbe stato possibile raggiungere il favoloso Cipango del Milione, dove egli credeva che nascessero "tutte le speciarie del mundo et anche le gioie". Infatti il sodalizio coi mercanti di Bristol non aveva avuto il potere di convertirlo alle attività tipiche che essi esercitavano nel settore compreso tra l'Islanda e Gibilterra, ma aveva lasciata intatta la sua concezione mediterranea del grande commercio alimentato soprattutto dai prodotti orientali. Sulle terre effettivamente toccate le opinioni sono molto discordanti per l'indeterminatezza delle testimonianze alle quali si riportano. Le indicazioni fornite sono estremamente vaghe e numerosi gli indizi che per la loro labilità possono prestarsi alle ipotesi più contrastanti; Pasqualigo, Soncino, Day danno anche distanze dall'Europa e latitudini, ma tali valori non collimano facilmente e in ogni caso non possono essere accolti se non con larga approssimazione, tanto per il carattere delle fonti quanto per il margine d'errore inseparabile dalla loro rilevazione con metodi imperfetti. Non è possibile dare conto di tutti i punti sui quali s'è esercitato l'acume degli studiosi e delle discussioni che sono seguite, ma basterà dire che nessuna interpretazione concorda esattamente con una altra, e non di rado è capitato che l'amore per la propria tesi abbia fatto perdere di vista la sostanza della questione. Dal Williamson, il quale ha trattato il problema con molta competenza, le soluzioni proposte sono riassunte nel modo seguente: Giovanni approdò nel Labrador meridionale, e quindi procedette verso sud lungo la costa fino a capo Race, l'estrema punta sudorientale di Terranova; attraverso lo stretto di Belle Isle penetrò nel golfo di San Lorenzo e quindi ne costeggiò la riva settentrionale; entrò in tale golfo superato capo Bretone, appunto per quello che ora chiamiamo stretto di Caboto, e dopo aver proseguito verso ovest, in vista della penisola Gaspé virò in direzione della sponda meridionale dell'isola di Terranova che poi costeggiò; approdò nei pressi di capo Bretone e proseguì lungo la costa sud-occidentale della Nuova Scozia; approdò in Nuova Scozia e quindi seguì la costa in direzione nord-est fino a capo Bretone. Dal canto suo il Williamson affaccia l'ipotesi che il viaggiatore possa aver approdato sulla costa del Maine (o anche della Nuova Scozia) e doppiato capo Sable abbia proseguito verso est fino a capo Bretone oppure a capo Race, donde prese l'avvio il ritorno. Tale tesi s'appoggia soprattutto sulla nota lettera di John Day, ma altri - come l'Almagià - ritengono che le indicazioni fornite dalle fonti narrative siano vaghe e dubbie e per la ricostruzione dell'itinerario non possa farsi affidamento che sulla nota carta di Juan de la Cosa. Questo planisfero, secondo A. Davies, per il disegno della zona interessata è l'unica copia superstite della più antica carta inglese riguardante qualsiasi parte del Nuovo Mondo, "quella delineata da Giovanni Caboto nel 1497", ma neppure esso riesce a fornirci risposte precise per localizzare l'itinerario della "Matthew". Quale vi compare, la costa americana dell'Atlantico settentrionale, contrassegnata da cinque bandiere inglesi, con numerosi toponimi e la scritta "mar descubierto por inglese", nella figura e nell'orientamento non è riconducibile con sicurezza a nessuno dei tratti riprodotti in una carta moderna; si aggiungano la materiale difficoltà di lettura dei nomi di luogo (dei quali W. F. Ganong e l'ammiraglio J. F. Guillén y Tato hanno offerto due trascrizioni differenti) e la loro oscurità, onde c'è posto per ogni congettura. L'Almagià è d'opinione che l'indicazione "Cavo descubierto" del planisfero, ovviamente riferibile al primo punto scoperto del litorale americano, riguardi una prominenza dell'isola di capo Bretone, come sarebbe confermato da una carta del londinese Michael Lock (1582); tutti gli altri nomi dovrebbero localizzarsi sulla costa meridionale dell'isola di Terranova, che la spedizione avrebbe successivamente seguito fino al "Cavo de Ynglaterra", che potrebbe essere il promontorio sudoccidentale della penisola Avalon. Il Davies dà invece un'interpretazione diversa. Anche per lui il "Cavo descubierto" è da collocarsi nell'isola di capo Bretone, ma al vertice settentrionale; Giovanni avrebbe poi proseguito la sua navigazione all'interno del golfo di San Lorenzo, lungo la costa del New Brunswick, e quindi si sarebbe diretto verso est o sudest, doppiando le isole Brion e Magdalen fino a quella di Terranova, alla quale apparterrebbero tutti gli altri toponimi, a partire da "Cabo de S. Jorge".

Tutte le ipotesi che sono state formulate sulla regione nordamericana esplorata nel 1497 presentano un estremo interesse, ma non possono essere accolte se non con cautela; è certo che i dati offerti dalle poche fonti disponibili, narrative e cartografiche, non si sarebbero potuti mettere meglio a profitto, tuttavia i problemi restano aperti e per la loro soluzione non c'è che da augurarsi che vengano acquisiti documenti nuovi.

Giovanni arrivò dunque a Bristol il 6 ag. 1497, secondo quanto si legge nella cronaca del Toby. Subito dopo era a Londra, ricevuto dal re, che il 10 gli faceva corrispondere una gratifica di 10 sterline ("to him that founde the new Isle"). Enrico VII conduceva una politica d'incoraggiamento del commercio e inoltre il successo di questa impresa poteva contribuire a rafforzare il suo prestigio, scosso da difficoltà interne; perciò tributava pubblicamente grandi onori allo scopritore e, per quanto notoriamente avaro, non gli lesinava denaro e promesse: avrebbe messo a sua disposizione dieci navi (secondo un'altra fonte addirittura quindici o venti) e assegnato tutti i condannati chegli occorrevano per fondare una colonia nei paesi nuovi, in virtù della quale Londra avrebbe avuto un "fondaco da specierie" maggiore di quello di Alessandria. Infatti s'era diffusa la convinzione che il re avesse "guadagnato una parte de Asia", benché la sola ricchezza che la ricognizione avesse accertato in modo positivo fosse l'abbondanza di pesce, mentre l'esistenza di prodotti orientali come la seta e il verzino poteva soltanto presumersi per riguardo al clima temperato. La notizia della scoperta si diffuse subito, come è provato dalle lettere di Lorenzo Pasqualigo e dell'inviato del duca di Albano, che sono del 23 e del 24 dello stesso mese di agosto, Giovanni assaporava gli onori del trionfo e l'euforia della scoperta gli fece assumere atteggiamenti singolari. Andava vestito di seta, si faceva chiamare - come Colombo - "gran armirante" e non si reputava da meno di un principe; donava isole ai suoi amici e agli ecclesiastici prometteva vescovati, questo non tanto perché avesse in animo di dare ai viaggi futuri un carattere missionario quanto per la lusinga che le terre sulle quali aveva ricevuto l'investitura potessero diventare una fonte inesauribile di benefici e di prebende. Aveva promesso un arcivescovato anche a Raimondo di Soncino. Quello che narrava della sua navigazione sembrava incredibile e gli Inglesi non avrebbero prestato fede a lui "alienigena e povero", senza le concordi testimonianze dei suoi compagni, che come si è detto erano quasi tutti d'Inghilterra. A Londra ora gli correvano "dietro a mo' pazi, e pur ne volese tanti, quanti n'avrebbe con lui", scriveva Lorenzo Pasqualigo. Il 13 dicembre il re gli accordò una pensione di 20 sterline a carico delle entrate doganali del porto di Bristol; qualche mese dopo, il 3 febbr. 1498, con nuove lettere patenti a integrazione di quelle del 5 marzo 1496, lo autorizzava ad armare ed equipaggiare sei navi di non più di duecento tonnellate per una nuova spedizione "alla terra e alle isole da poco scoperte dal detto Giovanni in nome e per comando" del sovrano, accogliendo a bordo non i forzati dei quali s'era parlato prima, ma soltanto chi fosse desideroso di seguirlo oltreoceano.

Se il primo aveva avuto il carattere di una ricognizione, questo secondo viaggio era evidentemente destinato allo sfruttamento della scoperta. Vi presero parte cinque navi, rifornite per un anno, una - secondo alcune cronache londinesi posteriori al 1509 - allestita dal re, e quattro, piccole, da mercanti di Londra e di Bristol, i quali non ebbero paura di caricarle di panni, merletti e altre merci di vario genere, evidentemente condividendo l'opinione di Giovanni, capo della spedizione, che loro meta fossero le ricche piazze dell'Asia orientale. Di tre mercanti che presero parte al viaggio conosciamo i nomi, e sappiamo che s'imbarcò anche un chierico italiano, Giovanni Antonio de Carbonariis, noto per aver svolto qualche incarico diplomatico. Il convoglio partì da Bristol ai primi di maggio e il suo ritorno era previsto per settembre. Alla fine di luglio l'Ayala, il quale ne era stato ragguagliato direttamente da Enrico VII, comunicava ai sovrani spagnoli, che a Londra era giunta notizia che una delle cinque navi era stata costretta ad arrestarsi in Irlanda, gravemente danneggiata da una tempesta. Questo è l'ultimo dato certo sulla spedizione, della quale si perde poi ogni traccia.

Di Giovanni non si seppe più nulla, dopo che "in occidentem versus vela fecit", e perciò se ne arguì che fosse stato inghiottito dall'oceano insieme con la sua nave. L'informazione è contenuta in un passo di un manoscritto vaticano dell'AnglicaHistoria di Polidoro Virgilio, composta fra il 1512 e il 1513, e non si sa quale fondamento possa avere perché non trova riscontro in altre fonti, ma l'autore ebbe certamente modo di raccoglierla in Inghilterra, dove soggiornò a lungo a partire dal 1502. L'Almagià e altri sostengono invece che il viaggiatore fece ritorno in Europa, traendo questa convinzione dai pagamenti delle rate della pensione regia, che si protrassero almeno fino al 1499, cioè un anno dopo la supposta scomparsa di lui. Questa circostanza a parer nostro non smentisce affatto la testimonianza del Virgilio, perché è verosimile che l'erario abbia continuato a corrisponderela pensione a qualche congiunto di Giovanni almeno fino a quando - ovviamente dopo un certo lasso di tempo - non s'acquisì la certezza, o, la presunzione, che egli fosse morto. Altre ipotesi sul viaggio del 1498 sono state in passato collegate alla carta di Juan de la Cosa, supponendosi che il tratto di costa che si stende ad ovest del "Cavo descubierto", privo dinomi ma ornato di due bandiere inglesi e bagnato dal "mar descubierto, por inglese", fosse stato tracciato sulla scorta di notizie, ancorché generiche, - sulla seconda spedizione. Esso è praticamente di lunghezza doppia del litorale riferito al primo viaggio, e nel suo profilo sembravano identificabili capo Sable e capo Cod; inoltre si osservava che non si hanno notizie di esplorazioni inglesi in quel settore riferibili ad altri viaggiatori. Se ciò rispondeva al vero, questa volta Giovanni doveva essersi spinto molto a sud, per qualcuno addirittura fino alla Florida, ma tale ipotesi riposa su elementi troppo vaghi perché si possa accettare. S'aggiunga che le è contraria l'osservazione di G. Crone che nel planisfero i paesi nuovi nordamericani appaiono ingranditi comparativamente agli altri perché sarebbero stati aggiunti in un secondo tempo, senza uniformare le scale, al disegno del Vecchio Mondo: l'estensione del discusso tratto di costa deve dunque ritenersi molto minore della sua rappresentazione cartografica.

Di Giovanni già nel Cinquecento sembra perdersi completamente la memoria e al nome suo - come grande iniziatore dell'esplorazione inglese dell'America settentrionale - si sovrappone quello del figlio Sebastiano. A metà del secolo il merito delle scoperte veniva comunemente attribuito a costui e - come sottolinea il Williamson - egli non fece nulla, per quanto se ne sappia, per correggere questa falsa impressione. Con tutto che nel 1582 venissero pubblicate in una raccolta di notevole diffusione come quella del Halduyt le patenti regie del 1596, il silenzio sulle imprese di Giovanni (si veda per esempio lo studio su Sebastiano pubblicato nel 1831 dall'americano Biddle) perdurò in pratica fino al 1837, quando Rawdon Brown portò alla luce la lettera di Lorenzo Pasqualigo. Nell'ultimo ventennio dell'Ottocento, dopo il rinvenimento di altre testimonianze che contribuirono a ristabilire la verità, gli fu restituita la fama che ilfiglio, di proposito o involontariamente, gli aveva usurpato. Egli ebbe un posto eminente fra i primi continuatori di Colombo e se la povertà della documentazione non permise - e tuttora non permette - di definirlo storicamente in modo compiuto, sfumandone la figura finì col creare attorno a lui un alone di leggenda: la solitaria traversata atlantica compiuta con tanta rapidità e sicurezza in un mare del tutto sconosciuto a bordo di una nave di dimensioni così ridotte è l'impresa di un navigatore geniale. Lo stretto fra l'isola di capo Bretone e quella di Terranova, fu intitolato al suo nome e nel 1897, nel quarto centenario del viaggio della "Matthew", egli venne commemorato solennemente ad Halifax; il 25 maggio 1936, in una delle principali piazze di Montreal, venne inaugurato il monumento erettogli dalla comunità italiana.

Lo stesso viaggio del 1498 s'è voluto in passato attribuire a Sebastiano, benché sia difficile ammettere che il comando di una spedizione così importante possa essere stato affidato ad un giovane che non doveva aver superato di molto i sedici anni.

Sebastiano era nato verso il 1480-1482, come si deduce da numerose sue affermazioni circa la propria età, espresse sempre in modo approssimativo, e da un elenco di partecipanti al viaggio al Rio de la Plata (1537), dove egli figura "de 55 anos de edad".

Il Tarducci vorrebbe arretrare la sua nascita a prima del marzo 1474, ritenendo che come destinatario - insieme col padre e coi due fratelli, uno dei quali (Sante) presumibilmente più giovane - del privilegio del 1496, dovesse essere già maggiorenne da oltre un anno; e anche altri propendono per un anticipo della data, per esempio al 1475-77, che consenta di trovarlo di un'età più adatta per accompagnare il padre nelle sue spedizioni transoccaniche, ma premesso che non è affatto sicuro che egli vi partecipasse, in esse c'era certamente posto anche per un ragazzo nato nel 1482 - e perciò di quindici o sedici anni - desideroso di far pratica marinara alla scuola del padre. Pietro Martire d'Anghiera, il quale fu con lui in grande familiarità, scrive che dai genitori egli fu condotto in Inghilterra "pene infans", circostanza che s'accorderebbe molto bene con la data del 1480-82, perché dai documenti rinvenuti recentemente dal Gallo emerge con certezza che - al contrario di quanto riteneva il Bellemo, per il quale dovevano essere a Bristol già anteriormente al 1480 - i C. non lasciarono Venezia prima del gennaio 1485.

Che Sebastiano sia nato a Venezia è infatti abbastanza sicuro, come è lecito presumere per il prolungarsi della dimora del padre nella città almeno fino a tale data; del resto lo dichiarò egli stesso all'ambasciatore veneziano in Ispagna Gasparo Contarini, e parlano di lui come veneziano Pietro Martire, Andrea Navagero, lo storico spagnolo Francisco Lopez de Gomara e altri. "Venycian" è qualificato anche in una patente regia del 3 apr. 1505, ma Richard Eden, il quale gli fu anch'egli amico, in margine alla sua traduzione inglese delle Decadi di Pietro Martire sostiene che Sebastiano gli avrebbe detto d'esser nato a Bristol e quindi, all'età di quattro anni, di essere stato portato da suo padre a Venezia, donde sarebbe ritornato in Inghilterra dopo un certo numero di anni. È vero che nella seconda metà del Cinquecento gli scrittori inglesi, e fra questi anche Richard Hakluyt, sono stati concordi nell'affermare che egli era loro connazionale, ma non deve sorprenderci che possa essere stato reputato tale uno che in Inghilterra aveva trascorso tutta la giovinezza e molti altri anni della sua vita.

Sulla giovinezza di Sebastiano mancano notizie certe fino al 3 apr. 1505, quando Enrico VII gli concesse - come già al padre - una pensione di dieci sterline annue a carico delle entrate doganali del porto di Bristol. Tale assegno gli fu largito "in consideration of the diligent service et attendaunce" svolto in quella città, ma non è specificato di che cosa si trattasse esattamente. Si può supporre che egli avesse prestato la sua opera come cartografo o come esperto dell'arte del navigare, perché qualche anno dopo il re di Spagna lo prese al suo servizio appunto per queste capacità, ma non può neppure escludersi che la pensione fosse il prezzo della rinuncia di Sebastiano ai diritti che dalle lettere patenti del 1496 gli derivavano, direttamente o come erede del padre, sulle terre scoperte, e infatti non risulta che egli li abbia mai rivendicati (nel 1550 tuttavia chiese una copia di quel documento, in sostituzione dell'originale che sosteneva d'aver smarrito). In ogni caso non appare in alcun modo interessato ai viaggi transoceanici che nei primissimi anni del Cinquecento avevano per base l'Inghilterra.

Gli viene attribuita un'importante spedizione atlantica compiuta quand'era ancora molto giovane, nel 1508 o nel 1508-9, ma le informazioni che abbiamo sono tanto vaghe che, non tenendo conto della sua età allora veramente immatura, taluni accettano di anticiparne la data al 1496 o al 1498, identificandola così coi viaggi del padre; altri preferirebbero invece spostarla al 1516, e la mancanza di una documentazione diretta nei registri inglesi, dove dovrebbe esserne restata traccia, fornisce un argomento, anche se poco consistente, a chi non crede che abbia avuto luogo nel 1508-9.

È nella terza Decade di Pietro Martire d'Anghiera, dedicata a papa Leone X nel 1515, che ne troviamo il racconto più ampio. Con due navi armate a sue spese, con trecento uomini a bordo, Sebastiano avrebbe fatto rotta verso settentrione, fino a trovare delle giornate di luce quasi ininterrotta e il cammino ostacolato da grossi blocchi di ghiaccio galleggianti sul mare, benché si fosse in pieno luglio; dai ghiacci fu costretto a volgere ad ovest, seguendo la costa pressappoco fino alla latitudine di Gibilterra (alla sua sinistra veniva allora a trovarsi Cuba). Alla regione per cui passò diede il nome di "Bacallaos" (col quale per un certo tempo si continuò a designare Terranova e le coste vicine) per la grande quantità di tali pesci, simili a tonni, chiamati così dagli indigeni. Gli abitanti erano coperti di pelli ma non privi d'intelligenza (usavano anche oggetti d'ottone), e c'erano moltissimi orsi, assai mansueti, i quali si nutrivano di quei pesci, che andavano a catturare in mare. In un passo della settima Decade, scritta nel 1524, Pietro Martire localizza poi nel tempo la scoperta di questi paesi, avvenuta "anno abhinc sextodecimo", quindi nel 1508.

Per quanto l'autore delle Decadi abbia attinto direttamente da Sebastiano, la narrazione è lungi dalla precisione che sarebbe stata desiderabile. La confermano, la integrano e in qualche punto se ne discostano altre di vario valore; alcune fonti determinano anche la latitudine più settentrionale toccata nel viaggio, oscillando fra i 56 gradi e 67º30´. La data indicata da Pietro Martire trova convalida in un rapporto al Senato veneziano di Marcantonio Contarini (1536) - dove si precisa che il viaggio s'iniziò prima e si concluse dopo la morte di Enrico VII (21apr. 1509) - e in uno scritto di George Beste (1578), il quale era stato ufficiale al servizio di Martin Frobisher e perciò doveva essere molto ben informato su queste imprese. La spedizione viene invece assegnata al 1496 dall'anonimo "grandissimo filosofo e matematico" del Ramusio, che dalla seconda edizione delle Navigazioni è qualificato "mantovano", ma questa versione - quale ne possa essere la fonte - contiene numerose inesattezze (che Giovanni era morto nel tempo in cui giunse alla corte d'Inghilterra la notizia della scoperta di Colombo; che Sebastiano aveva compiuto il viaggio al Rio de la Plata, nel 1526, inviato dalla regina Isabella e da suo marito, i quali erano al contrario già morti da un pezzo). Anche il portoghese Antonio Galvão, nel suo Tratado pubblicato nel 1563, arretra questo viaggio al 1496, spiegando come Sebastiano vi fosse stato spinto dalla notizia delle scoperte colombiane, mentre il capitano ugonotto Jean Ribault, autore nello stesso 1563 di un libro sulla scoperta della Florida, lo sposta al 1498, dandone però egualmente il merito a Sebastiano. Comunque, indipendentemente dalla data nella quale va collocato, non sappiamo nulla della durata del viaggio, che potrebbe essersi prolungato anche per più di una stagione.

Secondo Pietro Martire fu Sebastiano a sostenere da solo il costo della spedizione, tuttavia altre fonti autorizzano ad ammettere una partecipazione del re. Si discute anche sul numero degli uomini - trecento - che a molti pare eccessivo in rapporto al presumibile tonnellaggio delle due navi, ma le questioni principali vertono sull'identificazione delle regioni esplorate. Se è difficile condividere l'opinione sostenuta in passato che meta del viaggio potesse essere nel 1498 la ricerca di un passaggio a nord-ovest attorno all'America, verso l'Asia, questo non fosse altro perché del nuovo continente non si aveva ancora la nozione, è invece molto probabile che tale obiettivo sia stato alla sua radice se lo spostiamo agli anni 1508-1509. Molto giustamente James A. Williamson sottolinea come un progetto del genere, che interessava un settore dal trattato di Tordesillas riservato al Portogallo, non potesse incontrare favore da parte della Spagna e perciò Sebastiano evitò di vantarsi pubblicamente dell'impresa in quanto dal 1512era passato al servizio del re cattolico, ed è possibile che Ferdinando l'abbia assunto proprio col proposito di rendere inoffensivo un uomo pericoloso e per volgerne le capacità alla realizzazione dei propri disegni. Nelle Decadi di Pietro Martire si legge che nel 1515 il viaggiatore stava appunto allestendo una spedizione per scoprire "arcanum hoc naturae latens", e tutto il contesto fa credere che questo mistero consistesse in uno stretto della zona di pertinenza spagnola attraverso il quale il golfo del Messico entrava in comunicazione con l'oceano Pacifico. Sempre secondo il Williamson, Sebastiano - il quale in passato ne aveva più o meno esplicitamente rivendicato il merito in qualche caso in cui reputava di poter fare affidamento sulla riservatezza dell'interlocutore - poté parlare liberamente di questa sua impresa solo dopo il 1548, quando era tornato in Inghilterra. In tale prospettiva acquistano fondamento i particolari forniti da Richard Willes, il quale per la sua History ofTravayle in the... Indies, pubblicata a Londra nel 1577, ebbe la possibilità di consultare i carteggi di Sebastiano; l'erudito inglese e Humphrey Gilbert, nel suo discorso sulla scoperta del nuovo passaggio per il Catai, scritto prima del 1566, accennano anche ad una carta tracciata da Sebastiano. Nello stretto della descrizione del Willes, che si apre fra i 61 e i 64 gradi di latitudine e continua verso occidente con la medesima larghezza per circa dieci gradi di latitudine per piegare poi verso sud spingendosi fino al "Mar de Zur", sotto il tropico del Cancro, la critica moderna riconosce quello di Hudson. È impossibile stabilire se e fino a che punto Sebastiano abbia percorso anche la baia. Sappiamo da Pietro Martire che furono i ghiacci ad impedirgli di proseguire, ma il Ramusio - nel terzo volume (1556)delle Navigazioni - e il Gilbert parlano di un ammutinamento del patron e dei marinai. Questa potrebbe anche essere una spiegazione di maniera destinata a magnificare l'animo di chi guidava la spedizione in regioni capaci d'atterrire chi non possedesse qualità eccezionali, ma bisogna ricordare che pure Henry Hudson fu arrestato da un ammutinamento e, più sfortunato di Sebastiano, venne abbandonato a terra dall'equipaggio. In ogni caso da questa rinuncia a proseguire non c'è da trarre nessuna conclusione negativa. Come è stato infatti osservato, Sebastiano non era un uomo di scienza interessato alla soluzione di particolari problemi geografici, ma un esploratore al quale premeva soprattutto di trovare la strada più breve ed economicamente più vantaggiosa per l'Asia; perciò è legittimo che abbia scartato la difficile rotta attraverso lo stretto di Hudson per cercare un altro passaggio più praticabile.

Quando si consideri che Frobisher e Hudson esplorarono questi territori rispettivamente nel 1576 e ai primi del Seicento si ha la misura dell'importanza della spedizione cabotiana del 1508-9.Sebastiano fu il primo che abbia espressamente navigato alla ricerca del passaggio del nord-ovest, il primo a superare il circolo polare artico, e le sue capacità nautiche dovevano essere veramente eccezionali se seppe compiere queste imprese non ancora trentenne.

Dopo il ritorno dal viaggio settentrionale non si hanno notizie di lui fino al 1º maggio 1512, quando Enrico VIII gli assegnò un compenso per una sua carta della Guascogna e della Guienna, destinata con tutta probabilità allo sbarco sulle coste francesi che preparava in alleanza con Ferdinando. Nell'autunno successivo Sebastiano era in Spagna con le truppe inglesi comandate dal marchese di Dorset, e a Burgos aveva contatti col vescovo di Palencia e con un altro consigliere della Corona, per effetto dei quali col consenso del suo superiore diretto, lord Willoughby, passò al servizio del re cattolico, che il 20 ottobre lo nominava suo capitano "para las cosas de la mar", fissandone la residenza a Siviglia. Raccomandato all'ambasciatore spagnolo a Londra, egli rientrava in Inghilterra per liquidare i suoi affari e "a traer su mujer i casa", e quindi si stabiliva in Spagna nei primi mesi del 1514.

Sebastiano si era sposato con una Giovanna, che in un documento del 14 sett. 1514 (dove si indica che dimorava a Londra, nella parrocchia di St. Gil) figura già morta; successivamente egli passò a seconde nozze con Caterina Medrano, probabilmente spagnola, la quale morirà nel 1547.

Per i primi tempi del soggiorno in Spagna non si hanno altre testimonianze di lui se non gli ordini di pagamento del suo stipendio, di 50.000 maravedis annui. Nel 1514 veniva consultato sul viaggio occanico che preparava Pedrarias de Avila e nel 1515 è al primo posto fra i piloti del re, subito dopo Juan Diaz de Solis, il quale aveva la carica di "pilotò mayór". In tale veste il 13 nov. 1515 fu consultato dalla "Casa de Contratación", insieme con Giovanni Vespucci, nipote di Amerigo, e con altri piloti sulla posizione di capo Sant'Agostino per una vertenza territoriale fra Spagna e Portogallo.

Sebastiano, che era parente di Amerigo Vespucci in linea femminile, coglie l'occasione per lodarlo come espertissimo nella determinazione delle latitudini. Ma forse perché s'era maturato in un ambiente diverso o per qualche particolarità del suo carattere, in Spagna Sebastiano non doveva suscitare molte simpatie; a detta di Pietro Martire, il quale si vantava d'essergli amico e di averlo suo ospite, c'erano dei Castigliani che negavano che egli fosse lo scopritore del paese dei Baccalaos e non ammettevano che potesse essersi spinto tanto lontano verso ponente. Tuttavia nel 1515, mentre per Juan Diaz de Solis si preparava un viaggio verso il Brasile alla ricerca di un passaggio meridionale verso l'occidente, si venivano allestendo anche delle navi per lui, presumibilmente - come abbiamo già detto - per una esplorazione analoga in America centrale. La spedizione cabotiana sarebbe dovuta partire nel marzo 1516, ma il progetto venne accantonato, perché il 23gennaio morì Ferdinando. Pare, anzi, che Sebastiano si trasferisse per un certo periodo in Inghilterra, dove avrebbe ricevuto l'incarico di organizzare un viaggio transoceanico, al quale era mancato il successo per la pusillanimità di certo Thomas Perte (o Spert). La testimonianza dovrebbe essere di Richard Eden, nella dedica alla traduzione inglese della Cosmografia del Münster (del 1553, cioèquando Sebastiano era ancora in vita), ma il Biddle, l'Harrisse, il Tarducci e altri probabilmente ne fraintendono il senso, perché essa va con tutta evidenza riferita al primo anno del regno di Enrico VIII, cioè al 1509, e non all'ottavo anno, e quindi coincide col noto viaggio che interessò lo stretto di Hudson e la regione dei Baccalaos. Anche qui la documentazione disponibile non basta a risolvere tutti i problemi posti dalla biografia del viaggiatore e purtroppo debbono considerarsi perduti tutti i suoi discorsi e mappe che nel 1582 - secondo quanto informa Richard Hakluyt - erano conservati da William Worthington, suo socio, in attesa di essere pubblicati, probabilmente a cura dello stesso compilatore dei Divers Voyages. Comunque nel maggio e dal mese di dicembre del 1516 egli si trovava sicuramente a Siviglia.

Essendosi conclusa tragicamente la spedizione in America meridionale di Juan Diaz de Solis, l'ufficio di "piloto mayór", che egli aveva lasciato vacante, il 5 febbr. 1518 fu affidato da Carlo V a Sebastiano, a preferenza di altri piloti nazionali, e in particolare di Andrés de S. Martin che lo aveva chiesto. Questo alto riconoscimento dimostra che anche in un ambiente difficile come quello spagnolo egli era infine riuscito a far valere le sue doti e ad imporre la sua personalità. La carica era di importanza grandissima e il 26 sett. 1520 alle funzioni che le competevano di organizzare e sovrintendere alle spedizioni oltremare, di coordinarne i risultati per l'aggiornamento delle carte ufficiali, di controllare gli strumenti nautici, fu aggiunta quella di esaminare i piloti destinati alla rotta delle Indie. Sebastiano la tenne per circa trent'anni, nonostante l'invidia e i rancori degli altri piloti o cosmografi che lavoravano a Siviglia al servizio del re di Spagna.

Tuttavia, pur senza tradire la fiducia delle autorità spagnole, non troncò del tutto i suoi legami con l'Inghilterra. Egli stesso verso la fine del 1522 confidò a Gasparo Contarini, ambasciatore veneziano in Spagna, che tre anni prima, durante un soggiorno in Inghilterra, il cardinale Wolsey gli aveva fatto offerte molto lusinghiere perché s'imbarcasse con una sua "armada per discoprir paesi nuovi"; Sebastiano aveva replicato che essendo al servizio di Carlo V non poteva accettare senza il suo permesso, ma subito dopo s'era adoperato perché il re di Spagna lo richiamasse presso di lui, senza concedergli l'autorizzazione richiesta. Alla decisione sarebbe stato indotto da un colloquio con un frate veneto, tale Stragliano Colonna, che gli avrebbe toccato il cuore osservandogli come si fosse sempre adoperato a beneficio degli stranieri senza ricordarsi mai della sua terra. Questa è la versione cabotiana, ma in realtà il progetto inglese non fu realizzato per l'opposizione delle dodici grandi corporazioni mercantili di Londra. Il re, verso la fine del febbraio 1521, le aveva interessate a una spedizione di cinque navi verso la "newe found Iland", della quale sarebbe stato affidato il comando a Sebastiano; benché fossero stati offerti loro il monopolio decennale del traffico con questo paese nuovo e larghe esenzioni doganali, i mercanti londinesi si mostrarono riluttanti, adducendo vari motivi, tra i quali le prevedibili difficoltà con la Spagna, verso la quale s'indirizzava una forte corrente di esportazione di panni, ma l'opposizione principale s'appuntava proprio sulla partecipazione di Sebastiano. A lui essi avrebbero preferito capitani e marinai nazionali, esperti di quella rotta, perché senza mezzi termini sostenevano che egli era assolutamente privo di pratica della zona: ciò che ne sapeva l'aveva appreso dal padre o da altri che l'avevano conosciuta in passato. A quest'affermazione si sono appigliati numerosi storici per negare che Sebastiano avesse prima d'allora preso parte a viaggi d'esplorazione delle coste nordamericane, ma è facile opporre che i risultati di tali spedizioni erano stati per vari rispetti tenuti segreti e perciò non c'era nessuna ragione perché i mercanti ne dovessero essere ragguagliati.

Evidentemente attratto dalla prospettiva di un nuovo viaggio transoceanico col quale mettere a profitto il passaggio settentrionale verso l'Asia che era convinto d'aver scoperto, Sebastiano, fatto il progetto inglese, si rivolse allora a Venezia.

Henry Harrisse, che purtroppo con l'ostinata animosità nei confronti di lui ottenebra la visione spesso felice che ha dei problemi che lo riguardano, non perde l'occasione per sottolineare come in quella circostanza egli continuasse a tradire, a complottare, a tessere intrighi contro chi lo aveva elevato all'ufficio di "piloto mayór", ma sarebbe un grave anacronismo pretendere di misurare la lealtà professionale di un uomo del Cinquecento coi moduli dei giorni nostri. Senza voler insistere sul particolare che Venezia era la patria di Sebastiano (ed egli ama metterlo in risalto proprio con l'ambasciatore Contarini), sarebbe troppo pretendere che egli servisse la Corona spagnola per altro che per la speranza di riuscire a realizzare certi progetti di viaggi transatlantici, e perciò non c'è da scandalizzarsi che egli tentasse altre vie quando si fosse accorto che, almeno in quella congiuntura politica, essi erano estranei agli interessi del paese col quale si trovava legato in virtù di un assegnamento rivelatosi poi vano. Si potrebbe anzi sostenere che appunto la sua fede in un'idea geografica, l'ansia di fornirne la verifica sul terreno economico, senza desistere dal cercare ovunque il necessario sostegno finanziario, differenziano Sebastiano dai cartografi o capitani di routinee ne fanno un personaggio di primo piano nella storia delle scoperte.

Le trattative con Venezia erano state segretamente avviate per mezzo di un Girolamo, di Marin Bucignolo, raguseo, il quale dal viaggiatore aveva ricevuto anche l'incarico di prendersi cura dei suoi beni e in particolare di cercare di ricuperare la dote di sua madre e di una vecchia zia. Per incarico del Consiglio dei dieci le proseguì l'ambasciatore Contarini, che il 24 dic. 1522 ebbe con lui un lungo colloquio, durante il quale cercò di scoprirgli il segreto del progetto, ma quest'ultimo seppe tenerlo ben celato, accennando molto vagamente alla possibilità di portare a Venezia "spetie, oro et altre cose" per una via nuova da lui ritrovata; alle obiezioni che il diplomatico gli poneva sulle difficoltà di far passare per Gibilterra, avendo contrari la Spagna e il Portogallo, navi costruite a Venezia oppure di farle allestire altrove, egli ribadiva che non si trattava di impiegare naviglio dei cantieri veneziani né di passare per la via del Mar Rosso: "Io ho navigati tutti quelli paesi et so ben il tuto", concludeva, aggiungendo che era disposto a recarsi a Venezia a proprie spese per accordarsi direttamente con la Signoria. Egli sosteneva che "la via e il modo" da seguire erano facili.

Il Williamson congettura che Sebastiano pensasse ad un accordo fra Venezia e l'Inghilterra, e l'Almagià ad un accordo con la Spagna, magari non in via ufficiale, ma mediante convenzione fra privati col beneplacito dei due governi. Se egli pensava davvero a un accordo che permettesse a Venezia d'appoggiarsi a un porto spagnolo, l'Harrisse non avrebbe nessuna ragione per qualificare perfidi i suoi progetti, perché non gli si potrebbe in alcun modo addebitare d'aver tradito la fiducia del paese che lo ospitava. In numerosi altri colloqui Sebastiano confermò all'ambasciatore la sua intenzione d'andare a Venezia, e per dargli modo di giustificare il viaggio presso le autorità spagnole il Consiglio dei dieci gli fece avere una finta lettera del Bucignolo che per regolarela questione del ricupero dei beni era indispensabile la sua presenza, ma le trattative - le quali si prolungarono almeno fino al luglio 1523 - non giunsero a nessuna conclusione. Sulle ragioni del loro fallimento ogni ipotesi è possibile perché le fonti tacciono. Il Tarducci non esclude che Sebastiano avesse lasciato cadere la cosa nel timore che fra tante lungaggini il governo spagnolo sarebbe venuto a scoprirla, ma è più disposto a credere che il rientro in Spagna della nave "Victoria", della spedizione di Magellano, gli avesse fattonascere fondate speranze e propositi di nuovi viaggi. Le trattative con Venezia saranno riprese, come vedremo, nel 1551.

Il 6 marzo 1523 Sebastiano veniva autorizzato a cumulare il suo stipendio di capitano marittimo con quello di "piloto mayór" (detratta una quota da corrispondersi, come d'uso, a Maria Cerezo, vedova di Amerigo Vespucci) e più tardi fu chiamato a Badajoz ad esprimere in giunta con Fernando Colombo e altri piloti e cosmografi al servizio della Spagna, in contraddittorio con esperti portoghesi, un parere sulla posizione delle Molucche rispetto al meridiano opposto a quello che in applicazione del trattato di Tordesillas separava nell'Atlantico la zona spagnola da quella portoghese. I lavori della "junta" si conclusero il 31 maggio 1524 con la presentazione di una relazione a Carlo V, ma la controversia sull'appartenenza delle isole dei chiodi di garofano, raggiunte recentemente da Magellano per una rotta diversa da quella portoghese, rimase aperta e i due antagonisti continuarono a disputarsele. Sebastiano qualche mese prima s'era recato nuovamente a Londra per la firma di un contratto nel quale era interessato sir Thomas Lovell, cavaliere della Giarrettiera, come risulta da un'annotazione contabile con la data del 18 febbr. 1524.

Dopo aver conquistato con Malacca, nel 1511, il grande mercato di ridistribuzione delle spezie dell'Estremo Oriente, i Portoghesi erano andati estendendo la loro influenza su quelli di produzione, e nel 1522 avevano stipulato un accordo con la reggente del Regno di Ternate in virtù del quale acquistavano il monopolio dell'esportazione dei chiodi di garofano dalle Molucche. Per contro la Spagna, per far valere i suoi diritti su queste isole (che a ragione spettavano invece al Portogallo) e anche col proposito di portare soccorso agli uomini di Magellano che non erano riusciti a tornare in patria, organizzò una spedizione di sette navi, che il 25 luglio 1525 partiva dalla Coruña al comando di Garcia Jofré de Loaysia.

Quasi contemporaneamente si costituì a Siviglia, con un capitale di 10.000 ducati, una compagnia di mercanti e armatori, nella quale erano interessati per forti somme anche numerosi genovesi, l'inglese Robert Thorne, Pietro Martire d'Anghiera, per un viaggio commerciale alle Molucche, "sub spe magni lucri"; il comando venne affidato a Sebastiano, il quale ai primi di settembre del 1524 ottenne il permesso di lasciare la sua carica di pilota maggiore. In nome della compagnia egli condusse delle trattative col governo spagnolo per sollecitarne il concorso e il 4 marzo 1525, a Madrid, si perfezionò una convenzione con varie clausole, fra le quali la limitazione del numero degli stranieri imbarcati, la nomina di Sebastiano a capitano generale, la partecipazione della Corona ai profitti nella misura del 5%. Alla spedizione parteciparono tre navi - la "S. Maria de la Concepción", capitana, la "S. Maria del Espinar", la "Trinidad" - e un "brigantino" - il "S. Gabriel" - armato da Miguel de Rifos, e si sperava che il convoglio avrebbe compiuto il viaggio in un tempo minore di quello della "Victoria" di Magellano.

Numerosi erano a bordo gli Italiani (gli elenchi pubblicati da J. Toribio Medina ne danno una trentina di nomi), tra i quali era Nicola da Napoli, contromaestrodella nave capitana e uomo di fiducia del capitano generale. Purtroppo già prima della partenza nacque un dissidio fra Sebastiano e i rappresentanti della compagnia, sulla scelta del luogotenente: egli avrebbe preferito Miguel de Rifos (per suggerimento della moglie, come insinuerà poi qualcuno), i Sivigliani riuscirono invece ad imporre, con un rescritto regio del 13 genn. 1526, Martin Mendez, il quale godeva la loro fiducia perché del luogo e moltre espertissimo della rotta in quanto aveva partecipato alla spedizione di Magellano; per di più comandante della "Trinidad" era Francisco Rojas, che nella fase più acuta della vertenza per la designazione del luogotenente stava per essere sostituito a Sebastiano nel comando generale.

Meta del viaggio erano le Molucche, nonché le bibliche isole e terre meravigliose di Tarsis e Ophir, il Catai orientale e Cipango. In pratica, come informa Pietro Martire, la spedizione avrebbe puntato direttamente verso lo stretto di Magellano e quindi proseguito per le Molucche, fermandosi nei centri più ricchi e distaccando eventualmente una nave per farla risalire fino a Panama. La partenza era prevista per l'agosto del 1525, invece ebbe luogo solo il 3 aprile dell'anno successivo, in una stagione tutt'altro che favorevole per viaggi del genere, ma contribuirono a stringere i tempi per evitare ulteriori ritardi le cattive notizie giunte dalle Molucche. L'"armada de la Especeria" salpò da S. Lucar di Barrameda, alla foce del Guadalquivir, ciò che conferma il carattere commerciale del viaggio, perché le spedizioni di scoperta o di "rescate" partivano di regola dal porto settentrionale della Coruña.

Le navi impiegarono una settimana per raggiungere le Canarie, dove completarono le provviste, sostando fino al 28 aprile. La traversata atlantica, per la rotta ormai tradizionale delle isole di Capo Verde, fu rallentata da tempeste e da bonacce tanto che la razione d'acqua fu ridotta al minimo; mal disposto verso di lui, Diego Garcia - il quale nello stesso anno guidò un'altra spedizione in America meridionale - accusa Sebastiano di non aver saputo prendere le correnti che vengono dal golfo di Guinea, perché non era un uomo di mare, ma anche Gregorio Caro, comandante di una delle navi, gli muove l'appunto d'aver deliberatamente preso, contro l'avviso dei piloti, una rotta troppo occidentale che non poteva condurlo se non in Brasile e in una stagione poco propizia alla navigazione. A capo Sant'Agostino s'arrivò il 3 giugno e in effetti, quando appena dopo due giorni si riprese il mare per non prolungare la sosta in una terra soggetta al Portogallo, le correnti contrarie e le bufere dell'inverno australe resero vani i numerosi tentativi di proseguire, cosicché non restò che svernare nella baia di Pernambuco, appoggiandosi a una piccola fattoria portoghese.

Durante la sosta, protrattasi per poco meno di tre mesi, la forzata inattività fece esplodere le discordie fra il capitano generale e gli ufficiali che fin allora non erano mai degenerate in incidenti di rilievo, benché Sebastiano avesse praticamente esautorato il Mendez. Costui e Francisco Rojas furono arrestati sotto l'accusa di ammutinamento, ma Sebastiano non si rivelò energico e avveduto come la circostanza avrebbe richiesto, perché diede l'impressione o d'aver preso la decisione senza prove sufficienti o d'aver paura d'arrivare fino in fondo; infatti qualche giorno dopo li rimise in libertà, per di più reintegrandoli nelle loro funzioni. È probabile che contando di potersi finalmente liberare di collaboratori tanto infidi avesse cercato d'esagerarne le colpe; comunque agì troppo d'impulso ed ebbe il torto di non istruire il regolare processo che gli accusati giustamente reclamavano. Forse non ha torto l'Oviedo, "primo cronista del Nuovo Mondo", a scrivere di lui che era bravissimo cosmografo e capace di costruire un mappamondo sia piano sia sferico, ma che governare uomini è cosa ben diversa dal maneggiare un astrolabio o un quadrante. Al ritorno della spedizione in Spagna Sebastiano sarà chiamato a rispondere di questo abuso d'autorità. Allora il Rojas lo accuserà d'aver tentato di farlo uccidere a tradimento perché s'opponeva al progetto che fin da quel momento egli avrebbe maturato, per istigazione dei Portoghesi di Pernambuco, di non condurre più la spedizione alle Molucche bensì al Rio de la Plata, attratto dall'oro che essi dicevano vi si trovasse in abbondanza.

Quando la stagione lo permise, il 29 settembre, le quattro navi ripresero il viaggio e il 19 ottobre arrivarono alla baia "de los Patos", che fu ribattezzata col nome di Santa Caterina. Fu qui che la nave capitana, incagliatasi in un bassofondo, si rovesciò e fece naufragio col suo preziosissimo carico, comprendente non meno della metà delle provviste della spedizione. Della perdita della "S. Maria de la Concepción", la quale valeva da sola tutte le altre navi, nessuna colpa poteva essere imputata a Sebastiano, che aveva mandato avanti due piloti a scandagliare il fondo, ma il morale degli equipaggi ne subì un gravissimo colpo e il gruppo del Rojas ebbe buon gioco ad eccitare ancor più gli animi, specie dopo che le febbri tropicali ebbero cominciato a mietere vittime fra i superstiti. Per imbarcare gli uomini della nave perduta Sebastiano fece fabbricare una galeotta, alla quale diede il nome di "S. Caterina" (in ricordo della moglie oppure perché se ne iniziò la costruzione il 25 novembre). Mentre s'attendeva a questo lavoro s'aggregarono alla spedizione quindici naufraghi e sbandati di quella del Loaysia e due di quella del de Solis. Costoro avevano raccolto dagli Indiani il racconto del bottino fatto dal portoghese Alejo Garcia e le voci di una lontana e misteriosa regione dell'interno (l'ancora sconosciuto impero degli Incas), dove era una montagna tutta d'argento e dominava un leggendario "re bianco"; insinuando in Sebastiano il miraggio dei metalli preziosi dei quali avrebbe potuto caricare le sue navi se avesse risalito il Rio de Solis e i grandi fiumi che conducono al Perù, essi avevano finito con l'indurlo a dare una nuova meta al viaggio, altrettanto promettente delle Molucche come risultato economico e certo più commisurata a quelle che erano ormai le reali possibilità del gruppo in mezzi e scorte.

Gli storici hanno discusso molto su questo cambiamento d'obbiettivo, ma persino l'Harrisse, che pure è disposto a credere che Sebastiano già a Pernambuco pensasse meno alle Molucche che ai tesori del Rio de la Plata, deve ammettere che dopo la perdita della nave capitana alla spedizione restassero poche probabilità d'arrivare felicemente alle Molucche. Che questa perdita abbia avuto un peso determinante nella diversione è confermato dalle deposizioni dei testi al processo al quale abbiamo accennato e - nel suo Islario - anche da Alonzo de Santa Cruz, il quale faceva parte della spedizione come "veedor" (sopraccarico) e perciò era schierato dalla parte dei finanziatori.

Comunque il capitano generale non volle adottare la decisione prima di discuterla con gli ufficiali. Salvo due - il Rojas e il Mendez - essi si dichiararono tutti favorevoli ad arrestarsi nella regione che i Portoghesi chiamavano già Rio de la Plata, gli Spagnoli ancora Rio de Solis. Così, non appena terminata la costruzione della nuova galeotta, alla quale avevano dato un buon contributo anche gli indigeni, la spedizione ripartì da Santa Caterina il 15 febbr. 1527; il 21 arrivò a capo Santa Maria, all'entrata del Rio de la Plata e dopo una sosta di durata imprecisabile s'addentrò nella baia, finché il 6 aprile non raggiunse, a sessanta leghe, un "porto di San Lazzaro", sull'identità del quale gli studiosi non hanno trovato l'accordo.

Prima di salpare da Santa Caterina il C. si liberò del Rojas, del Mendez, di Miguel de Rodas - pilota della capitana - e di qualche altro loro sostenitore. Meritevoli della pena capitale per ammutinamento, essi furono invece sbarcati e abbandonati a terra, con una buona scorta di viveri e il favore delle tribù indigene. Il capo voleva semplicemente allontanarli dalla spedizione, dove il loro spirito di rivolta rischiava di comunicarsi agli altri, e certo contava di ricuperarli al ritorno (infatti il Roias fu riportato in Spagna), ma le deposizioni rese al processo per abuso d'autorità che venne poi celebrato in Spagna a carico di Sebastiano non consentono d'appurare se questi avesse adottato una decisione così grave in base a prove concrete o solo per sospetti. In ogni caso, anche se per certi riguardi non lodevole, la decisione giovò al prestigio del capitano generale, che da allora non ebbe più da affrontare questioni del genere.

Il viaggio di Sebastiano alla regione del Rio de la Plata, allora praticamente sconosciuta, durò più di tre anni. Se egli avesse ancora avuto qualche esitazione sull'opportunità di intraprenderlo, sarebbe bastato a convincerlo l'arrivo a San Lazzaro di un altro superstite della spedizione de Solis, tal Francisco del Puerto, il quale gli confermò la notizia delle inestimabili ricchezze del paese e gli si offrì quale guida. Nel cammino verso il Perù gli Indiani che la spedizione incontrerà metteranno in mostra i loro ornamenti d'oro e d'argento avuti in cambio da altre tribù più lontane e continueranno a favoleggiare di quei tesori, incoraggiandola a proseguire. L'impresa, invece, dovrà concludersi con un risultato deludente, che certo non ripagherà le perdite, le fatiche, i patimenti. "Sine honra é sin provecho": tutto quello che essa portò dal Nuovo Mondo furono un'oncia d'argento, e "ciertos orejeras e lunas de metal", oltre a qualche pelle d'animale e a cinquanta o sessanta Indiani acquistati a San Vicente, in Brasile, per collocarli in Spagna come schiavi. Non meno disastroso, del resto, fu il bilancio delle spedizioni successive di Pedro de Mendoza (1535), di Juan de Ayolas (1540) e di Domingo de Irala (1548), ostinate nella ricerca del regno meraviglioso così ricco d'oro e d'argento e costrette anche loro a lottare con la fame, con le malattie, con l'inimicizia degli indigeni.

Seguendo le istruzioni dei suoi informatori, l'8 maggio 1527 Sebastiano lasciò alla base di San Lazzaro una dozzina di uomini (che vennero ricuperati esausti dopo due mesi di privazioni, durante i quali erano arrivati a pascersi di cani e di topi) e cominciò a risalire il Rio de la Plata lungo la sponda sinistra. La spedizione s'era divisa in due: delle navi maggiori prese il comando Antonio Grajeda, il quale s'arrestò alla confluenza del San Salvador con l'Uruguay, stabilendovi una nuova base munita d'un fortino; Sebastiano, invece, con le due navi minori entrò nel Paranà e senza alcun impedimento ne risalì il corso fino alla confluenza col Carcaranà, dove arrivò il 27 maggio. Costruito anche qui un fortino, che ebbe il nome di S. Spirito (nelle carte esso fu per molto tempo indicato come "forte di Caboto") egli rimase fermo per circa sette mesi, perché molti dei suoi uomini s'erano ammalati; durante questa sosta - per continuare la rotta sul Paranà, che sembrava aprirsi egualmente alla montagna dell'oro e dell'argento e prometteva un cammino più agevole di quello del Carcaranà, sul quale le informazioni assunte anche attraverso esploratori erano poco incoraggianti - fece fabbricare un'altra imbarcazione più leggera. Con questo nuovo "brigantino" (il "S. Gabriel" fu lasciato qui) e con la "S. Caterina", assistito da Indiani pratici del fiume, Sebastiano riprese il viaggio sul Paranà fino a un'isola alla quale diede il nome di "Año nuevo", perché scoperta il 1º genn. 1528. A forte S. Spirito restò con trenta uomini Gregorio Caro, già capitano della "S. Maria del Espinar". Fino a quel momento i rapporti con le popolazioni locali s'erano, a quanto pare, mantenuti abbastanza amichevoli, specie con la tribù dei Quirandi, ma in questa zona - che apparteneva ai Tinbu - Sebastiano ordinò una feroce spedizione compiuta, con la complicità dei Quirandi, da trentacinque uomini al comando di Miguel Rifos. Le ragioni di questo massacro - rappresaglia, "lezione esemplare" o altro - non sono del tutto chiare; Luis Ramirez (al quale dobbiamo un racconto fedele del viaggio, a cui partecipò, scritto in forma di lettera a un ecclesiastico spagnolo) lo vorrebbe commesso "para apaciguar y castigar a los Tinbues que trataban de rebelarse", lasciando intendere che alla sua radice fosse l'inimicizia fra Tinbu e Quirandi. Comunque le vittime non opposero nessuna resistenza armata, cosicché gli aggressori poterono compiere impunemente la loro strage e ritirarsi con un ricco bottino.

L'anonimo del Ramusio fa raccontare a Sebastiano che risalì il fiume per più di seicento leghe "trovandolo sempre bellissimo et habitato da infiniti popoli che per meraviglia correvano" a guardare il passaggio delle navicelle europee. In realtà nel racconto dei sopravvissuti la continuazione del viaggio si presenta in un modo ben diverso. Esaurite ben presto le scorte di viveri, i membri della spedizione si trovarono costretti a "mangiare gli animali più immondi e le piante più selvatiche", a gettarsi su ogni filo d'erba, senza far caso se fosse buona o cattiva. Esasperato dalle privazioni, un gruppo piuttosto numeroso tramò una fuga, con la connivenza degli Indiani che s'erano aggregati come guide e interpreti, ma Sebastiano fu avvertito in tempo e istruito unbrevissimo processo fece impiccare il capo e condannò a pene varie i compliciprincipali. Finalmente, soccorsi da una ventina di canoe di indigeni, essi trovarono ospitalità e ristoro presso la tribù della quale era capo Yaguaron, sulle rive, del Paranà, venti leghe amonte della foce del Paraguay. A questa località fu dato il nome di Sant'Anna e la spedizione vi si fermò alcuni giorni. I sudditi di Yaguaron portavano orecchini e lamine d'oro e d'argento e dicevano d'averli avuti dalla tribù dei Chanduli, che si trovava ad una settantina di leghe, come confermarono le informazioni raccolte da Franciscodel Puerto. Le mitiche montagne non sembrarono mai tanto vicine e tutti ripresero animo sentendo che le loro fatiche sarebbero state presto largamente premiate.

Il 28 marzo la spedizione si rimise in movimento con rinnovata lena e abbandonato il Paranà, che appariva orientato in direzione dei domini portoghesi in Brasile, entrò nel Paraguay e lo percorse fino alla confluenza con quello che oggi si chiama Rio Bermejo (l'"Ipitin", o "Hepetin" degli indigeni). Al territorio dei Chanduli, prossima, meta del viaggio, pervenne il brigantino capitanato dal Rifos, che procedeva all'avanguardia, ma gli indigeni - dopo una prima accoglienza apparentemente amichevole - forse temendo che gli Europei fossero venuti a compiere una rappresaglia per l'uccisione di alcuni superstiti della spedizione delSolis, li attirarono in un agguato e trucidarono diciassette uomini (tra loro il Rifos); molti altri furono feriti e messi in fuga.

Il luogo dove avvenne lo scontro fu il punto più settentrionale raggiunto dalla spedizione, ché Sebastiano decise d'abbandonare l'impresa. A questa determinazione lo indusse lo stato in cui il gruppo s'era venuto a trovare dopo il tragico episodio e, a detta del Ramirez, soprattutto la conferma della notizia dell'arrivo di altre navi europee, di cui gli era giunta qualche voce già a Sant'Anna. Erano le navi di Diego Garcia, partito dalla Coruña il 15 ag. 1526, con un privilegio sovrano che gli assicurava per otto anni i consueti diritti sui territori ancora sconosciuti che avesse esplorato, con particolare riguardo alla regione platense. È accertato che Sebastiano al momento di partire dalla Spagna era completamente all'oscuro dei preparativi di questa spedizione, della quale non avrebbe certo invaso il campo. Il Garcia, che anch'egli ignorava, da parte sua, la diversione compiuta dall'armata diretta alle Molucche, a metà gennaio del 1528 aveva raggiunto, sull'Uruguay, la base cabotiana del Grajeda e informato dell'itinerario seguito da Sebastiano era tornato indietro per risalire con due brigantini il Paranà, dove contava di trovarlo. Intendeva far valere i diritti che vantava su quella regione in virtù della concessione regia, e infatti a forte S. Spirito aveva cercato di imporsi al Caro, ma senza successo. L'incontrocon Sebastiano, già sulla strada del ritorno, avvenne ai primi di maggio, sulle rive di un'isola del Paranà. Non si sa in quali termini sisia svolto il colloquio fra i due contendenti, che erano egualmente convinti del loro buon diritto, ma la minaccia incombente degli Indiani facilitò un compromesso: riunite le due spedizioni, a S. Spirito avrebbero costruito sei brigantini, coi quali avrebbero risalito il fiume fino alle montagne dell'oro e dell'argento. L'utile sarebbe stato ripartito in modo che la quota maggiore sarebbe andata a Sebastiano e solo un quarto (o forse un terzo) al Garcia, naturalmente anche per i loro uomini. Il patto implicava un chiaro riconoscimento della priorità di Sebastiano, ma il Garcia a S. Spirito sembrò poco disposto a mantenerlo, perché si dileguò misteriosamente coi suoi insospettendo il viaggiatore italiano. Questi, timoroso che egli potesse tramare qualche cosa con la madrepatria, s'affrettò, a inviare in, Spagna una delle proprie navi, affidandola a Hernando Calderon e all'inglese Roger Barlow (colui che scriverà, verso il 1540-41 A brief Summe of Geographie con molte informazioni sulla regione della Plata). Essi partirono l'8luglio 1528 da San Salvador - dove Sebastiano s'era nel frattempo ritirato - con l'incarico di chiedere uomini e mezzi tanto alla Corona quanto ai mercanti sivigliani, ma nonostante la buona disposizione di Carlo V la missione fallì, né la nave riuscì a rientrare alla base americana della spedizione, perché era ancora in allestimento nel luglio del 1530.Con l'arrivo del Calderon e del Barlow cominciarono a diffondersi in Europa le informazioni geografiche sui territori esplorati da Sebastiano, e Diego Ribeiro certamente le utilizzò per il suo planisfero del 1529.

Ma nonostante questo episodio e un tentativo di Sebastiano di impedire al Garcia di mandare a sua volta in Spagna un galeone, i rapporti fra i due non erano giunti a una rottura definitiva. Al contrario già nell'agosto del 1528li troviamo nuovamente associati, o che non avessero mai troncato le loro relazioni o in virtù di altro accordo. Essi disegnavano di riprendere la ricerca del paese dell'oro e dell'argento e perciò avevano armato sette brigantini per risalire il fiume, con base a forte S. Spirito. Nella seconda metà di novembre la flottiglia cominciò il suo viaggio sul Paranà e contemporaneamente partiva a piedi un nucleo di una quindicina di uomini al comando di Francisco Cesar, un capitano dell'esercito imbarcatosi sul brigantino del Rifos, ma in un punto imprecisabile del fiume - probabilmente del Paraguay, come suppone l'Errera - le imbarcazioni tornarono indietro in soccorso del forte di S. Spirito, che secondo un'informazione ricevuta era minacciato da un attacco degli indigeni. Arrivati sul posto, i rinforzi compirono una feroce rappresaglia per l'uccisione di tre compagni, dando così "una sanguinosa lezione ai Guaranì dei dintorni per punirli delle loro velleità di congiura" (Errera).

A febbraio, quando rientrò anch'egli a S. Spirito, con sette soltanto dei suoi uomini, il Cesar raccontò d'aver visto "grandez riquezas de oro e plata e piedras presiosas". Allora Sebastiano e il Garcia discesero ancora il fiume fino a San Salvador per consolidare la base e per preparare un'altra spedizione verso quell'oro e quell'argento. Invece un giorno videro arrivare Gregorio Caro con cinquanta uomini laceri e malconci: erano i superstiti di forte S. Spirito, che fra la fine di agosto e i primi di settembre (1529)gli Indiani avevano attaccato e distrutto. I due capi accorsero a S. Spirito, ma l'ostilità delle popolazioni locali li persuase a rinchiudersi di nuovo a San Salvador, in attesa che dalla madrepatria arrivassero i rinforzi richiesti. Come avevano deciso in una consulta del 6 ottobre, li aspettarono fino agli ultimi giorni di dicembre, quando le condizioni in cui erano ridotti gli uomini, l'esaurirsi delle munizioni, gli assalti degli Indiani convinsero tutti a rinunciare ad altri tentativi ormai disperati e a tornare in Spagna.

Deliberata la partenza, Sebastiano mandò avanti Antonio de Mantoya a procurare viveri, ma non lo incontrò nel luogo stabilito, che era l'isola di Lobos, e dopo averlo cercato invano nella zona si risolse a proseguire egualmente, con la "S. Maria del Espinar", fino a Santa Caterina. Qui non trovò nessuno degli ammutinati che aveva sbarcato per punizione durante il viaggio d'andata. Era sopravvissuto soltanto Francesco Rojas, il quale era riuscito a riparare a San Vicente, dove egli infatti lo rintracciò quando vi giunse, nella seconda metà di marzo (1530). Il Rojas si rifiutò di imbarcarsi sulla nave di Sebastiano, nonostante il salvacondotto che questi gli aveva offerto per rientrare in Spagna, ma dopo varie discussioni finì col salire su quella del Garcia.

Sebastiano arrivò a Siviglia il 22 luglio 1530, con una sola nave, senza l'oro e l'argento preannunciati dal Calderon e dal Barlow. Aveva arbitrariamente dato alla spedizione una meta diversa da quella per la quale era stata allestita e nel paese da lui scoperto - che i superstiti continuavano a decantare ricchissimo di tali metalli - non era stato lasciato nessuno e perciò chiunque poteva ormai farsene padrone. H. Harrisse minimizza anche i risultati geografici del viaggio, perché se si tiene conto delle cognizioni allora già acquisite sull'America, essi si riducevano in sostanza all'esplorazione di cinquantasei leghe del corso del Paraguay. "Per scevro che si sentisse di colpa - annota il Tarducci nella sua appassionata difesa - egli era un generale che ritornava vinto dalla battaglia e con l'esercito ridotto a niente". Subito dopo l'arrivo presero ad accusarlo i suoi finanziatori sivigliani nonché Francisco Rojas e le famiglie degli altri sbarcati a forza a Santa Caterina, e con maggior accanimento di tutti Diego Garcia. Un processo venne presto istruito dalla "Casa de Contratación" e già il 29 luglio Sebastiano fu tratto in arresto; nel maggio 1531era in libertà provvisoria, sotto cauzione, dopo esser riuscito anche ad ottenere degli acconti sul suo salario di "piloto mayór". Egli doveva essere convinto della propria innocenza e confidare in una sentenza favorevole, se prima che venisse pronunciata aveva chiesto a Carlo V un contributo di 4.000 ducati per una nuova spedizione in Asia orientale, attraverso lo stretto di Magellano o per altra rotta, che egli aveva in progetto per l'autunno del 1532. Nessuna meraviglia che a scoraggiare l'impresa non bastasse il fallimento della precedente: queste spedizioni transoceaniche promettevano investimenti altamente remunerativi ma con un grosso margine di rischio, e perciò le eventuali perdite venivano accettate come inseparabili dall'ordine naturale delle cose.

Il processo (i cui atti sono stati pubblicati integralmente dal Toribio Medina) si concluse nel febbraio 1532 con la condanna di Sebastiano a due anni di confino ad Orano per abuso d'autorità verso il Rojas e il Mendez, e a pagare alla famiglia di quest'ultimo un'indennità di 40.000 maravedis. Da tutte le altre imputazioni, compresa quella di aver contravvenuto alle istruzioni che gli erano state date sulla meta del viaggio, fu assolto.

Il clima nel quale si svolse il processo fu certamente poco favorevole all'imputato. Uno dei capitoli sui quali i testi furono chiamati a deporre era infatti: "se è noto che il Rojas è di nobile famiglia e di riconosciuto valore e Caboto è straniero, persona ignota, inabile tanto al governo di un'armata quanto ad altri uffici". E Sebastiano dovette difendersi da accuse come quella d'aver tentato, in concorso con la moglie, d'assassinare il Mendez e di essere responsabile della perdita del carico della nave capitana per averla vilmente abbandonata nel momento in cui stava colando a picco. Ma anche se una documentazione di questo tipo non è il migliore degli osservatori, è accaduto che molti studiosi, specie italiani, non se ne sono valsi - come era lecito attendersi - col fine precipuo di ricostruire i fatti e di definire la figura e l'opera del viaggiatore, ma si sono lasciati prendere la mano dalla preoccupazione di scagionarlo d'ogni colpa, e se questi sforzi possono essere stati lodevoli sotto l'aspetto patriottico, molto minori sono risultati i loro meriti sotto quello scientifico. Espedienti come il mettere in cattiva luce gli accusatori di Sebastiano quali persone disoneste tradiscono facilmente la loro ingenuità, e la mancanza di realismo è arrivata fino al punto di biasimare, come per esempio fa l'Errera, "il furore gretto e meschino di mercanti [quelli sivigliani] che nel vano miraggio di nuove terre scoperte vedono svanire il frutto di ricchezze sicure", ché francamente non si riesce a capire per quale ragione da speculatori, come a buon diritto essi erano, si sarebbero dovuti trasformare in finanziatori di missioni geografiche, accollandosi una funzione che semai doveva essere della Corona. Ma il limite più grave di questa impostazione è il rifiuto d'accettare la figura di Sebastiano, con la mentalità e le ideologie del conquistador, quale egli in realtà si rivela almeno in questo episodio, per volerne fare ad ogni costo un esploratore nobilmente disinteressato, senza altre preoccupazioni e curiosità che quelle d'ordine scientifico. In questo modo il suo ritratto continua ad essere sfuggente e contraddittorio e si perpetuano su di lui lunghe polemiche che in verità finora non hanno dato grandi frutti.

L'esilio fu presto condonato a Sebastiano, ma alle amarezze procurategli dall'impresa del Paranà - che, come scriveva il 24 giugno 1533 a un segretario del re, gli era costata tanto cara - doveva aggiungersi il dolore per la morte della figlia. Era stato questo lutto a fargli ritardare la consegna di un mappamondo che gli era stato commissionato dal Consiglio delle Indie; egli desiderava presentarlo insieme con altre due carte preparate per il sovrano, per dimostrare che l'oceano si poteva navigare "por redondo". A Carlo V, il quale ebbe sempre una grande fiducia in lui e l'aveva mantenuto nella funzione di "piloto mayór", aveva già presentato una relazione sulle regione platense, della quale purtroppo si conosce soltanto uno squarcio sugli Indiani riportato dall'Errera. Conservò l'importantissimo ufficio fino alla metà del 1548, peraltro senza compiere nessuna delle "molte altre navigazioni" alle quali accenna l'anonimo del Ramusio.

Come pilota maggiore ebbe a interessarsi in particolar modo dell'aggiomamento del Padron real - lacarta ufficiale delle navigazioni - e di altri lavori cartografici, nonché dell'accertamento della preparazione tecnica dei piloti. Questa mansione gli fu confermata con un decreto regio dell'11 dic. 1534, dopo che qualche mese prima era stata aperta un'inchiesta su certe pretese "delyxiencias" che egli sarebbe stato solito commettere durante tali esami. Nel 1535 intervenne come esperto nel processo intentato dagli eredi di Cristoforo Colombo per rivendicare i privilegi derivanti dalle lettere regie del 1492, con una testimonianza che nella sua estrema circospezione rivela le pressioni esercitate dai fiscali della Corona.

Quale suo collaboratore il 21 maggio 1534 aveva chiesto che venisse assunto il cosmografo Diego Gutierrez e per ovviare agli errori del vecchio Padron real, iniziato nel 1526 e aggiornato nel 1537, aveva introdotto su proposta di lui una doppia graduazione, in effetti poco funzionale, benché molto ingegnosa, che aveva trovato numerosi oppositori fra i piloti e i cosmografi della "Casa de Contratación". Sebastiano riteneva infatti che fosse possibile venire a capo dell'ancora insoluto problema della determinazione della longitudine in mare coordinando sistematicamente sulle carte le osservazioni sulla declinazione e sulle variazioni dell'ago magnetico. Per molto tempo, anzi, sulla base di una notizia riportata nella Geografia di Livio Sanuto si è attribuita erroneamente a lui la scoperta della declinazione e delle variazioni dell'ago magnetico, nonché il primo rilevamento della linea di non variazione, che secondo il suo parere passava trenta "parasanghe" ad ovest dell'isola di Flores, nelle Azzorre. Già suo padre Giovanni, come abbiamo visto (per non parlare di Colombo, al quale queste scoperte competono), aveva osservato nel viaggio del 1497 le variazioni della bussola; tuttavia sembra che Sebastiano se ne vantasse come di una priorità sua, per lo meno nell'applicazione pratica per la determinazione della longitudine, perché nei suoi colloqui con l'ambasciatore veneziano a Madrid, nel 1522, ragionò di un metodo d'impiegare la bussola per conoscere la distanza fra due punti da levante a ponente, "mai più observato da altri". Sebastiano ha legato il suo nome anche ad un secondo metodo per determinare la longitudine, altrettanto inefficace del primo. Esso si fondava sull'osservazione della declinazione, del sole ed è descritto in modo particolareggiatoda Alonso de Santa Cruz secondo l'esposizione che l'ideatore ne aveva fatto in un trattato del quale non è stato finora rinvenuto nessun esemplare. Questo metodo è stato severamente criticato dall'Harrisse, "il quale dimostra come nella sua applicazione si potesse incorrere in errori nell'enorme misura di sessanta gradi, manon bisogna dinienticare che il problema della determinatone della longitudine, che assillò tanto la scienza nautica nei primi tempi delle navigazioni oceaniche, non fu risolto prima del XVIII sec. Per registrare le variazioni dell'ago Sebastiano avrebbe costruito anche uno speciale strumento, del quale abbiamo una diffusa quanto oscura descrizione in un manoscritto ambrosiano del medico e fisico Ettore Ausonio.

Nessuno dei numerosi lavori cartografici compiuti da Sebastiano nel periodo in cui fu "piloto mayór" (né in altri, del resto) e menzionati in varie fonti è pervenuto fino a noi, fatta eccezione per un mappamondo, a stampa con la data del 1544, al quale abbiamo già avuto occasione di accennare parlando della documentazione del viaggio del 1497. A contorno ovale inquadrato fra due colonne di didascalie (22) in latino e spagnolo, inciso in rame, a colori, su quattro fogli, reca l'indicazione che Sebastiano "hizo esta figura extensa en plano... como carta de marear", ma l'appartenenza a lui è negata da molti studiosi, soprattutto per le numerose inesattezze proprio nelle regioni americane che egli avrebbe dovuto conoscer meglio perché meta dei viaggi suoi e di quelli del padre (mentre vi sono indicate le scoperte del Cartier). Molti errori geografici e cartografici sono anche nella rappresentazione dei paesi europei che Sebastiano avrebbe dovuto conoscere molto bene per avervi soggiornato. Henry Harrisse li giustifica col fatto che, poiché esso fu stampato lontano dalla Spagna, Sebastiano non poté rivederne le bozze, e l'Almagià ritiene che molte manchevolezze siano potute derivare dalla preoccupazione di non divulgare in una carta destinata al grosso pubblico dati di carattere riservato come quelli derivanti dalle proprie esplorazioni, in particolare il passaggio a nord ovest che egli era convinto d'aver scoperto nel 1508-9. Sempre l'Almagià - per il quale il mappamondo del 1544 è certamente opera di Sebastiano o comunque derivante da lui - ha richiamato l'attenzione su alcuni documenti pubblicati dal Toribio Medina che permettono di stabilire che il planisfero fu stampato in Germania, probabilmente a Norimberga, in esecuzione di un contratto stipulato l'11 marzo 1541 fra Sebastiano e Lazzaro Cromberger e Gabriele Mizel (o Wizel).

Nella questione della doppia graduazione del Padron real il C. riuscì in un primo tempo ad imporre il suo punto di vista (e insieme a far adottare gli strumenti nautici fabbricati a Siviglia da Diego Gutierrez e da suo figlio Sancio, e naturalmente non gli fu risparmiata l'insinuazione di essere cointeressato nei profitti), ma l'opposizione degli altri piloti si fece sempre più aspra, rendendogli difficile la permanenza in Spagna, tanto più che i suoi antagonisti - certamente di ottima levatura anche essi - erano spagnoli e piùgiovani di lui, ormai sessantenne. Fin dal 1538 egli aveva cercato dei contatti per rientrare in Inghilterra, forse rinnovati nel 1541, ma riuscì nel suo intento solo dopo l'ascesa al trono di Edoardo VI. Le pratiche appaiono già avviate nell'ottobre del 1547, tuttavia Sebastiano non raggiunse l'Inghilterra prima della fine del 1548. Aveva approfittato di un congedo concessogli dall'imperatore, il quale lo mantenne, almenodi nome, nel posto e non lo sostituì definitivamente che a metà del 1552, dopo averne più volte sollecitato il ritorno. Ma nel 1550 Sebastiano aveva dichiarato esplicitamente che si trovava in Inghilterra di sua volontà, non forzatovi da nessuno, e che non aveva alcuna intenzione di ritornare in Spagna; così non approdò a nulla neppure la richiesta che nel 1553 Carlo V rivolse privatamente alla regina Maria perché autorizzasse Sebastiano a recarsi temporaneamente da lui per alcuni affari riguardanti la sicurezza della navigazione nei domini spagnoli: egli rispose al suo vecchio protettore di non poter partire per la Spagna perché malato e gli inviò una carta con tutte le informazioni richieste.

Il Biddle opina che in Inghilterra egli esercitasse la funzione di supervisore e di consulente della Corona in questioni marittime, non essendo provata la notizia data dal Hakluyt che fosse stato investito della carica di "Grand Pilot". È probabile che per definire la sua posizione si ritenesse sufficiente la cospicua pensione assegnatagli da Edoardo VI il 6 genn. 1549 "in consideratione boni et acceptabilis servitii... impensi atque impendendi"; in ogni caso doveva godere di un'altaconsiderazione perché le fonti lo qualificano "esquire" e Samuel Purchas scrive di un suo ritratto che aveva visto a palazzo reale ornato del titolo di "miles auratus". Tuttavia sembra che non fosse contento del suo stato, perché lo vediamo nuovamente in trattative con Venezia per offrirle i suoi servizi. In un dispaccio del 17 ag. 1551, infatti, l'ambasciatore a Londra Giacomo Soranzo comunicava al Consiglio dei dieci che Sebastiano gli aveva accennato ad un progetto di navigazione e insieme l'aveva interessato alla questione del ricupero di crediti e beni che gli appartenevano a Venezia. Incaricatone dal suo governo, per tale questione era intervenuto presso la Signoria anche l'ambasciatore inglese a Venezia, il quale aveva avuto affidamento che sarebbero state condotte diligenti indagini da G. B. Ramusio, che era al servizio dei Consiglio dei dieci come segretario. Si è sempre pensato che la questione del ricupero dei beni fosse anche questa volta un espediente per consentire a Sebastiano di tornare nella sua città natale senza destare sospetti, ma dopo le ricerche di Rodolfo Gallo sui beni fondiari della famiglia C. a Venezia è lecito piuttosto chiedersi se la preoccupazione principale di Sebastiano non fosse proprio quella di tornare in possesso dei suoi averi, mentre l'offerta di un chimerico progetto di navigazione era semplicemente un mezzo per riuscire a guadagnarsi il favore delle autorità veneziane.Il progetto offerto a Venezia poteva essere, secondo l'Almagià, quello che Sebastiano riuscì a realizzare in Inghilterra nella primavera del 1551 cioè la ricerca di un collegamento coi paesi dell'Estremo Oriente navigando lungo le coste settentrionali dell'Asia. In effetti, come aveva sottolineato Robert Thorne in un indirizzo a Enrico VIII, ormai divise fra Spagnoli e Portoghesi le terre nuove situate negli altri punti cardinali, erano rimaste agli Inglesi solo quelle a nord, naturalmente non per se stesse, ma come strada per raggiungere l'oro e le spezie orientali. Il progetto cabotiano non era originale, perché già nel 1525 il genovese Paolo Centurione l'aveva prospettato al re d'Inghilterra, prima che una malattia - come commenta Agostino Giustiniani - lo mandasse "a cercare i paesi dell'altro mondo", ma Sebastiano seppe cogliere il momento favorevole della rottura del monopolio commerciale degli Easterlings per promuovere con banchieri e mercanti inglesi la costituzione di una compagnia di "Merchants adventurers for the discoverie of Regions, Dominions, Islands and places unknown" della quale divenne governatore. Sono opera sua le ordinanze che regolarono il primo viaggio, capitanato da Hugh Willoughby e di cui era pilota generale Richard Chancellor. Munita di credenziali per tutti i re e signori del mondo, la spedizione partì da Ratcliffe nel maggio del 1551 ma i risultati, anche se notevoli, furono più modesti di quelli sperati, perché una tempesta separò le tre navi. Il Willoughby, dopo essersi avventurato nei paraggi della Novaja Zemlja, cercò di svernare nella penisola di Kola, ma perse la vita coi suoi uomini; il Chancellor, che giunse allafoce della Dvina, riuscì invece a tornare in patria. Conseguenza di questo viaggio fu la costituzione - il 26 febbr. 1555 - della compagnia di Moscovia, alla quale fu attribuito il monopolio del commercio con la Russia. Sebastiano fu nominato governatore a vita, e in effetti furono compiute operazioni a suo nome ancora nel maggio dell'anno 1557. Stephen Borough, il quale fece numerosi viaggi per la compagnia, lo descrive come un "buon vecchio signore" che alla vigilia di ogni partenza si recava a incoraggiare gli equipaggi delle navi e s'univa con giovanile freschezza ai loro balli.

Morì alla fine del 1557, presumibilmente prima del novembre. Si ignora il luogo della sua sepoltura.

Straniero al servizio d'Inghilterra e di Spagna, Sebastiano non ebbe una vita facile, ché dovette difendersi da accuse e da gelosie persino nel campo dell'arte di navigare che - come fa dire il Ramusio al suo anonimo gentiluomo - egli "intendeva più ch'alcun altro". Questa condizione poté anche contribuire ad accentuare certe asperità del suo carattere per le quali non dovette essere molto amato. Ciò ha pesato nei giudizi della sua opera, tanto più che alla comprensione della sua personalità, specie in qualche aspetto contraddittorio, ha fatto velo il presupposto - dato per dimostrato - che egli avesse deliberatamente taciuto o adulterato fatti e ricordi per attribuirsi meriti altrui, in particolare quelli paterni. Per rendersi conto degli eccessi ai quali è giunta questa attitudine - che pure seguiva alle pagine esaltatrici del Biddle, e forse ne era una reazione - è sufficiente scorrere gli scritti di Henry Harrisse, dove ricorrono giudizi estremamente severi e molte volte ingiusti sull'uomo e sul navigatore. Non c'è dubbio che essi vadano serenamente riveduti, senza tuttavia cadere - come si è fatto, e abbiamo già avuto occasione di parlarne - nell'eccesso opposto. Ma né le diatribe né le declamazioni sono valse a sminuire il valore delle sue concezioni e delle sue imprese, che giustificano la fama che s'è conquistato di grandissimo navigatore.

Non c'è restato nessun ritratto del Caboto. Quello di Sebastiano (che alcuni vorrebbero attribuire a Holbein), visto dal Purchas e ritrovato nel 1792 presso un privato, fu acquistato da Richard Biddle, ma andò poi perso nel 1845 nell'incendio della sua casa (fortunatamente ne era stata tratta un'incisione, riprodotta molte volte). L'iscrizione che vi appare fa supporre che sia stato dipinto dopo la morte di lui.

Fonti e Bibl.: R. Biddle, A Memoir of Sebastian Cabot, London 1831; H. Harrisse, Jean et Sébastien Cabot, Paris 1882; F. Tarducci, Di Giovanni e Sebastiano C., Venezia 1892; S. E. Dawson, Voyages of the Cabots, in Transactions of the R. Soc. of Canada, XI (1894), pp. 51-112; C. Errera, La spedizione di Sebastiano C. al Rio de la Plata, in Arch. stor. ital., s.5, XV (1895), pp. 1-62; H. Harrisse, John Cabot the Discoverer of North America and Sebastian his Son, London 1896 (con un ampio "Syllabus" di testimonianze coeve); C. R. Beazley, John and Sebastian Cabot, London 1898. Altri studi di minor rilievo sono elencati in G. Parker Winship, Cabot Bibliography,with an introductory essay on the careers of the Cabots based upon an indipendent examination of the sources of information, London 1900 (comprendente circa 350 titoli).

Vedi inoltre: H. P. Biggar, The Voyages of the Cabots and of the Corte-Reals...(1497-1503), Paris 1903; J. Toribio Medina, El venecian Sebastián C. al servicio de España, Santiago de Chile 1908 (il secondo volume è riservato ai documenti); H. Harrisse, Sébastien Cabot,pilote maior de Charles-Quint, in Revue historique, CII (1909), 2, pp. 1-15; H. P. Biggar, The Precursors of Jacaues Cartier (1497-1534), Ottawa 1911, p. 1 e passim;J. Rubio Pulido, El piloto mayor de la Casa de la Contratación de Sevilla. Pilotos mayores del siglo XVI (datos biográficos), Sevilla 1923 (vedi anche la recensione all'opera di A. Magnaghi, A. Vespucci e S. C. "Piloti Mayores" di Spagna secondo un recente libro spagnolo, in Rivista geografica italiana, XXXII [1925], pp. 189-206); W. F. Ganong, Crucial maps in the early cartography and place-nomenclature of the Atlantic coast of Canada, in Transactions of the R. Soc. of Canada, s. 3, XXXII (1929), pp. 135-175; J. A. Williamson, The Voyages of the Cabots and the English Discovery of North America under Henry VII and Henry VIII, London 1929; E. G. R. Taylor, Tudor Geography,1485-1583, London 1930, pp. 45-57; A. Magnaghi, Sebastiano C. nelle fonti ramusiane, in Arti dell'XI Congr. geogr. it., Napoli 1930, II, pp. 355-80; R. Barlow, A brief Summe of Geographie, a cura di E. G. R. Taylor, London 1931, pp. XXIX s.; G. F. R. Prowse, Cabot's Surveys (e altre monografie mimeografate), Toronto 1931-46; G. Sercia, Giovanni C. e la navigazione italiana del suo tempo, Bologna 1937; R. Almagià, Gli Italiani primi scopritori dell'America, Roma 1937, pp. 289-352 e passim;J. A. Williamson, The Voyages of John and Sebastian Cabot, London 1937; M. Ballesteros-Gaibros, Juan C. en España, in Revista de Indias, IV (1943), pp. 607-27; R. Almagià, Alcune considerazioni sui viaggi di Giovanni C., in Rend. dell'Acc. naz. dei Lincei, classe di scienze morali, s. 8, III (1948), pp. 291-303; R. Gallo, Intorno a Giovanni C., ibid., pp. 209-220; J. Rubio Pulido, El piloto mayor de la Casa de la Contratacim de Sevilla. Pilotos mayores,cathedráticos de cosmografia y cosmografos, Sevilla 1950, ad Indicem;M. Nallesteros-Gaibros, La clave de los descubrimientos de Juan C., in Studi colombiani, II, Genova 1952, pp. 553-61; T. S. Willan, The Muscopy Merchants of 1555, Manchester 1953, pp. 9, 29, 32, 84, 104; R. Almagià, Alcune considerazioni sulla "questione vespucciana", in Riv. geogr. it. LXI(1954) n. speciale: A. Vespucci nel cent. della morte, pp. 13-15; A. Davies, The last voyage of John Cabot and the Rock at Grates Cove, in Nature (London), CLXXVI (1955), pp. 996-98; L. A. Vigneras, New Light on the 1497Cabot Voyage to America, in Hisp. Amer. Hist. Review, XXXVI (1956), pp. 503-509; D. O. True, Cabot Explorations in North America, in Imago Mundi, XIII (1956), pp. 11-25; A. Davies, The "English" Coast on the Map of Juan de la Cosa,ibid., pp. 26-29; L. Cardi, Gaeta patria di Giovanni C., Roma 1956; L. A. Vigneras, The Cape Breton landfall: 1494 or 1497. Note on a letter of John Day, in Canad. Histor. Review, XXXVIII(1957), pp. 219-228; R. Almagià, Commemorazione di Sebastiano C. nel IV cent. della morte, Venezia 1958; Id., Sulle navigazioni di Giovanni C., in Rivista geogr. ital., LXVII (1960), pp. 1-12; A. Davies, João Fernandes and the Cabot Voyages, in Congr. intern. de historia dos descobrimentos,Actas, Lisbõa 1961, II, pp. 135-149; L. A. Vigneras, Etat présent des études sur Jean Cabot,ibid., III, pp. 657-671; G. B. Hoffman, Cabot to Cartier, Toronto 1961; J. A. Williamson, The Cabot Voyages and Bristol discovery under Henry VII, Cambridge 1962 (col testo inglese di tutti i documenti noti e un'append. di R. A. Skelton, The cartography of the voyages, pp. 295-325), M. Mahn-Lot, Colombo,Bristol et l'Atlantique Nord, in Annales (E.S.C.), XIX (1964), pp. 522-30; S. Grzybowski, Découverte et diplomatie: les Cabots et leurs princes, in Rev. d'hist. écon. et soc., XLVII (1969), pp. 215-236; Enc. Ital., VIII, pp. 199-20 2.

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